Questo post è dedicato a tutti coloro che credono nella critica architettonica contemporanea come disciplina avente vita propria e capace di tenere separata l’architettura dalle sue conseguenze tangibili sulla pelle di chi la subisce, quasi un’analisi scientifica e asettica separata dalla società in cui essa opera.
Vittorio Gregotti, Corriere della sera 3 giugno, articolo di Pier Luigi Panza:
“A causa di un’interpretazione perversa, nichilista e schizofrenica della globalizzazione, l’architettura sta rinunciando a tre suoi storici principi: quello di modificare il contesto urbano con un disegno razionale e socialmente condiviso, quello di lavorare anche nella piccola dimensione e, infine, quello di intendere la costruzione come metafora di lunga durata”.
Gregotti dice cose condivisibili ma dimentica il suo Zen che non risulta essere “socialmente condiviso”. Sbagliare è ammesso a chiunque, ma non perseverare nella sua difesa ad oltranza. Dunque ciò che dice oggi è giusto ma ciò che continua a pensare è altra cosa.
Renato Nicolini: Cartolina Corviale su PresS/Tletter n° 17
“…Ne fa le spese ancora una volta Corviale di Mario Fiorentino. Qualcosa che è stato oggetto di studio, in tutto l’ultimo decennio, in senso esattamente contrario, come intervenire per completarlo e farlo funzionare senza demolirlo. Questo anche per il fascino estetico che ne promana, che aveva particolarmente colpito Bruno Zevi e che per ultimo ha percepito Giorgio Montefoschi inviato dal Corriere della Sera… Una serie d’interventi di delocalizzazione parziale degli attuali inquilini dell’ATER che volessero andarsene, sostituendoli ad esempio con una popolazione studentesca; o di upgrade architecture che si aggiungano modificando; ristrutturazioni parziali e più estese, e restauri – ad esempio della segnaletica; sembrerebbero molto più adeguati ad affrontare concretamente la questione. Corviale ha bisogno di questo tipo d’intervento….avendo lavorato molti anni come assistente nei corsi di Mario Fiorentino, penso che il risultato di qualsiasi architettura dipenda molto da come viene abitata. Fiorentino è stato influenzato dall’ideologia dell’abitazione collettiva, dal valore simbolico che partiva dal Karl Marx Hof di Vienna e dalla sua estrema resistenza all’annessione nazista, per arrivare ai grandi quartieri popolari. Con un’idea degli inquilini forse aprioristica, astrattamente positiva. Per questo insisto sull’importanza di modificare la composizione sociale degli abitanti di Corviale con una robusta iniezione studentesca”.
Qui non c’è niente da condividere e non c’è ripensamento. Anzi c’è una malinconica pervicacia nel difendere l’indifendibile, e molto di più. Queste parole provengono da un altro mondo, che molti immaginano sepolto. C’è ancora l’ingegneria sociale, le persone oggettualizzate a strumento dell’architetto: “penso che il risultato di qualsiasi architettura dipenda molto da come viene abitata”. Vale a dire la colpa è degli inquilini che non sanno abitare.
Sembra la riedizione di una lettera scritta da Le Corbusier nel 1946 ad un certo Malespine:
“Alloggiare? Vuol dire abitare, vuol dire saper abitare. Il mondo ufficiale non si occupa di questa questione che in termini elettorali. Ora, l’alloggio è lo specchio della coscienza di un popolo. Saper abitare è il grande problema, e alla gente nessuno lo insegna”.
Ma Le Corbusier non aveva ancora “sperimentato” e potremmo dargli, per così dire, un’attenuante rispetto a Nicolini, che oggi il risultato lo può constatare, se solo lo volesse. E quella trovata meravigliosa del restauro della segnaletica capace, se realizzata, di salvare e rivedere tutta la storia dell’architettura moderna! C’è chi afferma che Le Corbusier sia ormai superato da tempo dalla critica… Forse, dopo la nuova segnaletica, verrà rivalutato, e con lui Fiorentino. Il quale si è ispirato al Karl Marx Hof per la "sua estrema resistenza all’annessione nazista"! Ma nel 1972 Hitler era, fortunatamente, morto da un pezzo!
