Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


10 gennaio 2011

IL NON-LUOGO PERFETTO

Un articolo sulla cronaca locale de La Nazione, scritto da Salvatore Mannino, a commento di un progetto di massima per una grande e importante area di Arezzo redatto dallo studio 5+1AA, mi suggerisce una riflessione sul rapporto tra l’uomo, la città e l’auto, e sulla ormai crescente tendenza a cacciarla sotto terra, sotto forma di parcheggi e di strada.
In sostanza, la principale viabilità di accesso alla città, il raccordo autostradale che penetra diritto verso il centro e che è adiacente all’area oggetto del progetto, è stata prevista completamente interrata allo scopo, assolutamente condivisibile, di ricostituire una continuità tra questa e l’area adiacente. Si tratta di un lungo tratto di qualche centinaio di metri, non di un sottopasso; dunque una scelta importante, sia sotto il profilo tecnico che economico. Ugualmente, nell’area progettata, gran parte delle circolazione e dei parcheggi sono previsti interrati.
Scrive Mannino:
Si tratta di una soluzione assolutamente innovativa, almeno per l’Italia…..All’estero, invece, è uno scenario sul quale si lavora da un pezzo.


A Madrid, ad esempio, è già in programma l’interramento di decine di chilometri delle tangenziali che lambiscono la capitale e delle direttrici che penetrano verso il centro. Alla luce del sole resta solo il prato dei parchi, il traffico viene ingoiato dalle viscere della terra, quasi fossemo nel ventre della città caro a Zola, quasi le auto fossero un oggetto un po’ osceno da nascondere il più possibile alla vista….I parcheggi, dunque, sono sotteranei sia quelli a servizio del triangolo del commerciale che quelli a disposizione delle torri del direzionale e residenziale, le strade asfaltate ridotte al minimo indispensabile, in favore di una rete molto estesa di piste ciclabili….”.

Una scelta, a prima vista, a favore della natura, della città e della salute mentale e fisica dell’uomo: liberarci dalla vista e dall’inquinamento prodotto dall’infame scatoletta meccanica protagonista assoluta degli ultimi cent’anni della nostra storia.
Liberarci da tutto, ma non dalla sua presenza, dato che tutto quanto oggi accade sopra, domani verrebbe semplicemente traslato sotto.
Astraiamoci dallo specifico progetto aretino e immaginiamo di estendere questa filosofia alla generalità dei casi di nuovi insediamenti e alla ristrutturazione urbana delle nostre città.

A questo proposito viene utile citare un articolo di Vilma Torselli su Artonweb, Anche l’urbanistica non è più quella di una volta:
…..La metropolitana è il mezzo d’elezione di cui tutte le grandi città cercano di dotarsi per gli indubbi vantaggi legati ad una viabilità interrata rispetto ad una di superficie, ed è proprio la metropolitana che ha cambiato radicalmente quello che si potrebbe chiamare il ‘senso del viaggio’.
Perché il viaggio non si svolge più nello spazio, ma nel tempo, tanto che si comincia da più parti a parlare di progetto urbano time oriented.
"La città del futuro nella quale già viviamo [.......] - scrive Sandra Bonfiglioli (Convegno 'Il senso del tempo', Torino 20-21 novembre 2006) - è una città del tempo. [.....] I luoghi per eccellenza della città del tempo sono gli spazi della mobilità: i percorsi "viari" [......]
Il panorama urbano non esiste più, il percorso è un alternarsi di buio e lampi che non forniscono alcuna informazione sulla direzione, il tracciato, i luoghi, un viaggio cieco che termina con l’emersione alla luce in uno spazio urbano raggiunto senza sapere come. La maggior parte della gente percorre in metrò ogni giorno lo stesso tragitto, quasi sempre il percorso casa/lavoro (ma anche /centro commerciale, /università, /scuola, /ospedale ecc.), ignorando del tutto quale parte di città ha attraversato: niente sfilata di palazzi, di facciate note, di vetrine, piazze ed attraversamenti conosciuti, incontri, lo spostamento si concentra in un inizio ed una fine, in mezzo il buio delle gallerie e un tempo marginale ed improduttivo che deve essere il più breve possibile.
Il luogo di imbarco e quello di sbarco, il più possibile vicini alla destinazione in modo da ottimizzare l'abbattimento dei tempi di spostamento, rappresentano l’unico scenario urbano con cui si viene in contatto.
Brandelli di città fine a sé stessi, i luoghi sono riconoscibili per “quel” monumento o palazzo, indifferenziati “oggetti urbani” di grande impatto ambientale che fungono da cronotopi, sorta di matrici spazio-temporali in grado di generare e caratterizzare la dinamica della città e della sua “narrazione” (parafrasando Bachtin).
In questo quadro generale acquistano senso e giustificazione gli interventi delle tanto discusse archistar e la loro architettura autoreferenziale e decontestuale, portatrice di un messaggio personale frutto di un soliloquio che non cerca né confronto né dialogo. Perché l’abitante metropolitano la percepisce nello stesso modo segmentario e parziale con il quale essa viene concepita e calata nel territorio urbano, secondo un processo di interazione nel quale il fruitore chiede solo che quello spazio urbano sia riconoscibile ai fini dell’orientamento spazio-temporale.
Cosicché la presenza di un grattacielo storto piuttosto che di un museo/wc o di un’inaspettata installazione policroma, segni forti non necessariamente comprensibili, ma assolutamente caratterizzanti, possono determinare per ognuno una diversa strategia di “immaginabilità urbana”, in relazione alla individualità dell’esperienza….
”.

