Ettore Maria Mazzola
Un uomo con i baffetti alla Hitler, un altro con la mano destra infilata tra i bottoni a metà camicia e il mignolo della mano sinistra infilato nell’orecchio, il terzo con maglietta a righe orizzontali bianche e blu, berretto a girandola e lecca lecca gigante. Potrebbe essere questa l’immagine della giuria di esperti, presieduta da Paolo Baratta che ha deciso, su proposta del Direttore della 12^ edizione Kazuyo Sejima, di dare il Leone d’Oro alla carriera a Rem Koolhaas.
Il sito web della biennale ne riporta anche la motivazione della giuria, che però risulta scritta solo in inglese … e già, siamo in Italia, o forse in “ailatI” – secondo l’organizzatore del Padiglione Italiano alla Biennale Luca Molinari – ma la lingua italiana non viene presa in considerazione! Chissà mai che gli italiani dovessero capirne la motivazione?
“Rem Koolhaas has expanded the possibilities of architecture. He has focused on the exchanges between people in space. He creates buildings that bring people together and in this way forms ambitious goals for architecture. His influence on the world has come well beyond architecture. People from very diverse fields feel a great freedom from his work.”
E allora ecco perché Koolhaas meriterebbe il Leone d’Oro:
“Rem Koolhaas ha allargato le possibilità dell’architettura. Si è focalizzato sull’interazione tra le persone nello spazio. Egli crea edifici che fanno socializzare la gente, e in questo modo forma degli obiettivi ambiziosi per l’architettura. La sua influenza sul mondo è andata oltre l’architettura. Gente appartenente ad ambiti assolutamente diversi sente la grande libertà del suo lavoro”.
Ma forse sarebbe stato meglio essere più onesti e, visto che si tratta di un premio alla carriera, avrebbero dovuto darglielo per la sua famosa frase intorno alla quale ha svolto tutta la sua opera: “Fuck the context”, ovvero “fanculo il contesto!”
Vediamo allora qualcuna di queste opere “socializzanti”:
Si potrebbe andare avanti con le immagini, ma sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Verrebbe da chiedersi: che cosa avevano bevuto a cena questi giurati?.
Forse, se nella commissione ci fosse stato il grande saggista, giornalista e scrittore statunitense James Howard Kunstler, autore di “The Long Emergency” e “The Geography of Nowhere” il giudizio sarebbe stato “leggermente” diverso. Egli, infatti, su Koolhaas non è andato per il sottile quando, intervistato poco dopo l’incendio che il 9 febbraio 2009 distrusse l’edificio di Koolhaas definì l’edificio come “incomprensibile”, e la sua architettura come “Anti Sociale e Despotica”. Andando più nello specifico, Kunstler disse: “molti architetti famosi, incluso Koolhaas, spesso si sforzano di confondere la gente al fine di apparire soprannaturalmente brillanti. Ma tutto risulta concentrato nel loro pensiero di grandiosità e narcisismo. Piuttosto che tentare di disturbare le nostre aspettative, gli architetti dovrebbero sforzarsi di darci edifici neurologicamente comprensibili e che soddisfino il nostro bisogno di orientamento culturale”.
E allora, come è possibile che questa commissione di “saggi” abbia premiato l’architetto olandese per la sua architettura “socializzante”?
Purtroppo gli architetti, e i critici dell’architettura, animati dall’assurda idea che l’arte e l’architettura per poter essere “moderne” debbano risultare trasgressive, hanno perso il controllo della situazione. Ai convegni si presentano tutti vestiti di nero, come dei corvi (1), e discutono tra loro di quanto sono bravi, talvolta chiedendosi come mai, la massa ignorante non li capisca. Poi però, ricordandosi che – secondo un principio astruso che risale alle avanguardie ottocentesche – i “grandi artisti” devono, SEMPRE, risultare incompresi, e che quindi occorreranno anni perché si possa comprendere il loro messaggio, si sentono sollevati dal dubbio, e continuano per la loro strada, certi di essere nel giusto.
