di Pietro Pagliardini
Oggi ho visitato il MAXXI di Roma. La visita non era finalizzata al Tempio in se stesso, che era solo il contenitore in cui si svolgeva un convegno sulla nostra professione. Certo, pensare che la sede in cui si discute di crisi, parola diventata ormai sinonimo di professione, è costata se non ricordo male 120 milioni di euro, 12.000 euro a metro quadro, senza “opere d’arte”, suona a dir poco grottesco se non sinistro.
Arriviamo in taxi sotto un mezzo nubifragio. Non vedo l’edificio all'esterno, ne intravedo solo la sagoma.
Di corsa verso l’ingresso, accolti da una installazione di paglia o rafia marroncina, di gusto Malindi, che per forma e pendagli mi evoca Falcor, quell’essere parlante e volante del film “La storia infinita”. Non posso non osservare, per ovvi motivi meteorologici, che quella sembrerebbe una sorta di provvisoria (?) pensilina di ingresso la quale però non para quando piove e rilascia acqua quando non piove (verificato successivamente) e, con tutti quei volumi aerei che costituirebbero se non altro un buon riparo, proprio sopra l’ingresso c’è sadicamente un ampio vuoto che lo espone alle intemperie. Entriamo con gli ombrelli praticamente aperti. Mi rendo conto dopo che, senza Falcor, al solito l’ingresso non è troppo diverso dalle altre vetrate vicine. Guai a prevedere un minimo di gerarchia che non necessiti di altri segni per capire quale sia il volto dell’edificio.
La sveglia anticipata e il viaggio in treno, breve sulla carta, ma in ritardo, fa saltare i miei bioritmi e, grazie anche alla burrasca, non sono particolarmente vigile. Vedo che l’ambiente è bianco e grigio chiaro, qualche strisciata nera. La percezione dello spazio mi lascia totalmente indifferente.
Andiamo alla registrazione, un’isola bianca collocata opportunamente davanti all’ingresso (è già qualcosa). Il banco è curvilineo con contorsioni varie, forme arrotondate replicanti di un’altra installazione della Hadid che ha girato diverse città tra cui la mia. Il gioco delle curve è noiosamente lo stesso, cambia il materiale. Seguo l’indicazione del guardaroba e qui è tutto bianco-ospedale. Il banco di consegna ha il piano orizzontale che si inclina verso il pubblico e si arrotonda; penso: anti-infortunistico? Ne ricavo una sensazione alquanto sgradevole e spiazzante perché a casa mia, come in quella di molti altri, i piani dei tavoli sono orizzontali. Dal guardaroba, correttamente, si accede direttamente alla toilette. E' una toilette come un’altra, cosa vuoi aspettarti da una toilette, ma nel box wc c’è la genialatina: il wc è in acciaio ma con le forme di un vaso Richard-Ginori anni ’50. Mi intristisce un po’, anche se svolge la sua funzione come un qualsiasi altro vaso. C’è utilitas e forse firmitas ma manca decisamente di venustas.
Espletati tutti i consueti e necessari adempimenti, in attesa dell’inizio del convegno, torno nella hall. E’ lì ad un passo e comincio ad osservare. La lettura dello spazio è abbastanza semplice, nonostante gli arzigogoli delle scale e della copertura. Mi meraviglio del fatto che, in uno spazio dominato dalla ricerca di una esagerata e impudica fluidità, vi sia una certa corrispondenza tra le immagini viste a iosa e la realtà e manchi del tutto l’emozione della scoperta.
Ma non era Bruno Zevi a dire che la complessità dello spazio si può valutare solo nella terza e quarta dimensione, cioè entrandoci e scorrendoci dentro con il corpo, e la rappresentazione grafica e fotografica è solo un simulacro dello spazio reale? E su questo ci ha costruito tutta una retorica spaziale basata su aspetti di carattere sostanzialmente letterario, senza cioè una vera sostanza, quale la interazione tra spazio e uomo, ma che ha prodotto fiumi di architettura scombiccherata e priva di ogni codice condiviso che non sia l’assoluta libertà di farla come a ognuno pare meglio. Talchè ognuno potesse sentirsi artista. Ecco, in questo caso mi sembra che sia esattamente il contrario: l’originale è quasi deludente rispetto alle fotografie e le aspettative sono superiori alla realtà. Il che è tutto dire.
