Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera! Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.
bisogna considerare che gli americani hanno una concezione della città, e della casa, diversa dalla nostra... comunque la cosa più preoccupante è che, abitando nel bel mezzo di un campo da golf, è pericolosissimo stare in giardino a prendere il sole !
Caro Enrico, la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho visto questa roba è, banalmente, come possano ritrovare la strada senza navigatore; e quell'immagine è solo una piccola parte di una realtà che si estende per chilometri e chilometri, e come vedi l'altitudine corrispondente di scatto della prima foto è di oltre 7 chilometri! La seconda è che, correndo il rischio di fare un po' di sociologia d'accatto, quando vedrò in TV uno studente che la mattina si alza e fa una strage a caso in un college, penserò che chi nasce e vive in luoghi del genere è possibile che possa vedere i propri simili come nemici. E' possibile, anzi questo credo sia sicuro, che le relazioni umane siano alquanto deformate se non assenti del tutto. Immagina che lì non c'è niente altro che residenze; non un negozio, non una scuola, niente. Senza auto sei un uomo morto. Che tipo di relazioni sociali possono esistere oltre a quelle di maledire il cane del vicino che sporca il mio giardino? C'è forse da meravigliarsi se proprio in Florida il New Urbanism ha così grande successo? E' vero come dice l'amico Mazzola che il NU non è perfetto ma accidenti se rispetto a queste immagini non è un grande passo avanti. Certamente il NU non può essere trasportato sic et simpliciter in Europa, ma mi sembra che negli USA svolga un grande ruolo. Ciao Pietro
Pietro, il tuo commento sollecita uno dei molti irrisolti interrogativi che costellano la storia dell’uomo, di cui l’antesignano è il classico "è nato prima l’uovo o la gallina?", versione per casalinghe di Voghera di quello, più profondo e concettuale, che suscitano le tue considerazioni. E’ l’architettura che fa l’uomo, o è l’uomo che fa l’architettura? Gli studenti stragisti che popolano i collages americani sono tali perché nati in luoghi siffatti, o una società che ha al suo interno studenti stragisti non può che edificare le sue città in modi siffatti? Il legame tra architettura ed antropologia è innegabile, saldo e determinante, l’architettura è antropologia, esprime le dinamiche sociali e culturali e, come ci ricorda Joseph Rykwert, i miti, i riti, la religione, la sacralità di un popolo … se il popolo ha tutto questo nel suo retaggio storico. Altrimenti esprime altro, nel caso degli americani esprime pochi secoli di storia di un popolo raccogliticcio dove la casa è un carro che si sposta nelle praterie, dove l’auto è un bene di prima necessità per percorrere ambienti naturali di dimensioni smisurate ed inumane, dove oggi le famiglie traslocano mediamente ogni due anni, all’inseguimento dei mezzi per vivere (il posto fisso non è mai esistito, si lavora con contratti a termine, può essere che dall’oggi al domani si debba mollar tutto e ci si debba trasferire a mille chilometri per poter lavorare, al diavolo i rapporti sociali). Difficile da capire per noi, che abbiamo una densità abitativa tra le maggiori del pianeta, abitiamo la casa dei nonni, andiamo in panico per la ‘mobilità’ che trasferisce lo stabilimento a trenta chilometri, mandiamo i figli nel nostro stesso liceo e, possibilmente, lasciamo loro in eredità anche il nostro mestiere. Personalmente credo che gli uomini facciano l’urbanistica e non viceversa, del resto il fallimento del contrario è sotto gli occhi di tutti, dalle new towns in poi. E credo anche che il NU attecchisca dove ci sono le condizioni, piuttosto che attribuirgli la capacità di crearle.
Non so quanto valgano le valutazioni sul mondo americano, fatte attraverso i telefilm e le situation-comedies (forse più di quanto pensiamo)... Comunque, avrete fatto caso che, mediamente, le serie ambientate in "casette unifamiliari a schiera" (king of queens, per dirne una) riguardano la vita di operai, impiegati e simili. Salendo di censo e di classe (e nel mondo anglosassone la stratificazione è più forte che da noi), abbiamo ville di tipo "non a schiera" (desperate housewives...). Al top abbiamo i "condomini" (la Tata) in cui quel che conta è la zona, (upper eastside !). Un mondo a parte le dimore di zone particolari, di pregio (Greenwich village per Sex & the city; Brooklyn Heights per i Robinson). Il discorso sociologico ci porterebbe molto lontano.