D’altro canto le riviste specializzate, opportunamente sponsorizzate dall’industria edilizia, pubblicizzano quanto di più astruso possa esserci, purché dimostri l’impiego delle tecnologie e dei materiali più moderni, non fa niente se un domani risulteranno nocivi. Con l’avvento della “città funzionale” voluta da Le Corbusier e compagni, si è persa l’idea di città, e gli edifici non hanno più una relazione con essa essendosi ridotti ad una serie di oggetti isolati, fini a se stessi. Gli edifici “moderni” non dialogano con l’urbanistica, non ne hanno bisogno! … Nonostante l’evidenza di questo aspetto, spesso e volentieri gli stessi architetti, o più spesso i critici, si permettono di scrivere lunghe – e rigorosamente contorte – descrizioni che esaltano gli aspetti urbanistici e socializzanti di determinati “starbuildings”, facendo si che la gente comune continui a sentirsi ignorante e, per paura di esser ritenuta tale, finga di comprendere ciò che non ha alcun senso.
A chi si chiedesse se c’è speranza per il futuro, rispondo che per il momento nutro seri dubbi. Se infatti il futuro dell’Italia è quello selezionato, e orgogliosamente presentato, dal Padiglione Italiano nella mostra “Ailati” non c’è che da essere preoccupati.
Per chi volesse comprendere il senso della mostra, cito pedissequamente ciò che pubblicizza il sito web:
“Si legge «Ai lati», ma anche «Italia», al contrario. È il nome del padiglione Italia alla XII Biennale di Architettura a Venezia, che in questa edizione punta i riflettori su progetti innovativi ed emozionanti, realizzati da giovani talenti e non dalle «archistar». Luca Molinari, curatore di «Ailati. Riflessi dal futuro», esalta la capacità dei giovani progettisti italiani di essere internazionali e innovativi. Con una sorpresa: «la nostra architettura più evoluta nasce nei distretti regionali e provinciali ed è anche la rappresentazione di un tipo di committenza che lascia a chi progetta la libertà di esprimersi». La nuova generazione di architetti italiani proviene proprio dalla provincia, «ma ha attraversato l’esperienza dell’Erasmus: lo studio in paesi particolarmente sensibili alle tematiche dell’abitare: Olanda, Francia, Belgio, Spagna...».
Personalmente ritengo che, specie grazie alla spiegazione finale che ci dà Molinari, che l’ARCHITETTURA, ma preferirei dire l’EDILIZIA, presentata in questa mostra di “giovani talenti”, sia proprio il risultato di un insegnamento distorto di matrice modernista, operato in tutte le università d’Europa, esaltato dallo stupido complesso di inferiorità culturale che i nostri docenti di architettura vivono nei confronti delle altre nazioni, sicché è ben difficile che si trovino progetti che ricerchino il nuovo scavando nella nostra gloriosa tradizione, sarebbe impossibile, vista l’ignoranza in materia di chi dovrebbe guidare i giovani verso l’apprendimento di questa disciplina, così è molto meglio scopiazzare dalla riviste internazionali quanto di più distante possa esserci dalle reali esigenze umane, tanto gli uomini (quelli che non hanno studiato nelle facoltà di architettura) sono tutti ignoranti e non capiranno mai!
Sarebbe stato il caso che il sig. Molinari, in questa sezione dedicata ai giovani italiani, si fosse ricordato anche di tutti quei giovani architetti e ingegneri che, ormai da decenni, si dedicano a recuperare un modo di costruire gli edifici e le città in maniera più rispondente alle reali esigenze umane, nel rispetto delle tradizioni locali, nel rispetto del clima, dei materiali, e delle esigenze della “banalità quotidiana”, come il sociologo Richard Sennet le ha definite … ma purtroppo, al sig. Molinari e a tutti i “corvi” vestiti di nero che decidono chi e cosa debba esporsi alla Biennale, questo tipo di architettura non interessa … forse perché non fa gli interessi della lobby edilizia? … o forse perché non la comprendono essendo essa troppo all’avanguardia?