La sensazione prevalente è di indifferenza, interrotta solo dal fatto che, tutto sommato, lo spazio mi appare angusto, specie volgendo lo sguardo verso l’alto. Il ricordo corre a ben altra fluidità, quella del Guggenheim di New York, e all’emozione provata osservando a naso all’insù verso la cupola, con la spirale che scorre continua verso quella. Quella doppia fila di scale e ballatoi invece, ancorchè poste ad un’altezza ragguardevole - fatto constatabile dall’unica unità di misura possibile, cioè i visitatori - mi appaiono insignificanti, aldilà delle varie trovate delle scale con trave-parapetto nero e le luci sotto i pianerottoli.
La parete in cemento armato faccia a vista di fronte all’ingresso che fa da sfondo all’isola della reception è, tanto per cambiare, sinuosa, ma credo che le curve avrebbero potuto essere anche diverse senza per questo cambiare molto. Nel complesso mi sembra tutto molto manierista e stucchevole in questa ossessiva ricerca del curvo, del fluido, del continuum, unita al minimalismo dei colori e dei pochi arredi, che si risolve, almeno nella hall - solo quella io ho vista - in uno spazio allungato con giustapposte scale contorte. Messa in scena di gratuiti virtuosismi privi di qualità.
Entro nella sala convegni semi-illuminata. Qui non ci sono trovate particolari ed anzi le pareti laterali che convergono sulla parete di fondo, finalmente piana, lo fanno con una curva di raccordo che ben serve a convogliare l’attenzione verso il palco. Le sedute sono di ottimo design ed hanno la spalliera continua, quasi senza soluzione di continuità tra una seduta e l’altra. Solo sedendo ci si rende subito conto che il design rigoroso le rende scomode perchè l’angolo tra seduta e spalliera è quasi ortogonale. Ironia dell sorte, manca una curva proprio dove serve: all'altezza lombare.
Non ho visitato nient’altro perché il convegno è andato oltre il tempo previsto e il treno e lo sciopero incombente non aspettavano di assecondare le nostre curiosità, che peraltro non erano esagerate.
All’’uscita, finita la pioggia battente, noto che per terra, davanti a Falcor, c’è un cartello che credevo indicasse titolo e nome dell’autore; invece c’è scritto “Si prega di non salire sull’opera e di non fumare nell’area circostante”. Per l’appunto avevo la sigaretta accesa e avevo appena detto al mio collega che avrebbe potuto prendere fuoco facilmente. Ma di certo non mi sarebbe venuto in mente di salirci.
A parte questo dettaglio incendiario, mi hanno lasciato interdetto quelle file di pilastrini in acciaio, con una di esse rigorosamente inclinata come da copione, che tanto pilastrini poi non sono, in quanto di diametro non inferiore a quaranta centimetri, ma che appaiono del tutto esili e inadeguati in rapporto alla incombente massa di scatole allungate in cemento armato che sostengono. Non c’è ironia ma non c’è nemmeno alcun rapporto tra elementi verticali e orizzontali; c’è una insignificante e scorretta relazione che dichiara con tutta evidenza l'abisso che esiste tra un plastico, o un’immagine realizzata con software parametrico, e la realtà della costruzione. Quei pilastrini sono una risposta necessaria, ma irrisolta architettonicamente, alla forza di gravità che, ahimè, vale anche per Zaha Hadid.
