Questa bella donna qui sotto non è solo una bella donna ma è una buona notizia: si chiama Lizzi (o Lizzie) Miller e il Corriere della Sera la definisce la modella oversize che riscuote un successo enorme negli USA (credo sia apparsa su una copertina di Glamour). La buona notizia è, o sarebbe, appunto questa, il fatto cioè di un ritorno ad un modello estetico più normale, familiare, naturale, umano dopo i fasti della magrezza, della astrattezza corporea, dell’anoressia grave addirittura.
Il post potrebbe finire qui, e sarebbe già tanto, ma quando ho letto la notizia, e soprattutto ho visto la foto, non ho potuto fare a meno di associarla all’architettura e di immaginare non tanto le conseguenze che potrebbe avere, perché non ne avrà alcuna, quanto qualche confronto tra i due opposti ideali di bellezza femminile in atto e quelli tra l’architettura classica e quella contemporanea.
Che vi sia una relazione tra la percezione che la società ha del corpo umano e quella dell’architettura è un dato abbastanza evidente. Basta confrontare architetture di qualunque epoca con dipinti o sculture coeve, per rendersene conto: le Madonne gotiche hanno in genere linee flessuose e slanciate, le figure e le composizioni di Piero della Francesca sono strutturate come autentiche architetture rinascimentali; nel caso poi dell’Eretteo architettura e scultura costituiscono un tutt’uno inscindibile.
E allora questa giunonica, solare, carnale ma imperfetta Lizzi la accosterei alle curve di questa umanissima Chiesa della Salute, un’esplosione controllata di curve e attributi:
Confrontiamo ora i due opposti modelli di bellezza femminile:
Certo, il secondo è un caso estremo ma quello più “comune” non cambia poi molto. Cosa c’è di umano in quell’immagine? Poco, perché siamo nel campo della pura astrazione geometrica, drammaticamente applicata ad un corpo di donna, ridotto a campo di sperimentazione per la “valorizzazione” dei capi che indossa: siamo alle estreme conseguenze (talvolta mortali) dell’uso del corpo umano come strumento di vendita di prodotti di tendenza (mi domando, per inciso, quale superiorità morale possiamo accampare nel condannare i cinesi che sfruttano i lavoratori nel momento in cui noi occidentali facciamo di questo sfruttamento un fenomeno da star e quindi da imitare).
Il prototipo architettonico che si presta a questo ideale di bellezza potrebbe essere il seguente:
Mi sembra che la poetica da era post-atomica dello scheletro sia anche qui portata alla estreme conseguenze.
Il contrasto, non solo stilistico, tra due concezioni dell’architettura l’ho rappresentato con queste due immagini accostate:
Da una parte una cupola, quella di Sant’Ivo alla Sapienza, in cui il dinamismo e la "trasgressione" delle regole sono impostate su una complessa simmetria (o euritmia, come spiega Guido Aragona su questo post del suo Bizblog), dall’altra un edificio spigoloso, scontroso, enfaticamente asimettrico e senza la riconoscibilità dei singoli elementi architettonici; quali le pareti e quale la copertura? E come saranno i solai? Non ha nemmeno senso domandarselo perché non c’è, in questo tipo di architettura, alcuna figurabilità (imageability) e quindi nessun riferimento, anche lontano, alla natura e alla figura umana. Pensare che Bernini ha scritto del Borromini: "non fonda le proporzioni sul corpo umano... ma sulle chimere"!
E viene a proposito un bell’articolo su Il Foglio di sabato scorso scritto da Roberto Persico su un libro di Clive Staples Lewis, Quell’orribile forza, Adelphi,1999, che Persico definisce “una celebrazione della bontà della carne e della vita quotidiana”. C’è un brano che ha attinenza con l’argomento:
“Il programma per la distruzione del «sistema delle preferenze istintive» prevede a un certo punto il soggiorno in una stanza in cui tutto, proporzioni, colori, quadri alle pareti, è strano, storto, squilibrato: l’allievo deve imparare che le vecchie prospettive a cui è abituato o queste nuove sono equivalenti. Ma proprio qui avviene la svolta: «Dopo circa un’ora, quella bara alta e stretta che era la stanza cominciò a produrre su Mark un effetto che il suo istruttore forse non aveva previsto. Come il deserto insegna per la prima volta ad amare l’acqua, o come l’assenza rivela per la prima volta l’affetto, su quello sfondo sgradevole e distorto si sovrappose una visione di ciò che è dolce e retto. A quanto pare esisteva davvero qualcos’altro - qualcosa che egli definì vagamente il Normale. Non ci aveva mai pensato prima, e invece eccolo lì – solido, massiccio, con una propria forma, simile a ciò che si può toccare o mangiare o di cui ci si può innamorare. Era un miscuglio di Jane, di uova fritte, di sapone, di sole, di corvi gracchianti a Cure Hardy, e del pensiero che fuori di lì, da qualche parte, in qualsiasi momento, c’era la luce del giorno». E Mark prende la sua decisione: «Sceglieva la parte con cui schierarsi: il Normale. Se il punto di vista scientifico conduceva lontano da tutto quello, al diavolo il punto di vista scientifico!».
