Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


24 febbraio 2011

PASSATISMO CONTRO MODERNO-NON-MODERNO

Questo post è in stretta relazione con il suo omonimo nel blog Archiwatch di Giorgio Muratore, scritto da Giancarlo Galassi, allievo di Gianfranco Caniggia, e alla sua lettura rimanda per una comprensione dell'argomento. Avverto che per leggere l'originario post è necessario scaricare un file di word.
Quello che segue è il commento, che io ritengo conclusivo dell'argomento, non una volta per tutte ma certamente in ordine alle argomentazioni oggetto del post stesso e di alcuni suoi commenti, scritto da memmo54 che mi ha autorizzato a pubblicarlo. Ringrazio anche Giorgio Muratore, a cui non ho chiesto il permesso, ma ho presunto che me lo avrebbe dato e comunque sono certo che non mi denuncerà per questo.
L'argomento è la proposta di ricostruzione di parte di un isolato in Via Giulia, a Roma, e nasce da un numero speciale de Il Covile a questo dedicato e che invito a scaricare e leggere.
Le premesse sono sinteticamente queste:
-il prof. Paolo Marconi viene invitato dal Comune di Roma a presentare una proposta metodologica di ricostruzione per l'area di Via Giulia;
- Marconi risponde con una ricostruzione filologica;
- il progetto non è condiviso dall'ufficio del centro storico e Alemanno invita sette architetti più o meno famosi a presentare altre proposte;
- tutti e sette gli architetti rifiutano il restauro filologico e presentano progetti "contemporanei";
- nel frattempo, però, gli studenti dell'Università di Notre Dame, guidati dal prof. Ettore Maria Mazzola avevano da tempo studiato l'area, producendo alcune soluzioni redatte da gruppi di studenti;
- il Sindaco decide di far scegliere i cittadini, limitando però la scelta solo ai progetti dei sette architetti "moderni" e non quello del prof. Marconi, tanto meno quello della Notre Dame.
Da questa palese manifestazione di pensiero unico nasce il numero de Il Covile e il conseguente post di Giancarlo Galassi su Archwtach.
Non voglio ripetere la mia ammirazione per il testo di memmo54, già espressa su Archiwatch, per non farla troppo lunga.

Il commento di memmo54:

Del sito conosciamo benissimo quanto demolito; meno bene le case romane che v’erano sotto. Non sappiamo se fossero domus, insulae o cos’altro. Lanciani non me ne da notizia: riporta solo alcuni tratti di strada romana su vicolo del Malpasso.
Dovendo procedere ad un progetto e/o restauro, sinonimi anche nel nostro caso, e nell’incertezza forse è più utile raccogliere le indicazioni, attendibili, più recenti : potrebbe anche essere una rifusione matura di celle primitive.

Comunque quanto demolito aveva senso compiuto ed era in sintonia con tutto il costruito dei pochi millenni trascorsi. Credo, sinceramente, che tutti l’abbiano ben presente.
Lo era per tipologia o derivazione tipologica; per tecniche, per materiali e per quel linguaggio epidermico, con cui confrontarsi inevitabilmente, che turba i sonni, lo sospetto, a più di un addetto ai lavori.
La tipologia, nel senso più esteso, è sicuramente una chiave di lettura ineludibile. Ma pur sempre “una” lettura e sarebbe riduttivo ed ingenuo derivarne tutto il progetto, a meno che una schiera di scatoloni di vetro o cls posti a schiera possano essere gabellati per romani purchè abbiano volumi e bucature al posto giusto.
La tradizione, nel suo fenomeno più radicale qui denominato passatismo, è comunque cosa complessa.
Così come complessi sono anche i materiali, le tecniche, il linguaggio: presi da soli non risolvono alcunchè non mettono al riparo da nulla.
Però quelle mostre quelle cornici quel bugnato, quei tetti, quei colori che tanto disturbano, sono parte integrante, dell’architettura e dell’universo; forse la più significativa ed immediata, la più leggibile, anche se non sempre calata nella situazione opportuna. Rimangono strumento insostituibile di comunicazione tra uomini ed architetture che sembrano, a prima vista, ignorarci ed ignorarsi.

