Di ritorno dal workshop sulle periferie romane “Ritorno alla città”, organizzato dal Comune di Roma, una prima impressione, rimandando considerazioni più articolate a dopo la conclusione dell’incontro del 2 dicembre.
Oggi, sotto la guida del responsabile del Dipartimento del Dipartimento per la riqualificazione delle periferie di Roma, prof. arch. Francesco Coccia, sono intervenuti, Lèon Krier, Paolo Portoghesi, Marco Romano, Franco Purini, Galina Tachieva, Cristiano Rosponi e Nikos Salìngaros, chi presentando lo studio di una o più aree, chi, come Galina Tachieva, dello studo DPZ (Duany, Plater-Zyberk) illustrando il suo libro, Sprawl Repair Manual, una sorta di “libretto d’istruzioni” su come intervenire per riparare ai guasti dello sprawl negli USA, con una casistica ampia e varia di situazioni e soluzioni.
Le parole chiave, i tags, si direbbe nel gergo di Internet, dettate dagli organizzatori erano: densificazione, microchirurgia urbanistica, pedonalità, centralità alle periferie, e sono state espresse in maniera molto diversa da ciascuno degli intervenuti, sia come livello di approfondimento, sia come qualità delle presentazioni, sia come scelta della scala di intervento; da Lèon Krier che ha affrontato tutta la gamma possibile, da quella territoriale della rete infrastrutturale fino allo studio abbastanza dettagliato degli isolati e delle tipologie edilizie, a quello quasi esclusivamente architettonico di Portoghesi e Purini; ma in tutti, ad eccezione di Purini, almeno così a me è sembrato, c’è stata la consapevolezza che una pagina sembra essersi finalmente chiusa, quella del gesto architettonico totalmente estraneo al contesto e al tessuto esistente, della zonizzazione selvaggia, della segregazione della periferia, e un’altra se ne sta aprendo, quella in cui la città deve essere interpretata come un unico organismo e, in quanto tale, non possono esservi parti sane e parti malate.
I tags che escono invece dalle varie soluzioni sono: la strada, come protagonista assoluta del processo di risanamento, intesa come vera e propria arteria vitale che consenta il massimo di permeabilità, di relazioni e di comunicazione tra le varie parti; e poi l’isolato, studiato in modi diversi e con diversi rapporti tra pubblico e privato; le piazze come luoghi speciali e nodali risultanti dalle connessioni stradali e non come spazi astratti collocati casualmente secondo la volontà del progettista piuttosto che seguendo la “vena” della rete stradale.
Esprimendo un giudizio sintetico e necessariamente affrettato, oggi ho colto molto realismo e un atteggiamento di grande attenzione alla lettura di tutte le aree già fortemente urbanizzate oggetto di studio.
Una volta tanto l’abusato termine riqualificazione ha trovato un riscontro nei progetti e, guarda caso, proprio l’unica volta che non compare mai nei manifesti dell’incontro.
Una volta tanto non c’è stata la rappresentazione logora del pensiero unico, ma posizioni diverse si sono potute confrontare.
E oggi sarà la volta di Peter Calthorpe, Lucien Kroll, Francesco Cellini e altri.
A margine una nota sul luogo dell’incontro, l’Ara Pacis. Mi domando chi abbia avuto la geniale idea di realizzare quella barriera bianca che separa completamente chiese e Mausoleo di Augusto dal fiume per quattro stanzette in più.
Possibile che a Roma non ci fosse un altro posto dove fare una sala conferenze e uno spazio mostra?