Vilma, la mia è una considerazione di pancia. A me rimane il dubbio tra le due alternative che poni perchè credo non esista una risposta univoca. Ad esempio, come non pensare che in un carcere (caso estremo) sia l'architettura a fare l'uomo? Certo, potresti dire te, ma è l'uomo che ha fatto il carcere, luogo principe della miseria umana e, non solo, è l'uomo che va in carcere (speriamo non da innocente) che si è creato le condizioni per vivere in quel luogo, in un certo senso ha fatto una scelta. Certamente che gli USA non sono l'Europa e io ho messo quelle immagini non perchè volessi fare chissà quali ragionamenti ma solo per il fatto che mi hanno strabiliato e un pò affascinato dall'alto, assomiogliando molto al vetrino di un tessuto. Insomma, per una volta ho fatto come Muratore che mette foto e aspetta reazioni. Però non posso credere che in quei luoghi si possa crescere e vivere una vita sociale "normale". Nel dubbio penso sia giudizioso comportarci "come se fosse l'architettura a fare l'uomo", per parafrasare il cardinale Ratzingher. Saluti Pietro
Enrico è un dato di fatto che le città americane sono fortemente stratificate e divise per classi di censo. Peter Calthorpe, uno dei massimi esponenti del New Urbanism, è stato consulente scientifico all'inizio del nuovo Piano Strutturale di Arezzo (poi non gli è stato rinnovato l'incarico perchè....c'erano quelli che preferivano fare da soli) e più volte insisteva sul pericolo di dividere la città in aree omogenee per classe. Il fatto è che, lui che aveva capito molte cose della città, non aveva colto il fatto che ad Arezzo, come in molte città italiane, questo fenomeno non è così accentuato come negli USA. I casi più eclatanti sono, parlo di Arezzo, alcuni blocchi di case popolari, naturalmente emarginanti, e qualche recente segnale di una zona a maggioranza musulmana. Per il resto la città è estremamente omogenea e amalgamata nel suo insieme. Questo è un segno di quanto dice Vilma, cioè che la sensibilità e la cultura urbana americana sono realmente diverse. Però alcune tendenze è bene seguirle perché in genere ci segnalano, con grande anticipo, quello che potrebbe accadere in Europa. Ciao Pietro
Questo è il frutto dell'albero piantato sul sogno (piccolo-borghese) americano, e sostenuto da generazioni e generazioni di progettisti che lo hanno giustificato. Si, è logico che chi vive in casa sua e basta (daltronde, dove dovrebbe uscire?) veda l'esterno come l'esterno da se, dalla propria casa. Orribile spreco di spazio, anche perché tutto quel verde recintato non contribuisce a nulla.
Aspettavo da qualche giorno questa domanda, robert, sei in ritardo. Ma non avevo preparato la risposta perché non la conosco. Il solito LC conserva intatte tutte le sue responsabilità, FLW ci avrà aggiunto del suo al sogno americano, ma qui come dici te, è più complessa, o almeno è una realtà diversa che non conosco ma che, azzardando un'ipotesi, potrei chiamare il pedaggio che una società con al centro l'individuo paga alla libertà. E' solo un'ipotesi e nulla più. Queste immagini, trovate per caso mentre andavo a cercare interventi di New Urbanism, mi hanno intrigato per la bellezza del disegno dall'alto, in totale opposizione alla realtà della vita al basso: una semplice riprova che la città non è un quadro, come molti architetti pensano, per cui basta fare un bel disegno e il gioco è fatto (in questo caso un disegno fantastico, da noi un disegno geometrico astratto) ma un organismo complesso come sono complesse le città storiche, da cui è indispensabile imparare e a cui è necessario guardare. La sfida è far coesistere due spinte opposte che sono presenti nell'uomo: l'individualità e la socialità. E' un equilibrio ben difficile da mantenere in una società! In Europa nella prima metà del secolo scorso ha prevalso la seconda, ed è successo un disastro politico, umano e urbano. Quello che è successo dopo sono lasciti e strascichi di quel periodo. Gli americani, che ci anticipano sempre, con il NU l'hanno capito, e forse ci arriveremo anche noi. Ciao Pietro
---> Pietro, a me sembra Poundbury senza spazi collettivi (per dirla alla Romano).
---> Enrico, aggiungere lo straordinario Weeds una storia di una donna spacciatrice ambientata in uno dei paesi qui sopra fotografati chiamato ‘Agrestic’ scritto da Jenji Kohan l’autrice di Sex in The city. La sigla iniziale è emblematica.
Un’altra serie molto ‘urbanistica’ è Numb3rs non a caso prodotto da Ridley Scott.