Allora qual è il senso delle Biennali. Ferma restando la critica sui contenuti e sulla sfacciataggine degli organizzatori – ricordo anni fa lo slogan di una Biennale d’Arte che titolava “Contro l’arroganza dell’osservatore” (sic!) – mi chiedo che senso abbia questa mostra, se non quello di confermare la confusione che si fa tra Architettura e Arti Figurative? Le Arti figurative, ormai dall’epoca delle avanguardie, passando per il Ready Made e la Pop Art, per arrivare alla Transavanguardia ed alle “istallazioni”, si sono trasformate in beni di consumo, pertanto la Biennale sembra più una fiera campionaria che non una mostra di Arte, mentre la Biennale di Architettura non può ritenersi come la celebrazione di quanto di meglio si possa progettare e costruire per migliorare la vita della gente, ma piuttosto come la triste conferma che l’Architettura non è più un qualcosa da tramandare ai posteri, essendosi modificata in un prodotto “usa e getta”.
Infine, in merito al luogo ove si svolgono le Biennali, mi viene da fare questa riflessione: se la Biennale si svolgesse in qualche orrenda periferia italiana – in perfetto stile con i contenuti della mostra – piuttosto che a Venezia, sono certo che ben poca gente, eccetto gli architetti e gli studenti di architettura, andrebbe a visitarla!
(1)Uso il termine “corvi” per ricordare agli adepti di Le Corbusier che, ironia della sorte, il vero nome del loro idolo era Charles-Edouard Jennaret, e che il suo pseudonimo era il nome con cui si definivano in epoca medievale gli addetti all’allontanamento dei corvi dalle chiese.
29 agosto 2010
PENSIERI SULL'ULTIMA BIENNALE DI VENEZIA
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9 commenti:
Ciao Pietro,
di rientro da Londra ho con piacere visto che hai pubblicato questo post, GRAZIE! Ho visto che anche altri blog si sono svegliati su questo argomento, per esempio quello di Muratore o exibart, si preannuncia una battaglia senza limiti di colpi ... anche se ho notato essere molto pochi quelli che parlano in termini positivi di questa - ormai ridicola - manifestazione.
Buona domenica
Bentornato. Ieri sera sfogliavo in casa di amici tutti quei magazines, D, il Venerdì, ecc. pieni di immagini incomprensibili e di altrettanto incomprensibili testi dedicati alla biennale. Il padrone di casa, un medico, mi segnala con l'intenzione di darmi una notizia per me interessante, il premio a Koolhhas e mi dice di avere letto un'intervista, o qualcosa del genere. Aggiunge, con il tono umile di chi non se ne intende e quindi timoroso di non fare brutta figura: "Però io non ci ho capito niente....".
La gente si incontra nell'architettura, appunto.
Ciao
Pietro
Ciao Pietro, e ben trovato!
L'aneddoto del tuo amico medico la dice lunga sul livello di sudditanza psicologica in cui la gente comune vive rispetto all'architettura e le arti in generale.
Mi dà un tonfo al cuore quando qualcuno, non architetto, mi rivolge la parola dicendomi: "io mi scuso, perchè non capisco nulla di architettura, ma penso ... ecc"
E' mai possibile che si debba avere il titolo di architetto per esprimere un parere estetico o sociologico su un edificio o un quartiere? Io non credo proprio, ma il lavaggio del cervello che è stato impartito a livello mediatico e culturale a partire dall'800 ci ha portato a questo. Sicchè la gente disapprova ma raramente si esprime, per paura di far la figura dell'ignorante! Così è se vi pare.
Ciao
Ettore
Di fronte ad un interlocutore che esprime soggezione sarebbe il caso di porsi il problema se non sia la tua persona a generare sudditanza. Al di là ch'io possa essere architetto, commercialista, ingegnere o latinista...
