Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


8 ottobre 2008

GREENWASHERS

Questo post mi è stato inviato da Angelo Gueli, Architetto e Restauratore di Parchi e Giardini storici con studio a Firenze, e affronta il tema dell'architettura sostenibile in maniera originale e smaliziata. E' un'analisi molto razionale, disincantata e ironica che offre strumenti per orientarsi nel mondo dell'architettura eco-sostenibile.


GREENWASHERS
di Angelo Gueli

Premessa
E’ di qualche giorno fa un bell’articolo di Robert Adam che individua una nuova schiera di operatori nel settore edilizio: i Greenwashers. I pensieri di Adam mi hanno dato la possibilità di mettere per iscritto alcune considerazioni. Le mie riflessioni non sono quelle di un esperto o di un tecnico specializzato, ma quelle di un semplice professionista che vuole approcciarsi in modo “laico” al dibattito in corso sulla sostenibilità ambientale dell’architettura contemporanea. Questo vuole essere anche un modo di ribadire l’idea che l’attività professionale di ogni giorno, che attraverso i singoli percorsi personali trasforma il volto delle città e degli aggregati urbani in cui lavoriamo, deve essere permeata dalla consapevolezza del peso delle conseguenze delle nostre azioni progettuali. Un edificio, una strada, una lottizzazione, non sono soltanto delle opere di ars aedificandi, ma sono anche e fondamentalmente la loro ricaduta sociale e ambientale.

GREENWASHERS. Chi sono costoro?

Senza timore posso definire i Greenwashers un sottoprodotto dell’attuale cultura egemone in campo architettonico. Sono quei tecnici in grado di far rientrare anche i più funambolici esperimenti dell’architettura contemporanea dentro i cosiddetti parametri della sostenibilità ambientale. Ovvero essi attraverso le loro conoscenze scientifiche e tecnologiche, adattano gli edifici di questa o quella Archistar (ma anche di meno blasonati architetti), trasformandoli in edifici a basso consumo energetico.
Attraverso un sapiente gioco, intervengono sui progetti edilizi con accorgimenti tali da mimetizzare il vero carattere delle architetture che “ripuliscono”: un po’ di gas fra i cristalli, un vetro oscurato, un po’ di poltiglia di blu jeans, qualche pannello fotovoltaico e via discorrendo fino a raggiungere i risultati voluti. E fin qui niente di male; è lecito anzi doveroso pensare ad edifici che abbiano basse emissioni di gas serra, che consentano al loro interno dei parametri climatici ottimali per la vita degli esseri umani e al contempo non nuocciano all’ambiente. Questo essere eco friendly è uno dei cavalli di battaglia di certa architettura contemporanea e a dirla così sembrerebbe che il lavoro dei Greenwashers sia fondamentale per il futuro dei nostri aggregati urbani se non addirittura encomiabile.

Purtroppo però c’è l’inganno. I conti di questi demiurghi della coibentazione sono inattendibili, e di fatto costituiscono il dito dietro al quale gli estremisti dell’architettura ipermodernista si nascondono, uno dei mezzi attraverso i quali giustificano le loro spericolate sperimentazioni formali e materiche.

Le leggi, i protocolli e i regolamenti stabiliscono i parametri di calcolo del consumo energetico sulla base dei Kw/mq consumati o comunque si riferiscono a consumi energetici su base unitaria, su questi assunti si gioca la partita della sostenibilità ambientale. E proprio in questa considerazione si trova la risposta all’inganno dell’ecosostenibilità in chiave modernista.
Cercherò di essere più chiaro: al conto del consumo energetico e di conseguenza delle emissioni di gas serra che ogni edificio inevitabilmente immette in atmosfera va aggiunto il consumo energetico necessario alla sua costruzione. Ovvero il consumo energetico necessario alla realizzazione di ogni singola lastra di titanio, zinco, cristallo, poliuretano, calcestruzzo, acciaio e quant’altro utile e necessario per la sua realizzazione, sommata naturalmente al costo energetico necessario alla sua costruzione che va quindi dagli scavi alla copertura.

Non basta, a questo conto vanno aggiunti i costi energetici per il mantenimento e manutenzione dell’edificio, ed infine i consumi necessari alla sua alienazione, che sono quindi quelli del riciclaggio per i materiali riciclabili e dello stoccaggio per quelli non riutilizzabili.