Enrico interessante questo spunto, guardando le serie TV italiane è palese lo stato di decadimento visivo/culturale. Anche prendendo ad esempio le due serie più sofisticate ‘L’ispettore Coliandro’ scritto da Carlo Lucarelli, un antieroe alla maniera della commedia colta all’italiana (ahimè mai capita dal pubblico che s’identifica con la rozzezza dei personaggi descritti) e Quo Vadis, Baby? diretto da Gabriele Salvatores, interessante noir ambientato nella provincia italiana ma messo in onda solo su Sky e credo in orario da sonnambuli su Italia Uno. Ci possiamo rendere conto del perché Pietro pubblica questi facili post didascalici/visivi. Preferiamo rimanere in superficie e fare bassa sociologia evitando di affrontare la complessità. In poche parole ci piace restare passivi sul nostro divano vedendo ‘Nonno Libero’. Amiamo essere presi in giro dalle immagini edulcorate, semplici e non supponenti.
Salvatore, il tuo paragone con Poundbury è un'altra dimostrazione di quanto dicevo sopra a robert: che gli architetti, non tutti, giudicano il disegno dal punto di vista formale, grafico e artistico. Il fatto che tu aggiunga anche "senza spazi collettivi (ma Romano li chiama "temi collettivi") è un'ulteriore conferma di quanto dico: senza spazi e temi collettivi semplicemente non c'è città. Credevo tu lo sapessi. Su Nonno Nanni non ti rispondo nemmeno perché non vale la pena. Però mi viene da dire, a me che non guardo nè sceneggiati nè film italiani, ma solo americani: Viva Nonno Nanni! Saluti Pietro
---> Pietro, non fare dietrologia io mi limitavo a ‘divertirmi’ su questo post.
Titolo ‘Dorato incubo (ossimoro involontario) metropolitano’ Hai mai vissuto in queste case? Hai mai studiato ‘sociologicamente’ queste città? Dove sono le basi critiche (non visive) che ti permettono di parlare di dorato/incubo.
Foto: dov’è la comparazione critica. Cioè, vi presento le cose brutte e vi faccio vedere le cose belle (utilizzo i termini brutti e belli poiché sono la base semantica di questo post). Che sia chiaro è semplice parlare di ciò che non si apprezza, più complicato è presentare criticamente e quindi comparativamente le tesi alternative. Mi devi credere io non analizzo la città dal punto di vista formale. Io non faccio paragoni visivi/didascalici, cerco di osservare i fenomeni sociali senza ‘Utopia’ ma con ‘Distopia’. Saluti, Salvatore D’Agostino
Salvatore, scusa ma quando ci vuole ci vuole: hai messo insieme una fila di sciocchezze che davvero di più sarebbe difficile. Utopia, distopia, comparare tesi alternate, base semantica! Ossimoro involontario poi.... chi cavolo te lo dice se sia involontario o volontario? Potresti smettere di utilizzare, almeno con me, questo sub-linguaggio (perchè di questo si tratta) simil-accademico e spiegarti in un italiano comprensibile? Ma tu sei architetto nella vita oppure passi di qui per caso! Riesci a leggere (leggere, proprio come un libro) e capire (capire, proprio come un libro) una planimetria, un prospetto, una sezione, una foto aerea, senza dover prima interpellare tre tomi di sociologia? Pensi forse che sia compito del sociologo decifrarti una planimetria? E tu ne hai uno al seguito, immagino, come tutti d'altro canto! Io poi, figurati, senza il mio sociologo personale mi sentirei come un pesce fuor d'acqua! Saluti Pietro
Pietro, ma perché t’inalberi. Ossimoro dal greco oxýmoron, composto da oxýs (= "acuto") e moròs (= "ottuso, stolto"), ovvero ‘acutamente folle’ e consiste nell’accostamento paradossale di due termini che hanno un significato contrario o contraddittorio tra loro. Se il tuo ossimoro non è involontario, allora il tuo il titolo è ‘acutamente folle’ o meglio ‘senza senso’. Per me sociologia significa il rapporto empatico che l’architetto/uomo deve avere per leggere oltre la planimetria. Lettura trasversale che reputo importante per non rimanere rigidamente convinti alle idee ‘disegnate’ o ‘ideali’ o utopiche’ dell’architetto demiurgo. Io ho vissuto due mesi in un paese simile (USA), non metropolitano ma autonomo, e non ho notato nessun incubo da parte dei cittadini. Il loro senso dell’abitare collimava perfettamente con l’urbanistica che avevano scelto (pagato anche molto caro), anzi erano molto soddisfatti di quell’ordine economico/sociale. Economico poiché queste città possono essere abitate solo da chi ha un certo tipo di reddito (per pagare le tasse ‘comunali). In poche parole ci sono città da 50.000$ annui, 100.000$ annui e via dicendo. C’è da dire che negli Stati Uniti ci sono anche molte città simili alla struttura europea, quindi sarebbe opportuno non generalizzare.