Basta sostituire “metropolitana” con “rete stradale sotterranea” e il contenuto dell’articolo è perfettamente riferibile al caso nostro, con conseguenze, però, elevate all’ennesima potenza. E con una differenza sostanziale: la metropolitana viene vissuta come infrastruttura puramente tecnica e svolge una funzione prettamente collettiva, ed ha, a suo modo, una motivazione, una spinta etica accanto a quella utilitaristica, riassumibile in questa frase: “diminuisco il traffico in superficie, spendo meno e arrivo anche prima”. La metropolitana diventa una scelta corretta e utile, anche se non particolarmente gradita e amata.

Ma l’auto non è un mezzo collettivo, è il mezzo privato per eccellenza, è il moderno simbolo della libertà individuale di movimento. Relegarla al piano di sotto significa relegarvi chi la guida, cioè la generalità degli individui.
Significa fare una città parallela ma diversa da quella di sopra, anche se ad essa funzionale.
Significa, come scrive Mannino, che: “le macchine sono come il sesso per gli inglesi, qualcosa che c’è ma di cui non si parla (e non si guarda per decenza)”.

L’auto resta dunque e crea due città fasulle: quella di sotto, buia, pericolosa e irrespirabile, quella di sopra, luminosa e verde nell’immagine, ma morta nella sostanza, priva di vita perché la sua vita si svolge sotto, dove la gente trascorre una buona parte del proprio tempo per spostarsi, per recarsi al lavoro o al supermercato o a casa, o all’università o alla multisala.

I movimenti dei cittadini si svolgeranno tutti in ambiente artificiale e andare all’aria aperta sarà un’altra, non prevista, funzione aggiunta a quelle teorizzate da Le Corbusier e imposte dal sistema della produzione di massa. La zonizzazione non sarà dunque solo orizzontale ma anche verticale, ma non nel senso virtuoso del termine, cioè della stratificazione delle funzioni sui singoli edifici che determinano la vitalità della strada e della città europea, bensì estesa a tutta la città.

Il sogno di una città senz’auto si trasforma nell’incubo di una città senza persone perché a questo punto è chiaro che ha, e sempre di più avrà, ragione Vilma Torselli quando afferma che gli oggetti decontestualizzati progettati dagli, o in stile, archistar meglio si prestano a diventare il segno forte e riconoscibile da trovare quando si riemerge in superficie! Che senso avrebbe, infatti, una città costituita da sequenze urbane, da muri pieni e da spazi vuoti che si susseguono e si articolano in un tessuto continuo se tutto il sistema circolatorio, quello che conta e che fornisce la vita e il movimento, si trova in un piano diverso e in un non-luogo oscuro e malsano?

