La stampa del 30 aprile si interessa del Corviale con due articoli, l’uno sul Corriere della Sera, di Giorgio Montefoschi, l’altro su Il Tempo, di Ettore Maria Mazzola. Atteggiamenti e interessi diversi, dato anche il fatto che l’uno è scrittore e l’altro architetto, per questo è l'articolo di Montefoschi che mi interessa di più, dato che è perfino inutile dire che con E.M. Mazzola sono d’accordo.
Lo capisco, oltre un chilometro di edificio tutto in c.a. non può lasciare indifferenti, è come trovarsi innanzi ad una grande opera di ingegneria, una diga, un ponte, grandi “gesti” anche questi, ma direi più propriamente grandi “segni” nel paesaggio. E il Corviale è un segno nel paesaggio. Ma non è un’opera di ingegneria, che unisce alla forza simbolica del segno anche quella dell’utilità, del progresso tecnico e della vittoria dell’uomo sulla natura; il Corviale dovrebbe essere un luogo dove vivere, dovrebbe essere una città, un insediamento umano. Invece è “una gigantesca nave tirata in secca”, come scrive Montefoschi. Il quale vi entra dentro, lo esplora e riesce a trasmettere al lettore il senso della solitudine, l’assenza di vita, il vuoto.
La descrizione che ne fa non è distaccata ma è priva di preconcetti e realistica: annota il degrado, lo sporco, la mancanza di luoghi di relazione e di negozi, almeno nell’edificio, la chiusura di tutti i locali sede di varie attività sociali in esso presenti. Tutto chiuso, meno un chiosco. Lì c’è qualche segno di vita.
Ma, sorpresa, ecco la conclusione:
“Vado. E mi dico: assessore Buontempo, credo che il suo sogno non si avvererà mai, il Corviale non sarà mai raso al suolo. Come si fa a radere al suolo un segno architettonico che comunque merita rispetto? E come si fa a radere al suolo una città di ottomila abitanti? Se poi il problema è estetico, bisognerebbe radere al suolo mezza Roma. No, il Corviale è solo degradato. E credo che i suoi abitanti, i suoi volontari all’igiene mentale, quelli che vanno al circolo culturale e faranno la Maratonina della Pace il 2 maggio, quelli che stanno alla Banca del Tempo, siano persone migliori di tante altre. Anche se non li ho visti”.
L’errore, figlio del pregiudizio culturale a favore del modernismo, esce fuori alla fine, e nella maniera peggiore: non c’è relazione alcuna tra l'osservazione dei fatti e le conclusioni che ne trae, anzi c’è totale scollamento.
Intanto il Corviale non è una “città”, non nella forma, ma nemmeno nella sostanza; è una grande nave, dunque una macchina destinata ad una funzione specifica e temporanea, non permanente. E in quella grande nave vivono 8000 persone, in secca con essa. E per questo il segno non merita rispetto.
Poi scade nel luogo comune: la colpa è del degrado, come a dire che la colpa è la nostra, cioè dello Stato che non provvede. Solo che Montefoschi sembra, o vuole, non comprendere che il degrado è una condizione di stato intrinseca, e direi necessaria, ad un edificio (se ha senso chiamarlo così) lungo più di un chilometro. Una roba del genere è come una grande macchina che richiede squadre di manutentori specializzate. Ma può avere un senso costruire una casa come se fosse una macchina? Il luogo di vita delle persone costruito con ingranaggi che devono sempre essere oleati per funzionare.
Scrive Inaki Abalos, architetto spagnolo certamente non tradizionalista ma di notevole cultura e capacità di analisi, in Il buon abitare, 2009, parlando della Carta di Atene concepita in crociera: "L'architetto è un turista affascinato dal macchinismo, del quale ignora la meccanica, un turista folgorato dalla bellezza del transatlantico su cui decide di viaggiare per pontificare sulla città, ma che è incapace, proprio mentre visita la Corsica e Atene elaborando la sua città ideale, di mostrare la minima sensibilità di fronte alla memoria storica della città. A questo turista non tremerà la mano quando proporrà la distruzione del passato in favore di una logica sociale macchinica". Il "turista" è Le Corbusier, padre del Corviale.