Sub-Linguaggio? Mi hai fatto preoccupare sono andato a controllare in un recente vocabolario le parole utopia, distopia, comparazione, semantica e con sollievo mi sono accorto che ancora non sono stati banditi dai linguisti.
Mi puoi dire a che serve all’architetto/urbanista un post come questo?
Saluti, Salvatore D’Agostino
P.S.: mi sa che ritorno ai commenti-citazioni così evito le continue offese personali.
Sono andato, con Google earth, a visitare la zona segnalata da Pietro. Davvero interessante: a perdita d'occhio, chilometri e chilometri di villette, in un tessuto "a merletto", impressionante. Mi permetto, però, di segnalare una differenza tra quegli insediamenti, e le nostre periferie o i nostri paesi (ci metto in prima fila il mio Castel Maggiore e tutta la cintura attorno a Bologna). A Palm Springs, è chiaro a tutti quale tipo di casa, e quale tipo di vita, viene offerto. Da noi, la gente crede di abitare in un paese, o in una città, e si trova catapultata, a sua insaputa, in una brutta copia dei sobborghi di Miami. In Florida, chi compra casa in mezzo ai laghetti di un campo da golf, sa che deve prendere l'auto per andare a comprare un paio di limoni o mezzo litro di latte. Qui a Trebbo di castel maggiore, molti usano l'auto, come negli USA, anche per attraversare la strada, maesistono anche l'Albina o la Nilde che rischiano la vita in bicicletta per andare a far la spesa a sei chilometri di distanza, o per andare a trovare i loro morti al cimitero, in bicicletta, senza piste ciclabili. E da noi la mancanza di una piazza la sentiamo molto di più che in Florida, dove non l'hanno mai avuta. Al peggio non c'è fine: nelle statistiche ufficiali, le piste ciclabili ci sono, ma è una finta: hanno chiamato così i restauri dei normalissimi marciapiedi, rifacendoli in costosissimi autobloccanti di vari colori, senza che ce ne fosse nessun vero bisogno; e non hanno fatto nulla là dove servirebbero. Ma questo è un discorso politico....
Enrico è vero, la piazza non l'hanno mai avuta in Florida e non l'hanno avuta neanche in America e in nessun'altra parte del mondo, salvo l'Europa. Così almeno scrive, e non ho motivo di non credergli, Marco Romano che è uno studioso della città. Non l'hanno mai avuta nel modo come l'abbiamo avuta noi e come la intendevamo noi (oggi l'idea di piazza è diventata molto più vaga e ineffabile). Tuttora molte città americane non hanno un centro, se non inteso come luogo in cui si svolgono determinate funzioni (in questo senso anche il centro commerciale è il "centro"). Ma la funzione non crea un luogo, se non per il tempo che quella funzione stessa riesce a durare. Invece uno spazio urbano determinato da una rete stradale che determina un centro, una nodalità, permane nel tempo a prescindere dalle funzioni: al Duomo si può sostituire il Comune o possono convivere entrambi, o si può sostituire un centro commerciale, o qualunque altra "funzione" (pessimo nome) che abbia una valenza collettivo, in base ai valori che una determinata società esprime. Insomma le funzioni passano ma la città resta ed è per questo che gli architetti si devono interessare di città in forma autonoma dai sociologi, che si occupano di società. Ed è per questo che Marc Augé dice una grossa sciocchezza (vedi ultimo post). Ma, come ho già detto, queste foto le ho pubblicate perché mi intrigava il disegno, senza aggiungere una parola di commento. Questo per rispondere a Salvatore, cui dico anche, e chiudo, che le sue parole esistono certamente nel vocabolario (io non sarei andato ad accertarmene) ma oltre al lessico esiste la grammatica e la sintassi ed ecco che solo così si ha un linguaggio razionale e comprensibile. Ciao Pietro
«Io mi aspettavo, sai, da te Una risposta "come il faut" E invece niente, invece, no Un pugno in faccia era meglio, lo so Io mi aspettavo, sai, da te Qualcosa in più, qualcosa che Non fosse una banalità Non fosse il solito, scontato "bla bla" Ti faccio i complimenti e ti lascio con i tuoi "gnè gnè"»
Giorgio Conte – Gné Gné Vale solo la prima parte, ecco il link ---> http://www.youtube.com/watch?v=NjpYZbYesZc
17 commenti:
bisogna considerare che gli americani hanno una concezione della città, e della casa, diversa dalla nostra...
comunque la cosa più preoccupante è che, abitando nel bel mezzo di un campo da golf, è pericolosissimo stare in giardino a prendere il sole !
