Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


7 agosto 2008

LA FIGURA - Parte seconda

Parte seconda: Le figure create dall’uomo, l’Architettura

di Giulio Rupi

Dunque, se nella prima parte abbiamo scritto di come la natura si organizza, secondo le necessità che si svolgono nei millenni, in figure cui è estraneo il concetto di bruttezza, in questa parte dimostreremo che anche per le opere dell’uomo vale lo stesso assunto: anch’esse, fino al momento in cui è avvenuta la discontinuità del Moderno, si sono strutturate secondo la necessità in figure riconoscibili, figure anch’esse estranee a quella che noni definiamo come “bruttezza”.

E vedremo che, come (raramente) la natura, in seguito a eventi improvvisi e catastrofici, si struttura in forme non più figurali, così anche l’uomo, nella Modernità, ha iniziato a creare forme astratte, senza figura, nell’Arte, nell’Architettura, nella musica e via dicendo.

L’Architettura tradizionale si pone dunque in continuità con le forme della natura perché segue anch’essa le leggi della necessità.
Se accostiamo l’una all’altra una pianta secolare e una capanna preistorica, vediamo le stesse regole della necessità nel radicarsi sulla terra dell’una e dell’altra, l’una con solide radici, l’altra con allargate fondazioni in pietra.

Vediamo il tronco levarsi verso l’alto a cercare la luce e, accanto, i muri della capanna salire a protezione dell’interno, con le aperture rivolte al percorso del sole.

Vediamo la chioma dell’albero aprirsi alla luce da cui trae energia e, accanto, il tetto della capanna che conclude la costruzione e la protegge dalle forze del cielo.

Possiamo definire “belle” o “brutte” le infinite forme di Architettura spontanea che si sono costruite in tutto il mondo e che hanno come archetipo di base la capanna fatta di cinque segmenti: un segmento orizzontale per il terreno, due segmenti verticali per i muri, due segmenti inclinati e convergenti per la copertura?

Questa “cosa” costruita dall’uomo secondo necessità è una figura come sono figure le “cose” costruite dalla natura.

Noi aderiamo con la nostra mente alle figure dell’Architettura spontanea così come aderiamo alle figure della natura: percepiamo quelle come perfettamente integrate e in continuità con queste perché frutto di un medesimo processo di necessità.

Ma dalla capanna primordiale fatta di cinque segmenti derivano, secondo processi di evoluzione, di accrescimento della complessità che però non modificano la sostanza dell’assunto, tutte le successive forme dell’Architettura tradizionale, dal tempio classico alla pagoda orientale, dalla cattedrale gotica o barocca al palazzo settecentesco.

Sono tutte figure costruite dall’uomo secondo un criterio in cui la necessità e la bellezza non sono che le due facce di un medesimo processo di creazione in continuità con la natura.

Quando si è detto “L’Arte imita la Natura” non si è detta una banalità dozzinale, ma proprio questa profondissima verità.

E dunque si può fare un parallelo tra l’Architettura tradizionale e l’Arte figurativa da una parte e tra l’Architettura modern(ista) e l’Arte astratta dall’altra.

Le prime da porsi in continuità con la natura nelle sue molteplici manifestazioni, le seconde da collegarsi alla natura quando questa assume forme “catastrofiche”.

Infatti non hanno più alcun rapporto con la figura e la necessità le architetture dcostruttiviste di Gehry come le torri storte della Fiera di Milano, ma queste architetture non sono che le estreme manifestazioni di una storia iniziata quando, agli inizi del ventesimo secolo, si è proclamato il distacco dalle forme della tradizione.

Questa rottura con la figura si è poi risolta in una diversa fruizione delle opere costruite.

L’Architettura tradizionale figurativa viene percepita come “gradevole” a tutti i livelli culturali perché attiene a un rapporto profondo tra l’uomo e la natura, con cui quest’Architettura si pone in continuità.

L’Architettura modern(ista) non figurativa richiede una fruizione a livello intellettuale, non istintivo, pari a quello con cui si osserva un quadro astratto o si ascolta una musica dodecafonica.

Questa fruizione è riservata a un’elite ed è preclusa alle masse, ma non ci stancheremo mai di ripetere che ciò non è consentito alla disciplina del costruire, che crea ambienti entro cui la gente, colta o incolta che sia, è costretta a vivere.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Al di là delle considerazioni di ordine generale che si potrebbero fare sulle teorie esposte, dato che non ha alcuna importanza che io le condivida o meno, mi voglio soffermare su una frase in particolare: “Quando si è detto “L’Arte imita la Natura” non si è detta una banalità dozzinale, ma proprio questa profondissima verità.”