Il neo-assessore Buomtempo ha ragione: l'edificio deve essere abbattuto, senza divagare o dirottare sulle altre brutture di mezza Roma come fa Montefoschi, perchè il Corviale è un simbolo negativo, e i simboli negativi si abbattono. E' giusto e inevitabile. Come con i tiranni.
Credits:
La foto è tratta da bing ma purtroppo l'edificio è un pò troppo lungo e non entra tutto nel video.
19 commenti:
e poi ettore mi chiede per quale motivo le sue parole mi fanno venire voglia di votare lega? ti credo... continuate ad occuarvi di stupidaggini... con tutti i problemi che ha 'sto paese e la città di roma voi continuate ad occuparvi del corviale, dei muretti di meier, di padiglioni e archi mai costruiti... 'na marea di post in "negativo" mai una proposta in positivo... solo critiche... solo ed esclucivamente critiche... bene, continuate così. come dice un mio amico: robert, che s'arrangino (e gli do ragione).
robert
Caro Pietro,
vedo che il 1° maggio ti fa un baffo!
Per dare qualche ulteriore informazione sull'argomento, ti riporto un piccolo estratto dal mio ultimo libro "La Città Sostenibile è Possibile". Data l'estensione verrà suddiviso in diversi commenti concatenati.
Premetto che, all'epoca in cui l'ho scritto, il costo di costruzione dell'edilizia corrente a Roma era stimato in €/mc 206,00, ovvero €/mq 618,00. Ebbene, ecco ciò che ho scritto.
Navigando in Internet alla ricerca di notizie più dettagliate sul Corviale, è possibile imbattersi nel sito del Municipio Roma XV ,: lì è possibile avere conferma del fatto che i conti e le idee sul Corviale non tornano affatto!
Nel sito si può leggere la storia dell’”eco-mostro” come l’ha raccontata Giovanni Paris, Presidente del XV Municipio di Roma, intervenuto ad un convegno tenutosi a Napoli nel 2003. In particolare, nel capitolo intitolato “Le Vicende”, trattando dei tempi di consegna degli alloggi egli affermava: «Se i lavori iniziano […] nel maggio del 1975, le prime case, 122 appartamenti del III lotto, sono consegnate soltanto dopo sette anni, il 7 ottobre 1982. […] I lavori per gli altri lotti di Corviale furono sospesi per il fallimento dell’impresa Salice II incaricata dell’esecuzione». Andando avanti, riguardo ai conti, lo stesso Presidente ricordava come «il costo di costruzione, inizialmente stimato in 23 miliardi di Lire prima del 1975, nel 1982 era già cresciuto a £ 91.000.000.000!».
Questi dati, tradotti in Euro e rivalutati ad oggi, portano ad una spesa di € 139.415.438,34!!!
A questo punto, considerando che l’intervento consta di metri cubi 703.248, si può prendere atto che la spesa sostenuta è di € 198,24/mc, ovvero € 594,73/mq, vale a dire un prezzo superiore a qualsivoglia complesso popolare di quelli precedentemente elencati (mi riferisco a quelli realizzati fino agli anni '30 che ho documentato molto dettagliatamente nel libro) … ma con qualche aggravante non indifferente:
1. il Corviale non è mai stato ultimato;
2. i conti riportati non sono quelli definitivi;
3. i costi sociali di Corviale non sono calcolabili.
2° commento
Anzi, a proposito di questo punto, si ritiene importante riflettere sulle parole di Anna Lombardi nel suo saggio “Corviale, uno sbaglio lungo un chilometro”: «il progetto fu proposto il 20 luglio '72, cinque giorni dopo la data fissata con precisione dallo storico dell'architettura Charles Jencks per la morte di quelle utopie, alle 15,32 del 15 luglio di quell'anno, con la distruzione a Saint Louis dell'immenso complesso Pruitt-Igoe, "ambiente inabitabile, deleterio per i suoi residenti a basso reddito"» […] «Abbandonati a se stessi, gli abitanti di Corviale hanno resistito. Paracadutati in una struttura che non comprendevano, sfrattati dalle mille periferie, hanno lottato per le cose più elementari: la fermata dell'autobus, i citofoni, la farmacia. Le mamme hanno lottato contro l'eroina presidiando a turno i luoghi di spaccio. C'è chi è andato via, vendendo, illegalmente, la casa assegnata o occupata, per un pugno di milioni».