Caro Enrico, la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho visto questa roba è, banalmente, come possano ritrovare la strada senza navigatore; e quell'immagine è solo una piccola parte di una realtà che si estende per chilometri e chilometri, e come vedi l'altitudine corrispondente di scatto della prima foto è di oltre 7 chilometri!
La seconda è che, correndo il rischio di fare un po' di sociologia d'accatto, quando vedrò in TV uno studente che la mattina si alza e fa una strage a caso in un college, penserò che chi nasce e vive in luoghi del genere è possibile che possa vedere i propri simili come nemici. E' possibile, anzi questo credo sia sicuro, che le relazioni umane siano alquanto deformate se non assenti del tutto. Immagina che lì non c'è niente altro che residenze; non un negozio, non una scuola, niente. Senza auto sei un uomo morto.
Che tipo di relazioni sociali possono esistere oltre a quelle di maledire il cane del vicino che sporca il mio giardino?
C'è forse da meravigliarsi se proprio in Florida il New Urbanism ha così grande successo?
E' vero come dice l'amico Mazzola che il NU non è perfetto ma accidenti se rispetto a queste immagini non è un grande passo avanti. Certamente il NU non può essere trasportato sic et simpliciter in Europa, ma mi sembra che negli USA svolga un grande ruolo.
Ciao
Pietro
Pietro, il tuo commento sollecita uno dei molti irrisolti interrogativi che costellano la storia dell’uomo, di cui l’antesignano è il classico "è nato prima l’uovo o la gallina?", versione per casalinghe di Voghera di quello, più profondo e concettuale, che suscitano le tue considerazioni.
E’ l’architettura che fa l’uomo, o è l’uomo che fa l’architettura? Gli studenti stragisti che popolano i collages americani sono tali perché nati in luoghi siffatti, o una società che ha al suo interno studenti stragisti non può che edificare le sue città in modi siffatti?
Il legame tra architettura ed antropologia è innegabile, saldo e determinante, l’architettura è antropologia, esprime le dinamiche sociali e culturali e, come ci ricorda Joseph Rykwert, i miti, i riti, la religione, la sacralità di un popolo … se il popolo ha tutto questo nel suo retaggio storico.
Altrimenti esprime altro, nel caso degli americani esprime pochi secoli di storia di un popolo raccogliticcio dove la casa è un carro che si sposta nelle praterie, dove l’auto è un bene di prima necessità per percorrere ambienti naturali di dimensioni smisurate ed inumane, dove oggi le famiglie traslocano mediamente ogni due anni, all’inseguimento dei mezzi per vivere (il posto fisso non è mai esistito, si lavora con contratti a termine, può essere che dall’oggi al domani si debba mollar tutto e ci si debba trasferire a mille chilometri per poter lavorare, al diavolo i rapporti sociali).
Difficile da capire per noi, che abbiamo una densità abitativa tra le maggiori del pianeta, abitiamo la casa dei nonni, andiamo in panico per la ‘mobilità’ che trasferisce lo stabilimento a trenta chilometri, mandiamo i figli nel nostro stesso liceo e, possibilmente, lasciamo loro in eredità anche il nostro mestiere.
Personalmente credo che gli uomini facciano l’urbanistica e non viceversa, del resto il fallimento del contrario è sotto gli occhi di tutti, dalle new towns in poi.
E credo anche che il NU attecchisca dove ci sono le condizioni, piuttosto che attribuirgli la capacità di crearle.
Vilma
Non so quanto valgano le valutazioni sul mondo americano, fatte attraverso i telefilm e le situation-comedies (forse più di quanto pensiamo)...
Comunque, avrete fatto caso che, mediamente, le serie ambientate in "casette unifamiliari a schiera" (king of queens, per dirne una) riguardano la vita di operai, impiegati e simili. Salendo di censo e di classe (e nel mondo anglosassone la stratificazione è più forte che da noi), abbiamo ville di tipo "non a schiera" (desperate housewives...). Al top abbiamo i "condomini" (la Tata) in cui quel che conta è la zona, (upper eastside !). Un mondo a parte le dimore di zone particolari, di pregio (Greenwich village per Sex & the city; Brooklyn Heights per i Robinson).
Il discorso sociologico ci porterebbe molto lontano.
Vilma, la mia è una considerazione di pancia. A me rimane il dubbio tra le due alternative che poni perchè credo non esista una risposta univoca.
Ad esempio, come non pensare che in un carcere (caso estremo) sia l'architettura a fare l'uomo? Certo, potresti dire te, ma è l'uomo che ha fatto il carcere, luogo principe della miseria umana e, non solo, è l'uomo che va in carcere (speriamo non da innocente) che si è creato le condizioni per vivere in quel luogo, in un certo senso ha fatto una scelta.