Proporrei per contrasto un bell’aforisma del solito Oscar Wilde che dice:” La natura imita ciò che l'opera d'arte le propone. Avete notato come, da qualche tempo, la natura si è messa a somigliare ai paesaggi di Corot?”

Quella profondissima verità, infatti, ha retto egregiamente fino all’inizio del ‘900, perché per secoli all’arte (visiva) è stato delegato il compito di rappresentare la realtà, di essere mimesi del mondo, ma dall’espressionismo in poi le cose sono radicalmente cambiate.
Il motivo è semplice: qualcuno ha inventato la fotografia, una tecnica inizialmente sottovalutata (siamo nella metà dell’ ‘800), che tuttavia esplode in tutta la sua dirompente potenzialità proprio all’inizio del ‘900, quando il mondo si rende conto che, rispetto alla pittura, essa è in grado di riprodurre la realtà più fedelmente, più rapidamente, con costi minori e, soprattutto rendendo possibile la riproducibilità dell’immagine infinite volte senza che la qualità decada (Benjamin docet).

Si tratta di una rivoluzione epocale, causa della più grossa crisi di identità che l’arte abbia mai attraversato, perché con l'avvento dell'espressionismo tedesco cade definitivamente il concetto di rappresentazione come riproduzione delle ‘figure’ della natura e l’arte visiva diventa mezzo per una profonda analisi della psiche umana: lungo tutto il ‘900 la rivolta antimimetica delle avanguardie inventa infatti per l’arte, attraverso un lungo processo di travaglio e rinascita, un nuovo compito, quello di rappresentare non più la realtà concreta, ma quella invisibile, l’interiorità dell’animo umano, il subconscio, quello che nessuna macchina fotografica può materialmente cogliere e rappresentare.

E’ il ruolo che l’arte ha ancora oggi, perseguendolo ed esprimendolo nei vari modi della modernità, l’informale, l’astratto, il concettuale ecc…..


Si comprende come l’astrattismo sia stato una scelta obbligata, perché solo i linguaggi non figurativi sono in grado di esporre verità non semplicemente narrative ed indicare significati non legati a nessuna ‘figura’ riconoscibile né ad alcun altro mezzo di comunicazione, in virtù di quella che Reinhard Brandt nel suo ‘La filosofia della pittura’ (2003) chiama "l’inesauribile capacità comunicativa" dell'arte astratta.
Negando la rappresentazione del mondo oggettivo secondo i canoni tradizionali l’arte astratta elabora un linguaggio visivo autonomo, con significati propri, dove la realtà e la natura non sono più modelli e fonti di ispirazione, infatti Kandinskij, autore del primo quadro completamente astratto, si ispira alla musica, sicuramente la più astratta delle arti, mancando di concretezza materiale: da qui egli deriva la possibilità di attribuire ai mezzi pittorici, colori, linee, forme, un valore espressivo intrinseco, slegato da ciò che essi possono rappresentare, senza preoccupazioni naturalistiche, presi cioè nella loro "astrattezza", che in questo caso vuol dire per il loro significato puro, avente come scopo la sola rappresentazione di sè.

L’arte astratta è difficile? elitaria? impegnativa? Ma non è forse difficile indagare l’animo umano? capirlo? descriverne l’interiorità?


Se ho ben capito, nello scritto mi pare venga data per scontata la relazione tra arte astratta ed architettura modern(ista), e forse una correlazione è possibile intravedere nella totale aniconicità di entrambe, dell’arte che si affranca dall’imitazione delle ‘figure’ naturali, dell’architettura che si sottrae a ‘regole’ precostituite.

Ma mentre l’arte astratta è ormai entrata nell’ordine mentale della contemporaneità e la gente affolla le mostre di Rothko, Newman o Towbly quanto quelle di Van Gogh o Monet, l’architettura non ‘figurativa’ non ha ancora trovato una sua connotazione, anche se paradossalmente ha ricevuto accettazione e consensi.

Per ora possiamo solo ipotizzare che non sarà il decostruttivismo, con le sue esplosioni episodiche, individualistiche e soggettive ad edificare la terra nel prossimo futuro, perché, come scrive Leonardo Benevolo, “l’architettura è un’attività particolare, caratterizzata dal legame con la lunga durata. La novità effimera, in questo campo, serve a poco. Anche perché a una novità ne succede un’altra e un’altra ancora e questo meccanismo, accelerandosi, diventa futile…… “, possiamo anche presumere che non ci sarà una replica dell’architettura del passato e possiamo anche avere la fondata certezza/speranza che non si verificherà una mostruosa proliferazione del modello Dubai.

