Nel luglio 2002 si tenne ad Arezzo un Workshop in occasione della redazione del Piano Strutturale. Il Consulente scientifico del piano era, al tempo, Peter Calthorpe. Al Workshop erano stati invitati, tra gli altri, Lèon Krier e Pier Carlo Bontempi. Di quei pochissimi giorni di lavoro cui seguì una mostra e un dibattito pubblico di grande successo e interesse, sembra che si sia persa ogni traccia: nel sito del Comune c’è una cronologia puntigliosa e dettagliata dei lunghi anni di gestazione del PS, ma del workshop solo questa comunicazione.
Poiché a suo tempo avevamo fatto foto e raccolto un po’ di materiale, sono andato a ripescarlo e lo pubblico in due parti.
“Calthorpe è forse, all’interno del movimento del New Urbanism, il teorico che più di ogni altro fa riferimento alla grande scala territoriale, riuscendo a fare una sintesi di concetti molto atomizzati, simili alla mia concezione di quartiere o di struttura della città della piccola città.
Calthorpe ha concepito l’idea della città policentrica, basati su una catena di villaggi collegati tra loro da sistemi di trasporto pubblico. Penso che Arezzo sia una città “felice” per la sua collocazione geografica, ma che la sua periferia presenti le stesse problematiche delle altre aree suburbane italiane.
In particolare Arezzo presenta problemi difficili da risolvere dal punto di vista strutturale, poichè i suoi sobborghi risultano estremamente frammentati dalla presenza di infrastrutture del traffico, dei trasporti e dei percorsi d’acqua; elementi questi che non aiutano una buona forma urbana.
Il grande concetto di Calthorpe è di “legare” la città diffusa, periferica, in una catena di quartieri a forma di “ipsilon” e di concentrare la crescita futura della città su questi tre assi. Mi sembra una scelta molto pragmatica ma anche possibile, perché su questi tracciati ci sono vaste aree per lo sviluppo, che possono permettere ad una grande città di espandersi ulteriormente, come ha fatto negli ultimi 50 anni.
Dunque, invece di una crescita atomizzata, si potrà prevedere il completamento dei quartieri, e avere così una crescita all’interno, piuttosto che una crescita esplosiva. (omissis)
Girando per la città ci rendiamo conto quanto sia vero l’assunto che una grande quantità di spazio è contraria ala qualità urbana dello spazio. Le immagini che seguono sono un esempio che mostra quanto queste aree frammentate possano nel futuro divenire aree di crescita urbana, fino a raggiungere una densità forse non uguale a quella del centro storico, ma certamente uguale alla qualità spaziale del centro storico, anche se meno densa.
Gli isolati che abbiamo disegnato, oltre a contenere gli edifici esistenti, avranno in futuro la tendenza a creare fronti edilizi continui, anche se di diversa altezza, secondo il vecchio sistema di facciate e di muri, talcolta così raffinati nei centri storici o nei piccoli nuclei di campagna fuori città. Questi servono come modello diretto, e li percepiamo non come segni della storia, ma segni della tecnologia per creare nuovi centri storici. (Omissis)
Ogni quartiere avrà il suo centro, e una piazza, e un suo limite chiaramente leggibile. (Omissis)
Automobile e pedoni devono poter coesistere in armonia piuttosto che in conflitto. (Omissis)
Strade come Corso Italia e Via Roma, che attraversano tutto il corpo della città antica, hanno la capacità di legare al centro storico tutti i quartieri della nuova Arezzo, e soprattutto di superare la terribile frattura creata dalla ferrovia e permettere alla città di collegarsi all’università e all’ospedale, che in futuro potrà espandersi e diventare un quartiere indipendente”.
E’ ovvio che lo scopo di questo e del prossimo post non è quello di alimentare un dibattito su Arezzo, dato che sarebbe impossibile per chi non conosce la città; tuttavia dal confronto del testo con le immagini si comprendono bene i principi essenziali che stanno alla base del pensiero di Lèon Krier e di Peter Calthorpe e che, pur applicati ad una situazione specifica, hanno una portata assolutamente generale:
1. una città costruita in continuità con il centro storico, fatta di quartieri ognuno dotato di un proprio “centro storico”, capace di ridare dignità a zone oggi monofunzionali e anonime;
2. un potenziamento del trasporto pubblico con la valorizzazione del sistema ferroviario attualmente esistente lungo il quale andare ad individuare le aree di crescita della città, alleggerendo così la pressione del traffico privato in ingresso e in uscita dalla città;
3. una città che cresce su se stessa con densità molto alte simili a quella del centro storico;
4. una crescita che si innesta sui due assi viari principali esistenti.
Ma il successo di questi propositi non è indifferente al tipo di disegno urbano, e questo non è una variabile indipendente tale da dare esiti positivi qualunque esso sia: quando si dice alta densità si intende che il pieno deve prevalere sul vuoto, non che si realizza con edifici di maggiore altezza; si intende che il nuovo tessuto urbano dovrà essere analogo a quello della città storica, fatto da isolati e strade racchiuse da fronti edilizi continui. Senza queste caratteristiche i buoni propositi, le scelte “politiche”, sono destinate al fallimento e alla ripetizione degli errori del passato, lontano e più recente.
Per questo c’è da augurarsi che, a distanza di sette anni, questi disegni non siano stati rimossi dalla memoria, oltre che abbandonati in archivio come spesso accade nei nostri comuni, che vengano ripresi, sviluppati, perfezionanti, anche corretti se è il caso. Non esiste progetto che non contenga errori o analisi non del tutto condivisibili, e anche questo non sfugge alla regola, ma il workshop è stata una occasione davvero unica e straordinaria di elaborazione concreta di proposte e progetti fatti da straordinari architetti e urbanisti quali Lèon Krier, Pier Carlo Bontempi, Peter Calthorpe; nato probabilmente per caso, se non addirittura per un equivoco, ha fornito materiale di grande qualità che sarebbe insano fare finta che non sia mai esistito per ricominciare con nuovi progetti, naturalmente nel solito filone modernista.
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