Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


14 dicembre 2008

NOTE SUL CONVEGNO URBS

Pietro Pagliardini

Queste mie impressioni non possono in alcun modo essere riferite al convegno nel suo complesso, essendo stato presente alla sola prima giornata. Tuttavia, limitatamente a questa, alcune considerazioni posso azzardarle.

IL VECCHIO

Intanto dico subito che, una volta di più, ho riscontrato un divario forte, due diverse velocità, due approcci al mondo della professione di architetto, e quindi dell’architettura, da una parte tra coloro che, a vario titolo, da accademici o da architetti liberi professionisti o da entrambe le posizioni, si interessano all’architettura e alla professione avendo l’occhio attento alla società che cambia e, ognuno a suo modo, cerca di dare risposte, magari sbagliate, magari viziate da opportunismi personali, ma sempre con la consapevolezza di una realtà in evoluzione, e dall’altra dal mondo istituzionale degli architetti, quello degli Ordini Professionali, che invece sono sempre più fermi, immobili nella conservazione assoluta dello status quo, pronti a riconfermare, punto su punto la loro esistenza come garanti …. della propria esistenza stessa, cioè totalmente auto-referenziali, sordi e ciechi rispetto alla realtà, mummificati in un ruolo che li rende corpo estraneo a coloro che essi dovrebbe rappresentare, chiusi nella fortezza delle loro vecchie certezze come antidoto alla mancanza di un ruolo vero che non sia che quello di garantire la sopravvivenza di un sistema, quello degli ordini appunto, che ormai altro non è che il retaggio di una società passata, che si trascina nel presente, diversa da quella attuale, sia quantitativamente che qualitativamente. Dico questo avendo ascoltato il Presidente dell’Ordine di Roma, o suo delegato non saprei, che, oltre la inevitabile parte formale, ha ripetuto la solita, vecchia, stanca tiritera sui concorsi, affermando che tutto dovrà andare a concorso, senza il benché minimo accenno ad una nota critica e auto-critica, ad un qualsiasi riflessione, ad un pensiero su questa formula e sulla sua gestione, mentre da parte di moltissimi ormai si denuncia il fallimento di questo sistema come fonte di vera e propria corruzione. Come altro chiamare lo scambio dei ruoli tra giurato e concorrente denunciato con chiarezza e tra gli applausi, da Orazio Campo, come da Prestinenza Puglisi nel suo sito, come da alcuni blog che nascono proprio come una esigenza di denuncia puntuale e precisa contro questo sistema?

Non pretendo certo che l’Ordine debba opporsi ai concorsi ma ciò che è disarmante è la totale mancanza di una riflessione, ma direi proprio di pensiero sul passato e sul presente da cui formulare una proposta per il futuro; un attaccamento acritico e puramente ideologico ad una formulazione di questi che palesemente non solo non danno frutti concreti, e quei pochi scadenti, ma è un vero fattore di inquinamento, etico e professionale, tanto più grave in un metodo che, per definizione, dovrebbe risultare equo e soprattutto finalizzato al conseguimento del miglior risultato possibile. L’attuale sistema di concorsi va a braccetto con i peggiori difetti accademici e fornisce un po’ di linfa agli ordini per dialogare con il potere e collocare la propria squinternata casta nelle commissioni. Ad altro non giova.
Ma tant’è, ai convegni si va anche per trovare conferme e in questo gli Ordini non deludono mai. Semmai è mancata una lamentazione sull’abolizione dei minimi tariffari ma chissà quanta fatica sarà costata il reprimerla.

IL (QUASI) NUOVO

Di nuovo ho assaporato …..il clima, più che i contenuti. I convegni sono anche una vetrina, una parata, una rappresentazione in cui ognuno, in proprio o in nome e per conto di organizzazioni, recita una parte, si mostra, svolge un ruolo preciso, si posiziona, lancia segnali, manda avvertimenti, per cui è difficile ascoltare posizioni nette, dichiarazioni forti nei contenuti e certamente questo convegno era abbastanza influenzato dal significativo cambio di maggioranza nel Comune di Roma. Lo definirei, perciò, un convegno di tipo interlocutorio caratterizzato da …..segnali di fumo.

