Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


22 gennaio 2011

IL LATO B DI AREZZO

Con elegante stile letterario il prof. Brilli ci ha restituito un’immagine viva e vera del quartiere la Catona. Ha fatto, anzi, molto di più, perché ha colto il tratto essenziale e unico di Arezzo: quello di avere “un davanti e un retro”, un lato A e uno B. Con tono garbatamente allusivo, Brilli assimila la forma della città alla figura umana, descrivendocela come aperta davanti ma chiusa e impenetrabile dietro, ed evocandone lo stupore nelle rare volte che qualcuno riesce a “prenderla alle spalle”. A quale altra città è concessa una simile, carnale, metafora?
La forma a ventaglio di Arezzo, il cui lato nord è segnato dalle mura che marcano il confine tra città e campagna è stata colta anche dai progettisti dei vari piani regolatori. Sia il padano Gregotti che l’americano Calthorpe avevano subìto il fascino e intuito le ragioni geografiche e climatiche della naturale inedificabilità della zona, e che tale condizione si sposava felicemente con l’armoniosa bellezza del duetto tra città e campagna.


E’ una percezione immediata e istintiva che non necessita di difficili ragionamenti per essere dimostrata vera, basta girare la sguardo dalla Fortezza; è l’essenza stessa di Arezzo, orientata a sud, accessibile da est e da ovest, ma chiusa a nord.
Ma nonostante questa evidenza c’è chi giudica quel vuoto a nord una povertà, piuttosto che una ricchezza, e pensa che la città debba essere richiusa “come tutte le altre città”. Eppure proprio questa espressione dovrebbe suscitare il dubbio che sarebbe meglio non perdere l’unicità assoluta di Arezzo. Purtroppo proprio Calthorpe, forse per curare il “rachitismo” del quartiere di cui parla Brilli, ha formalizzato l’edificabilità di parte della zona.

Nel frattempo quel retro, il lato B, veniva violato dalle scale mobili: ciò che prima era eccezione si è fatta regola, e turisti e aretini, su e giù per le scale, provano quotidianamente il fascino della trasgressione, banalizzandolo e unendo ciò che prima era diviso. Abbiamo perduto “il piacere di penetrare in una città da un ingresso inconsueto”.

E’ difficile non pensare che proprio le scale, che ci hanno assuefatto a “prendere la città alle spalle”, diventino il grimaldello per poter affermare che è maturo il tempo di espandersi a nord, di trasformare una città a ventaglio in una città radiocentrica, di cancellare il lato B, ormai privo di segreti, e di omogeneizzare sapori forti in un amalgama insipido.
Se dopo secoli di storia quella parte di Arezzo è rimasta campagna, non sarà certo perché i nostri avi non sapessero costruire città! Né si penserà, spero, che Arezzo sia stretta in una vallata che non offre più spazio e che rimanga solo quella parte per farla crescere, ammesso ve ne sia bisogno!
Arezzo, nei confronti di mille altre città italiane, è unica per l’insieme, più che per le singole parti; occupare quel retro umido e ombroso sarebbe un intervento di chirurgia estetica irreversibile e l’insieme non sarebbe più lo stesso.
Abbiamo grossolanamente abbattuto le mura urbane, ma per la nobile causa di aprirsi al progresso, alla modernità, al mondo stesso, ed oggi le rimpiangiamo; però non saprei trovare un solo scopo nobile, o semplicemente utile, per riempire quel vuoto a nord.
Pietro Pagliardini


Articolo pubblicato su La Nazione, cronaca di Arezzo

1 commento:

enrico ha detto...

potrei commentare: che cosa vuoi aspettarti di buono da un architetto-urbanista?
A parte le battute, credo, anzi sono certo, che intervenire su tessuti e strutture urbane cariche di storia sia impresa ardua. ma so anche che salvaguardarne il "genius loci" è impresa complessa, anche perchè non è cosa agevole definire nello specifico quali sono i caratteri davvero importanti e irrinunciabili. Per restare ad esempi che conosco bene, Bologna è, come tutti sanno, la città dei portici. e i portici del centro storico sono un mirabile esempio di percorso pedonale; anche se nel corso del tempo la loro fruizione ha subito ovvie mutazioni. Un po' servivano come "sfogo" per le abitazioni scure e umide, un po' ora servono da zona espositiva per esercizi commerciali, o come dehors per bar e caffè. Quando alla fine del XIX secolo fu scinvolto il reticolo urbano della zona nord del centro storico per collegare con una arteria larga e dritta la stazione ferroviaria a piazza maggiore, fu creata via Indipendenza, molto più larga delle altre strade, ma furono creati da ambo i lati, due bei portici larghi, come elemento di raccordo stilistico.
Negli anni '80 del secolo scorso, la giunta, per razionalizzare il traffico nel centro storico, commissionò uno studio ad un celebre urbanista tedesco (mi sfugge il nome). caposaldo del progetto che ne uscì fu la pedonalizzazione di via Indipendenza, in modo che "i pedoni potessero prendere possesso della sede viaria, larga e comoda" che poteva venir abbellita con elementi vari. Ma dove ci sono portici larghi 4 o 5 metri su entrambi i lati, con eleganti caffè e scintillanti vetrine, perchè uno dovrebbe stare in mezzo alla strada, esposto al vento e alla pioggia? Non è utile un rapido collegamento di mezzi pubblici, e privati, tra stazione e centro?
Nel tempo il progetto ha subito ammorbidimenti, ma è pazzesco che un urbanista, pagato profumatamente, non si sia reso conto della funzione dei portici. C'è da sospettare che, in epoca pre-google street, abbia lavorato solo sulle piantine, senza nemmeno vedere di persona....

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