Contro una visione anoressica dell'architettura, e soprattutto dell'umanità, questa foto:
31 agosto 2009
ELOGIO DELLA NORMALITA'
Pietro Pagliardini
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Etichette
Alemanno
Alexander
Andrés Duany
Angelo Crespi
Anti-architettura
antico
appartenenza
Ara Pacis
Archistar
Architettura sacra
architettura vernacolare
Archiwatch
arezzo
Asor Rosa
Augé
Aulenti
Autosomiglianza
Avanguardia
Barocco
Bauhaus
Bauman
Bellezza
Benevolo
Betksy
Biennale
Bilbao
bio-architettura
Bontempi
Borromini
Botta
Brunelleschi
Bruno Zevi
Cacciari
Calatrava
Calthorpe
Caniggia
Carta di Atene
Centro storico
cervellati
Cesare Brandi
Christopher Alexander
CIAM
Cina
Ciro Lomonte
Città
Città ideale
città-giardino
CityLife
civitas
concorsi
concorsi architettura
contemporaneità
cultura del progetto
cupola
David Fisher
densificazione
Deridda
Diamanti
Disegno urbano
Dubai
E.M. Mazzola
Eisenmann
EUR
Expo2015
falso storico
Frattali
Fuksas
Galli della Loggia
Gehry
Genius Loci
Gerusalemme
Giovannoni
globalizzazione
grattacielo
Gregotti
Grifoni
Gropius
Guggenheim
Hans Hollein
Hassan Fathy
Herzog
Howard
identità
Il Covile
Isozaki
J.Jacobs
Jean Nouvel
Koolhaas
L.B.Alberti
L'Aquila
La Cecla
Langone
Le Corbusier
Leon krier
Léon Krier
leonardo
Leonardo Ricci
Les Halles
levatrice
Libeskind
Los
Maffei
Mancuso
Marco Romano
Meier
Milano
Modernismo
modernità
moderno
Movimento Moderno
Muratore
Muratori
Musica
MVRDV
Natalini
naturale
New towns
New Urbanism
New York
New York Times
new-town
Nikos Salìngaros
Norman Foster
Novoli
Ouroussoff
paesaggio
Pagano
Palladio
Paolo Marconi
PEEP
periferie
Petruccioli
Piacentini
Picasso
Pincio
Pittura
Platone
Popper
Portoghesi
Poundbury
Prestinenza Puglisi
Principe Carlo
Purini
Quinlan Terry
Referendum
Renzo Piano
restauro
Ricciotti
riconoscibilità
rinascimento
risorse
Robert Adam
Rogers
Ruskin
S.Giedion
Sagrada Familia
Salingaros
Salìngaros
Salzano
Sangallo
Sant'Elia
scienza
Scruton
Severino
sgarbi
sostenibilità
sprawl
Star system
Stefano Boeri
steil
Strade
Tagliaventi
Tentori
Terragni
Tom Wolfe
toscana
Tradizione
Umberto Eco
università
Valadier
Valle
Verdelli
Vilma Torselli
Viollet le Duc
Vitruvio
Wrigth
Zaha Hadid
zonizzazione
9 commenti:
Pietro, il post mi pare intrigante, le immagini che hai scelto sono perfette e gli accostamenti assolutamente pertinenti ed azzeccati, con un piacevole tocco di fantasia e leggerezza.
Ho solo una curiosità: Pietro da Ravenna, il più famoso dei teologi dell’ “ars memorativa” del Rinascimento, scrive come l’arte della memoria consista nell’associare immagini opportunamente scelte ai luoghi che si vogliono ricordare. Queste immagini devono essere tali, per associazione o per contrasto, da richiamare alla mente la visione della cosa che devono ricordare, devono cioè essere immagini che eccitino l’immaginazione.