Certamente che gli USA non sono l'Europa e io ho messo quelle immagini non perchè volessi fare chissà quali ragionamenti ma solo per il fatto che mi hanno strabiliato e un pò affascinato dall'alto, assomiogliando molto al vetrino di un tessuto. Insomma, per una volta ho fatto come Muratore che mette foto e aspetta reazioni.
Però non posso credere che in quei luoghi si possa crescere e vivere una vita sociale "normale".
Nel dubbio penso sia giudizioso comportarci "come se fosse l'architettura a fare l'uomo", per parafrasare il cardinale Ratzingher.
Saluti
Pietro
Enrico è un dato di fatto che le città americane sono fortemente stratificate e divise per classi di censo. Peter Calthorpe, uno dei massimi esponenti del New Urbanism, è stato consulente scientifico all'inizio del nuovo Piano Strutturale di Arezzo (poi non gli è stato rinnovato l'incarico perchè....c'erano quelli che preferivano fare da soli) e più volte insisteva sul pericolo di dividere la città in aree omogenee per classe. Il fatto è che, lui che aveva capito molte cose della città, non aveva colto il fatto che ad Arezzo, come in molte città italiane, questo fenomeno non è così accentuato come negli USA. I casi più eclatanti sono, parlo di Arezzo, alcuni blocchi di case popolari, naturalmente emarginanti, e qualche recente segnale di una zona a maggioranza musulmana. Per il resto la città è estremamente omogenea e amalgamata nel suo insieme. Questo è un segno di quanto dice Vilma, cioè che la sensibilità e la cultura urbana americana sono realmente diverse.
Però alcune tendenze è bene seguirle perché in genere ci segnalano, con grande anticipo, quello che potrebbe accadere in Europa.
Ciao
Pietro
Questo è il frutto dell'albero piantato sul sogno (piccolo-borghese) americano, e sostenuto da generazioni e generazioni di progettisti che lo hanno giustificato. Si, è logico che chi vive in casa sua e basta (daltronde, dove dovrebbe uscire?) veda l'esterno come l'esterno da se, dalla propria casa. Orribile spreco di spazio, anche perché tutto quel verde recintato non contribuisce a nulla.
e de 'sta roba, di chi sarebbe la colpa? del solito LC? o scomodiamo FLW? ma no... qui è qualcosa di più complesso... molto più complesso...
rob
Aspettavo da qualche giorno questa domanda, robert, sei in ritardo. Ma non avevo preparato la risposta perché non la conosco.
Il solito LC conserva intatte tutte le sue responsabilità, FLW ci avrà aggiunto del suo al sogno americano, ma qui come dici te, è più complessa, o almeno è una realtà diversa che non conosco ma che, azzardando un'ipotesi, potrei chiamare il pedaggio che una società con al centro l'individuo paga alla libertà.
E' solo un'ipotesi e nulla più. Queste immagini, trovate per caso mentre andavo a cercare interventi di New Urbanism, mi hanno intrigato per la bellezza del disegno dall'alto, in totale opposizione alla realtà della vita al basso: una semplice riprova che la città non è un quadro, come molti architetti pensano, per cui basta fare un bel disegno e il gioco è fatto (in questo caso un disegno fantastico, da noi un disegno geometrico astratto) ma un organismo complesso come sono complesse le città storiche, da cui è indispensabile imparare e a cui è necessario guardare.
La sfida è far coesistere due spinte opposte che sono presenti nell'uomo: l'individualità e la socialità. E' un equilibrio ben difficile da mantenere in una società! In Europa nella prima metà del secolo scorso ha prevalso la seconda, ed è successo un disastro politico, umano e urbano. Quello che è successo dopo sono lasciti e strascichi di quel periodo.
Gli americani, che ci anticipano sempre, con il NU l'hanno capito, e forse ci arriveremo anche noi.
Ciao
Pietro
---> Pietro,
a me sembra Poundbury senza spazi collettivi (per dirla alla Romano).
---> Enrico,
aggiungere lo straordinario Weeds una storia di una donna spacciatrice ambientata in uno dei paesi qui sopra fotografati chiamato ‘Agrestic’ scritto da Jenji Kohan l’autrice di Sex in The city. La sigla iniziale è emblematica.
Un’altra serie molto ‘urbanistica’ è Numb3rs non a caso prodotto da Ridley Scott.
Enrico interessante questo spunto, guardando le serie TV italiane è palese lo stato di decadimento visivo/culturale.