La città diventa un’imitazione degli outlet che imitano, a loro volta, il villaggio tradizionale e il sopra sarà dunque indifferente alla forma, al disegno, all’aggregarsi di spazi e funzioni; potrà avere qualsiasi forma essendo questa solo uno scenario senza vita o con una vita pianificata a intervalli. La città sarebbe schizofrenica e presenterebbe aspetti della personalità completamente diversi.

Non potrebbe più esserci, a questo punto, nessuno stimolo a riaggregare la città in un organismo vitale in cui ogni parte collabori con le altre, perché sarebbe come un corpo umano funzionante grazie alla circolazione extra-corporea, cioè alimentato da macchine.
Se la spinta iniziale di questa scelta è di tipo ecologico e ambientalista, i risultati la negherebbero del tutto perché una metà della città sarebbe completamente dipendente dall’energia, sia di giorno che di notte e l’inquinamento delle auto, che conserverebbe intatto il suo valore assoluto, sarebbe solo concentrato in determinati nodi.

Ho certamente estremizzano un concetto ma se la tendenza fosse questa la fine sarebbe segnata.
La sfida è invece quella di fare convivere civilmente l’uomo con le sue auto o con qualunque altra delle diavolerie che eventualmente le sostituiranno. La sfida è quella di fare una città vitale alla luce del giorno che sia capace di tenere insieme i vantaggi della modernità con quelli della forma tradizionale.

Concludo con un brano ancora da un articolo di Vilma Torselli, La fine dei luoghi:
Ora, entrata in crisi l’idea di città come luogo rappresentativo di un ordine territoriale specchio di un ordine sociale, assistiamo al diffondersi di una sostanziale equivalenza di stili e di luoghi perfettamente intercambiabili, nei quali emerge l'uso funzionale ed efficientista del modello di città meglio rispondente alle esigenze di mobilità, libertà e flessibilità, unici valori riconosciuti da una cultura eminentemente tecnicista e a-finalistica, che si limita a rappresentare il presente, senza prospettive sul futuro e senza finalità alcuna”.
Chiaro, no?



Per vedere e leggere qualcosa di piacevole sulle città sotterranee seguire questo link:
http://www.fabiofeminofantascience.org/RETROFUTURE/RETROFUTURE12.html
Da questo sito è tratta la foto all'inizio


11 commenti:

Anonimo ha detto...

Pietro, ti ringrazio per le lunghe citazioni, mi piacerebbe che fossero pretesto per un dibattito sull'urbanistica time oriented, questa sconosciuta.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, mi spiace, ma è davvero sconosciuta, almeno a me.
Ho provato a cercare qualcosa in rete ma ho trovato solo quello che temevo di trovare, cioè la burocratica quanto inutile, politicamente corretta e anche un po' comunista, nel senso di pianificatoria, norma che obbliga, nella redazione dei Piani, a pianificare per coordinare gli orari delle varie attività. Una palese stupidaggine che nessuno prende sul serio ovviamente ma che tutti coloro che fanno piani assolvono come uno dei tanti sprechi di carta e di energia mentale. Direi quindi un'urbanistica orientata allo spreco del tempo.
Per il resto non ho davvero trovato altro e non saprei proprio come orientarmi.
Ciao
Pietro

Emmanuele ha detto...

Non sono sicuro di essere d'accordo con la tua posizione: io amo spostarmi a piedi nella città che frequento di più ma che non abito, Roma, e percorro diversi kilometri giornalmente proprio per il piacere di camminare nella città, per attraversarla, per osservarla lentamente, per viverla realmente i luoghi e non solo i "locali" (come dici tu: università e centri commerciali...), e ti assicuro che vivo male le aree molto trafficate: smog (ambientale ma soprattutto acustico), caos, insicurezza generale. Evito sempre di arrivare in automobile a Roma, nonostante vivo fuori, in provincia, a 60 km, perché è praticamente impossibile percorrerla in maniera "sana" in automobile. Direi che spostare alcune parti della rete carrabile sotto il livello stradale non è un'idea così malvaggia: in questo modo si ridona la città a chi così potrebbe attraversarla in maniera forse più "naturale" (permettimi l'anacronismo), e viverne di nuovo i luoghi minuti, le piazze nascoste... Insomma, quei luoghi che sono lontani dalle "strade"...

Pietro Pagliardini ha detto...

