Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


8 dicembre 2010

STRADE 10° : BERNARDO SECCHI

E' la volta di una concezione della strada completamente diversa da quella dei post precedenti. Un punto di vista a mio avviso sbagliato e allo stesso tempo sfuggente, nello stile personale di Bernardo Secchi, piuttosto involuto e prolisso, pur se immaginifico, ma anche nello stile di Casabella, direzione Gregotti. Nel testo ci sono però lo stile e i contenuti del tempo, con la percezione che qualcosa stava cambiando, che niente andava più bene, ma senza saper individuare una direzione da prendere, a parte la ormai abusata formula del così detto progetto di suolo, che ha informato di sè tutto un periodo di leggi e di piani urbanistici. Il progetto di suolo, un metodo assurto a merito, privo di contenuti se non si stabilisce "come", in base a quali criteri, con quale scopo il "suolo" debba essere progettato. Alla fine il progetto di suolo è diventato la presa d'atto di ciò che già esiste, una formula per congelare la realtà, molto spesso sbagliata. Quando invece diventa progetto, si esplicita in una occhiuta attenzione ad ogni dettaglio del territorio, tanto insopportabile e invasiva della sfera privata quanto irrealizzabile e iper-burocratica. Nel testo vi è una parte di analisi corretta e condivisibile, un insieme di suggestive narrazioni ma la sintesi è assente o, almeno, scarsamente comprensibile.
Bernardo Secchi è un urbanista che ha davvero influenzato l'urbanistica italiana di fine millennio, ma i suoi effetti si allungano fino ai nostri giorni.
Persona amabile e gentile, ha purtroppo dato vita ad una serie di allievi pessimi imitatori dell'originale, che hanno esasperato gli aspetti peggiori, più astratti e burocratici, del suo già abbastanza astratto insegnamento.
Il testo è tratto da un articolo di Casabella n° 553-554 del 1989, numero monografico dal titolo "Sulla strada".


Lo spessore della strada
Casabella n° 553-554

"Gli edifici sono uno accanto all'altro. Sono allineati. E previsto siano allineati, per loro è una grave colpa non essere allineati: si dice allora che sono fuori allrneamento, ciò vuol dire che si può demolirli per ricostruirli allineati con gli altri.
L'allineamento parallelo di due serie di edifici determina ciò che si chiama una strada: la strada è uno spazio bordato, generalmente lungo i suoi lati più lunghi. da case; la strada è ciò che separa le case le une dalle altre ed anche ciò che permette di andare da una casa all'altra, sia lungo la strada che attraversandola...

Contrariamente agli edifici che sono quasi tutti di proprietà di qualcuno, le strade non sono di alcuno. Esse sono suddivise. abbastanza giustamente, in una zona riservata alle automobili, che si chiama carreggiata, e in due zone, ovviamente più strette, riservate ai pedoni, che si chiamano marciapiedi. Un certo numero di strade sono riservate ai pedoni, in via permanente o in occasioni particolari. Le zone di contatto tra la carreggiata e i marciapiedi permettono agli automobilisti che non desiderano più circolare di parcheggiare. Essendo il numero dei veicoli che non desiderano più circolare molto maggiore del numero di posti disponibili, le possibilità di parcheggio sono state limitate...
Non è molto frequente vi siano alberi nelle strade... La maggior parte delle strade, invece, è fornita di attrezzature specifiche corrispondenti ai diversi servizi: vi sono così dei lampadari che si accendono automa¬ticamente... delle fermate di autobus... delle cabine telefoniche... delle buche per la posta... dei parchimetri... dei cestini per la carta... dei semafori... delle indicazioni stradali..."
Al suo esercizio di descrizione elementare George Perec fa seguire una "esercitazione": "Osservare ogni tanto la strada, magari con intenti sistematici. Applicarsi. Prendersi il tempo necessario. Notare il luogo... l'ora... la data... che tempo fa... Notare tutto ciò che si vede. Ciò che avviene e che sia degno di nota. Cosa è degno di nota? lo sappiamo? C'è qualcosa che ci colpisca? Niente ci colpisce. Non sappiamo vedere".

1. Non si può che essere insoddisfatti delle strade che abbiamo: inadeguate a risolvere i problemi del traffico e della sosta, luogo della massima concentrazione dell'inquinamento acustico, aereo e paesistico, suddividono incongruamente lo spazio urbano ed il territorio, ne esaltano le potenzialità e possibilità edificatorie, ne moltiplicano indefinitamente il carattere frammentario, la dispersione delle origini, delle destinazioni e delle motivazioni dello spostamento e con ciò aggravano lo stesso problema che sono state “ridotte” a risolvere.
La strada è oggi “luogo” cruciale per una riflessione sulla città ed il territorio: manufatto e spazio fondamentalmente ambiguo, destinato contemporaneamente a svolgere funzioni assai precise, solitamente interpretate in termini di meccanica dei fluidi, ed assai vaghe, interpretate solitamente in termini di meccanica dell'interazione sociale; destinato a svolgere ruoli palesi, di collegamento, ed impliciti, di redistribuzione della ricchezza, la strada impone un ritorno a visioni d'assieme che esplorino nuovamente, attraversando numerosi strati di riflessione, territori vasti e tempi lunghi.