Anche prendendo ad esempio le due serie più sofisticate ‘L’ispettore Coliandro’ scritto da Carlo Lucarelli, un antieroe alla maniera della commedia colta all’italiana (ahimè mai capita dal pubblico che s’identifica con la rozzezza dei personaggi descritti) e Quo Vadis, Baby? diretto da Gabriele Salvatores, interessante noir ambientato nella provincia italiana ma messo in onda solo su Sky e credo in orario da sonnambuli su Italia Uno.
Ci possiamo rendere conto del perché Pietro pubblica questi facili post didascalici/visivi.
Preferiamo rimanere in superficie e fare bassa sociologia evitando di affrontare la complessità.
In poche parole ci piace restare passivi sul nostro divano vedendo ‘Nonno Libero’.
Amiamo essere presi in giro dalle immagini edulcorate, semplici e non supponenti.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Salvatore, il tuo paragone con Poundbury è un'altra dimostrazione di quanto dicevo sopra a robert: che gli architetti, non tutti, giudicano il disegno dal punto di vista formale, grafico e artistico. Il fatto che tu aggiunga anche "senza spazi collettivi (ma Romano li chiama "temi collettivi") è un'ulteriore conferma di quanto dico: senza spazi e temi collettivi semplicemente non c'è città. Credevo tu lo sapessi.
Su Nonno Nanni non ti rispondo nemmeno perché non vale la pena. Però mi viene da dire, a me che non guardo nè sceneggiati nè film italiani, ma solo americani: Viva Nonno Nanni!
Saluti
Pietro
---> Pietro,
non fare dietrologia io mi limitavo a ‘divertirmi’ su questo post.
Titolo ‘Dorato incubo (ossimoro involontario) metropolitano’
Hai mai vissuto in queste case? Hai mai studiato ‘sociologicamente’ queste città?
Dove sono le basi critiche (non visive) che ti permettono di parlare di dorato/incubo.
Foto:
dov’è la comparazione critica. Cioè, vi presento le cose brutte e vi faccio vedere le cose belle (utilizzo i termini brutti e belli poiché sono la base semantica di questo post).
Che sia chiaro è semplice parlare di ciò che non si apprezza, più complicato è presentare criticamente e quindi comparativamente le tesi alternative.
Mi devi credere io non analizzo la città dal punto di vista formale. Io non faccio paragoni visivi/didascalici, cerco di osservare i fenomeni sociali senza ‘Utopia’ ma con ‘Distopia’.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
P.S.: Hai ragione temi e non spazi. Lapsus.
Salvatore, scusa ma quando ci vuole ci vuole: hai messo insieme una fila di sciocchezze che davvero di più sarebbe difficile.
Utopia, distopia, comparare tesi alternate, base semantica! Ossimoro involontario poi.... chi cavolo te lo dice se sia involontario o volontario?
Potresti smettere di utilizzare, almeno con me, questo sub-linguaggio (perchè di questo si tratta) simil-accademico e spiegarti in un italiano comprensibile?
Ma tu sei architetto nella vita oppure passi di qui per caso! Riesci a leggere (leggere, proprio come un libro) e capire (capire, proprio come un libro) una planimetria, un prospetto, una sezione, una foto aerea, senza dover prima interpellare tre tomi di sociologia? Pensi forse che sia compito del sociologo decifrarti una planimetria? E tu ne hai uno al seguito, immagino, come tutti d'altro canto!
Io poi, figurati, senza il mio sociologo personale mi sentirei come un pesce fuor d'acqua!
Saluti
Pietro
Pietro,
ma perché t’inalberi.
Ossimoro dal greco oxýmoron, composto da oxýs (= "acuto") e moròs (= "ottuso, stolto"), ovvero ‘acutamente folle’ e consiste nell’accostamento paradossale di due termini che hanno un significato contrario o contraddittorio tra loro.
Se il tuo ossimoro non è involontario, allora il tuo il titolo è ‘acutamente folle’ o meglio ‘senza senso’.
Per me sociologia significa il rapporto empatico che l’architetto/uomo deve avere per leggere oltre la planimetria. Lettura trasversale che reputo importante per non rimanere rigidamente convinti alle idee ‘disegnate’ o ‘ideali’ o utopiche’ dell’architetto demiurgo.
Io ho vissuto due mesi in un paese simile (USA), non metropolitano ma autonomo, e non ho notato nessun incubo da parte dei cittadini. Il loro senso dell’abitare collimava perfettamente con l’urbanistica che avevano scelto (pagato anche molto caro), anzi erano molto soddisfatti di quell’ordine economico/sociale. Economico poiché queste città possono essere abitate solo da chi ha un certo tipo di reddito (per pagare le tasse ‘comunali).
In poche parole ci sono città da 50.000$ annui, 100.000$ annui e via dicendo.
