Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


31 dicembre 2008

LPP: STAR-SYSTEM DA BOCCIARE? SI', FORSE, ANZI NO

Pietro Pagliardini

E così anche Luigi Prestinenza Puglisi (LPP), con il suo Editoriale di fine anno si va ad aggiungere al coro di quelli che hanno preso atto dello sfinimento delle architetture autoreferenziali, egomaniache, de-contestualizzate, sempre diverse le une dalle altre ma tutte eguali nell’impossibilità di poter trovare un criterio di giudizio se non di tipo esclusivamente individuale.

Riconosce la volatilità e l’inconsistenza delle teorie filosofiche usa e getta che ogni brava Archistar utilizza, appoggiandosi ora all’uno ora all’altro filosofo o maitre a penser di turno e di successo, come riconosce il fatto che l’aspetto pubblicitario, il marketing architettonico, dietro cui c’è il marketing immobiliare ovviamente, è la molla che spinge verso l’alto quei prodotti architettonici. In effetti si tratta di pubblicità occulta, da sottoporre al Garante, mai di un bello spot televisivo inserito tra quello di un detersivo e quello di una nuova auto che sarebbe una forma preferibile, più diretta e onesta, invece che inserire quelle immagini di architetture in programmi TV, sfondi di film, riviste di moda, ambienti in cui si aggirano auto negli spot.

Si azzarda, LPP, anche a prevedere un futuro e lungo stato di confusione, che lui chiama meltdown, e io chiamerei più prosaicamente marmellata, in cui “dominerà non la logica del confine ma quella dell’hypertesto”, che io definirei invece commistione di generi, non per atteggiamento autarchico ma perché credo che la prima cosa da fare per allontanarsi da quel tipo di architettura di cui egli stesso denuncia i limiti sia anche non adottarne il linguaggio evanescente, sfuggevole, ambiguo, liquido in cui si può riconoscere tutto e il contrario di tutto; se in un critico di architettura, quale è LPP, il linguaggio stesso che dovrebbe descrivere una realtà si presenta come linguaggio della commistione, difficile che la descrizione della realtà non ne sia influenzata. Ma direi anche che ingenera nei lettori l’idea che, in fondo, la commistione, il meltdown, o marmellata, sia atteggiamento da seguire anche in architettura, cosa che in effetti viene in buona parte confermata in alcune delle 7 ipotesi di lavoro successive con cui mi sembra che venga contraddetto tutto quanto detto all’inizio.

Sì perché alla critica LPP fa seguire 7 ipotesi di lavoro per il futuro.
Le chiama correttamente ipotesi, quindi proposte da essere discusse e verificate, ma è ovvio che nel discuterle il giudizio è inevitabile. Quello che però conta, credo, è che la formulazione di ipotesi di lavoro dà il senso del procedere, dell’andare avanti, della critica che non si limita a distruggere ma propone.

La prima ipotesi, l’insoddisfazione di fronte all’oggetto chiuso, è la prima, giusta reazione alla totale mancanza di attenzione al contesto che da molti decenni a questa parte, e negli ultimi anni maniera epidemica, caratterizza la produzione architettonica. Straordinario l’aforisma “Occorre riscoprire la verità banale che ciò che si vede dalla finestra è più importante della forma della finestra”. Notevole anche il richiamo ai valori immateriali dei luoghi. Se non ci fosse una consapevole reticenza ad utilizzare la parola storia sarebbe un’ipotesi da 30 con lode. Vista la mancanza togliamo la lode e lasciamo il 30.

La seconda ipotesi, l’urgenza di sperimentare nuovi materiali e nuove tecniche sembra di buon senso, ma in realtà nasconde la trappola dell’ecological-correct, per cui la nuova architettura diventerebbe ciò che in parte comincia ad essere già ora: figlia di un solo genitore, monotematica, e perciò ideologica e pronta ad essere smentita appena cambi il vento. L’architettura tradizionale soddisfa in realtà molto bene ai requisiti richiesti.

Le successive ipotesi contengono tutte, soprattutto l’ultima, molti dei difetti di indeterminatezza e volatilità di concetti che sono tipici dell’architettura dello star-system e di cui LPP traeva, all’inizio dell’articolo, conclusioni negative. Cosa significa per l’architettura parlare della "fine dell’hic et nunc"? Cosa significa che “oggi non viviamo più in un solo spazio"? Di quale spazio si parla, di quello mentale incorporeo e quindi senza luogo? Mi sembra che ci sia una banalizzante concessione al virtuale, alla comunicazione che non può, in effetti, che produrre equivoci ed effetti da Matrix che è sì un bel film ma l’architettura è costruzione materiale di spazi esterni ed interni per l’uomo, il quale uomo non possiede il dono dell’ubiquità, ma che può invece comunicare con tutti i luoghi della terra attraverso strumenti tecnologici.

Confondere il mezzo con il fine è quanto è stato fatto negli ultimi anni e io avevo capito che era il momento di cambiare.

Con tutto il rispetto ho l’impressione che i giudizi iniziali siano molto di maniera e poco digeriti se le ipotesi di lavoro sono quelle.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

C'è sempre un notevole parallelismo tra ciò che scrive LLP e ciò di cui scrive: voglio dire, il modo letterario nel quale esprime i concetti è perfettamente speculare ai concetti stessi.
Ho sempre provato piacere a leggere ciò che scrive, indipendentemente da ciò che significa, il che non so se è un bene o un male.
Nell'articolo a cui rinvii noto una certa insolita stringatezza, come se anche LLP sentisse il bisogno di radunare le idee, il che forse è bene.
Nel complesso, concordando con te, mi pare che LLP faccia un po' quello che tira il sasso e nasconde la mano, il che forse è male.
Vedremo.

Saluti e auguri, che il 2009 sia migliore del 2008 (per ciò che mi riguarda non ci vorrebbe molto)
Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

E' innegabile che LPP scriva molto bene. Ha una capacità narrativa naturale e credo potrebbe essere un ottimo romanziere.
Io non lo leggo spesso, in verità, ma posso dire che, se io sono fazioso, e lo sono, LPP non scherza affatto. E' singolare quella una sorta di accanimento con Gregotti, che è il suo bersaglio principale. Lo tira in ballo quasi sempre, come se fosse ancora lui a dirigere l'orchestra. Non mi sembra che sia ormai così, anche se è sempre l'architetto Vittorio Gregotti.
Quanto alle analisi di LPP, sono sempre molto penetranti ma ad un certo punto sembra come fermarsi, come se si fosse pentito di essersi spinto troppo avanti e a quel punto fa il "critico d'architettura". Questa è almeno la mia sensazione, ma può darsi che mi sbagli.
Ciao
Piero

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