A questo punto torna opportuno fare una considerazione: mentre chi gestisce il denaro pubblico – che sia in buona come in cattiva fede – difficilmente si preoccupa di evitare questi sprechi, (si rammenta che il Codice di Procedura Civile obbligherebbe chi ci amministra a comportarsi come il “buon padre di famiglia ”, ovvero a gestire il denaro altrui tendendo a ridurre le spese superflue), l’opinione pubblica – vuoi perché è pigra, vuoi perché distratta da altre cose – non prende coscienza della gestione economica di chi amministra la cosa pubblica, se non quando viene a trovarsi davanti a fatti eclatanti che la obbligano a riflettere … ma poi tutto passa e si ricomincia.
Questo modus vivendi ci porta ad un “dissanguamento” costante, generato dagli ingenti costi di costruzione e manutenzione dei “moderni” edifici e “quartieri” pubblici propinatici dall’edilizia contemporanea, costi che vengono sostenuti con le nostre tasse … senza contare il loro costo sociale: non sarebbe il caso di smetterla e di rivedere le nostre consuetudini?
Chiudo ricordando un'altra cosa di cui ho scritto nel mio libro "ControStoria dell'Architettura Moderna": Mario Fiorentino, emulo del suo maestro Mario Ridolfi, con grande orgoglio auto-celebrativo tipico dei modernisti, disse del mostro che aveva concepito e realizzato: «ci sono due modi di fare Architettura ... o forse ce n’è solo uno ... c’è quello semplice e pacato dell’utilizzazione degli schemi super testati che l’edilizia pubblica in Italia – e non considero solo quella romana – ha più o meno accettato. E poi c’è quello sperimentale, che è il metodo a cui l’esperienza di Corviale appartiene. Io ricorderò sempre come Ridolfi, che è stato il mio vero maestro, sempre mi diceva: “quando progetti per un cliente (e l’edilizia pubblica è un cliente come un qualsiasi altro privato), senza rivelarglielo tu devi sempre sperimentare” perché, in effetti, queste sono esattamente le opportunità nelle quali gli esperimenti possono essere fatti!»
robert, abbattere il Corviale è una proposta altamente positiva in sè, come abbattere Saddam.
Le proposte in positivo mi pare sia te a non vederle, per il semplice fatto che quando le dico le ritieni negative. Non è cosa di poco conto questa.
Ma, poichè non voglio fare il furbo, ti dico anche che per fare proposte in positivo, cioè sul campo, bisogna, per l'appunto, stare sul campo e io non sto a Roma, non conosco bene la località di Corviale quindi, umilmente, non mi lascio andare a proposte tanto per fare, come invece fanno i nostri amici modernisti e gli archistar in genere. I luoghi contano davvero e non tanto per dire.
Avrai letto in qualche commento recente di Ettore, che conosce bene i luoghi, che ha parlato di "borgo Corviale". Non l'ha fatto a caso, se lo ha scritto vuol dire che lui ritiene sia possibile.
Quanto al muretto di Meier, non ho mai speso una parola perché è una vicenda penosa: o si abbatte tutta quell'offesa o, se ci si vuole limitare al muretto, si chiama il geometra dell'ufficio tecnico e gli si fa fare il progetto e l'appalto, senza dare altri soldi al geometra americano, come lo chiama Langone. Peggio non viene sicuro, puoi stare tranquillo.
Ciao
Pietro
Caro Robert,
mi sembra che tutto ciò che esce dalla tua tastiera sia votato al nihilismo più sfrenato. Poi che cavolo centri la Lega non lo capisco proprio.
Non capisco come mai ti faccia male che qualcuno abbia il coraggio di raccontare le cose che la gente non sa ed è costretta a subire. I commenti che ho postato oggi si riferiscono alla denuncia, ma dietro tutto c'è una proposta concreta della quale ho dato anticipazioni tramite l'articolo che mi ha pubblicato Il Tempo. Te invece critichi sempre per la voglia di criticare, ma non riesco mai a trovare qualcosa che risulti una controproposta. Sul discorso del "muretto" (che piccolo non è), non mi sono mai espresso, perché è un qualcosa che non merita commenti. Forse un giorno ne parlerò, ma concordo totalmente con il commento postato da Pietro.