E’ un’architettura che si vorrebbe svincolata dalla materia, e quindi non sarebbe architettura se l’esperimento fosse riuscito, ma è una brutta architettura proprio perché non è riuscito. Non sono quei pilastrini, gli stessi che sostengono molti volumi della fiera di Rho di Fuksas, il quale è stato molto più abile nell’integrarli in una sorta di navicelle spaziali o mostri d’acciaio,e che comunque ha utilizzato lo stesso linguaggio, almeno nei materiali: acciaio in verticale e acciaio in orizzontale. Essere costretto a sollevare Fuksas per abbassare la Hadid già mi turba, ma lo considero un espediente retorico, un termine di paragone tra due entità della medesima classe, tra due archistar.
Il treno non aspetta e, dopo uno sguardo all’arcinota testa di ET che allunga la sua testa fuori dalla copertura, dobbiamo scappare. Senza rimpianti. Questa architettura da regno del Nulla difficilmente sarà vinta con l’aiuto di un Falcor infiammabile.
9 commenti:
Caro Pietro,
non sapevo che fossi venuto a fare questa visita masochistica a Roma ... a saperlo ti avrei accompagnato per farci due risate sull'abominio che hai magistralmente descritto.
Una sola nota di correzione è d'uopo: il MAXXI è costato 160 milioni di euro, l'acquisto della "collezione" che non c'era è costato 60 milioni (tot. 220!!) e il costo di gestione annuale, a detta del precedente direttore, ad un anno dall'inaugurazione si aggirava intorno ai 75 milioni!
Come ben sai sono contrario alle sigarette ma, nel caso in oggetto ne avrei accesa una anch'io se la cosa fosse servita a questo falò delle vanità.
Ciao
Caro Ettore, non era programmata e non era una vista al MAXXI, ma un convegno di INARCASSA, per certi aspetti interessante. Non avrei avuto modo di incontrare nessuno perchè alle 15 avevo il treno di ritorno. Comunque, quello che ho visto mi è bastato e mi è avanzato. nel post sono stato leggero ma il giudizio mio è davvero tragico e non riesco a capire il motivo di un successo così grande della progettista. E quello che capisco ancora meno è l'innamoramento di molti architetti per questi progetti
Ciao
Pietro
Cari Pietro ed Ettore, mi duole dovervi contraddire nelle vostre sparate contro il Maxxi. Non avete capito la funzione culturale (anche se un po' costosa) di questa importante opera d'arte architettonica. A volte la furia tradizionalista (la vostra) impedisce di capire quale servizio per la collettività certe opere possono svolgere. Se oggi ciò non appare, di sicuro in futuro sarà più chiaro. Intanto anche tu, Piero, hai riconosciuto il simulacro di Falcor, personaggio che ormai fa parte dell'inconscio dei nostri bambini e che li accompagnerà nella loro passeggiata terrestre. Il Maxxi ne ha riconosciuto, unico al mondo, l'importanza sociale. E poi, scusate tutti e due, ma perchè non ci andate più spesso? Vi sareste accorti, se ci foste andati più spesso, di altre attività culturali già svolte in questo stimolante spazio architettonico dell'inconscio collettivo. Cosa che poche architetture sanno fare. Per esempio, non molto tempo fa, al posto di Falcon c'era qualcosa di ancora più legato alla nostra bellissima tradizione italiana (cosa che voi, lo so, apprezzate molto). Non era la parrucca di Jonah Falcon e cioè, spieghiamolo agli ignari lettori, l’uomo che ha il pene più lungo del mondo (digitate su google http://attualissimo.it/luomo-con-il-pene-piu-grande-del-mondo/). Era qualcosa invece di molto più italiano. Era un ritrovamento importantissimo per la storia antropologico-burattinica. Era, nientepopodimenochè, il sistema osteolitico del collodico figurino che fu vittima del fato avverso impersonato dal gattovolpiano ingegno. Al posto di Falcon, in poche parole, c’era lo scheletro di Pinocchio, il bambino col naso più lungo del mondo (il naso, non il pene!) (http://www.nessundove.net/wp-content/uploads/photos/2010/italia/lazio/maxxi_intro.jpg http://m2.paperblog.com/i/10/105869/maxxi-a-roma-L-_zthDo.jpeg ). Questo Maxxi, come vedete, presenta sempre delle cose formato ... maxxi!