La strada ci costringe ad abbandonare due grandi “miti d'oggi”: aiutati dall'orgoglio inconsapevole di una cattiva ingegneria e di un'urbanistica troppo adattativa, essi hanno cumulativamente riempito tutto l'immaginario collettivo dei paesi occidentali nell'ultimo mezzo secolo. Con conseguenze nefaste.

2. Nel nostro paese si potrebbe iniziare dall'alta valle del Chienti, nei pressi di Piastra, dove la nuova superstrada in costruzione ha aperto nei fianchi della montagna incisioni enormi, distruggendo, alterando, modificando interamente un paesaggio, senza porsi il problema di quello che avrebbe costruito e che pur avrebbe potuto essere progettato.
Si potrebbe proseguire lungo 1'Autosole nel tratto appenninico, o lungo l'autostrada della Cisa, o in molti altri luoghi analoghi, laddove il nuovo manufatto stradale già sovrasta alcuni strati di sue recentissime rovine: tratti di autostrada franati ed abbandonati. La vecchia statale e la più antica vicinale passano sinuosamente ai loro piedi ed insinuano il dubbio: che non si sappia abbastanza dei materiali, della loro durata, dei terreni e della loro stabilità, delle nostre stesse tecniche di costruzione: che si voglia andare troppo in fretta.
Si potrebbe entrare in città con la sopraelevata, correndo all'altezza delle finestre di appartamenti che un tempo guardavano il mare e ora si affacciano su rumori, gas di scarico e polvere. Oppure scendere per attraversare il traffico al passaggio pedonale non protetto, sull'esiguo marciapiede occupato dalle autovetture in sosta, prendere il sottopasso scuro, maleodorante; camminare in fretta lungo la strada periferica deserta, o tra la folla che non riesce a stare in marciapiedi così stretti, con le macchine parcheggiate in doppia fila.
Si potrebbe riconoscere in tutto ciò i caratteri del paesaggio metropolitano, rendersi conto che ciò è il portato di un cambiamento radicale che ha investito negli ultimi decenni la nostra società, la sua cultura e la sua città, dire a cosa tutto ciò si associa. Oppure pensare che tutto ciò derivi da errori evitabili: non si è previsto ciò che pur si poteva, non si sono mobilitate risorse adeguate, non si sono riservati i terreni necessari, non si sono valutate le conseguenze di ogni intervento. Tutto ciò ho l'impressione racconti solo una parte della storia. L'altra parte riguarda più da vicino il progetto urbanistico e di architettura.