2 dicembre 2010
ROMA WORKSHOP: PRIME IMPRESSIONI
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16 commenti:
Caro Pietro,
devo dire che il discorso sul gesto architettonico non sembra essersi chiuso ancora. A mio avviso Portoghesi e Purini hanno presentato due proposte imbarazzanti, il primo ha presentato una "piazza", che nulla ha a che fare con le piazze, alla quale bisognerebbe arrivare in elicottero, per visitarla e andar via ... sempre in elicottero. Il secondo ha vaneggiato sul "verde verticale" mostrando un grattacielo con interpiani di 12 metri dove ci sarebbero dei giardini pensili per ogni piano, e lo ha anche definito "campanile laico". Questi due interventi hanno creato non pochi mormorii tra la gente che si è sentita presa per i fondelli. Per non parlare delle cose che ha fatto vedere Colarossi, ma anche Marco Romano il quale, pur essendo partito molto bene, ha poi mostrato delle situazioni assurde che non tengono minimamente in considerazione la scala umana, proponendo strade larghe 60 metri e "passeggiate" (nella zona delle passeggiatrici romane di via P. Togliatti), larghe 120 metri. Ha si parlato di sequenze, ma si è limitato alle sequenze per le automobili e non per gli esseri umani. Coccia ha fatto vedere la versione aggiornata della tangenziale di Fantozzi, dove in sostituzione della sopraelevata per automobili (tangenziale est) ha proposto una monorotaia sopraelevata (priva di protezioni acustiche) che passa in mezzo agli edifici e sopra una presunta pista ciclabile ... l'ha chiamata "Grondaia orientale". Kroll ha mostrato immagini raccapriccianti - tra l'altro non lesinando critiche al "Gruppo Salìngaros" che propone la sostituzione di Corviale - pretendendo di appiccicare superfetazioni orribili agli edifici esistenti. Insomma, a mio avviso, la selezione dei conferenzieri ha mostrato un livello di approssimazione non indifferente. Abbiamo persino assistito a Coccia che si lamentava con i suoi collaboratori perché la proiezione andava a rilento, così ben tre volte durante la presentazione ha detto: "io l'avevo detto che volevo portare il mio computer!" Insomma, a me è sembrata una comica di Ridolini sull'arte dell'improvvisazione. La selezione dei relatori mi è sembrata calcolata per evitare di dar spazio a chi poteva adombrare chi doveva essere "promosso", piuttosto che per far del bene alla Capitale!
Ciao
Ettore
De architettonici
Epigrafe:«Se si esclude la presenza di Nikos, che secondo me è stato inserito per motivi machiavellici, (dovevamo evitare di andare avanti con il nostro convegno) le persone sono le stesse della primavera, cui si sono aggiunti un po' di personaggi che finora erano stati nell'ombra per loro scelta. […] Del resto non potevamo aspettarci altro da certa gente, visto che, come disse quel personaggio alla sua prima apparizione dopo che gli fornimmo i nostri programmi (e pure il mio libro) "è il momento di promuovere gli architetti militanti nel partito e non quelli che finora sono stati alla finestra!"» (Ettore Maria Mazzola)
Dov’è andata a finire la gente, il popolo, l’architettura non autoreferenziale e soprattutto la casalinga di Voghera?
Saluti,
Salvatore D’Agostino
De geometrico,
la gente, il popolo, l'architettura e le casalinghe di Voghera, tutti sono venuti a casa tua. Mi sembra ovvio.
Pietro
Caro Salvatore,
capisco che per te sia difficile tenere a freno le dita sulla tastiera del computer, e che ti diverta tanto a provocare, ma se non sai bene di cosa si parla è meglio evitare di scrivere cose che sembrano avere ben poco a che fare con la citazione del mio testo.
Ciao
Ettore
De geometrico
poiché appare dura fartela capire bisogna parlare in modo più semplice: personalmente non ho alcuna intenzione di rispondere alle tue domande prive di senso, cioè sconclusionate, né alle tue provocazioni (termine davvero nobile per quello che tu dici) alquanto volgari e maleducate. Quindi, in stile Repubblica, e mi perdoni la gloriosa testata per lo scabroso e spericolato parallelo, puoi continuare quanto vuoi, anche con i post it, ma il sottoscritto se va bene continuerà con l'ironia, se va male con il silenzio.
Io dubito fortemente tu abbia capito anche questa volta, visto che è da molti mesi che lo dico, ma comunque finché c'è vita c'è speranza.
Pietro
De architettonico Pietro,
svicoliamo?
Effettivamente anche i vicoli sono delle piccole strade.
