Leggo nel Riformista che Vittorio Gregotti vuole salvare le vele di Scampia. Dopo il sovrintendente che le vuole vincolare adesso abbiamo il grande architetto che afferma che devono essere completate e “messe sotto tutela”.
Quello del completamento è un refrain che oltre che vecchio e auto-assolutorio, comincia a diventare alquanto malinconico ma il “mettere sotto tutela” l’edilizia sociale pubblica è proprio nuova, almeno per me.
Cosa intenderà Gregotti? Farla piantonare dalla polizia? Oppure mettere insieme squadre di manutentori appositamente costituite allo scopo, a spese nostre naturalmente? Oppure una squadra di manutentori insieme a squadre di assistenti sociali e mediatori culturali? Chissà!
Ad essere sincero mi sembra molto più preoccupante il soprintendente che non l’architetto Gregotti, in cui leggo più una inconscia (o conscia) auto-difesa per interposto progetto, essendo anche lo Zen oggetto di critiche analoghe a quella di Scampia e di qualche sacrosanta proposta di demolizione.
A questo proposito ricordo una lamentela di qualche anno fa in cui si diceva che in Italia non si demolisce mai niente! Non mi riferisco a Gregotti del quale non saprei dire, ma a coloro, ed erano tanti, che lamentavano un certo immobilismo della cultura urbanistica italiana. Naturalmente, ma è davvero un ricordo senza nomi, ci si riferiva all’edilizia privata; quella certamente scadente, talvolta anche abusiva, abusi di necessità il più delle volte senza per questo voler esaltare l’illegalità come un valore, sicuramente anonima quanto ad autore. Però erano case, in cui la gente viveva, spesso frutto di lavoro e di fatiche. Erano case come Scampia (oddio, più che case queste chiamiamole riparo), come Corviale, come Zen, come Laurentino. Perché quelle si volevano demolire e queste no? Cosa hanno in comune questi formicai? Molte cose, ma due in particolare: l’essere pubblici e l’avere un padre con nome e cognome. Le altre erano orfane.
Per costruire il Laurentino leggo che sono state completamente “demolite” le case abusive precedenti. Come fossero quelle case e come fosse l’insediamento nel suo complesso non lo so. Però so che guardando alcune borgate romane, in cui l’edilizia spontanea, nel senso ex-abusiva perché condonata, è sovente intervallata da edilizia progettata e ci si rende facilmente conto che è molto più semplice integrare la prima in un disegno urbanistico che le consenta di diventare città, piuttosto che la seconda, fatta di segni forti dal disegno astratto e scollegato da ogni riferimento al territorio o alla viabilità. Non esiste alcuna possibilità di comprendere questi oggetti dalle dimensioni considerevoli e dalle forme bizzarre in un disegno urbano ragionevole.
Come non esiste alcuna possibilità che un progetto come le vele di Scampia possa diventare accettabile.
Ma i segni forti non devono essere demoliti, quelli anonimi e deboli e recuperabili alla trama urbana sì.
Vorrei fare un’ipotesi per assurdo per sapere quale sarebbe il giudizio dell’architetto Gregotti e di tutti coloro che difendono progetti come questo: mettiamo che le Vele, o il Corviale o analoghi, non fossero case popolari, ma alberghi o residence in qualche località balneare di grande popolarità. Mettiamo pure che fossero mantenute, per ovvi motivi, in buono stato di manutenzione. La domanda è: sarebbero lodate e difese a spada tratta con la stessa forza o piuttosto, in caso di minaccia di demolizione, i nostri non gioirebbero considerandola una conquista di civiltà e una vittoria sulla bieca speculazione?
La domanda è retorica perché la risposta è certa. Se è vero, e sappiamo essere vero, significa che dietro questa difesa non esistono motivazioni oggettive o merito in relazione al progetto, ovviamente, ma una scelta puramente ideologica di difendere se stessi e la propria storia. E’ una scelta di tipo puramente concettuale, perché non conta il prodotto in sè ma conta il contesto storico, politico, culturale in cui il progetto è maturato, è stato progettato ed eseguito, conta l’idea stessa che ha prodotto quel progetto. Conta la storia personale dell’architetto che l’ha progettato e quella collettiva del periodo in cui è nato.
Ad essere sinceri a me della storia personale degli architetti che hanno progettato quella roba lì non interessa proprio niente e certamente non interessa a chi è costretto a viverci.
Per questo motivo chi accusa coloro che ne vogliono la demolizione di scelta puramente ideologica in parte sbagliano ma in parte hanno ragione.
Sbagliano perché quegli stessi edifici, collocati in situazioni ambientali, storiche e culturali completamente diverse sarebbero considerati, giustamente, degli errori architettonici e umani colossali privi di qualsiasi qualità e, dato che non esiste possibilità di un loro miglioramento, l’unica soluzione sarebbe demolirli.