Emmanuele, io non sono un fanatico dell'auto e il mio ragionamento non è comunque di tipo personale. I movimenti in una città non sono solo passeggiate domenicali o per chi riesce a trovare il tempo anche negli altri giorni. Il movimento è dettato da mille cause, il lavoro, la scuola, la spesa e molte altre attività.
il movimento è il sistema vitale di una città perchè la città è luogo di attività di scambio, di ogni cosa: merci, cultura, servizi, divertimento, affetti, relazioni sociali. E' chiaro che oggi è tutto impostato sull'auto e su lunghi spostamenti dovuti anche alla zonizzazione selvaggia, ma è altrettanto chiaro che in ogni modo la nostra società richiede mobilità individuale. anche in una condizione ideale di una città con il massimo del mix funzionale, con una progettazione che permetta il massimo della pedonalità e con il miglior sistema di servizi pubblici, la mobilità individuale resterebbe ed è, comunque, un valore di libertà e le auto (a scoppio o elettriche non cambia molto) resteranno. Per questo cacciare tutto il sistema vitale sotto terra mi sembra non solo una scorciatoia tecnicista piuttosto rozza ma anche contro l'uomo, che non è fatto per vivere in quell'ambiente. La soluzione è, ancora una volta, al piano terra. difficile, certamente, ma nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere non risolve i problemi, anzi rischia di aggravarli.
Il mio discorso sembra paradossale ma il giorno dopo che ho scritto il post ho letto la notizia su Il Piccolo che a CityLife tutta la circolazione sarà sotterranea. Dunque è una tendenza reale. E guarda caso, proprio in un quartiere non-quartiere progettato da archistar.
ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Eppure, Pietro, nella sua innaturalità, l’idea di due città parallele, una sopra e una sotto terra, è una sorta di schema mentale quasi metafisico che l’umanità si porta dietro dai suoi albori: la realtà ipogea possiede un fascino misterioso difficilmente eludibile (pensiamo alle chiese ipogee, le tombe, le cripte ….), ogni civiltà l’ha immaginata, raccontata, tramandata, idealizzata come un contro/mondo che, in qualche modo e sotto molti aspetti, integra il mondo visibile assumendosene la parte ‘oscura’.
Inevitabile che ciò si traducesse in un’urbanistica sotterranea, inevitabile che ne ponesse le basi il genio rinascimentale.
Leonardo concepisce la sua città ideale per strati funzionali, al piano inferiore colloca una rete di canali sia per la navigazione che per la raccolta fognaria, al livello intermedio immagina strade per “i carri e altre some a l’uso e comodità del popolo”, al livello superiore destina case di lusso, giardini, percorsi pedonali per “gentili omini”.
Ma si può andare anche molto più in là nel tempo, ricordandoci che l’imperatore Adriano (76 – 138), che per primo emanò un editto imponendo il divieto di transito per carri e cavalli in centro città, fece costruire all’interno del perimetro di villa Adriana una via carrabile sotterranea (a sette metri di profondità) destinata ai carri per l’approvigionamento di cibo e merci, alla servitù, alle guardie di sorveglianza, agli addetti alla manutenzione, estranei necessari la cui presenza non doveva interferire con la vita dorata degli ospiti. Ogni tanto c’erano vere e proprie stazioni da cui il personale si distribuiva presso le proprie abitazioni, con il vantaggio sia di occultarsi alla vista sia di muoversi lungo percorsi rettilinei quindi più brevi, con minor spreco di tempo.
Da allora ben poco è cambiato nello schema che, periodicamente, urbanisti ed architetti propongono come panacea per risolvere tutti i mali della modernità, cedendo a quella che potremmo chiamare la sindrome del maggiordomo: nascondere l’immondizia sotto il tappeto.
Assai più raro che qualcuno difenda l’idea opposta di concentrare il traffico automobilistico in superficie, se non dietro l’alibi di poterlo arginare e gestire con mezzi contingenti e non applicabili su scala generale, dribblando ogni discorso di metodo (vedi Poundbury).
Il che rappresenta probabilmente lo scontro di due ideologie in rapporto antitetico circa il rapporto uomo/macchina, filone portante della cultura del ‘900.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, non voglio certo affermare che l'idea di una città sotterranea sia nuova, ma una cosa è una città reale, altra cosa è un uso specialistico del pianto interrato. I casi che tu citi rientrano tutti in questa categoria, a parte il sogno di Leonardo. Sul quale, per inciso, io dichiaro un mia personale non simpatia, per non dire antipatia. O meglio, la mia antipatia è per l'uso che ne viene fatto dai media come genio assoluto che sembra avere anticipato tutto quanto oggi esiste. La migliore smitizzazione di questa figura è stata fatta da Benigni e Troisi nel film Ricomincio da tre, dove Leonardo viene presentato, ironicamente, come uno un po' tonto che non si rende conto delle scoperte della modernità.
Mi riferisco al Leonardo "scienziato" e soprattutto "inventore". Intanto Leonardo non è uno scienziato ma un personaggio visionario, con tutti i pregi e i difetti di questo appellativo.
Non è Leonardo il fondatore della scienza moderna ma Galileo, che ha istituito un metodo, contrariamente al nostro che ha una mente vulcanica, grandi intuizioni e grande curiosità su tutto. Ma metodo scientifico proprio no.
Quando ho scritto il post ho proprio pensato a quei disegni su più livelli e, se ben ricordo, uno di questi è straordinariamente simile ad uno di Unwin che ho pubblicato sul post specifico.
Tornando a Roma antica, il problema del traffico esisteva anche allora, tant'è che per limitarlo era impedito, durante il giorno, il passaggio di carri; un'isola pedonale o zona blu ante litteram. Niente di nuovo sotto il sole. E l’inquinamento animale non era molto migliore di quello da motore a scoppio.
La vita ipogea è sempre e comunque legata a necessità (catacombe), culto, attività specialistiche (la Villa Adriana come Roma Termini), sottopassaggi con attività commerciali, in genere tristissimi quando non squallidi, e poi a tutto il genere fantastico o fantascientifico di civiltà morte o che cercano di rinascere alla vita (alla luce) dopo qualche catastrofe. In genere sotto terra non avviene nulla di buono, ma è logico, la luce è vita, in senso fisico, simbolico, religioso.
Quanto a Poundbury la citazione è assolutamente giusta perchè Krier pensa, appunto, che occorra trovare una convivenza. Strano, vero, che un "antichista" la pensi così? E invece io lo trovo perfettamente coerente, non a caso su questo sono del tutto d'accordo con lui, perché la città è un organismo unico e omogeneo che non può essere scomposto in parti diverse, pena la decadenza. Infatti la zonizzazione ha fatto decadere la città.
Considero questa un'idea figlia tardiva del positivismo. E non è un gran complimento.
Lo so che non è facile conciliare quello che sembra inconciliabile, e probabilmente ogni soluzione sarà un compromesso, ma il meglio è nemico del bene e non si può inseguire la città perfetta, ma solo la migliore tra quelle possibili.
Ciao
Pietro