Giorgio Montefoschi: Corriere della Sera, 2 giugno 2010 – Corviale: il sogno dell’ateneo
“Ancora sul Corviale, il chilometro abitativo costruito negli anni Settanta su Progetto di Mario Fiornetino alla fine di della via Portuense, che l’assessore alla Casa Teodoro Buintempo avrebbe voglia di abbattere. Ne parlavo giorni fa con un architetto romano, Giulio Fioravanti. Il quale, oltre a essere assolitamnete d’accordo con tutti quelli che invece vorrebbero conservare questo segno architettonico, forse incompiuto ma certamente di rilievo, mi diceva che, secondo lui, la maniera migliore per rivitalizzare il Corviale sarebbe quella di farci una sede universitari: la sede di Roma Quattro. “E le famiglie?” ho domandato. “Le famiglie-mi ha risposto- rimarrebbero. L’università si potrebbe benissimo sistemare nei due piani del basamento”. Penso che l’idea sarebbe bellissima, e comunque meritevole di essere presa in esame”.
Montefoschi era rimasto affascinato dalla sua prima visita al Corviale di poco tempo fa (vedi qui). Il tema del “segno” ritorna e, pur di non abbattere il segno mettiamoci l’università in coabitazione con gli inquilini dei piani di sopra. E’ giusto, direi, perché i giovani portano allegria e gli inquilini ne godrebbero fortemente e le loro case si rivaluterebbero. Semmai eviterei di metterci la Facoltà di Architettura, perché esiste la seria possibilità che, dai piani alti, professori e studenti possano essere fatti segno di lanci di vasi da fiori da inquilini non proprio soddisfatti degli architetti.
Molto altro ancora ci riserva la stampa, ma è bene non dilungarsi. Piuttosto gettiamo uno sguardo ad alcune vere perle video.
Nientepopòdimenoche Mario Fiorentino che spiega agli studenti il progetto:
Corviale- Architettura a Valle Giulia – parte 1
Benedetto Todaro:
“Il Corviale costituisce una specie di topos specifico dell’architettura contemporanea particolarmente caratterizzato non tanto e non solo per la sua realtà effettiva, quanto per il luogo che occupa nell’immaginario collettivo. Quindi Corviale è diventato non soltanto una realtà evolutiva nel tempo, quindi non un Corviale ma tanti Corviali man mano che il tempo andava passando, ma soprattutto è quel Corviale dentro di noi, dentro l’architettura. E’ lì che il discorso diventa intrigante e interessante: cosa è Corviale per noi, cosa rappresenta per noi e a che tipo di riflessione ci induce”.
Non so dire se alla riflessione ha seguito risposta. Mi piacerebbe saperlo però.
Mario Fiorentino spiega agli alunni di un liceo scientifico:
“Abbiamo domandato all’Istituto case popolari qual’era lo standard per loro accettabile dal punto di vista dell’amministrazione. Per esperienza loro, praticamente i condomini più grandi che loro fanno e fanno bene, sono circa di 250 appartamenti. Quindi praticamente 250 appartamenti consentivano 5 condomini all’interno di questo sistema. Da qui le 5 porte e da qui i 5 complessi condominiali e da qui i 5 assi su cui è organizzato questo sistema, che è un sistema non di una casa lunga 1 chilometro, che è una cretinata, ma quello di un sistema di assi ortogonali e di assi longitudinali che praticamente attraverso questa maglia organizzano quel sistema che ha una profondità di 250 metri, cioè la sezione di questo elemento qui è una sezione abbastanza complessa di 250, organizzata attraverso questo sistema formale delle cinque porte che riflette un sistema organizzativo interno di 250 appartamenti perché sono 4 condomini da 250 metri”.