Hanno ragione perché quelli non sono, relativamente agli autori, tanto edifici quanto concretizzazioni di un’idea mostruosa, cioè simboli, e l’unico modo per abbattere quell'idea è abbattere gli edifici stessi. Demoliti quelli, e sostituiti con edifici civili, potrà restare la malinconia e il rimpianto solo per un ristrettissimo gruppo di persone. Ma sarebbe un fatto personale di scarso interesse pubblico.
Non posso credere, mi rifiuto di credere che Gregotti, che ha i suoi meriti, che sa cos’è e come si fa un progetto (l’importante è che non ce lo spieghi) possa ritenere le Vele di Scampia edifici da salvaguardare.
Architetto Gregotti, se le immagini dunque al mare, ad esempio sulla sputtanatissima costa spagnola accanto a centinaia di altri edifici simili, e si faccia un esame di coscienza. Nessuno chiede abiure, ma nemmeno irragionevoli e improbabili difese.
Pietro Pagliardini
15 ottobre 2010
GREGOTTI VUOLE SALVARE LE VELE DI SCAMPIA!
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9 commenti:
Che buffo, proprio ieri ho cominciato a preparare un breve intervento all'interno di un corso di progettazione urbana sostenibile, nel quale intendevo mostrare "come non si deve fare" e fra gli oggetti ( la definizione oggetti non è a caso) oltre agli oramai classici Laurentinio 38, Zen, Corviale , pensavo di inserire Le Vele.
Rischierò di essere preso per revisionista?
Angelo
No Angelo, non corri quel rischio perché ormai è chiaro ed evidente a tutti, e per tutti intendo quelli che contano, cioè i cittadini, che quei progetti sono sbagliati.
A difenderli è rimasta solo una casta di irriducibili che difendono un mondo perduto (per fortuna).
Dicevo che il problema non sono costoro ma il/i soprintendenti. Lo vediamo ogni giorno nelle nostre città i misfatti che consentono.
Il fatto è che i soprintendenti, che hanno il potere vero, sono ormai quelli di una generazione che ha assorbito il peggior modernismo. Naturalmente non tutti, non voglio generalizzare, ma quando vedo ad Arezzo che un bastione della Fortezza Medicea del Sangallo viene ricostruita, con il permesso della soprintendenza, in acciaio corten invece che ricostruire la parte mancante con le pietre, abbiamo toccato il fondo della "creatività".
Ciao
Pietro
Mi chiedo pero quante siano le colpe dellì'architetto e invece quali e quante quelle della amministrazioni che intorno questi quartieri popolari non creano niente,zero servizi,zero attivita ludiche, il nulla insomma.Quando vedo le vele di scampia mi viene il collegamento con le vele a villeneuve loubet vicino nizza che nonostante abbiano un architettura molto simile non versano nel degrado delle costruzioni italiche.
N.S
N.S., sono andato a guardarmi le vele francesi, perché non le conoscevo. Intanto è edilizia privata e questo cambia i termini del problema. C'è una bella differenza tra essere proprietari di una casa ed essere affittuari a canone sociale. Cosa vuoi che gliene ne importi del fare manutenzione!!! Non pretenderai mica che, a parte l'inerzia e l'inefficienza della pubblica amministrazione, lo stato stia a spendere fiumi di denaro per mantenere edifici intrinsecamente deboli e destinati all'obsolescenza?
E poi mi sembra proprio il caso per assurdo che citavo nel post: se venissero abbattute le vele francesi, la cultura ufficiale protesterebbe? Gregotti le potrebbe difendere? Io sono certo di no ed è evidente a tutti che sarebbe così.
Dunque si difendono le vele di Scampia per pura ideologia.