Per il resto, voglio chiudere con una frase di Robert Musil che suona come un toccante atto di fiducia nell'uomo e nelle sue possibilità:"La via della storia non di rado è uno sviamento. Il presente appare sempre come l'ultima casa di una città, che in qualche modo non fa già più parte dell'agglomerato urbano. Ogni nuova generazione si domanda con sorpresa: chi sono io? E chi erano i miei predecessori? Mentre farebbe meglio a chiedersi: dove mi trovo? Supponendo di non aver avuto altri predecessori che se stessa, ma semplicemente altrove".


Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

A questo commento non dovrei rispondere io ma Rupi.
E io infatti non rispondo ma lascio un mio autonomo commento.
Quello che ha voluto dire Rupi (almeno credo, perché ci troviamo in luoghi diversi e non ci siamo “consultati”) è semplicemente che architettura ed arte sono generi da tenere del tutto distinti in quanto la prima risponde alla necessità, perché assolve ad una funzione essenziale per l’uomo che è l’abitare, mentre la seconda ad una funzione di carattere “superiore” di tipo intellettivo.
Ciò significa che l’architettura è patrimonio di tutti, perché è un bisogno primario, mentre l’arte è patrimonio solo di alcuni. Infatti si può vivere senza arte, figurativa o astratta che sia, ed essere ugualmente felici, ma non si può vivere senza casa. Non a caso, se è vero che l’espressione artistica è antica quanto l’uomo, è anche vero che le pitture rupestri (figure della natura, bada bene) erano eseguite nelle grotte, cioè all’interno di uno spazio abitativo: quindi “primum vivere, deinde philosophare”. E la'rchitettura appartiene, prima di tutto, al vivere.
Per questo, dice Rupi:” Noi aderiamo con la nostra mente alle figure dell’Architettura spontanea così come aderiamo alle figure della natura: percepiamo quelle come perfettamente integrate e in continuità con queste perché frutto di un medesimo processo di necessità”.
In questo senso la percezione che l’uomo ha dell’architettura (ma sarebbe meglio chiamarla edilizia) è ad un livello primario, più basso, istintivo: è di pancia, prima che di intelletto.
Se questo è vero, e io credo che lo sia, l’accostamento tra architettura e arte è impropria, almeno nella maggior parte dei casi, sia riferendosi agli oggetti edilizi sia ai fruitori.
Venendo alle folle che riempiono le mostre di Rotko, intanto io dubito fortemente tanto delle motivazioni che vi stanno alla base quanto della reale comprensione (bada bene che ho detto “comprensione” e non “godimento” perché questa emozione appartiene ai sensi e per “godere” di Rotko bisogna avere alle spalle un esercizio intellettuale a lungo e a fondo coltivato). Le folle per l’arte sono molto utili per fare eventi, per il turismo, per il business ma il loro successo non è affatto sinonimo di qualità né degli autori né dei fruitori; infatti anche il Grande Fratello ha grandi numeri di ascolto ma ciò non rende quella trasmissione opera d’arte né chi la guarda migliore(non tirarmi fuori la body-art o l’arte neo-oggettuale che quella l’ho capita da solo).
Allora è certamente corretto e meritevole introdurre le casalinghe di Voghera all’arte moderna ma “educare” la gente all’architettura può tradursi in una sopraffazione perché è come, ad esempio, costringere qualcuno ad apprezzare il sushi se il suo palato preferisce….le salsicce. Che male c’è ad apprezzare le salsicce e chi l’ha detto che sia meglio il sushi?
Un nostro amico architetto(mio e di Rupi), persona di grande cultura e intelligenza, quando esprime il suo disappunto per quel tipo di politici che vogliono decidere ciò che è giusto o sbagliato per la gente usa un’espressione un po’ forte, che, per bon ton, io tradurrò in termini eufemistici; dice questo amico: “Vogliono insegnare al sedere a defecare”. Nella sua forma originale è molto più “espressiva” e colorita. Ecco, non si possono insegnare all’uomo alcune funzioni primarie che vengono….dalla pancia, appunto.

Come sai io ho molta fiducia nella capacità della gente di saper scegliere in campo architettonico, ed è per questo che voglio la consultazione popolare nei concorsi, mentre non ce l’ho affatto in campo artistico: perché la prima è istintiva e dettata da canoni ereditati e consolidati da secoli, perciò quello che la gente sceglie è la soluzione giusta, la seconda è mediata dalla cultura, o dalla mancanza di cultura, richiede studio, applicazione, è di elite, insomma, almeno per tutte le espressioni non figurative. E per venire alla musica, che come tu dici giustamente è la più immateriale delle arti, credo tu possa convenire con me che tutti ascoltano con soddisfazione, direi “sentono”, la gelida manina della Boheme ma di fronte ad un brano di musica sintetica sperimentale contemporanea solo pochi possono dire di apprezzarla e, soprattutto, di “reggerla”.
Sono sicuro che Rupi non apprezzerà troppo questo commento da sagra del maccherone (anche se so che si farà due risate) ma me ne assumo io la piena responsabilità ribadendo che lui ne è totalmente estraneo e all’oscuro e se ne dissocerebbe per le parti più crasse.
Per riabilitarmi, agli occhi suoi e di Vilma, sto preparando un post con alcuni brani di Caniggia e Maffei che spiegano infinitamente meglio di me i danni fatti dalla critica ufficiale di architettura che ha assimilato, in maniera generalizzata, l’architettura all’arte.
E’ solo questione di tempo perché accostare un mio scritto a quei due autori richiede serietà e una buona dose di umiltà, qualità che mi fanno difetto in questo periodo di ferragosto.
Buove vacanze
Piero