C’è da dire che negli Stati Uniti ci sono anche molte città simili alla struttura europea, quindi sarebbe opportuno non generalizzare.
Sub-Linguaggio?
Mi hai fatto preoccupare sono andato a controllare in un recente vocabolario le parole utopia, distopia, comparazione, semantica e con sollievo mi sono accorto che ancora non sono stati banditi dai linguisti.
Mi puoi dire a che serve all’architetto/urbanista un post come questo?
Saluti,
Salvatore D’Agostino
P.S.: mi sa che ritorno ai commenti-citazioni così evito le continue offese personali.
Sono andato, con Google earth, a visitare la zona segnalata da Pietro. Davvero interessante: a perdita d'occhio, chilometri e chilometri di villette, in un tessuto "a merletto", impressionante.
Mi permetto, però, di segnalare una differenza tra quegli insediamenti, e le nostre periferie o i nostri paesi (ci metto in prima fila il mio Castel Maggiore e tutta la cintura attorno a Bologna).
A Palm Springs, è chiaro a tutti quale tipo di casa, e quale tipo di vita, viene offerto. Da noi, la gente crede di abitare in un paese, o in una città, e si trova catapultata, a sua insaputa, in una brutta copia dei sobborghi di Miami.
In Florida, chi compra casa in mezzo ai laghetti di un campo da golf, sa che deve prendere l'auto per andare a comprare un paio di limoni o mezzo litro di latte. Qui a Trebbo di castel maggiore, molti usano l'auto, come negli USA, anche per attraversare la strada, maesistono anche l'Albina o la Nilde che rischiano la vita in bicicletta per andare a far la spesa a sei chilometri di distanza, o per andare a trovare i loro morti al cimitero, in bicicletta, senza piste ciclabili.
E da noi la mancanza di una piazza la sentiamo molto di più che in Florida, dove non l'hanno mai avuta.
Al peggio non c'è fine: nelle statistiche ufficiali, le piste ciclabili ci sono, ma è una finta: hanno chiamato così i restauri dei normalissimi marciapiedi, rifacendoli in costosissimi autobloccanti di vari colori, senza che ce ne fosse nessun vero bisogno; e non hanno fatto nulla là dove servirebbero.
Ma questo è un discorso politico....
Enrico è vero, la piazza non l'hanno mai avuta in Florida e non l'hanno avuta neanche in America e in nessun'altra parte del mondo, salvo l'Europa. Così almeno scrive, e non ho motivo di non credergli, Marco Romano che è uno studioso della città. Non l'hanno mai avuta nel modo come l'abbiamo avuta noi e come la intendevamo noi (oggi l'idea di piazza è diventata molto più vaga e ineffabile). Tuttora molte città americane non hanno un centro, se non inteso come luogo in cui si svolgono determinate funzioni (in questo senso anche il centro commerciale è il "centro"). Ma la funzione non crea un luogo, se non per il tempo che quella funzione stessa riesce a durare. Invece uno spazio urbano determinato da una rete stradale che determina un centro, una nodalità, permane nel tempo a prescindere dalle funzioni: al Duomo si può sostituire il Comune o possono convivere entrambi, o si può sostituire un centro commerciale, o qualunque altra "funzione" (pessimo nome) che abbia una valenza collettivo, in base ai valori che una determinata società esprime. Insomma le funzioni passano ma la città resta ed è per questo che gli architetti si devono interessare di città in forma autonoma dai sociologi, che si occupano di società. Ed è per questo che Marc Augé dice una grossa sciocchezza (vedi ultimo post).
Ma, come ho già detto, queste foto le ho pubblicate perché mi intrigava il disegno, senza aggiungere una parola di commento. Questo per rispondere a Salvatore, cui dico anche, e chiudo, che le sue parole esistono certamente nel vocabolario (io non sarei andato ad accertarmene) ma oltre al lessico esiste la grammatica e la sintassi ed ecco che solo così si ha un linguaggio razionale e comprensibile.
Ciao
Pietro
Pietro,
Boh! Che dire.
Ritorno alle citazioni:
«Io mi aspettavo, sai, da te
Una risposta "come il faut"
E invece niente, invece, no
Un pugno in faccia era meglio, lo so
Io mi aspettavo, sai, da te
Qualcosa in più, qualcosa che
Non fosse una banalità
Non fosse il solito, scontato "bla bla"
Ti faccio i complimenti e ti lascio con i tuoi "gnè gnè"»
Giorgio Conte – Gné Gné
Vale solo la prima parte, ecco il link ---> http://www.youtube.com/watch?v=NjpYZbYesZc
:-)
Saluti,
Salvatore D’Agostino
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