De architettonico Ettore Maria,
io non provoco.
Mi sembra ovvio che sia inconciliabile l’uso del termine popolo con l’accredito degli “architetti militanti nel partito”.
De architettonici
Le tesi sulla città diffusa e la critica sul moderno sono da anni trite e ritrite, in tutte le salse, nelle riviste di settore e in vari convegni.
Questi attempati guru sembrano degli alieni senza capo né coda.
Siamo di fronte a una gentrification in chiave politica (con l’uso subdolo del termine popolo).
Una sorta d’eugenetica architettonica molto triste.
Vorrei conoscere il progetto di risanamento del quartiere Caltagirone (non spostiamoci su temi semplici e populistici come il Corviale).
Qual è la soluzione per quella periferia (oddio che brutto termine dearchitettonico)?
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Beh, secondo me Salvatore D'Agostino ha ragione a rilevare un'apparente schizofrenia: da un lato Pietro elogia il convegno, dall'altro Ettore ci sputa sopra.
Forse però parte dal presuppsosto sbagliato di ritenere che Ettore e Pietro debbano per forza essere d'accordo, cioè ragionino per appartenenza, come fa lui.
La gentrification in chiave politica, e (addirittura) l'eugenetica architettonica dovrebbe spiegarcela. Vuole forse dire che i progetti presentati porterebbero a una gentrification delle periferie? O vuole solo fare lo spiritoso su una eventuale spartizione degli incarichi in base al colore politico (cosa storicamente sempre accaduta, con scossoni persino tra la giunta Rutelli e quella Veltroni)? L'eugenetica, poi, perché si prova a buttar giù edifici malmessi e costosi (per il Corviale si sono spesi ad oggi 44 milioni di euro in manutenzione), come in Francia o in USA?
Buonasera.
Stefano, non è che io ed Ettore siamo in disaccordo sulla sostanza delle cose, solo che io tendo a vedere il lato positivo, lui quello negativo.
Il lato positivo evidente è che due anni fa allo stesso workshop non sarebbero stati presenti, a parte Portoghesi e Purini, nessuno di quelli in elenco oggi.
Che poi i progetti siano tutti criticabili questo rientra nella normale dialettica, ma sarebbe profondamente sbagliato non vedere alcune novità d fondo.
Allo stesso workshop di due anni fa avremmo visti tutti progetti tipo Portoghesi e Purini, cioè una somma di oggetti. Questa volta non è accaduto. Certo alcune "passeggiate" di Romano sono difficilmente comprensibili eppure anche Romano ha messo al centro del progetto la rete gerarchizzata stradale come matrice della città, dichiarando che i frutti si possono vedere nell'arco del tempo.
Se giudichiamo negativo in assoluto tutto ciò che non condividiamo ci comportiamo come la setta dei pur bravissimi muratoriani, che però isolandosi e mettendosi in cattedra commettono l'errore di garantire lo status quo.
In campo culturale non è poi così diverso da come avviene in politica, dove, è noto, l'unione fa la forza. La divisione impedisce di prendere decisioni forti e quindi non cambia niente.
Ciao
Pietro
Buona sera Stefano Serafini,
1. io non ragiono per categorie;
2. la gentrification risolve brani di città e non ha nessun carattere ‘urbanistico’ vedi quartierini/presepini proposti;
3. le città italiane sono da sempre inclusive sanno stratificarsi. Non ho mai visto piani urbanistici comprensivi di ‘architettura’ (eugenetica).
4. lascerei perdere i temi facili/politici/d’urbanistica ideologica (Corviale, Tor della Monaca, Laurentino 80) riporto anche qui un quesito posto altrove:
Quali sono le idee per il neo quartiere Caltagirone?
Per questo ---> http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=roma&sll=41.697104,-3.928005&sspn=0.298391,0.441513&g=roa&ie=UTF8&hq=&hnear=Roma,+Lazio&ll=41.836029,12.490082&spn=0.009305,0.021973&t=h&z=16
O per il quartiere abusivo Montespaccato iniziato nel 1980 ---> http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=roma,+montespaccato&sll=41.851502,12.451458&sspn=0.018605,0.043945&ie=UTF8&hq=&hnear=Monte+Spaccato,+Roma,+Lazio&ll=41.909384,12.390314&spn=0.004647,0.010986&t=h&z=17
Cominciamo a parlare di città e non d’urbanistica da supereroe politico + architetto.