ORAZIO CAMPO
Il più deciso e aperto è stato Orazio Campo, non solo nella denuncia di cui sopra, ma anche nel rilevare i cambiamenti che stanno avvenendo nel sistema dei grandi centri commerciali e nelle conseguenze che questi possono avere negli assetti territoriali. Le tendenze che Campo ha rilevato nel ridimensionamento dei centri commerciali e di una loro parziale trasformazione in luoghi per la residenza, con ciò creando una delle condizioni per la nascita di veri e propri quartieri residenziali dotati dei servizi necessari , non è molto diversa da quanto sta accadendo in Gran Bretagna, dove il governo ha assunto come modello per i nuovi insediamenti commerciali nel territorio agricolo l’esperimento riuscito di Poundbury, il villaggio voluto dal Principe Carlo e il cui piano è stato disegnato da Lèon Krier.

Un esperimento che ha funzionato così bene che, terminata la prima fase, adesso ha iniziato la nuova espansione. Se questo è vero, esiste non solo la riconversione dei centri esistenti ma anche una riflessione per quelli nuovi. Una riflessione che è necessaria per gli architetti e per gli amministratori i quali devono sapere che, nel momento in cui vanno a collocare in una determinata area un outlet o un ipermercato, cui nel tempo si affiancano nuove attività commerciali o artigianali che da questi traggono un bacino d’utenza, domani queste attività possono esaurire o diminuire la loro spinta commerciale e la trasformazione naturale che verrà richiesta dalla proprietà sarà, inevitabilmente, quella tradizionale della residenza.
Quindi ciò che nasce come area specializzata, cattedrale del consumo nel deserto, potrebbe invece dare luogo ad un nuovo modello insediativo, che di nuovo avrebbe però solo l’età ma che null’altro è che un insediamento tradizionale con un mix di residenza, commercio, uffici, attività produttive di servizio. A quel punto non potranno mancare i servizi e le infrastrutture pubbliche necessarie alla nascita di una comunità vera.
Per questo sarà importante il problema delle scelte di localizzazione ma anche quelle del disegno urbano, della forma della città, sia nel caso della riconversione sia, a maggior ragione, nel caso dei nuovi interventi.
Per questo il sogno dei matti tradizionalisti, antichisti, visionari e conservatori allo stesso tempo, potrebbe assumere i contorni della realtà e, invece di assistere al pur significativo modello degli outlet-finte città, potrebbe darsi il caso di dover progettare vere città con una forte impronta commerciale. E’ un cambiamento di paradigma sostanziale.
Degna di nota anche la denuncia che Campo ha fatto della “sperimentazione” fatta sulla pelle dei cittadini, riferendosi, come caso limite, al Corviale.

FRANCO PURINI
Purini ha concentrato la sua attenzione sul rapporto tra scelte urbanistiche e architettoniche e sociologia, vista la presenza, non fisica ma via Skype di Bauman. La sua risposta è stata, in ogni caso, un richiamo ad una certa concretezza e ad una autonomia disciplinare dell’urbanistica dalle grandi narrazioni sociologiche, stimolanti quanto si vuole ma che non prevedono relazioni immediate e dirette dall’uno all’altro campo. Delle analisi sociologiche è necessario cogliere il senso generale, le linee principali di tendenza e andare oltre la cronaca: che nel mondo occidentale, ed europeo in particolare, esista il problema nuovo, almeno in queste proporzioni, e dirompente dell’immigrazione e della difficile convivenza tra culture e popoli diversi non se ne sono accorti solo i sociologi.