Emmanuele ha detto...

Ovviamente non intendevo movimenti fatti intenzionalmente per lo svago, ma i movimenti per lavoro o comunque necessari: quando dicevo che amo camminare, intendevo proprio che faccio diversi kilometri a piedi per raggiungere i luoghi di cui ho bisogno. Ovviamente non mi è sempre possibile, però faccio ciò che posso.
Ovviamente è assurdo pensare di abbandonare completamente l'auto, e mi pare di aver intuito comunque che la tua idea dell'automobile non sia - per così dire - tendente all'idolatria. Credo comunque che sia impossibile sotterrare la viabilità di un intero quartiere: studiai la questione un anno fa, e ci sono problemi tecnici difficilmente risolvibili. Uno tra tutti: il parcheggio e l'intersezione tra più strade (sottoterra non si possono certo fare le rotonde, men che meno incroci). Comunque sia, ci sono delle strade urbane che sono delle vere e proprie autostrade. In aree che prima erano vissute dalla gente! Ad esempio il lungo Tevere, via Cola di Rienzo (che collega San Pietro a Piazza del Popolo), via Vittorio Emanuele... Ovvio che sotterrare l'intera rete è sciocco, ma le strade a scorrimento veloce, che passano dentro la città, non possono convivere con l'uomo che ha scelto di godere il proprio ritmo lento...

Pietro Pagliardini ha detto...