La città se ne fregherà (com’è sempre avvenuto in Italia) della soluzione perfetta e prenderà altre strade (nel suo senso generativo).
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Caro D'Agostino,
1. Per carità, certo, passiamo oltre;
2. La _gentrification_ è un fenomeno di separazione sociale che non ha certamente soltanto cause urbanistiche, ma può essere facilitata o inibita dalla sociogeometria urbana. I parametri dei valori commerciali degli immobili - ritenuti causa della gentrification all'interno di una mentalità settoriale - sono per noi sulla scala più bassa delle priorità d'intervento. La _centrificazione_ è un processo di autonomizzazione urbana che si oppone sia al modello di cité radieuese, sia alla gentrification, perché attira diverse categorie sociali e professionali nella medesima area ("zoning verticale") secondo un modello di città frattale: il quartiere diviene una città nella città, comprensiva di tutte le sue funzioni. Naturalmente mi riferisco esclusivamente ai progetti del Gruppo Salìngaros. La sua critica è valida per altri interventi, e la condivido.
3. Il riferimento all'eugenetica, soprattutto se rivolto a Mazzola o a Pagliardini, è fuori luogo. Non è stato appositamente proposto nemmeno uno scorcio di facciata. Semmai una griglia di pattern possibili, un discorso sulle scale universali, un riferimento alla psicologia ambientale e ai processi cognitivi. Dentro ci possono andare moltissime architetture diverse.
4. I temi da lei avanzati sono assolutamente rilevanti, direi anche più rilevanti di Corviale. Ma Corviale non lo abbiamo scelto noi: è stata l'occasione per lanciare un dibattito sullo sprawl e un'urbanistica che di fatto ha generato quella bella roba. Il quartiere Caltagirone è stato ad es. trattato a Ferrara, durante uno dei nostri incontri lo scorso settembre. Poiché però lavoriamo a queste cose a titolo gratuito e per passione, senza università o costruttori alle spalle, capirà che non possiamo coprire tutto il fattibile, e che dobbiamo anche adattarci alle occasioni disponibili. Ce n'è di disastri, certo. Ma perché mai svicolare davanti alle periferie-simbolo? Forse perché "l'urbanistica capitolina '60-'70-'80" non si tocca?
Non vedo supereroismo, semmai il contrario: ci vuole umiltà per un architetto a dire che architettura e urbanistica debbano abbassarsi un po', imparare a vedere le cose da un'ottica più orizzontale, più politica, più sociale, anche più multidisciplinare.
Poiché la perfezione non è di questo mondo, lungi dal Gruppo Salìngaros pensare di poter fare chissà che rivoluzione. Noi lanciamo il sasso nello stagno, discutiamo, avanziamo (e rilanciamo) proposte che altri non fanno. Per ora abbiamo assistito a goffe imitazioni, ma anche all'entusiasmo di diversi giovani civilmente impegnati. Andiamo avanti, parliamo senz'altro di città, e speriamo.
Ciao.
Caro D'Agostino,
1. Per carità, certo, passiamo oltre;
2. La _gentrification_ è un fenomeno di separazione sociale che non ha certamente soltanto cause urbanistiche, ma può essere facilitata o inibita dalla sociogeometria urbana. I parametri dei valori commerciali degli immobili - ritenuti causa della gentrification all'interno di una mentalità settoriale - sono per noi sulla scala più bassa delle priorità d'intervento. La _centrificazione_ è un processo di autonomizzazione urbana che si oppone sia al modello di cité radieuese, sia alla gentrification, perché attira diverse categorie sociali e professionali nella medesima area ("zoning verticale") secondo un modello di città frattale: il quartiere diviene una città nella città, comprensiva di tutte le sue funzioni. Naturalmente mi riferisco esclusivamente ai progetti del Gruppo Salìngaros. La sua critica è valida per altri interventi, e la condivido.