Che il nostro paese sia, apparentemente, più impreparato di altri a fronteggiarlo è anche vero. La soluzione peggiore da adottare sarebbe però quella di seguire l’esempio di quei paesi che prima di noi hanno avuto quel fenomeno, come la Francia ad esempio, creando squallidi quartieri ghetto da cui poi si alimenta il disagio sociale. L’idea di costruire quartieri di case popolari, o edilizia sociale come si dice oggi, può diventare estremamente pericolosa e quando si parla di emergenza abitativa c’è da tremare, perché c’è da aspettarsi nuovi insediamenti che, contrariamente a quelli degli anni ‘60 e ‘70 non saranno abitati solo da un’unica componente sociale ma anche da popoli diversi che, a quel punto, difficilmente potranno integrarsi nel tessuto sociale della città dovendo soffrire la doppia discriminazione sociale ed etnica.

La mia impressione è che la formula dell’edilizia sociale debba essere completamente rivista e sembra anche sia l’impressione di Purini se ha fatto un riferimento chiaro al lavoro di Nikos Salìngaros.

Perché ho detto che solo apparentemente l’Italia è più impreparata? Perché la lentezza da bradipo delle nostre istituzioni pubbliche può, per assurdo, in qualche caso essere un fattore positivo perché consente, con differenze geografiche sostanziali, un adattamento naturale del fenomeno come avviene in alcune città in cui la prima ondata grossa di immigrazione si è distribuita naturalmente in ogni quartiere, non dando luogo a ghetti.
Il fenomeno dell’integrazione e della convivenza resta, ma questo è un fenomeno sociale e politico che è di livello superiore agli urbanisti, come riconosce lo stesso Bauman.

Gli urbanisti possono solo cercare di prevedere ciò che accadrà quando devono intervenire sulla città dal punto di vista fisico, quando tracciano strade o quando non le tracciano, quando disegnano isolati o quando optano per l’edificio in mezzo al lotto, quando propongono tipologie edilizie che permettano una miscela tra soggetti sociali diversi, sapendo che le “case popolari” devono essere “case come le altre”, mentre nel passato le “case come altre” sono state progettate come le “case popolari”. Certo, in questi casi un po’ di sociologia deve venire incontro perché è forse bene sapere che gli immigrati di certi paesi e quelli di religione islamica difficilmente possono vivere in maniera civile in 50 mq, visto l’alto tasso di natalità e i complicati rapporti familiari.
Ma anche molte famiglie italiane non vivono bene in 50 mq.

PAOLO PORTOGHESI
Portoghesi mi è sembrato più distaccato dall’agone anche se non ha mancato di prendere posizioni chiare, in senso negativo, sui nuovi interventi in programma e in essere all’EUR (Velodromo, nuvola, torri). Ha ripercorso storicamente alcune vicende romane, ha riaffermato il principio di fare trasformazioni anche nel centro di Roma ma ha dovuto prendere atto che quelle fatte sono state sbagliate (es. Meier).
Soprattutto ha cantato, giustamente, un inno a Roma, alla città di Roma (non al potere romano), definendola eterna in quanto capace ancora di insegnare architettura ed urbanistica al mondo, e ha ribadito il principio base che ogni intervento nel cuore della città può essere fatto solo a condizione che prima se ne faccia una lettura attenta e se ne riesca a penetrare l’anima.

Ha infine riconosciuto all’EUR un valore di “modernità” , anzi ha detto che “…., non per realizzare un compromesso tra razionalisti e tradizionalisti, ma invece questa occasione affidata nelle mani di un tradizionalista (Piacentini), più o meno illuminato a seconda dei tempi, molto sensibile alle politiche, ha dotato la città di uno dei suoi elementi di modernità. Paradossalmente se c’è un quartiere a Roma che può rappresentare la modernità è proprio l’EUR nel senso che somiglia poco alla città storica, prende lezione soprattutto dalla città romana antica e per certi aspetti è estranea al carattere di cordiale tessuto storico, però ha una sua forza d’immagine, una sua complessità, una sua logica interna indiscutibile”.