Lo sono anche a dispetto della rigorosità e della coerenza con quanto “preordinato” strutturalmente o tipologicamente; così che in molte espressioni “genuine”, l’apparato linguistico di superficie travalica la semplicità insita, ponendosi come “sostanza” esso stesso.
Tutti concetti ovvi, banalissimi che sembra pleonastico rimarcare…ma tant’è …repetita juvant.

D’altronde il linguaggio, di qualsiasi genere lo si intenda, è “comunque” un copia ed incolla (…come si dice ora…): è, inevitabilmente, una ripetizione di esperienze passate, attimi di vita trascorsi, sedimento di generazioni e generazioni di architetti invisibili, scomparsi, sepolti: da cui dedurre, senza allontanarsi molto dal vero, che il tempo è il peggiore degli inganni; non è mai passato veramente.

Però 80 anni di civiltà industriale, ora in declino e prossima allontanarsi da questi lidi, hanno creato il deserto, nel cuore degli architetti, strappandoli dal naturale contesto, dalla vita, per consegnarli indifesi e soli a sbrigarsela ognuno col suo peccato, ad affaticarsi su indimostrabili miti, su approcci tecnico-scientifici volubili ed evanescenti, “insostenibili” sotto tutti i punti di vista.
Saremo costretti – malgrado noi, par di capire – a risperimentare il nostro passato dopo averlo superficialmente superato e dimenticato in questa febbre e frenetica incoscienza da divinità in delirio.

Il recupero potrebbe essere per molto tempo un aborto, una mescolanza infelice tra nuove comodità ed antiche miserie.
Ma ben venga anche questo modo confuso e caotico questo “passatismo”.
Tutto è meglio del tipo di architettura e di vita che la modernità impone.

Saluto
memmo54

8 commenti:

antonio marco alcaro ha detto...

Il pensiero "unico" è proprio quello di Marconi e di quelli che la pensano come lui, non ci sono progetti contemporanei e progetti non contemporanei, ci possono essere soltanto Progetti con la P maiuscola fatti da architetti e ricostruzioni filologiche per cui non c'è bisogno di architetti ma di storici.
Perché vi ostinate a pensare che oggi, per la prima volta nella storia, non è mai successo nel corso degli ultimi 3000 anni, non si può esprimere la contemporaneità e bisogna soltanto copiare il passato ?

Pietro Pagliardini ha detto...

antonio marco alcaro, ad una domanda così non posso che rispondere con la domanda inversa: perché la contemporaneità si dovrebbe esprimere? Che cos'è la contemporaneità?
Inoltre ti domando: non ti sembra che la "contemporaneità" si sia già abbastanza espressa e che tale espressione sia un fallimento evidente?
A cosa attribuisci la colpa del fatto che le nostre città sono brutte e invivibili? A Paolo Marconi, forse, e a quelli come lui? Quali danni hanno fatto costoro? E dove? Di quali peccati si sono macchiati? Citamene uno almeno.
Vorrei che tu riflettessi un momento solo su queste domande.
Ciao
Pietro

qfwfq ha detto...

ti sei perso un mio commento.....
ciao

Pietro Pagliardini ha detto...

Mi spiace, ma non mi sono arrivati altri tuoi commenti a questo post. Può darsi che sia stato troppo lungo (max circa 4000 caratteri) e che tu sia abituato ad una piattaforma diversa. Ho cercato sia nella posta che nei commenti moderati, tante volte ce lo avessi messo per sbaglio ma non c'è niente.
Ciao
Pietro

antonio marco alcaro ha detto...

Caro Pietro
stai decretando il fallimento della nostra epoca, allora dovremmo tutti noi cambiare mestiere e aspettare una nuova era in cui ci si potrà tornare ad esprimersi.

Pietro Pagliardini ha detto...