A questo punto bisognerà aggiungere il consumo annuo per mq, questo sì calcolato su base unitaria, moltiplicato per il numero degli anni di vita presunta dell’edificio.

Quello che verrà fuori sarà un valore molto più attendibile di quanto non possa mai essere un kw/mq che fa riferimento esclusivamente alla conduzione dell’immobile. Mi si obbietterà che non è possibile calcolare esattamente la durata di un edificio e pertanto anche questo valore è falsato. Ma così non è, in quanto è facile stabilire un periodo di vita minimo per il quale non è economicamente sostenibile la realizzazione di un qualsivoglia edificio, e questo numero di anni potrà essere facilmente utilizzato come parametro per individuare un consumo energetico plausibile, che è fondamentale per consentire di confrontare le varie tipologie e tecnologie costruttive.

Fatte queste considerazioni, cerchiamo di applicarle alla quotidianità del costruire; la prima cosa che salta chiaramente agli occhi è che progettare edifici che siano portatori di elevati consumi energetici prima ancora di essere costruiti è di già un errore. Evitare l’errore è estremamente semplice: basta dimenticare come dove e quanto hanno costruito i nostri padri e guardare come dove e quanto hanno costruito i nostri nonni. E nel riferirmi a questo non ho nessuna intenzione di guardare a particolari cifre stilistiche ma tuttalpiù a indicazioni tipologiche e tecnologiche.

Nel selezionare i materiali da costruzione ci si deve rivolgere a operatori locali usando prodotti dalla trafila produttiva quanto più semplice possibile. É ovvio che l’impatto ambientale prodotto da una copertura in zinco/titanio è eccezionalmente superiore di quello prodotto da una copertura in laterizio, in primo luogo perché i produttori di lastre di titanio non stanno dietro l’angolo (e i lunghi trasporti non sono mai ambientalmente convenienti), come invece succede per le fornaci da cotto che capillarmente sono diffuse su tutto il territorio nazionale nel caso dell’Italia, ed in secondo luogo per la complessità del processo che a parità di mq prodotti consuma maggiori quantità di energia. Questo stesso principio di selezione può e deve essere applicato a tutti i materiali che oggigiorno sono utilizzati durante i processi produttivi, considerando con molta attenzione il “peso” di ogni materiale utilizzato nella pratica costruttiva e deve vedere nella sua più o meno complessità realizzativa uno dei fattori fondamentali di scelta. Non mi si fraintenda pensando che si debbano bandire tutti i nuovi ritrovati in campo edilizio ma si deve guardare i nuovi materiali non con sospetto ma con disincanto, basta pensare alle migliaia di “restauri” nei quali si sono utilizzati intonaci a base cementizia e tinteggiature al quarzo, c’è ancora chi le usa.

Fabbricare e costruire inquina comunque, la gestione di questo inquinamento è compito dei buoni progettisti.
Per mia grande fortuna abito in una casa realizzata tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, niente di particolare, una casa costruita da e per dei contadini o poco più, eppure essa è in pace con il mondo, costruita con grossi e solidi muri in pietra e mattoni (naturalmente intonacati). Questa casa ha un bilancio energetico migliore di qualsiasi altro edificio costruito negli ultimi 50 o 60 anni non solo per come è stata costruita, o perché è orientata nel modo corretto, o per le sue finestre che sono proporzionate agli ambienti né troppo grandi né troppo piccole, ma soprattutto e fondamentalmente perché è vecchia. La sua età è il parametro fondamentale per poterne calcolare la sostenibilità, la quantità di energia che essa ha utilizzato per essere realizzata va distribuito per gli anni della sua durata.
Questo immobile sicuramente mi sopravvivrà. Sopravvivrà a me e molto probabilmente anche ai miei nipoti, la sua manutenzione ha dei costi energetici ridicoli. Quando malauguratamente dovrà essere demolita si trasformerà in un bel mucchio di sassi e legno o, in un caso più fortunato, diventerà una fascinosa rovina magari avvolta dall’edera. Per diminuire le emissioni di gas serra dovuti alla regolazione termica degli spazi di vita quotidiana è bastato uno strato coibente sotto i coppi e modificare l’impianto di riscaldamento, aggiungendo una bella stufa a legna collegata ad un cronotermostato (perché la modernità e la tecnologia non sono peccato ma un’enorme risorsa) e spero di poter presto sostituire l’intonaco esterno a base cementizia, realizzato una quindicina di anni fa dai precedenti proprietari, con un buon termointonaco a base di calce.