Caro Pietro,
pochi giorni fa ho assistito ad una lezione tenuta da Patrik Schumacher, il "teorico" dello studio Hadid e ho provato la tessa sensazione di noia, per non dire di repulsione: i lavori erano tutti uguali, sempre le medesime forme! In effetti non si capisce dove stia il merito degli architetti, visto che le forme le crea sostanzialmente il computer mentre loro schiacciano tasti sul pc, e le strutture le realizzano gli strutturisti!
Ciao
Tommaso
Tommaso, a me l'unico Shumacher che mi piace è il pluricampione del mondo di formula 1.
Te hai ragione quando parli degli strutturisti. Non a caso gli ingegneri del MAXXI sono italiani e si sono molto arrabbiati per non avere avuto una citazione all'inaugurazione del MAXXI. Questo dimostra due cose:
- l'ignoranza di chi esalta architetti come la Hadid senza conoscere il processo architettonico. Non sanno cosa sia, lo ignorano e trattano appunto di un edificio come fosse un quadro o un oggetto qualsiasi creato da un artista
- lo sforzo fatto dagli ingegneri, leggibilissimo proprio in quel copro aereo in foto, con giunti realizzati, molto bene, uso viadotto, dimostra che la Hadid disegna un edificio con lo stesso criterio con cui disegna le scarpe, cioè senza conoscere o fregandosene del processo, cioè della costruzione, cioè dell'archittetura.
Ergo la Hadid è molto poco architetto ma è piuttosto un designer, e a me non piace nemmeno come tale.
Questo è un giocattolone che, date le sue dimensioni, non entra in una casa e allora occupa uno spazio urbano. Ma parlare di architettura è davvero troppo
Ciao
Pietro
caro Pietro,
mai errore di battitura fu più appropriato, volevi parlare di "quel corpo aereo" ma involontariamente l'hai anagrammato in "quel copro aereo" dando la giusta definizione di questa "architettura coprofila" di Zazà
ieri l'altro ero a Roma, e stavo per cedere alla tentazione di andare a vedere coi miei occhi il "giocattolone" o il "soprammobile" della Zazà. Ma la pioggerellina mi ha indotto a ripiegare sulla galleria d'arte antica di Palazzo Barberini, che non avevo ancora visitato da quando liberato della servitù militare. L'impressione è stata ottima, riguardo la qualità delle opere esposte, e del restauro-ripulitura delle sale. Meno positiva l'impressione dei servizi aggiuntivi: shopping merchandising caffetteria...decisamente deboli. inammissibile poi, a mio parere, la mancanza di un collegamento interno tra i tre piani dell'esposizione, con necessità di uscire all'aperto nei trasferimenti tra i piani. Ascensori? pochi, situati in posti non utili, e nella quasi totalità non in servizio.
Certo che Roma è sempre favolosa! nonostante l'abuso che ne viene fatto (l'occupazione di suolo pubblico dei vari dehors è davvero superiore ad ogni decenza! ma almeno, rende?). Inquietante il contrasto tra lo sfruttamento "selvaggio" e non regolamentato (tipo gladiatori al Colosseo, al Pantheon e altrove), e la mancanza di un servizio di orientamento-spiegazione-aiuto. Ciò comporta che, ad esempio, una chiesa ricca e meritevole come S.Maria sopra Minerva, a pochi metri da Pantheon, non essendo in alcun modo segnalata, rimane del tutto defilata e non accoglie nemmeno un centesimo dei turisti che, beatamente e beotamente, ciondolano nei paraggi.
A proposito di nulla e di negazione del diritto di nascita.
Vi segnalo questa mia ultima fatica (pochissima in verità).
Prendetela per quello che è:
uno scherzo semiserio con il quale ho un po' giocato sui personaggi che ritornano nelle nostre discussioni
http://www.amatelarchitettura.com/2012/12/oscar-e-lapproccio-terminator/
Divertente e fantasioso, anche se a parti completamente invertite.
Il mio breve commento l'ho lasciato su amatelarchitettura
Ciao
Pietro
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