Emmanuele, è esattamente quello che penso io, che non escludo affatto interramenti necessari del traffico. Ci mancherebbe altro. Io contesto una tendenza, che non è una mia fantasia ma che è invece possibile verificare quasi ogni giorno leggendo i giornali, ad eludere i problemi della città e dello stesso traffico con progetti generalizzati interrati, spacciati come soluzione innovativa (se un progetto non è innovativo non si vende, evidentemente).
Non sono affatto un maniaco dell'auto, in nessun senso, neanche come passione per nuovi modelli o auto sportive o di lusso. Non capisco niente di motori e meccanica, di novità elettroniche o tecnologiche in genere e penso, come Henry Ford, che quello che nelle auto non c'è non si rompe.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Probabilmente occorre una giusta misura: il problema reale - anche quello dell'inquinamento e del rumore - si ha quando zone della città subiscono l'invasione di un traffico di attraversamento, non di circolazione. E' su tale problema che vent'anni fa a Roma si impegnò il nostro arch. Brunello Berardi, con una soluzione di interramento del traffico di attraversamento che dal 1985 aveva letteralmente ucciso l'XI municipio (quello tra il Parco dell'Appia Antica e l'acquedotto Claudio-Felice). URBIS si chiamava il progetto, che venne... sepolto a sua volta. Il Gruppo Salingaros lo ha vagliato con un seminario lo scorso dicembre.

Ciao,

Stefano Serafini

Pietro Pagliardini ha detto...

Infatti, Stefano, nel caso che mi ha offerto lo spunto di riflessione, cioè quello di Arezzo descritto da Mannino ne La Nazione, non sono pregiudizialmente contrario all'interramento di parte del raccordo autostradale, mantengo solo una riserva sulla sua fattibilità e soprattutto nella parziale perdita di percezione del senso di avvicinamento alla città e della veduta, davvero molto bella, del centro storico proprio dallo stesso punto di vista che Pier della Francesca ha raffigurato nei suoi affreschi a San Francesco.
La mia obiezione riguarda la "facile" generalizzazione dell'interramento che è stata estesa al progetto della grande area adiacente alla tangenziale. E riguarda anche la troppo facile retorica contro l'auto quale mezzo di perdizione, il giudizio di tipo etico che viene dato contro questa (e quindi contro chi la usa), salvo poi usufruirne tutti quando serve e anche quando ....non serve. Avrai letto su Il Piccolo che anche a CityLife tutto il traffico è interrato e sopra c'è il paradiso terrestre, cioè il vuoto verde che non è città!
Molti dei problemi del traffico che abbiamo oggi sono dovuti proprio alla "mancanza" di strade, non alla loro abbondanza, e sono dovuti proprio alla specializzazione delle zone urbane, unite tra loro da arterie di scorrimento e basta, le quali diventano comunque insufficienti in casi eccezionali e nelle ore di punta quando, in mancanza di una rete continua di viabilità locale alternativa, entrano in crisi.
La prima soluzione è progettare quartieri "tradizionali" dove la strada sia l'elemento generatore e dove possano circolare, e parcheggiare, le auto, a velocità ridotta mediante il sistema del traffic calming, cioè ostacoli naturali alla velocità.
E' la scoperta dell'acqua calda ma non viene mai adottata, se non in qualche centro storico anche se "obtorto collo".
Rinunciare all'auto è come rinunciare a Internet: entrambe i mezzi hanno il rovescio della medaglia, entrambe inquinano, l'una i polmoni l'altra il cervello, ma entrambe sono uno strumento di comunicazione e di libertà irrinunciabile. E non c'è trasporto pubblico che tenga in grado di sostituirla totalmente, dato che questo sarà sempre "canalizzato" su determinati corridoi mentre l'auto può e deve viaggiare su una rete diffusa, proprio come internet. Quindi consente di rispondere a tutte le variabili possibili e di mettere in contatto ciascun individuo con l'altro. Direi che è un mezzo che lavora peer to peer: se la città è progettata con questo criterio anche l'auto si muoverà con quel criterio e il traffico sarà distribuito e molto meno invasivo.
Ciao
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