Buona domenica
Ettore
la felicità in fondo è anche una casa con quindicimila vicini della porta accanto...
http://www.youtube.com/watch?v=-pulp8F7wac
Ettore, mi fai notare scherzosamente che avendo scritto il post il 1 maggio, non avrei santificato la festa del lavoro. Non ci avevo pensato in effetti. Ma, intanto il blog non è lavoro, e poi, riflettendoci un attimo mentre andavo in città a prendermi un buon caffè, anche in relazione al commento di robert, ti dico che è proprio un omaggio, non cosciente, al 1° maggio.
Infatti la costruzione del Corviale altro non è che un tributo ad un'ideologia architettonica e urbanistica, ma anche sociale e politica, che fa dell'esperimento sociale sulle classi più deboli, cioè i lavoratori, il suo punto di forza. I lavoratori sono le cavie di questo esperimento, al pari di tutte le leggi del tempo, perché il Corviale è un intervento IACP e dunque in esso si misura la violenza dello Stato nei loro confronti.
Il Corviale è stato costruito come simbolo massimo di questa ideologia e come tale, simbolicamente, ma anche realmente, deve essere abbattuto e sostituito con case e città più umane.
Divagare sulle altre brutture è solo un modo intellettualistico per non fare niente, per conservare tutto e confermare quanto di peggio è stato fatto. Montefoschi non nega affatto il valore simbolico del Corviale, perché lo riconosce come gesto e segno, solo che al Corviale lui non ci abita, e per questo è disposto a riconoscere che i suoi abitanti sono migliori, immagino perché hanno la pazienza di abitarvi, o l'impossibilità di non abitarvi.
Ma poi cosa c'è da scandalizzarsi tanto! In inghilterra vogliono abbattere i Robin Hood Gardens, il Corviale inglese, e sono gli stessi abitanti a chiederlo. A Scampia sono state abbattute non so quante vele, e troppe altre ce ce sarebbero ancora da demolire. A Brescia, nella civilissima Brescia, si discute di abbattere il quartiere San Polo progettato da Benevolo. A me sembra un modo corretto per riconciliare Stato e cittadini lavoratori quello di proporre loro condizioni abitative umane. L'unico ostacolo che vedo è di tipo economico, per il resto, trattandosi di proprietà prevalentemente pubblica, è giuridicamente più facile.
Adesso mi sono rimesso in pace con il 1° maggio.
Ciao
Pietro
ettore, potete demolire tutti i corviale che volete. mandare a vivere la gente dove cavolo vi pare. demolire la teca di meier e pure gli ascensori dietro la macchina per scrivere. costruire tutti gli archi di libera. però, cortesemente, dato che vi abbiano già ripiano i debiti del comune usate soldi i vostri soldi e non i miei...
se tu, caro ettore, questo lo chiami nichilismo io lo chiamo semplicemente "intelligenza".
robert
Se la butti sui soldi allora hai ragione, ma li devi chiedere agli altri: a Veltroni, Rutelli e tutti i sindaci che si sono succeduti prima, alle estati romane del nostro fantasioso collega "panem et circenses", all'IACP, alle notti rosa e bianche e azzurre, esportate nel mondo, chissà, forse anche nella sua Africa, a Piano, a Meier, a Fiorentino, alla Hadid (12000 euro al mq il MAXXI, dieci volte il prezzo di una buona abitazione).
Non ho sentito proteste per queste, anzi, uhhhh la modernità, Roma che torna al centro del mondo, l'effimero eretto a sistema.
E io, provinciale, che ce l'ho con le archistar mentre Roma brucia sotto i colpi dei geometri e non me ne accorgo!
Ma da oggi ho un alleato in più.
Ciao
Pietro
Caro Robert,
non avevo dubbi che arrivassi a sostenere una cosa del genere, dimostrando ancora una volta quanto tu possa essere fuori strada accecato dall'ideologia che ti impedisce di guardare al di là del tuo naso.
Nel mio libro ho documentato molto attentamente il discorso economico, e non è possibile riassumere l'argomento in una risposta sul blog. Tuttavia il tipo di edilizia che tu manterresti (e mi limito al discorso Corviale perchè quello su Meier e sull'ascensore qui non c'entra nulla) è un continuo dissanguamento per le nostre tasche, ma a te questo non interessa, bravo!