3. Il riferimento all'eugenetica, soprattutto se rivolto a Mazzola o a Pagliardini, è fuori luogo. Non è stato appositamente proposto nemmeno uno scorcio di facciata. Semmai una griglia di pattern possibili, un discorso sulle scale universali, un riferimento alla psicologia ambientale e ai processi cognitivi. Dentro ci possono andare moltissime architetture diverse.
4. I temi da lei avanzati sono assolutamente rilevanti, direi anche più rilevanti di Corviale. Ma Corviale non lo abbiamo scelto noi: è stata l'occasione per lanciare un dibattito sullo sprawl e un'urbanistica che di fatto ha generato quella bella roba. Il quartiere Caltagirone è stato ad es. trattato a Ferrara, durante uno dei nostri incontri lo scorso settembre. Poiché però lavoriamo a queste cose a titolo gratuito e per passione, senza università o costruttori alle spalle, capirà che non possiamo coprire tutto il fattibile, e che dobbiamo anche adattarci alle occasioni disponibili. Ce n'è di disastri, certo. Ma perché mai svicolare davanti alle periferie-simbolo? Forse perché "l'urbanistica capitolina '60-'70-'80" non si tocca?
Non vedo supereroismo, semmai il contrario: ci vuole umiltà per un architetto a dire che architettura e urbanistica debbano abbassarsi un po', imparare a vedere le cose da un'ottica più orizzontale, più politica, più sociale, anche più multidisciplinare.
Poiché la perfezione non è di questo mondo, lungi dal Gruppo Salìngaros pensare di poter fare chissà che rivoluzione. Noi lanciamo il sasso nello stagno, discutiamo, avanziamo (e rilanciamo) proposte che altri non fanno. Per ora abbiamo assistito a goffe imitazioni, ma anche all'entusiasmo di diversi giovani civilmente impegnati. Andiamo avanti, parliamo senz'altro di città, e speriamo.
Ciao.
Francesco Coccia, Lèon Krier, Paolo Portoghesi, Marco Romano, Franco Purini, Galina Tachieva, Cristiano Rosponi e Nikos Salìngaros.
Questi sarebbero gli architetti che dovrebbero progettare la Roma del futuro?
Sapevo di vivere in un periodo buio, ma che la Roma realizzata per 2763 anni dai più grandi architetti della storia si debba affidare al lavoro di questi fenomeni mi rende molto triste.
Siete soltanto dei reazionari senza speranza, quanto ci vorrebbe Bruno Zevi a cantarvene 4 a voi che scrivete e a loro che si credono degli architetti.
Antonio Marco Alcaro, sarebbe lei l'architetto del futuro e della luce? Magari profeta di quello Zevi della paranoide aria-luce e del "gran segno" dei miei stivali sulla collina del Corviale?
Lei cita retoricamente (addirittura!) 2763 anni di gloria architettonica di Roma, evidentemente considerandone parte gli sfregi degli ultimi ingessatissimi 8 decenni. Ecco, se le piace, continui a stare là, nel suo passatismo becero truccato da contemporaneità con le lettere maiuscole di Arte, Estetica, e Casabella; magari si trasferisca a Tor Bella Monaca o in qualche altro panoramico appartamento da dove godere lo sprawl della Capitale.
Fa di tutta l'erba un fascio (e il riferimento littorio è ovviamente voluto). E allora le rispondo: no, non credo siano quelli gli architetti che costruiranno Roma. Ma se anche fosse? Ha un'alternativa? Fuksas? Piano? Alcaro? Vediamo le carte. Alcuni dei partecipanti al workshop hanno avuto il merito indiscutibile di aver aperto un discorso sul quale la cricca zeviana (e non solo) imponeva il tabù: e cioè che la vostra architettura da accademia e riviste fa schifo, ha fallito nel suo scopo precipuo perché si è ridotta a un gioco intellettuale, è identica a se stessa da 80 anni, mentre magari si atteggia a libero-pensante è servile, funzionale e integrale a un sistema post-borghese che al confronto il Ventennio è stata una passeggiata, è un prodotto commerciale semi-elitario dal velenoso fall-out sociale, sanitario, politico ed ecologico. Persino i peggiori fra i partecipanti al workshop vi hanno superato di sette lunghezze. O pensa che la crisi dell'architettura italiana, ridotta a signorina dalle calze rotte sul ciglio della strada, non sia colpa anche e in gran parte della categoria?