Che la nostra epoca abbia dichiarato fallimento in ambito urbano non sono io a decretarlo, non ne avrei l'autorità, ma è un giudizio unanime oltre che un dato di fatto. Credo che nel vostro stesso blog amatelarchitettura lo diciate spesso, magari in altro modo.
Le differenze esistono, e sono profonde, sulle cause e quindi sulla cura di quella che è una malattia grave e a carattere degenerativo.
Il mio pessimismo e il mio disincanto risiede nel fatto che la cultura (questa volta la scrivo senza la K) italiana è del tutto autoreferenziale e priva di idee. La più impegnata, che qualcuno ritiene la migliore, insiste ancora con la proprietà dei suoli e con la rendita ma, quand'anche per assurdo tutto il suolo fosse pubblico, cos'altro si farebbe se non ciò che è stato fatto fino ad oggi nei PEEP d'Italia? E non mi riferisco alle vergogne più grandi quali i soliti Zen, Corviale, Scampia, il serpentone di Genova, San Polo a Brescia, ecc. ma quasi tutti i piani di zona di città grandi e piccole. Anche l'edilizia privata è certamente scadente ma non per il solito obbiettivo diversivo della "speculazione", quanto per la mancanza assoluta di un'idea di città da parte della cultura e della pubblica amministrazione, dato che, comunque la si giri, all'origine c'è sempre un progettista, in genere architetto: che fa il PRG, che fa il piano attuativo, che fa il progetto. E alla speculazione non interessa tanto il "come" ma il "quanto".
E il quanto, cioè le dimensioni, non è un male assoluto se è ben fatto; pensa alle densità dei centri storici e alla necessità, ormai condivisa da molti (a parole, ma smentita nei fatti) di non espandere la città ma di farla crescere entro se stessa.
Esistono, e lo so benissimo, condizioni sociali ed economiche che hanno spinto e spingono verso una dissoluzione della città, ma se perfino nella ricostruzione di parte di un isolato nel centro di Roma, e ribadisco ROMA, si ritiene di dover imporre quello stesso criterio fallimentare che ha sovrainteso alla distruzione della città e alla costruzione delle periferie, accanendosi invece contro progetti rispettosi della storia e bollandoli come falsi e disneyiani, cosa diavolo si può sperare da questo establishment culturale?
Ciao
Pietro

memmo54 ha detto...

Anche in Architettura il pensiero, qualcuno l’avrà sospettato, si articola solamente in presenza di un linguaggio. In sua assenza è difficile parlare di pensiero, tantomeno di pensiero unico.
Caratteristica è la sostanziale identità nella storia. La lentissima, a volte impercettibile, evoluzione permette comunque di mantenere un rapporto costante e ricucire un’epoca con l’altra. La Maison Carrè parla ancora alle casine basse e modeste d’intorno; dialogava con il teatro antistante, inferiore ma non indegno. L’edificio di Foster, per altri versi ben fatto, ben costruito, ben realizzato, bello in fine, non dialoga affatto: è un estraneo e muto, quanto indecifrabile, segnale giunto per caso.
Eppure gli uomini che hanno frequentato i due edifici, così lontani nel tempo, sono assolutamente gli stessi; si nutrono alla stessa maniera, si vestono di cotone e lana, si organizzano in comunità ecc. ecc. Lasciare intendere che vi sono dietro due tipi diversi di umanità è come postulare che Virgilio, Dante, Shakespeare, nel suo piccolo Manzoni, appartengano ad un altra razza; ad un altro genere umano.
Giudicare quest’uomo estinto dall’evidente diversità con cui l’attuale si sposta nello spazio, o dall’uso che fa di qualche altro brillante ausilio tecnico, è la più imperdonabile delle leggerezze.
Ancor’oggi quando citiamo un verso di Dante noi “siamo” Dante: quando parliamo la lingua della tradizione siamo quegli architetti che ci hanno preceduto e quelli che ci succederanno: siamo nella storia e non “la Storia”
La modestia non nasconde il valore: lo percepiamo ogniqualvolta scopriamo quanti “ordinari incanti” siano nascosti tra le pieghe del territorio e della città.
Al contrario, nel nostro mestiere, i più si affaticano ancora ad organizzare e riscrivere un linguaggio ed un universo nuovo, affidandosi alla “scientifica” permutazione di tutte le infinite variabili nella esilissima speranza di trovarne, per un benigno quanto improbabile dono del caso, la chiave. I più indulgenti ne potrebbero dedurre, con la stessa logica, che il ripetersi disordinato di tali linguaggi costituirà, esso stesso, l’Ordine; ma questa graziosa e raffinata speranza non credo possa rallegrare l’attesa di alcuno….
Sembra, al contrario, che proprio tutti riconoscano quanto, in questi ultimi 80 anni, quanto gli architetti abbiano contribuito alla confusione con la propria attività mentale: continua appassionata, versatile, coinvolgente e del tutto insignificante; quanto i più scaltri fra loro vi abbiano profuso l’autorevolezza che danno la superbia, il denaro, la “freschezza” di pensiero, la coscienza di coronare una gerarchia culturale, la mancanza d’immaginazione, i limiti, la stolidità. Partecipare a tale forma di decadimento comunicativo è la più pesante responsabilità assunta dal vagheggiato “bravo architetto” (…che vi sia ognun lo dice; dove sia nessun lo sa…) e lo rende creditore imperituro della perplessità degli uomini.
Abbiamo avuto il palazzo d’amianto, quello di cemento armato, il palazzo di vetro, i gusci di coleotteri, mitili, nematodi, zanne d’elefante, “girevoli” per di più… Ne abbiamo contati a decine forse centinaia, migliaia.
Tutti acclamati: tutti dimenticati in fretta.
Nel brevissimo volgere della vita, egli li cambia più volte, li manipola, li rinchiude infine, come un bambino stanco, nel polveroso ripostiglio dove, ogni tanto, getta un’occhiata affettuosa convinto che possano tornar utili.
L’architetto, s’è perso : credendo di operare in modo sociale e civile, aderente al contesto, in realtà non faceva che confermare l’esatto contrario.
Ovvio quindi, persino banale, riportare tutto il ragionamento al punto di biforcazione per ricostruire, a partire da premesse fondate, il cammino logico ed espressivo. Stupirsi che qualcuno possa essersi stancato del gioco e che aspiri a cose più solide da lasciare, senza farsi ridere appresso, a figli e nipoti ed ai nipoti dei nipoti, è, nella migliore delle ipotesi, ingenuo.
Saluto