Il tipo di edilizia pubblica che proporrei, e che potrebbe risultare a costo zero (o quasi) per i contribuenti, si ispira invece al criterio teorizzato da Quadrio Pirani nel 1911 e che, a 100 anni di distanza, ha dimostrato essere più che valido, e non semplicemente teorico come le idiozie sparate da LeCorbusier e compagni (fino a Ridolfi e Fiorentino). In particolare, mi interessano questi due punti della sua idea:
«l’esperimento fatto in Roma nella costruzione di casette isolate, è più che sufficiente a stabilire che quelle non riescono a buon mercato e non possono quindi considerarsi come vere case popolari. Riteniamo peraltro che, ammesso il principio di fabbricare case a più piani, non si debba necessariamente far delle caserme o degli alveari, ma si possa invece, alternando i diversi corpi di fabbrica in diverse altezze, adottando avancorpi e rientranze, ottenere oltre che un movimento di linee che giova all’estetica, anche un gioco d’aria e di luce sulle aree interne destinate a cortili, sufficiente a diminuire se non ad eliminare, l’impressione della caserma o dell’alveare umano ... i nostri cortili non sono aree chiuse tra i corpi di fabbrica su cui prospettano i soli locali di servizio, ma sono come una continuazione delle pubbliche strade: danno accesso a tutte le scale che disimpegnano i diversi appartamenti e contengono piccoli edifici speciali adibiti ai servizi comuni (asilo, bagni, ecc.)».
«non solo la casa ”bella all’esterno e pulita all’interno” contribuisce all’elevazione delle classi che la abitano, ma che un giusto impiego di materiali durevoli, quali i laterizi e le maioliche, porta ad una diminuzione nel tempo delle spese di manutenzione degli edifici, soprattutto quando si tratti di edifici a più piani riuniti in un isolato o in un quartiere urbano».
Quindi, come vedi, il problema del dissanguamento economico era già sentito, purtroppo gli idioti che hanno applicato (e continuano ad applicare) la teoria consumistica all'edilizia, memori delle volontà di Sant'Elia che diceva che ogni generazione avrebbe dovuto costruirsi la sua città facendo in modo che le case dovessero durare meno di noi, hanno fatto sì che continuiamo a buttare i nostri soldi in opere manutentive di oggetti che, geneticamente, vogliono morire prima di noi!
Ma è vero che il cemento armato di Corviale "non reggerà altri trent'anni"? Ed in generale è vero che il cemento armato non dura più di un centinaio d'anni? Perchè se questo fosse vero allora i sostenitori delle tecniche tradizionali (fra i quali ci sono anch'io) avrebbero indiscutibilmente ragione; non è ammissibile che una città si debba demolire e ricostruire ogni 100-150 anni, non sarebbe giusto nè da un punto di vista economico nè da un punto di vista morale. Allora chiedo ad Ettore di scrivere qualcosa a proposito, se ci sono veramente evidenze "scientifiche" sulla sua breve durata o se sono solo supposizioni, grazie
lorenzo
caro Lorenzo,
provvederò quanto prima, oggi purtroppo (o fortunatamente) ho molti impegni, ma senz'altro lo farò.
In ogni modo se ti interessa puoi trovare delle utili informazioni nel mio ultimo libro "La città sostenibile è possibile". Non so in quale luogo d'Italia ti trovi, ma se sei dalle parti di Roma posso vendertelo io ad un prezzo inferiore a quello di copertina
lorenzo, in attesa dei chiarimenti di Ettore, da parte mia posso confermarti che il c.a. ha una durata abbastanza limitata nel tempo. Non conosco i numeri ma basta ricordarsi di tutti i cavalcavia dell'autostrada del Sole che sono stati consolidati una decina di anni fa perché i ferri all'intradosso erano tutti scoperti. O basta avere letto la notizia che negli USA una quantità incredibile di ponti e viadotti sono vicini al collasso e i costi sono così alti che non potranno provvedere a tutti contemporaneamente. E questo indipendentemente dalla "qualità" del c.l.s., perché è caratteristica intrinseca al materiale. Naturalmente la qualità determina una maggiore o minore durata.