3. Quando sta facendo un piano, qualunque sia la dimensione dell'area o del centro urbano investito, la questione delle strade diviene per l'urbanista un rompicapo ed un incubo.
Attorno ad essa, nei testi e discorsi degli amministratori, dei rappresentanti dei di versi gruppi sociali e di interesse, nella stampa, nella pubblicità, nelle analisi e nei progetti di altri tecnici e studiosi, nella loro stessa fraseologia, nelle metafore ed analogie cui essi ricorrono con maggior frequenza e che si riversano poi sulla società divenendone buon senso e senso comune, si viene quasi inevitabilmente ad addensare un nugolo di enunciati “anonimi, contorti, frammentari, chiacchieroni”, che, nel loro insieme, costruiscono il problema della strada in modo pressoché insolubile.
Alcuni pretendono di avere un carattere eminentemente inferenziale che possa essere sottoposto alla verifica o falsificazione. Nella maggior parte di questi enunciati Roland Barthes e Alfred Sauvy avrebbero riconosciuto alcuni dei principali “miti d'oggi”. Altri tendono a rinviare l'urbanista ad una visione d'assieme e ad un tempo lungo, a ramificati ed estesi sistemi di relazioni tra soggetti, attività, luoghi e saperi tra loro fisicamente o concettualmente distanti. Molti, all'opposto, gli propongono visioni limitate a situazioni contingenti, a soggetti, luoghi e saperi particolari ed ai loro specifici caratteri e ruoli. Alcuni enun¬ciati costruiscono il problema al di fuori dello specifico campo d'indagine dell'urba-nistica e dell'ingegneria ed architettura della strada, ma altri propongono e disegnano soluzioni di emergenza per problemi non ancora correttamente costruiti. Nessuno appare proprio di uno specifico soggetto parlante, deposito di uno specifico sapere; ma il loro insieme dà luogo ad una “rappresentazione collettiva” internamente contraddittoria che attraversa obliquamente i diversi gruppi sociali e di interesse e che tende a permanere con grande stabilità nel tempo; difficile da rimuovere e che peraltro si oppone con forza ad altre ed altrettanto importanti rappresentazioni: è da questa opposizione che nasce il rompicapo e l'incubo.
Ciò che domina la rappresentazione è un'immagine idraulica “banale”, solitamente utilizzata nelle due flessioni organica ed alluvionale per ridurre ed esaltare il ruolo della strada, ridurlo ad un unico scopo ed esaltarne l'importanza: si tratta di incanalare flussi; smaltire, evacuare, far circolare; evitare la formazione di ingorghi, allargare, dare nuovi sbocchi, impedire che il flusso rompa gli argini, straripi e sommerga la città. Nello spesso linguaggio, “intessuto di abitudini, di ripetizioni di stereotipi, di clausole obbligate e di parole-chiave” dell'odierna rappresentazione collettiva dei problemi del traffico e della viabilità le strade divengono “gronde”, “scolmatori”, “arterie” e “capillari”, "infrastrutture semplici", nel disegno delle quali si vorrebbe rappresentata un'idea pervasiva del movimento, della sua continuità e velocità; dalle quali si vorrebbe togliere nascondendola ed occultandola ogni incrostazione, ogni scopo diverso, come il fermarsi, lo stare, il voltarsi indietro e guardare.
Il frammento, l'eterogeneo, l'incongruo, il molteplice, la differenza hanno costruito un'altra grande e forse ancor più importante rappresentazione collettiva, un altro “mito d'oggi”; esso invade ogni aspetto del mondo fisico e delle idee opponendosi con forza ad ogni sguardo, ad ogni discorso e ad ogni pratica che aspiri a farsi generale. Siamo talmente immersi in questa nuova rappresentazione del mondo che vi riferiamo ogni incoerenza riscontrabile nei fatti o nei discorsi; l'usiamo in modo acquietante per trasgredire le regole linguistiche, le sintassi argomentative, le procedure d'interazione che ci siamo dati; per accettare la frequenza dell'imprevisto, per disfarci del peso della regola che si fa norma, per giustificare ogni progetto, forse ogni sua motivazione. Ad esempio per non rilevare le aporie contenute nell'idraulica della precedente rappresentazione collettiva. Per accettare che entrambi i miti rendano la strada, confinata allo svolgimento di una sola mansione tecnica, sempre più estranea alla costruzione del territorio, dello spazio urbano e del loro senso. La strada è divenuta oggetto di uno specialismo che la sottrae al campo dell'urbanista.

4. Per lungo tempo, invece, la strada è stata ineludibilmente costitutiva dell'oggetto di studio e del progetto dell'urbanista. Attraverso le strade l'urbanista ha letto ed interpretato la città, il territorio e la loro storia; attraverso le strade ha cercato di dare loro nuovi sensi e ruoli. Mi sembra persino difficile pensare il problema urbanistico od una sua qualsivoglia articolazione senza riconoscervi il ruolo assolutamente cruciale della strada.
L'urbanista ha usato le strade per misurare il territorio, per suddividerlo, per significare le differenze tra le sue parti ed il carattere di ognuna, per porre della distanza tra le cose, tra gli oggetti architettonici, le attività ed i loro soggetti, per definire allineamenti, regole d'ordine e loro eccezioni, per rappresentare il potere e la gerarchia, per separare, stabilire limiti e mediazioni, tra l'interno e l'esterno, il sopra ed il sotto, il privato ed il pubblico, ciò che si può o vuole mostrare e ciò che si nasconde; oppure per collegare, per mettere in comu¬nicazione tra loro territori, popolazioni e società, per attivare od imporre scambi, per rendere accessibili risorse umane e materiali, sfruttare loro giacimenti, rendere edificabile e valorizzare uno specifico luogo o terreno, deviare un flusso di traffico, attirarlo, consentire la sosta e la circolazione, delle persone e delle merci, lo scambio delle cose e delle idee. La strada, nella inesauribile serie delle sue specifiche varianti tecniche, funzionali, formali e simboliche, solo pallidamente ripetuta dalla varietà dei nomi mediante i quali vi facciamo riferimento, è sicuramente uno dei principali materiali con i quali l'urbanista si è da sempre trovato a lavorare; di volta in volta per affermare il valore della “regolarità”, della “continuità”, della “permanenza”, del “visibile”, dell'”organico”, della “tecnica”, della “velocità” entro differenti concezioni ed immagini dello spazio.
Alla strada, metafora del vivere, del conoscere e dei diversi percorsi della storia, nel progetto dell'urbanista è stato da sempre affidato un ruolo collettivo; non solo nel senso di costituire lo spazio dove per eccellenza la collettività si vede e riconosce sé stessa, la propria cultura ed i propri "miti", ma anche in quello di divenire segno di ciò che rende discreto, non omogeneo, articolato e cionondimeno coeso lo spazio sociale. Con il suo ambiguo carattere di traccia che collega e di limite che separa la strada, spazio tra le cose, si è fatta struttura cui gli altri spazi urbani, edificati e non, si riferiscono per acquisire significato: individualmente, come parti dotate di una propria riconoscibile identità, od insieme, come dettagli di una forma comprensibile e più generale. In questo senso la strada può rendere tra loro non incompatibili le due rappresentazioni collettive che dominano Io spazio urbano ed il territorio contemporaneo.