Cosa diventeranno gli edifici che le ultime generazioni di architetti hanno costruito? Nel più recente passato la promessa di eternità dell’onduline per i tetti si è avverata trasformandosi in vita eterna per i poveri operai che la producevano. Quali enormi costi energetici comporta e comporterà ancora per molti anni lo smaltimento di questi veleni?

Oggi, terrorizzati dal global warming, stiamo producendo milioni di metri cubi di silicio fotosensibile con una promessa di produttività di non più di 25 anni, ma chi smaltirà i pannelli fotovoltaici che oggi stiamo istallando sui tetti di mezzo mondo e quale è il costo energetico della loro produzione e quale sarà il costo energetico del loro smaltimento? Economicamente è certamente un bell’affare ma a conti fatti: produrranno molta più energia di quanta ne hanno dissipata per essere realizzati e di quanta ne consumeranno per essere smaltiti? Forse, ripeto forse, un buon professionista dovrebbe indicare ai propri clienti che anziché un ipotetico guadagno fra una decina d’anni (sono questi i tempi in cui diventa economicamente redditizia l’istallazione di un pannello fotovoltaico) è meglio investire il proprio denaro iniziando a risparmiare energia da subito utilizzando tecniche e metodi ben rodati, non escludo anzi mi auguro che in pochi anni la tecnologia ci porti a realizzare dei pannelli fotovoltaici in grado di produrre veramente energia, pannelli il cui costo ambientale di realizzazione e smaltimento sia nettamente sopravanzato dalla produzione di energia.

In Oriente intere città vengono costruite senza il seppur minimo controllo energetico, per il semplice motivo che i gruppi ingegneristici che le costruiscono fanno abuso delle consulenze dei Greenwashers; foreste di grattacieli che inesorabilmente sono destinate ad un veloce declino proprio perché nelle loro tecnologie costruttive, nel loro DNA progettuale, è memorizzata la data di scadenza. Mostri destinati ad immolarsi all’altare dell’ipercapitalismo. L’enorme dispendio energetico destinato alla loro conduzione e manutenzione e l’indeterminatezza che è innata nell’uso delle tecnologie avveniristiche utilizzate sono il cancro che li affligge fin dalla nascita, quando il loro mantenimento diventerà economicamente insostenibile allora dovranno essere demoliti.

Non tutti gli edifici sono la torre Eiffel che, in quanto simbolo, può permettersi una manutenzione dai costi inauditi, non tutte le villette unifamiliari sono la villa Savoye che in media ogni 10 anni deve essere restaurata per la carenza strutturale che la affligge.

Con grande attenzione noi progettisti dobbiamo avvicinarci ai temi del riuso e conversione del patrimonio edilizio esistente, utilizzando le nuove tecnologie in modo propositivo per trasformare gli edifici che ci circondano rendendoli vivibili e sostenibili: la grande sfida dei prossimi anni sarà quella della riconversione degli edifici che sono stati realizzati nell’ultima metà del secolo scorso.
Non tutti naturalmente possono abitare o vivere in ambienti lavorativi pluricentenari, ma tutti hanno il diritto ad usare degli edifici che abbiano una speranza di vita più che secolare. E’ profondamente immorale progettare degli immobili che non sopravvivano al progettista, non possiamo continuare a scaricare sui nostri figli gli effetti devastanti delle nostre scelte progettuali.

Le conoscenze e le tecnologie dei greenwashers sono una risorsa, ma in mani sbagliate si trasformano in una bomba ad orologeria.
In fondo in fondo una sola cosa terrorizza il greenwasher, che si possa anche per un istante pensare ad un muro in mattoni a due teste magari con intercapedine e controparte interna, questo lo spiazza, perché il potere del suo verbo si sgretola di fronte all’ovvietà del saper costruire.