1°parte
antonio marco alcaro, la tua sparata sul mucchio merita una replica articolata. E te la do’ con molta serenità dopo essere stato a tirare pallate sulla neve con mia figlia.
Intanto direi che tu sbagli le date: 2763 anni è la data ab urbe condita, ma per i "grandi architetti" credo tu ti debba fermare intorno all’anno 2720, epoca in cui ha fatto irruzione a Roma, e non solo, la creatività, le invarianti dell’architettura, il grado zero e, da quel momento, i Grandi Architetti li puoi solo immaginare oppure accontentarti di L’architettura Cronache e Storia oppure guardando in giro per Roma e per l’Italia, dove sì ci sono stati consegnati, certo non solo a causa loro, ma da loro favoriti, quartieri ghetto, spazi urbani inesistenti, segni assurdi sul territorio. Fatti un giro su Google Earth e vedrai borgate abusive spontanea di buona qualità urbanistica, certamente di gran lunga superiore a quei segni astratti, generalmente molto voluminosi, progettati da architetti che hanno interpretato quella libertà creativa, quella forza liberatoria dall’ordine e dalla simmetria nell’unico modo possibile e cioè distruggendo lo spazio urbano: cerchi, semicerchi, tangenti o concentrici, raggiere, treni e trenini, esedre in luoghi improbabili, rastrelliere ecc.
Segue un brano del discorso di Bruno Zevi al convegno di Modena del 1997, che ho tratto da Antithesi (http://www.antithesi.info/testi/testo_2.asp?ID=597)
“…il valore del disordine e dell'imperfetto è stato costantemente censurato nell'edilizia ufficiale, per essere riscoperto solo alla fine degli anni Ottanta, quando ¡ decostruttivisti rivendicarono il diritto degli architetti di non aspirare più al puro, all'immacolato, al perfetto, per cercare la creatività nel disagio, nell'incertezza, nel disturbato. Un valore linguistico rinato, di straordinaria portata. Di fronte al perfezionismo dei templi ellenici e delle colonne filmate romane, alle frustranti teorie ideali del Rinascimento e al rigore cartesiano dei razionalisti, il contributo di Pietilä, Libeskind, Koolhaas e soprattutto Gehry è consistito nel completare il mito millenario della perfezione con la forza e l'irruenza dell'imperfetto. La poetica dell'imperfetto ricupera il brutto, i rifiuti, il trasandato, gli stracci e i sacchi di Burri, il paesaggio derelitto, il cheapscape. E dall'architettura si propaga nei comportamenti e nella moda.”
Cos’altro vuoi aggiungere! Non discuto dell’impegno e della passione civile e politica di Bruno Zevi, ovviamente, ma del suo essere stato maestro di teorie che hanno contribuito in maniera determinante a togliere ogni regola alla città e all’architettura e ad aver fatto sentire ogni architetto una monade, un soggetto creatore della realtà piuttosto che colui che si inserisce nella realtà, un artista, un creatore di spazio che si sostituisce alla società e alla città per reinventarla a modo suo e che ignora non 2763 ma millenni di cultura, di lavoro, di pensiero dell’uomo per plasmare l’ambiente e la casa alle sue necessità, alla sua vita, alla sua biologia, ai suoi sentimenti più alti. Non ho nominato la storia perché so essere parola indigesta a molti, ma è di questo che si tratta: della storia, del cammino dell’uomo. Tutto in discarica, appunto.
Continua....