qfwfq ha detto...

riprovo e sintetizzo.

Di progetti e studi su Via Giulia ce ne sono a bizzeffe.
Era tema di Composizione 2 del corso di laurea di Livio Quaroni (tanto per fare un esempio).
Con questo criterio, Alemanno avrebbe dovuto includere ben altro numero di professori (ammesso che sia legittimo) e professionisti (senza peraltro avere la certezza di avere incluso tutti quelli che possono accampare studi o conoscenza approfondita sull’area), mentre con un banale criterio di selezione pubblica e trasparente avrebbe ottenuto tutt’altra partecipazione culturale (è il sistema del concorso di idee, che funziona in tutto il mondo; tranne evidentemente in Italia).

Il fatto poi che il prof Marconi non sia stato coinvolto, visto il suo contributo alla commissione Marzano, la dice lunga su come questa amministrazione tiene in rispetto le idee, ancorché promosse dalle sue iniziative.
Qui il mio post sui risultati della commissione.
http://www.amatelarchitettura.com/2009/09/una-commissione-per-il-futuro-di-roma-capitale/

A proposito, quanto è costato il lavoro della commissione? Magari quei soldi erano più che sufficienti a pagare i costi per indire un concorso di idee.

Stenderei un velo pietoso sul referendum farsa; vera foglia di fico per legittimare (a posteriori) scelte urbanistiche sulle quali evidentemente non si ha voglia di prendersi responsabilità (vedi ad esempio la realizzazione del parcheggio interrato nell’area.

Eppure non dovrebbe essere molto difficile:
- chiedere la partecipazione popolare sulle scelte programmatiche (tipo, volete i parcheggi o no? che cosa volete che sia realizzato nel vuoto di Via Giulia? Volete proprio che si realizzi qualcosa?)
- redigere un sistema di requisiti condivisi e inderogabili (magari anche di carattere "tipologico"),
- indire un concorso di idee internazionale aperto a tutti i professionisti
- affidare al vincitore l’incarico di redigere un progetto chiaro e dettagliato
- appaltare le opere all’impresa migliore offerente

Sulla questione della prestazione gratuita (metodologia ormai cara al sindaco); ricordo che in genere i sistemi liberali tendono a contrastare qualsiasi forma di dumping, e che questa è a mio avviso da combattere sia che il prescelto di turno sia Krier e sia che si tratti di Renzo Piano

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