Angelo Gueli

P.S.
Adesso scagli la prima pietra chi non si è mai servito di uno di questi maghi del kappatermico, io personalmente in preda ad una crisi da megavetrata ho fatto decine di telefonate ad uno di questi santoni, strisciando ai suoi piedi pur di avere quel magico numerino che ti certifica, e poi ottenuta la “divina relazione” mea culpa, mea culpa, mi sono pavoneggiato dicendo in giro che il mio progetto era eco.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Piero
questo non è un commento.
Se potessi farei una domanda ai tuoi lettori, cosa rispondereste a questo dialogo che ho avuto con un paio di architetti?

D. hai partecipato alla stesura del piano Citylife, non pensi che sarebbe meglio progettare una città a misura d'uomo?
R. Milano non è una città a misura d'uomo, chi la vuole può andare a vivere altrove

D. non sarebbe preferibile che gli architetti evitassero certi eccessi?
R. premetto che a parlar male degli architetti non si sbaglia mai [smile] però bisogna smetterla con queste preoccupazioni, in realtà solo uno su cento è influenzato dalla forma mentre tutti possono usufruire delle buone soluzioni

Magari le risposte interessano solo a me che non sono del settore, in questo caso aspetterò di imprare leggendo il blog. Continua così.
CAB

Pietro Pagliardini ha detto...

Io do la mia risposta che non vale ovviamente per Angelo.
Risposta 1) Non credo affatto che Milano non abbia luoghi a misura d'uomo. Comunque la risposta del tuo amico architetto dimostra che la città è considerata come un oggetto d'uso qualsiasi: non ti piace? cambia città. Cambiare città non è la stessa cosa che aprire il guardaroba e scegliere la camicia giusta. Dimostra anche un atteggiamento nei confronti delle persone un pò sbrigativo.
Risposta 2)Può darsi che tu abbia riportato sommariamente la risposta del tuo amico ma sinceramente non capisco cosa siano le "buone soluzioni" e, ammettendo di intuirle, non vedo perché non si possano avere "buone soluzioni" con buone forme. E poi una buona forma non è già in sè una soluzione migliore di una cattiva forma?
Ricapitolando: il tuo amico mi sembra molto spregiudicato e cinico.
Ha lavorato a CityLife: va bene; avrà guadagnato: va bene; è stato a contatto con un mondo rutilante e di successo: va bene; ha conosciuto Libeskind, Hadid e Isozaki: va bene. Potrebbe risparmiarsi il disprezzo verso la città e i cittadini e godersi in pace le sue soddisfazioni.
Saluti
Piero

Anonimo ha detto...

Sono stato impreciso.
La prima domanda è stata rivolta ad uno che (guarda che coincidenza) mangiava di fianco a me proprio oggi, sconosciuto, ma molto orgoglioso della sua (credo microscopica) partecipazione.
La seconda era rivolta ad un amico, sullo stesso tema, ed ho avuto una risposta più articolata che, come hai intuito, ho riassunto in due parole.
CAB

Anonimo ha detto...

Mi inserisco qui, scusandomi per il disordine che creo, con una riflessione.

La preoccupazione del bilancio energetico mondiale è una questione recente, segue ad una serie di scuole di pensiero che hanno fatto la storia dell'ecologia. Si è visto un poco di tutto, dalle esaltazioni ideologiche ai tentativi razionali di affrontare il problema; dopo gli eccessi giovanili si sta (forse) arrivando ad una visione matura; per ora l'opinione pubblica è ancora troppo spostata sul fronte dell'inquinamento, credo che gli scienziati siano consapevoli della necessità di un equilibrio energetico mentre sento ancora parlare di energia a basso costo e pulita, ma "pulita" può essere solo quella che mantiene l'equilibrio. Il pianeta ha raggiunto un equilibrio riuscendo a trasformare quella ricevuta dal sole, in eccesso, in forme potenziali, legno, petrolio e altre trasformazioni endotermiche. L'uomo, giustamente, ha usufruito di queste forme ma senza tenerne una contabilità.
Pertanto esiste un aspetto di cui non si parla, credo sia dovuto alla difficoltà di definirlo e agli scarsi interessi economici che potrebbe muovere. Cerco di dare un abbozzo del mio parere personale.