5. La cultura diffusa dei paesi occidentali è oggi percorsa da una ambigua nostalgia per la città antica in tutte le sue diverse declinazioni, ivi compresa la città del secolo scorso, e da un ingiusto rifiuto della città moderna; quasi una nuova rappresentazione collettiva in via di formazione che si esprime, per ora, in modo implicito ed inconsapevole come insieme disordinato di pratiche sociali, di procedure amministrative e di atteggiamenti progettuali. Della città antica non vengono rimpianti e riproposti per la conservazione e ripetizione i caratteri dello spazio privato, individuale, quanto piuttosto quelli dello spazio collettivo: la strada e gli gli spazi urbani, aperti o coperti, pubblici e privati, che ad essa si articolano. È mia impressione che di tutto ciò non si stia capendo molto: che si scambi il nuovo atteggiamento per una maggiore consapevolezza storica, per una più gelosa cura delle testimonianze storiche del passato, per una nuova specie di “antiquariato”, per uno snobismo di gruppi emergenti, soprattutto per un programma di ricerca dell’urbanistica e dell’architettura moderna.
Al contrario il nuovo atteggiamento mi sembra riveli “solo” l’emergere vago, cioè ancora aperto alle più diverse interpretazioni interpretazioni, di una domanda di spazio collettivo; di uno spazio, altrettanto vago, nel quale la collettività possa rappresentarsi, osservarsi e comprendersi nelle sue articolazioni e nel suo insieme, nel suo passato e nel suo divenire.
Il compito che sta oggi di fronte all’urbanista è appunto quello di restringere la vaghezza di questa domanda fornendole interpretazioni adeguate al carattere delle società contemporanee, che si rappresentino attraverso un “progetto di suolo”, inizialmente un progetto dello spazio stradale e di quelli che ad esso si articolano. Che si incominci conservando ed imitando, rivolgendo psi con qualche nostalgia al passato, osservando i caratteri “elementari” delle maggiori interpretazioni che ci hanno preceduto, cercando di descriverle, di classificarle, di ordinarle in differenti strati di senso, mi sembra normale, ma ancora insufficiente.
Ciò che occorre è ridare alla strada il suo spessore funzionale e semantico, farla divenire ancora elemento costitutivo del progetto urbano e territoriale, materiale resistente che, con la propria forma, si opponga al prorompere frammentario degli eventi e degli interessi, al fluidificarsi e mescolarsi delle idee, all’annullarsi di ogni riconoscibile identità, di ogni differenza tra progetti alternativi, di ogni criterio atto a stabilire la loro legittimità.
Ciò non si ottiene attraverso affrettate e burocratiche classificazioni e separazioni, risolvendo la questione per parti distinte: ad un estremo le strade destinate a smaltire il flusso informe del traffico con attaccati i loro parcheggi, all’altro, dietro il muro del parcheggio, la piazza commerciale riempita dei piccoli segni dell’arredo urbano. Non vi è niente oggi di più destinato all’insuccesso del piano di settore. Neppure si ottiene solo aumentando le dotazioni di superficie per la circolazione e la sosta delle nostre città. Le stime più ragionevoli ci portano a dire che non abbiamo le risorse fisiche, monetarie e temporali per ottenere significativi risultati risultati lungo questa strada. Ciò implica invece che i temi proposti alla politica urbanistica vengano di nuovo formulati, soprattutto che ne venga ripensata l’importanza e la priorità: la sintassi. In particolare, ciò implica che il problema del traffico venga per un momento de-drammatizzato, fatto uscire dall’emergenza “alluvionale” e ricollocato entro un progetto che aspiri ad una propria coerenza e legittimità nel tempo lungo. Si vedrà che questo è di nuovo un progetto complessivo: al centro vi saranno gli assetti morfologici, i principi insediativi e le loro mutue relazioni, le architetture urbane; dettagli che comporranno e trarranno significato da un insieme, da un piano urbanistico.


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