2° Parte
Non è bello brandire chi non c’è più come uno spauracchio, perché allora io potrei risponderti che se oggi Zevi andasse a fare un discorso del genere per fare un approvare uno di quei progetti che lui esaltava in una assemblea di cittadini non ne uscirebbe affatto bene. Ma non lo tiro fuori perché so che per molti i cittadini non contano niente, contano solo le pseudo-elite culturali che se la suonano e se la cantano. In verità per sessanta anni gli è andata molto bene ma ho come la sensazione che qualcosa stia cambiando. E non parlo di politica, ma proprio della percezione di un diverso sentiment da parte della gente che si è stufata di farsi insegnare cosa è bello e cosa è brutto, cosa deve piacerle e cosa no. E questo non vale solo per l’urbanistica e l’architettura, ma per diverse altre cose.
Trascuro di parlare di Meier e della sua chiesa (uso sempre la maiuscola ma questa non la merita) e della stazione di benzina. Evidentemente questi edifici sono progressisti, visto che a noi ci dai dei reazionari.
Ma poi, che modo di dare giudizi!
Sarebbe come se io nello scrivere di qualcuno di cui non apprezzo affatto le idee lo appellassi come “”! Certo, si può anche dare dell’imbecille, siamo tutti maggiorenni e vaccinati, ma almeno proviamo anche a spiegare, ad articolare il discorso, spingiamoci oltre il puerile e misero e incarognito attributo usato come un cazzotto in faccia! Ma forse è chiedere troppo.
Veniamo al merito.
Tu metti insieme tutti i nomi presenti al workshop, facendo di tutta l’erba un fascio. Tu metti insieme quelli della prima giornata. Benissimo, c’ero, e di questi parliamo.
Sono il primo a riconoscere che in alcuni casi il risultato effettivo è stato di qualità non certo eccelsa. Sono il primo ad avere visto i limiti, urbanistici e architettonici del progetto Portoghesi, o gli aspetti non proprio esaltanti del disegno degli isolati di Lèon Krier (che invece sono uno dei suoi punti di forza) delle sue architetture rappresentate da rendering effettuati da cinesi, fatti quasi sicuramente con il copia-incolla ripetendo all’infinito lo stesso 3D ruotandolo in maniera diversa. Trappole dell’informatica che conosciamo bene (chi le conosce). Troppo ha voluto fare e troppo alla svelta, non c’è dubbio. Troppo deve aver delegato. Eppure le scelte urbanistiche erano globalmente giuste (dico globalmente perché io non conosco Tor Bella Monaca e dunque il mio giudizio è sui principi generali e non sulle scelte specifiche): una città policentrica, una città in cui la strada e gli isolati la fanno da padroni, non una somma di edifici isolati, di episodi immersi nel vuoto senza spazio urbano.
Questo è il senso generale positivo di quel convegno o workshop che dir si voglia: la fine di oggetti di design collocati su una tavolozza vuota, quasi che il territorio sia la tela di un quadro.
C’è chi è riuscito meglio, chi peggio, chi invece, come Purini, continua nella sua strada di totale astrattezza: un grattacielo e un edificio in linea con i pannelli fotovoltaici. Ecco, il mio personale parere è che l’unico che non c’entrava niente era Purini, nel senso che è l’unico a non avere colto o recepito il bisogno di città vera che c’è in giro.
Ma è giusto così, è giusto che vi sia stato anche chi dissente. Altro pregio, a mio parere, di quei due giorni.
Però il secondo giorno mi dicono, e dicono i resoconti, che una sola persona abbia strappato applausi entusiasti, l’On. Teodoro Buontempo, che ha rilanciato la demolizione di Corviale e la ricostruzione del Borgo Corviale, del quale erano stati presentati il giorno prima i progetti di E.M. Mazzola e G. Tagliaventi, oltre a quello di Rosponi che, a mio parere, ha attinto abbastanza da questi.
Come la mettiamo? Claque pagata?
L’ho fatta troppo lunga ma il mio naturale spirito di dialogo con tutti (o quasi) si deve essere ulteriormente dilatato grazie allo spirito natalizio che ormai aleggia.
Saluti
Pietro
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