Non è granchè ma basta leggere su wikipedia per avere qualche dato da cui partire:
http://it.wikipedia.org/wiki/Calcestruzzo_armato#Durabilit.C3.A0
saluti
Pietro
http://www.rivistapolitecnico.polimi.it/rivista/politecnico_rivista_6.76.pdf
Ringrazio per il link sulla durabilità del calcestruzzo.
Pietro
Circa il c.a., nello scritto della rivistapolitecnico ci sono due punti, fondamentali, che mancano:
1) a differenza del "cemento" antico romano, la molecola del cemento moderno è un sale, peraltro artificiale, che, nel tempo, specie se esposto alle intemperie, tende spontaneamente a trasformarsi in carbonato di calcio, ovvero il principale nemico del metallo, per cui non v'è possibilità di poter garantire il mantenimento in vita dei ferri di armatura. Ovvero esistono dei prodotti, costosissimi e tossicissimi, tipo Ferrogard 903, che sono in grado di migrare all'interno del calcestruzzo andando a convertire in ferro l'ossido che trovano ... appunto, ciò che trovano, non ciò che non c'è più. In ogni modo dei ferri che sono stati calcolati per avere una sezione resistente di un certo tipo, nel momento in cui risultano assottigliati non possono più dare determinate garanzie. Mi è capitato di dover intervenire su un edificio progettato da Nervi nel '49, ed ho trovato una situazione a dir poco drammatica in quanto a ferri di armatura!
2) non v'è al momento alcuno studio scientifico che sia stato in grado di valutare il danneggiamento dovuto all'inquinamento acustico sul cemento armato. Ovvero se ne conosce il fenomeno, ma non si è stati in grado di studiare un modello matematico in grado di valutare a priori ciò che succede. Quello che succede è che, a causa della vibrazione costante delle strutture (e qui è il problema dei viadotti autostradali, che va a sommarsi al discorso dei cloruri raccontati nella rivistapolitecnico), le molecole tendono a distaccarsi. A quel punto si creano delle microfessurazioni che invitano le acque meteoriche e di risalita ad infiltrarsi all'interno delle strutture, accellerando il fenomeno della carbonatazione!
Tutto ciò, nella malta pozzolanica romana non accade (mi riferisco al discorso sull'acqua ovviamente), ed ecco perché molte strutture hanno resistito a 2000 e passa anni di storia. La malta romana, se ben fatta (vedasi mio articolo sul terremoto di L'Aquila), più acqua riceve più si rinforza. Il cemento moderno fa esattamente l'opposto!
Scusate se sono stato abbastanza telegrafico, ma mi riprometto di essere più "scientifico" non appena ne avrò il tempo.
Buona giornata
Ettore
Buon giorno a tutti e scusate l'intrusione.
Si dibatte del Corviale, ma sfugge ciò che all'epoca non funzionò, ciò che ha reso deserto e praticamente inutilizzabile questo oggetto architettonico, sto parlando dei collegamenti che la pubblica amministrazione doveva mettere a disposizione affinché questo complesso abitativo (non residenziale ma abitativo) avesse un senso.
Il fatto di essere poi stato costruito, senza la dotazione di servizi che il progetto prevedeva ha reso ancor più handicappato il progetto, che è finito con lessere un contenitore per seppelirvici, e così emarginare, uno strato sociale che era meglio isolare nella periferia, (e all'epoca Corviale più che periferia era una sorta di deserto sociale e urbano).
Oggi che l'urbe sta finalmente lambendo L'isolamento di questo gigante, sarebbe più opportuno investire per una sua riqualificazione piuttosto che abbatterlo (che a occhio e croce tra demolizione e smaltimento dei detriti costa molto di più)
Poi il fatto che Charles Jencks arrivi con 5 giorni di anticipo con la sua mannaia sulle utopie, onestamente è una questione che riguarda il dibattito accademico.
Concludendo dal mio modesto parere ritengo che l'abbattimento del corviale sia una sconfitta assoluta e su tutti i fronti, una sconfitta urbana (non siamo in grado di trovare delle risposte) una sconfitta culturale,(anziché recuperare un tessuto pieno di contraddizioni e difficoltà preferiamo amputarlo), una sconfitta storica, (buttiamo a mare un'opera sulla quale hanno lavorato persone del calibro di Mario Fiorentino, Ludovico Quaroni e Antonio Quistelli)risolvere la questione Corviale vuol dire appronrtare una strategia per risolvere, realmente, la questione delle periferie e in una sola parola la questione dell'Abitare inteso in senso vittiano del termine.