Anonimo ha detto...

Io sono vacanza, ma mi sembra che anche tu e qualcun'altro ne avrebbe bisogno!
Il post di Rupi è così chiaro e diretto, come tra l'altro è Rupi, che forse non avrebbe bisogno di commenti!
Come al solito Rupi è portatore di concetti universali ai quali, secondo me, non andrebbe aggiunto niente e che dovrebbero essere condivisi al di là delle diverse partigianerie su modernismo o antichismo!
Alcune verità sono asssolute, le torri di Ghery sono orribili e il Partenone è un capolavoro della natura (umana)!
E quando questi anonimi vogliono fare, invece che un commento, una somma letio non ho ben capito su cosa, mi annoiano!
Naturalmente in queste circostanze tu vai a nozze! Come credere che esistano ancora persone tanto "anticheeeeee" (ben diverse dagli antichisti) che ancora cercano di convincerci/convincersi che l'architettura moderna è una delle tante forme d'arte?
Rassegnati, è' una battaglia persa! L'unico modo sarebbe forse quello di farli andare a vivere per qualche giorno in una casa a forma di piramide con le finestre inclinate a forma di dodecaedro, mentre io nei miei sogni di modesto architetto amante delle forme semplici e dei fiorellini sogno di vivere in un casale di campagna, anche leggermente più piccolo di quello dell'esimio Asor Rosa, anche a ridosso di qualche lottizzazione

Un saluto a tutti
Francesco

Pietro Pagliardini ha detto...

Francesco è un collega e amico ma non quello colto, intelligente e sboccato del mio commento.

Delle tante sciocchezze che ha scritto ci sono però due verità:
1) Rupi è molto chiaro e non ha bisogno di spiegazioni, infatti Vilma l'ha capito benissimo, solo che le piace sempre guardare l'altra faccia della medaglia;
2)il Partenone è un capolavoro assoluto.
Per il resto.....meglio che Francesco si goda le sue immeritate vacanze pugliesi.

Qui siamo alle chat-line (ma non molto hot).
Saluti
Piero

Anonimo ha detto...

Rispondo cumulativamente a Pietro e a Francesco:

1) non era mia intenzione impartire una somma letio, se Francesco ha ritenuto tale ciò che ho scritto o mi sopravvaluta o si può tranquillamente allineare alle casalinghe di Voghera, destinatarie elettive delle mie letio (o si dice letiones?) e trarne ciò che vuole. Mi sono comunque adeguata ad uno scritto che espone "concetti universali", come dice Francesco, e che si configura esso stesso come somma letio.
Del resto, lo dice sempre Francesco, "Il post di Rupi è così chiaro e diretto" e, aggiungo io, il legame arte-architettura-figura-astrattismo talmente dichiarato che il mio scritto non mi sembra affatto immotivato, anche se il mio personale interesse per l'arte visiva può averlo 'appesantito' (sicuramente per Francesco).

2) quando Rupi scrive "E dunque si può fare un parallelo tra l’Architettura tradizionale e l’Arte figurativa da una parte e tra l’Architettura modern(ista) e l’Arte astratta dall’altra", mi pare, Pietro, che vanifichi la tua interpretazione (faziosa) che è invece:"Quello che ha voluto dire Rupi (almeno credo, perché ci troviamo in luoghi diversi e non ci siamo “consultati”) è semplicemente che architettura ed arte sono generi da tenere del tutto distinti".
Sono due concetti proprio opposti.

ciao
Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Touchè.
Pensare che Rupi, con sms, mi aveva nominato suo esegeta personale!
Saluti
Piero

Anonimo ha detto...

TOUCHE'?
ma ti rendi conto che è la prima volta che non sei in polemica con me?
Fioretto di Ferragosto?

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

No, nessun fioretto, è solo una tregua di Ferragosto per... recuperare i feriti. La guerra continua.
E poi la logica è logica e bisogna piegarsi. Devo perciò rivedere i dati di partenza.

Buon Ferragosto

Piero

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