Il miglior suggerimento che Pietro (da Ravenna), già nel lontano Rinascimento, riesce a dare è quello di collocare delle fanciulle nude nei luoghi, perché, egli dice, gli uomini ricordano con più facilità l’immagine di una fanciulla nuda che qualunque altra immagine.
Ma tu, Pietro da Arezzo, te lo sei letto Pietro da Ravenna?
Vilma
Vilma, non ho letto Pietro da Ravenna ma ora che me lo hai detto lo vado subto a cercare. Non dimenticare, però, che io mi chiamo Pietro, come il mio concittadino illustre Pietro Aretino (lo so che mi hai fatto un assist) al quale mi lega, oltre il nome, anche un certo gusto per la battuta salace, che nel mio caso parte con intenzioni bonarie ma i cui risultati, alla fine, possono risultare ugualmente distruttivi.
Non mi lega a lui nè la capacità letteraria, nè l'arrivismo cinico e neppure, aihmè, il successo con le fanciulle, che però apprezzo moltissimo, ma come puro godimento estetico.
In effetti il post è, oltre che ruffiano, secondo i canoni di Pietro da Ravenna, solo fotografico ed è nato davvero in maniera spontanea e istantanea alla visione di questa bella ragazza felicemente imperfetta, con qualche rotolo di carne in più sulla pancia (il tanto temuto "budino") con le caviglie non troppo sottili e, lo si intuisce, senza ciclopici seni siliconici, ma la cui immagine trasuda vitalità.
In realtà il tema è estremamente serio e meriterebbe una riflessione ben più approfondita anche, ma non solo, in relazione all'architettura.
Mi aspettavo, a onor del vero, qualche critica scandalizzata sul quel termine "normalità" che è molto in disuso in questi tempi di retorica mediatica e di conformismo buonista e su cui sono stato incerto fino all'ultimo. Ma forse, in ossequio alla giusta campagna contro l'anoressia,
si tollera anche il termine "normalità".
E non mi riferisco a te, ovviamente.
Credo che immagini come queste sarebbero, alla lunga, la ricetta migliore per quella campagna, invece che quella terrificante di Oliviero Toscani: la gioia invece della paura.
Ciao
Pietro
Caro Pietro,
penso che il post sia perfetto, così come il commento di Vilma e il tuo chiarimento in risposta. Concordo sul fatto che ci sia bisogno di un elogio della normalità.
Mi pare molto giusto il riferimento a Toscani. Bravo!
Caro Ettore, cosa dire, così, a fine estate: è una preparazione ai rigori dell'inverno; riempiamoci gli occhi di luce e speriamo in un po' di riscaldamento globale. A proposito del quale, e divago proprio molto, ho sentito questa ad un TG di ieri, nello stesso servizio: questo agosto sarebbe stato il 3° più caldo degli ultimi 10 (mi pare) anni e, secondo un non so quale gruppo di studiosi emiliani che hanno i dati delle temperature dal 1700!!!! sarebbe il più caldo da un secolo!!!!!!
Caspita,contemporaneamente il 3° in un decennio e il 1° in un secolo! Mica male come logica e come statistica.
Comunque grazie
Pietro
Su Toscani, se mi permettete l'autocitazione, ho espresso a suo tempo il mio parere
http://www.artonweb.it/fotografia/articolo21.htm
ed ho avuto anche qualche problemino, che però non mi ha convinta a togliere l'articolo.
Vilma
Pietro,
infatti anch'io ho sentito che è la terza estate più calda degli ultimi 150 anni ... oggi a Civitavecchia sono previsti 39° ... non sarà anche a causa delle immagini di modelle che circolano sui siti di architettura?
Scherzo ovviamente
Ettore
E' un articolo azzeccato e ricco di spunti interessanti e sviluppabili.
Grazie per la citazione (ma il mio era un discorso sporadico, dovrei sviluppare meglio quel discorso, spero di riuscire a farlo nei prossimi mesi), e per l'immagine della bella modella quasi rubensiana.
Riguardo a Oliviero Toscani, ma in generale, mi autocito anch'io, in un blog-articulett sbarazzino e scanzonato di qualche tempo fa http://bizblog.splinder.com/tag/oliviero+toscani
Grazie a te, Guido, e bentornato, immagino, dalle vacanze siciliane.
Ciao
Pietro
Posta un commento