Buona giornata a tutti
Gianmarco Cantafio
Gianmarco, tu riassumi tutte le variabili in gioco nel dibattito su Corviale ma io, anche se credo di comprendere la molla che ti spinge a rifiutare la demolizione, resto del mio parere.
Lo so che la demolizione è una sconfitta e l'estrema ratio, ma la sconfitta non è di chi ne auspica l'abbattimento, bensì è dello stato (IACP) che ne ha permessa la costruzione, quindi della società che lo ha pagato, di quell'ambiente culturale che ha creato le condizioni perché si progettasse un attrezzo del genere, e infine dei suoi progettisti, che lo hanno progettato avendo come scopo principale la propria personale affermazione, forti di un'ideologia che rasenta la follia.
L'ultimo dei problemi della demolizione è il rispetto per i progettisti, proprio l'ultimo. Perdiamo per favore questa idea del mito da rispettare. Ognuno se li coltivi nel privato i propri miti, ma nel dibattito pubblico contino le realizzazioni non gli autori.
Non c'è dubbio: con un chilometro di edificio si entra nella storia, forse più a farlo in orizzontale che in verticale.
Non sei il solo che parla dei collegamenti con la città e dei servizi, ma pensare che se fossero stati realizzati l'edificio avrebbe avuto un'altra fine è tanto consolatorio quanto sbagliato.
Quell'edificio non è inseribile in nessun "tessuto" e non può creare tessuto perché è, lo chiami tu stesso così, un "oggetto architettonico". Lo chiami oggetto involontariamente ma non sbagli affatto.
Prova ad immaginare di trovare un vuoto urbano capace di contenerlo (esempio a caso, l'attuale CityLife, ex fiera di Milano): che rapporto avrebbe potuto avere con la città? Nessuno, sarebbe rimasto un oggetto isolato esattamente come lo è adesso. Quale relazione con la strada, se i negozi sono previsti al quarto piano? e anche se fossero stati al piano terra, un edificio di un chilometro in quale isolato avrebbe potuto essere inserito? Quale gerarchia commerciale avrebbero potuto creare? Quell'edificio è un'utopia, è un falansterio, pensato per una società da condizionare e legare a se (allo stato), un edificio che rifiuta la città (un edificio potenzialmente autosufficiente e il quarto piano di servizi ne è la prova) e tutta la sua forza vitale e di scambio sociale, un edificio che rifiuta l'idea stessa di democrazia e di civile convivenza. La città rende liberi ma quell'edificio è l'anti-città per definizione.
Non credo proprio di averti convinto né mi illudevo di riuscirci. Però il nocciolo del problema è questo.
Grazie
Pietro
gent.mo Gianmarco,
credo che il commento risulti parecchio superato da molte delle discussioni che sono state fatte a seguito del post e di diversi articoli e interviste.
Quanto al discorso sulle spese, è totalmente falsa la teoria secondo la quale demolire e ricostruire costi più del mantenere in vita e trasformare il manufatto esistente. I conti fatti in occasione del progetto che ho sviluppato (sia per il Corviale che per lo ZEN) dimostrano che la cosa non solo è fattibile, ma addirittura risulterebbe un grandissimo beneficio per l'intera collettività;
Quanto alla presunta sconfitta, la ritengo una cosa priva di fondamento, eventualmente si tratterebbe di ratificare ciò che il tempo (che come si dice è un signore) ha ampiamente mostrato. Del resto il Corviale e i suoi simili sono nati nel rispetto dell'idea di Sant'Elia secondo la quale "ogni generazione dovrebbe costruirsi la sua città e gli edifici devono durare meno di noi", quindi qual'è il problema?
Sulla caratura degli autori mi viene da ridere. Chi l'ha stabilito il valore? Si sono autodefiniti delle divinità ma, nella realtà, hanno costruito (dando un pessimo esempio alla società) i peggiori edifici che l'umanità abia mai concepito
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