Saluti
Pietro
Caro Pietro,
la risposta alle ragioni di Gregotti te la sei data, ed è la stessa per la quale quest'estate sul blog di Muratore c'è stato il ridicolo atto di difesa nei confronti del Laurentino 38: certi baroni, che possiamo anche definire "archistars nostrane" DEVONO difendere gli obbrobri e i misfatti dei loro colleghi per evitare di creare dei precedenti pericolosi per i loro progetti. Il loro identificarsi con le proprie architetture fa sì che una demolizione di un proprio edificio si configuri come una mutilazione del proprio corpo. Devo dissentire dal dubbio di N.S. Anonimo, ovvero che possa esserci una responsabilità da parte delle "amministrazioni che intorno questi quartieri popolari non creano niente,zero servizi,zero attivita ludiche, il nulla insomma". Il progetto lo fa l'architetto, che deve pianificare a 360° il suo progetto, affinchè funzioni come si deve, se poi l'architetto immagina cose assurde, come nel caso di Corviale per esempio, non si può dire che sia stata l'amministrazione a sbagliare perchè non ha realizzato fino in fondo il progetto. Oppure, se il progetto è costato molto più di quel che doveva, perché l'architetto non ha saputo fare i conti, facendo sì che il progetto non si sia potuto finire per mancanza di fondi, la responsabilità dell'amministrazione politica c'è ma è relativa. La vera responsabilità delle amministrazioni risiede nell'aver consentito, e nel consentire, a determinati architetti di fare ciò che credono fregandosene delle esigenze degli esseri umani che devono vivere nelle realtà disumane che gli vengono propinate, architetti che poi, regolarmente, si nascondono dietro una eventuale responsabilità politica e/o mafiosa per la mancata riuscita di un progetto. La cosa che più però continua a disturbarmi è la frase di Gregotti al giornalista che gli chiedeva come mai non ci fosse andato lui a vivere allo ZEN che definiva bellissimo: "che c'entra, io faccio l'architetto, mica faccio il proletario!"
Ebbene, pensando al dubbio espresso da Pietro, il motivo della difesa di certi edifici da parte di Gregotti & co. non è da individuarsi nel fatto che gli edifici siano popolari e/o pubblici, il motivo risiede nella notorietà o meno del loro autore: se è stato un "professorone" gli edifici sono da vincolare alle Belle Arti, e quindi non si possono buttare giù, se però sono stati realizzati da illustri sconosciuti chissenefrega!
Ciao da Venezia
Ettore
Condivido quanto dici Ettore. Un dubbio però: a parte Gregotti, che in questa difesa dell'indifendibile è importante ma è in fondo uno dei tanti (sempre meno), se venisse deciso di abbattere edifici di edilizia popolare e quindi pubblica anni '70 (sistema tunnel per intendersi) non progettati da architetti famosi, di cui sono piene le nostre periferie per farci un villaggio, sempre pubblico, con impianto urbanistico tradizionale, non credi che troverebbero ugualmente il modo di protestare per conservare un periodo storico?
Secondo me in Italia una fase dell'architettura ha coinciso con l'edilizia pubblica e quella si difende a prescindere. E' in fondo sempre la difesa di se stessi,cioè la difesa di casta. Dire sì all'abbattimento significherebbe riconoscere l'errore.
Sono assolutamente d'accordo sul distinguere le responsabilità degli architetti da quelle degli amministratori. Ognuno ha le sue ma alla fine il progetto lo fa l'architetto (altrimenti che ruolo ha?).
Ciao
Pietro
@ettore
Mi ricordo però Gregotti intervistato da Augias in "le storie" dove parlando dello zen ha affermato come una serie di infrastrutture e servizi che dovevano nascere intorno al quartiere non hanno mai visto la luce,detto questo anche a me sembrano obrobri e anzi per le case popolari opterei per un inserimento nel tessuto urbano a macchia di leopardo piu che grossi quartieri.Detto questo il semplice abbattere secondo me non a senso basta vedere,se pur un caso totalmente diverso,punta perotti alla demolizione non è seguito niente le macerie son rimaste li per anni,se propio vogliono abbattere che sia predisposto un qualcosa per il dopo non il smeplice distruggere.
N.s
Certamente il nocciolo del problema non è nell'abbattimento bruto: quello è solo il primo passo. Un mucchio di macerie al posto di Corviale non sarebbe un gran miglioramento. Il nocciolo è COSA SI COSTRUISCE DOPO, cioè un ALTRO TIPO DI ARCHITETTURA. E' di questa concorrenza che hanno paura i vari Gregotti e colleghi. La battaglia è sul fondamento e sul criterio dell'architettura... proprio su quella 'arché' che la disciplina dovrebbe 'porre', ma che ha perduto tra il fumo delle chiacchiere, dell'ideologia, e dell'asservimento a un sistema economico e politico che fa acqua da tutte le parti e non è meno brutto degli ecomostri. Anzi, è esso stesso un ecomostro
A me non finisce di stupirmi il conservatorismo, ma direi proprio il pensiero reazionario che ha la gran parte della cultura architettonica e urbanistica italiana. Ammantata da una veste di modernità, sperimentazione, creatività si cela sempre un pensiero vecchio, che non crede in un nessun cambiamento se non di tipo formalistico.
Manca la curiosità e la voglia di capire perchè la cultura urbanistica sia completamente fallita e quando se lo domanda risponde che è colpa della speculazione o dell'incuria della pubblica amministrazione. Non che non siano due fenomeni presenti da sempre e dannosi, ma non serve giustificare le proprie responsabilità attaccandosi a quelle degli altri.
Non c'è niente da fare: le colpe sono sempre degli altri o come si dice, la colpa morì vergine.
Ciao
Pietro
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