Le mie esperienze personali portano in tutt'altra direzione: gli amici mi dicono schiettamente “fa schifo”, “ma chi è lo scemo che l'ha progettata?”, “ma sarà mica 'na casa quella cosa lì” ecc ecc. Deduco semplicemente che non genero in loro alcun senso di inferiorità e non che la professione dell'architetto sia così svilita da non saper imporre le propria auraticità.
Robert
robert, raffinata interpretazione psicologica la tua. Ma io non ero ad una serata mondana in cui tu puoi supporre, lusingandomi oltre misura, che io potessi incutere soggezione ad altri (cosa che davvero non accade perché io non recito la parte dell'architetto), ero a casa di un amico carissimo con cui passiamo quasi tutti i sabato sera e che, dato il tipo, non si pone certo limiti a dire quello che pensa con chiunque, figuriamoci con me.
La soggezione c'è, ma nei confronti di chi scrive non-sense ma con l'intenzione di far credere di dire cose complicate ai più perché supposte intelligenti. E' lo stesso meccanismo per cui l'arte deve essere spiegata, prima di tutto affermando che si tratta di arte, e poi nei suoi "concettuali" contenuti.
Comunque la mia era una solo una battuta, anche se vera, ma tu non vorrai dirmi che hai mai capito cosa diavolo progetti Koolhaas! Se sì, spiegalo anche a me, che sono duro di comprendonio.
Ciao
Pietro
caro Pietro,
suppongo che Robert si riferisse a me, visto il mio ultimo commento. Tuttavia non penso di incutere timore ad alcuna persona, nemmeno i miei studenti italiani e americani mi temono, anche perché sin dal primo momento in cui li incontro esordisco chiedendo di darmi del tu: non mi piacciono le distanze, le gerarchie e i gradi militari. La frase che ho menzionato è quella tipica che si sente nei musei o davanti ad edifici astrusi. Perfino in alcuni articoli, post o commenti nei vari blog quest'estate c'è stata gente che ha scritto (e non a me) con un certo timore reverenziale, esordendo in maniera da fugare i dubbi "non sono un architetto, quindi forse sbaglio, ma penso ecc.": Perché si debbono scusare? Perche debbono aver timore di esprimersi? La risposta è che è stato creato un clima di "terrore" da parte della "gente colta". Situazioni simili si ritrovano anche nel cinema, specie un certo cinema francese anni '70-'80, pallosissimo ma che alcuni fingono di comprendere guardandoti da ignorante. Potrei andare avanti ma diverrei noioso (e forse da temere), chiudo pertanto dicendo che detesto gli intellettualoidi, e gli architetti, spesso e volentieri (basta leggere una qualsiasi rivista per accorgersene), lo sono.
non posso tralasciare di segnalare che al padiglione ailati non si sono risparmiati nemmeno uno dei "criccaioli" che negli ultimi mesi tanto lustro mediatico hanno dato alla professione di architetto nel nostro disgraziato paese, come portatori d'acqua al sistema gelatinoso o come truccatori di gare e concorsi. Non si può dire che non sia rappresentativo e mi illudo che siano stati invitati in quanto esempi in negativo, ma magari, un bollino rosso accanto ai nomi... un'iconcina a significare "tossico o nocivo", come sul manifesto per i raccoglitori di funghi...
rocco, non conosco l'elenco degli architetti presenti, perché alquanto disinteressato alla cosa: sono stato due volte in vita mia alla biennale e mi è bastato. E' anche un fatto personale: non mi piacciono le mostre di architettura, mi annoiano. L'unica cosa che mi piacciano sono i plastici. Soprattutto mi piacciono gli edifici che ospitano la biennale.
Dunque io non so chi sia il "criccaiolo" come lo definisci te. Il dubbio, tuttavia, non mi fa perdere il sonno, dato che anch'egli sarà presente con la solita roba e, in più, presenta questo "valore aggiunto".
Saluti
Pietro
.. però questa cosa segnalata da Rocco, e che avevo letto credo su segnalazione di Stefano, ma non ne sono certo, sommata alla dichiarazione di Bondi, di affidare la ricostruzione delle periferie agli architetti della Biennale, FA PAURA!
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