Stefano, aggiungo due considerazioni in parte già fatte nei precedenti commenti:
interrare il traffico in maniera generalizzata non può che favorire e giustificare, come dice Vilma, l'urbanistica degli oggetti simbolo, non fosse altro per la necessaria riconoscibilità una volta usciti all'aria arte; un'urbanistica sincopata in cui la percezione del tempo entra in maniera determinante ma falsata, perché esiste il "viaggio", in cui il tempo si sospende "in attesa di" e poi riprende il suo flusso proprio scandito da quegli oggetti che ne sono l'inizio e la fine. E' una ulteriore ed estrema parcellizzazione del tempo della vita dell'uomo.
Ma questa condizione sono sicuro che è uno strumento di grande attrattiva per la gente, dato che nell'immaginario collettivo,. bombardato da messaggi contro l'auto e l'inquinamento (che c'è, ma la vita media si allunga sempre più!) la possibilità di fare "sparire" le auto dalla vista e non vi siano problemi di parcheggio è un merito e quindi una valorizzazione della commercialità del bene (e infatti a CityLife pubblicizzano questa criterio). Salvo poi ritrovarsi in una malsana, pericolosa e anti-ecologica città ipogea in cui, ad esempio, nessun bambino o anziano potrebbe andare da solo, dove le donne sono a rischio stupro continuo, dove la rapina non potrebbe essere che la regola e non l'eccezione.
I fatti dicono che questo è e sarà un grimaldello molto potente per far passare progetti assurdi cui si deve opporre l'idea di una città vera dove l'auto possa arrivare sotto casa e parcheggiare con comodità, anche sotto terra ma non solo (perché i non residenti che si devono fermare per frazioni di tempo non possono essere costretti a complicati sistemi di parcheggio).
La battaglia del "mercato" va combattuta con le sue regole, anche rinunciando a qualcosa se necessario.
Ciao
Pietro

Etichette

Alemanno Alexander Andrés Duany Angelo Crespi Anti-architettura antico appartenenza Ara Pacis Archistar Architettura sacra architettura vernacolare Archiwatch arezzo Asor Rosa Augé Aulenti Autosomiglianza Avanguardia Barocco Bauhaus Bauman Bellezza Benevolo Betksy Biennale Bilbao bio-architettura Bontempi Borromini Botta Brunelleschi Bruno Zevi Cacciari Calatrava Calthorpe Caniggia Carta di Atene Centro storico cervellati Cesare Brandi Christopher Alexander CIAM Cina Ciro Lomonte Città Città ideale città-giardino CityLife civitas concorsi concorsi architettura contemporaneità cultura del progetto cupola David Fisher densificazione Deridda Diamanti Disegno urbano Dubai E.M. Mazzola Eisenmann EUR Expo2015 falso storico Frattali Fuksas Galli della Loggia Gehry Genius Loci Gerusalemme Giovannoni globalizzazione grattacielo Gregotti Grifoni Gropius Guggenheim Hans Hollein Hassan Fathy Herzog Howard identità Il Covile Isozaki J.Jacobs Jean Nouvel Koolhaas L.B.Alberti L'Aquila La Cecla Langone Le Corbusier Leon krier Léon Krier leonardo Leonardo Ricci Les Halles levatrice Libeskind Los Maffei Mancuso Marco Romano Meier Milano Modernismo modernità moderno Movimento Moderno Muratore Muratori Musica MVRDV Natalini naturale New towns New Urbanism New York New York Times new-town Nikos Salìngaros Norman Foster Novoli Ouroussoff paesaggio Pagano Palladio Paolo Marconi PEEP periferie Petruccioli Piacentini Picasso Pincio Pittura Platone Popper Portoghesi Poundbury Prestinenza Puglisi Principe Carlo Purini Quinlan Terry Referendum Renzo Piano restauro Ricciotti riconoscibilità rinascimento risorse Robert Adam Rogers Ruskin S.Giedion Sagrada Familia Salingaros Salìngaros Salzano Sangallo Sant'Elia scienza Scruton Severino sgarbi sostenibilità sprawl Star system Stefano Boeri steil Strade Tagliaventi Tentori Terragni Tom Wolfe toscana Tradizione Umberto Eco università Valadier Valle Verdelli Vilma Torselli Viollet le Duc Vitruvio Wrigth Zaha Hadid zonizzazione