Tutto lo sviluppo tecnologico ed energetico dell'ultimo secolo ruota su un solo fattore: il lavoro gratuito di uno schiavo. L'energia fornita dal petrolio, per quanto pagata, ha eliminato il rapporto lavoro-uomo/resa, nel senso che il fattore di moltiplicazione è diventato così elevato da non avere senso rispetto all'era pre-industriale; questo ha reso possibile lo sviluppo di tutto (davvero tutto) in una quantità e forma che sarebbe stata impossibile altrimenti. In assenza di petrolio anche le altre fonti energetiche che si sono sviluppate parallelamente avrebbero richiesto un costo di lavoro così elevato da non permettere il tipo di società che conosciamo; se qualcuno ha dei dubbi può provare a tagliare alberi in un bosco con una sega elettrica invece che a motore o a far volare aereoplani con motore atomico. Per ogni joule di lavoro reso abbiamo un proporzionale rilascio di calore e di inquinanti come sottoprodotto, alteriamo l'equilibrio fino al punto di ottenere conseguenze non sopportabili.
Io credo che siamo ancora lontani dalle catastrofi planetarie di cui si legge a volte, ma chi ha un figlio con la leucemia può considerarsi uno dei primi a cui è chiesto il conto.
Questo sviluppo, con tutto quello che si è generato di buono e di cattivo, è andato espandendosi fino all'anno 2000, credo che ci siano varie ragioni per cui per quella data ha fatto da catalizzatore di forze diverse, comunque sia da quel momento è cominciata una variazione, che comporta un continuo aumento dei costi e, in seguito, riduzione dell'energia disponibile; l'intervento nel panorama mondiale della Cina avrà l'effetto di una molla, prima assorbe ma poi deve rilasciare, per cui ha mascherato in questi ultimi anni il problema alterando il rapporto lavoro-uomo/resa ma si dovrà mettere anche questo nei conti prima o poi.
Si può pensare che stiamo vivendo un periodo di transizione fra una fonte energetica ed un'altra, che questa nuova potrà continuare l'età dell'oro, magari portandola al suo fulgore; non è la mia opinione.
Anche in assenza di inquinanti nocivi il solo uso dell'energia diventa motivo di squilibrio, per questo sono convinto che il calo di energia disponile a basso prezzo continuerà per molto tempo, sotto la spinta della necessità di raggiungere l'equilibrio, e che siamo all'inizio di una svolta nella storia, salvo sorprese su cui, in questo momento, si possono fare solo ipotesi irrealistiche.
Questo fatto comporterà un retuning dello stile di vita mondiale e ci si auspica che avvenga in tempi tali da non creare tensioni, ma anche su questo ho dei dubbi, in queste settimane poi ho anche degli incubi.

Per gli architetti si aprirà, con gli stessi tempi, la possibilità, forse la necessità, di costruire in un modo certo molto diverso da oggi e potrebbe essere necessario ristudiare tutte le soluzioni che la storia millenaria dell'umanità ci ha lasciato.

Pietro Pagliardini ha detto...

caralbas, io rifuggo dalle visioni e previsioni di lungo periodo.
Anche te, tutto sommato, apri scenari di cambiamento ma in maniera dubitativa.
Io mi accontento di pensare che occorre diversificare le fonti, non fosse altro per problemi geopolitici. Quanto a prevedere nuovi modelli di sviluppo i fatti sono due: chi non ce l'ha lo sviluppo lo vuole e non saprei dargli torto, chi ce l'ha lo vuole conservare, e anche a questi, cioè a noi, non saprei dargli torto.
Cosa succederà? Non lo so ma ho letto un divertente ed ottimista articolo di Roberto Vacca che afferma che l'energia fossile non è in realtà fossile e ad una profondità di circa 6 km vi è petrolio in quantità immense. Comunque un pò di fiducia nella capacità dell'uomo di trovare soluzioni bisogna averla.
Il compito di noi architetti mi sembra comunque molto limitato, checchè ne dicano gli architetti: risparmiare energia, come dice Gueli. Il resto spetta alla scienza, noi siamo solo applicatori.
Saluti
Pietro

Anonimo ha detto...

Ti lascio una buona risposta:
01/08/2008 - PREVEDERE IL PREVEDIBILE E FRONTEGGIARE L'IMPREVEDIBILE
http://www.euresis.org/it/Dettaglio_Editoriale.aspx?id=12

di cui sottolineo una frase "Si tratta di quella quota più o meno modesta di energia che consente a ciascuno di vivere con dignità.."

Mi rimane la convinzione che i contadini di buon senso notino certe cose prima degli scienziati, che si affidano al [necessario] metodo scientifico.

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