Anche Portoghesi, come Campo, ha richiamato l’architettura a valori civili e democratici, almeno indirettamente, quando ha affermato: “Poi l’architettura moderna ha scoperto la democrazia e si è resa conto che i bisogni, i desideri delle persone sono importanti, non basta soltanto imporre il proprio punto di vista di minoranza”. Diciamo che l’ha voluta inquadrare storicamente questa idea e, a mio parere, commette un errore di collocazione, perché è vero che l’architettura moderna ha scoperto i bisogni ma ha anche sempre imposto il proprio punto di vista di minoranza: minoranza culturale anziché politica, ma sempre di imposizione si tratta.

Tuttavia leggo questo richiamo alla democrazia, sfumato quanto si vuole, se letto insieme all’attenzione per i segni della storia, come un segno dei tempi, come una stanchezza verso l’imposizione, da parte di pochi, alla città, di progetti, di esperimenti che ignorano totalmente la città stessa e i suoi abitanti.



N.B. La foto aerea dell'Outlet di Barberino è tratta da Pagine Gialle Visual

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non è la prima volta che noto con stupore che avvisa tramite il blog, di convegni e simili, a posteriori.

Sembra quasi che sia geloso di tenere per se quelle informazioni, quasi che avesse paura di venir spazzato via da persone più capici che partecipassero a quegli incontri.

Lasci perdere architetto, non ha capito proprio niente del web.

Le lascio un altro spunto: che cos'erano gli architetti nel medioevo: sette di muratori che custodivano i segreti del costruire.
Poi "qualcuno" iniziò a diffondere trattati...

Comunque sia viva Salingaros!

Pietro Pagliardini ha detto...

E’ la seconda volta, la prima su Archiwtach, che lei mi lancia questa accusa, per me ridicola, di gelosia. Su Archiwatch non l’avevo nemmeno capita tanto bene, tant’è che ho ironizzato. Adesso che l’ha chiarita meglio le rispondo con maggior serietà.
1) Questo non è un blog di servizio perché non ne avrei la forza, il tempo, soprattutto la voglia. E’ un blog di commenti, di diffusione di idee altrui e qualcuna anche mia.
2) Forse, dico forse, lei vuole sottintendere che almeno nel caso di Salìngaros, di cui è evidentemente un estimatore, del quale parlo spesso e con il quale, grazie al blog, ho instaurato un rapporto di amicizia e di modesta (da parte mia) collaborazione, potrei informare anticipatamente sugli eventi di cui riuscissi a venire a conoscenza. In realtà, con l’eccezione della prima volta che venne a Firenze, e di cui non detti notizia perché l’ingresso in Orsanmichele era a numero limitato per motivi di agibilità della sala (così era scritto nell’invito), la seconda ed unica altra volta che è venuto (per la pensilina di Isozaki) io la notizia l’ho anticipata in un post.
3) E’ chiaro che se ci fosse un convegno (e io ne venissi al corrente in tempo) che avesse al centro del dibattito le idee sulla città e sull’urbanistica che in questo blog cerco di diffondere, lo comunicherei eccome; ma questo non era il caso di Roma. Tenga conto che il secondo giorno erano previsti Rudy Ricciotti e il gruppo MVRDV, quindi l’esatto opposto di Salìngaros, Krier ecc. e anche il primo giorno, come lei può leggere dai resoconti, non è che erano prevedibili rivoluzioni copernicane.
4) Visto che lei è esperto di web, avrà certamente osservato che di blog che non stanno sulla cronaca, che non danno informazioni di servizio ce ne sono moltissimi e anche apprezzati. Il mio, poi, è un “lavoro” prettamente artigianale, fatto da una persona sola, cioè da me, che di mestiere faccio altro che scrivere su blog, ed è assolutamente necessario che amministri il tempo in maniera attenta, visto che ne sottraggo già molto alla mia occupazione principale.
5) Non capisco niente di web? Questo è probabile, però smetterò quando mi sarò stancato, visto che nel web c'è posto per tutti e io non occupo spazi altrui.
Non voglio, né potrei, convincerla a leggermi, vorrei solo farle capire che accusarmi di "gelosia" (non saprei di cosa) è assolutamente surreale: andare ad un convegno non è esclusivo come andare al Rotary Club.
Saluti
Pietro

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