Siamo in crisi? A Milano c’è Citylife, la mostra d'arte moderna che ci conduce nella casa-modello di 220 mq di Libeskind
di Ettore Maria Mazzola
Il Corriere della Sera del 3 dicembre 2010, con un articolo sul web supportato da immagini ci informa dell’evento milanese con la “casa-modello” dell’archistar, e ci annuncia che nella primavera del 2012 saranno pronte le case disegnate da Zaha Hadid.
La società dello spettacolo ha avuto la sua degna passerella, così gli organizzatori Maurizio Dallocchio, presidente della società CityLife, e Martina Mondadori, direttrice di Tar Mag si sono affrettati a far sapere che «Abbiamo dedicato una parte del quarto numero a CityLife proprio perché il cuore della nostra rivista è anche a Milano. Questo progetto porta tre archistar internazionali in città, ed è un evento straordinario». Il successo apparentemente sarebbe dovuto al fatto che sono arrivati come ospiti nientemeno che “Ambra Angiolini ad Arturo Artom, passando per Costantino della Gherardesca e Alberta Ferretti”.
Sulle pareti dell’edificio di Libeskind è stata organizzata una mostra di giovani artisti organizzata dalla galleria di Giò Marconi, il risultato è nelle immagini che il Corriere ha messo sul web.
Di tutte ce n’è una che mi ha colpito, ed è quella inserita anche nel corpo del testo dell’articolo.
Come si può vedere, trattasi di una stanza minuscola, (che in una casa da 220 mq costruiti ex-novo ci sta sempre bene), dove due visitatrici – che non sono né Ambra, né Alberta Ferretti – si trovano a dover aggirare un fantoccio riverso a terra con un imbuto conficcato in bocca.
Che vorrà dire?
Penso che il messaggio non sia tanto nascosto: nonostante la necessità dell’arte moderna di non svelare mai il significato ultimo dell’opera, in questo caso l’artista ci ha voluto rappresentare il padrone di casa a cui gli architetti vogliono fare ingurgitare a forza le loro schifezze! … quel pupazzo non è casuale.
La vita non è un party
di Pietro Pagliardini
Primo:
guardare le foto di questo link.
Secondo:
Che cazzo vuol, dire Citylife?
Dovrebbe voler dire, se ricordo la regola inglese per cui l’oggetto principale si scrive alla fine, la vita della città, oppure la vita di città, insomma la vita.
Certamente è così, perché la città della vita potrebbe essere il titolo di un film, troppo impegnativo, troppo filosofico, escatologico quasi e anche un po’ presuntuoso, tipo la città celeste. Oddio, visto il progetto, il tono delle foto pubblicitarie e le opere d’arte esposte, ci sta anche che abbiano voluto aspirare a questi livelli.
Comunque diamo per buono il primo significato.
Ma, ironia della sorte, “Back to city life” è anche il titolo di un workshop romano sul recupero delle periferie degradate. Ad essere malpensanti si potrebbe ipotizzare un’unica regia, un’operazione di lobbying, una pubblicità occulta, sarebbe a dire un’operazione orchestrata dal Grande Vecchio per veicolare il messaggio che la soluzione al problema delle periferie e della città sia Citylife, quella delle foto. Ad avvalorare l’oscuro intrigo almeno un paio di grattacieli presentati al workshop, uno da Portoghesi e l’altro da Purini. Ma quello di Portoghesi era un grattacielo formato famiglia, forme accattivanti, un grattacielo nazional-popolare. Quello di Purini aveva più pretese, in verità, più metropolitano, con tanto di pannelli fotovoltaici, addirittura.
Potrebbe essere proprio lui il tramite del complotto, se non proprio il Grande Vecchio? Tenderei ad escluderlo perché, nonostante tutto, anche questo aveva qualcosa di più ordinario, più provinciale di quello milanese. Senza offesa, anzi per complimento, ma era più ruspante, vagamente borgataro, relativamente a quello schiettamente metropolitano delle foto.
Insomma, niente complotto, solo una pura coincidenza temporale.
Ma vogliamo mettere quei bordi esterni spezzati delle terrazze, quelle linee sincopate e nervose, a scatti, quei cambi di direzione improvvisi proprie di chi va di fretta, di chi non può permettersi di perdere tempo. Nemmeno per mettersi a sedere, né per mangiare o per soggiornare davanti alla TV o a leggersi un giornale, almeno a giudicare dalle foto. Opere d’arte ai muri e anche per terra. Tavolo da giocatore NBA, pupazzo steso a terra con imbuto in bocca, molto elegante devo dire, colore bianco ovunque. Nessun letto, quindi niente riposo, niente amore e di conseguenza niente figli. No, questo non è vero, i figli si fanno anche in laboratorio. D’altra parte, avete visto forse una stanza per bambini? L’armadio? Abiti e scarpe attaccate al chiodo.
C’è gente che gira, che guarda un po' attonita. Donne in costume etno-religioso, donne statuarie, praticamente statue.
Una casa da party. Una casa metropolitana. Unica stanza riconoscibile è il cesso, unico richiamo alla nostra misera umanità. Meno male, anche se si poteva valorizzare di più anche qualche altra funzione umana.
No, la vita non è un party. E la metropoli, la vita metropolitana, non rappresenta gli insediamenti umani e la vita che vi svolge in Italia e nel mondo intero. E invece il messaggio che passa è questo, il modello di abitare che viene veicolato come giusto e auspicabile è proprio questo. L'architettura che sembra contare e che fa scuola è questa. Potenza della pubblicità cui il così detto mondo della cultura si è piegato e si piega passivamente.
Ma le borgate abusive romane sono migliori, molto migliori e i grattacieli non sono stati apprezzati. Se ci fosse stato complotto, direi che sarebbe fallito.
4 dicembre 2010
POST A QUATTRO MANI SU CITYLIFE
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1 commento:
indipendentemente dal sospetto sul possibile possibile complotto (Andreotti docet), ciò che è certo è che questi abili incantatori hanno capito che debbono utilizzare gli slogan coniati da chi realmente pensa al "ritorno alla vita" delle città.
Nella società dello spettacolo basta essere sul palco, non occorre che ci sia rispondenza tra ciò che si annuncia e ciò che si fa, è importante solo la ribalta! Purtroppo, i colpevoli della "società dello spettacolo" non sono soli i promotori e gli artefici, ma anche la massa intellettualoide che si finge intellettuale, nonché ovviamente l'atteggiamento stupido di seguire le mode, dimentichi della lezione di George Simmel (La Moda) che ci ricordava come "a volte sono di moda cose così brutte e sgradevoli che sembra che la moda voglia dimostrare il suo potere facendoci portare quanto c'è di più detestabile".
Ma poi cè anche un'altra cosa che diceva Simmel in quel saggio magistrale: "Se le forme sociali, i vestiti, i giudizi estetici, tutto lo stile in cui l'uomo si esprime si trasformano continuamente attraverso la moda, allora la moda, cioé la nuova moda, appartiene soltanto alle classi sociali superiori. Non appena le classi inferiori cominciano ad appropriarsene superando i confini imposti dalle classi superiori e spezzando l'unità della loro reciproca appartenenza così simbolizzata, le classi superiori si volgono da questa moda ad un'altra, con la quale si differenziano nuovamente dalle grandi masse e il gioco può ricominciare. Le classi inferiori infatti guardano in alto ed aspirano ad elevarsi"
Ciao
Ettore
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