Tutto qui? Chi lavrebbe detto che il Corviale altro non sarebbe che il risultato quasi automatico e ottimizzato delle indicazioni date da un amministratore di condominio (pubblico)! Certo, bisogna tenere conto che l’architetto si rivolgeva ad un gruppo di giovani liceali e dunque doveva necessariamente semplificare, però quella battuta sul chilometro, così minimizzante e banalizzante, lascia supporre che vi sia una certa serietà in quello che dice. Ma questo non lo potremo sapere. Resta il fatto che quattro condomini (o cinque, boh, perché si scambiano alloggi con metri e viceversa) lunghi 250 metri, se messi in fila fanno sempre un chilometro e anche un solo condomino di 250 metri strutturato su ballatoi è un mostro, solo un po’ più piccolo. Se fosse vera la storiella raccontata, e io non credo sia vera, sarebbe la dimostrazione dell’incapacità di saper valutare le conseguenze dell’aggregazione di quattro edifici da 250 metri, la cui somma non è stimabile in termini aritmetici perché trascura la promiscuità, la diversa percezione della propria abitazione, il valore simbolico e di “segno” stesso che un edificio di 1 Km comporta. No, io credo ci sia stata precisa volontà e allo stesso tempo indifferenza rispetto alle conseguenze e non sottovalutazione del problema.
Corviale –Parte 2
Mario Fiorentino:
“Ci sono due modi di fare l’architettura. Forse ce n’è uno solo ma è il modo di risolvere certi problemi di architettura. Uno è quello di mettersi nel canale del quieto vivere ed di utilizzare gli schemi supercollaudati che ormai in edilizia si è configurato. E poi c’è la strada della sperimentazione, in un certo senso. E questo appartiene più a questa scala”.
Questa affermazione è certamente autentica ed è il leit-motiv dell’architetto moderno, la giustificazione aprioristica di ogni sbaglio: gli esperimenti, si sa, falliscono, ma, alla fine, qualche volta riescono. In architettura non è successo e inoltre gli esperimenti restano e pesano sulle persone.
Amedeo Schiattarella:
“Corviale non è questa sorta di astronave improvvisante precipitata sul suolo romano per gettare panico tra la popolazione, perché in realtà è il frutto di una lunga elaborazione fatta dentro la Facoltà di architettura dagli studenti e dai professori per molti anni, su addirittura idee che nascevano da questa concezione di una città che doveva separare l’edificato dall’area verde e liberare grandi aree da destinare ad ambiente naturale concentrando la cubatura in pochissimi spazi”.
Osservazione pertinente, ma dal tono e dal fatto che “Corviale non getta panico nella popolazione” sembra vi sia una sorta di giustificazione e di adesione al principio dell’elaborazione di chara matrice lecorbuseriana.
Paolo Desideri:
“Corviale appartiene certamente ad una idea che nel 1982 ancora mette in scena, mette in figura una cultura abitativa che è sostanzialmente la cultura abitativa della civilizzazione modernista”.
A parte il lapsus della data, Desideri fa un’affermazione vera ma, senza il seguito, difficile da valutare.
Amalia Signorelli, sociologa:
“Credo ci sia stato veramente un’abitudine, un percorso di esperimento in corpore vili. L’architettura italiana si è così massicciamente occupata di edilizia popolare, di edilizia pubblica, sociale e non di edilizia privata perché aveva “carta bianca”, aveva di fronte degli interlocutori che non erano in grado di articolare le proprie esigenze e semmai di fare opposizione alle idee degli architetti, laddove il committente privato, il committente borghese, se non altro articola. C’avrebbe gusti pessimi, filistei, kitsch quanto volete, però siccome paga, pretende”.
Per fortuna che c’è questa signora a raccontarla giusta, pur con la “prudenza” e un residuo di “supponenza” verso il privato ignorante, funzionale però al luogo.
Tutto si tiene, dunque. Critici, architetti, intellettuali, tutti riflettono pensosi sui problemi del Corviale, tutti cercano soluzioni per recuperarlo, ri-usarlo, come diciamo noi architetti, non pensando che se un edificio recente deve essere ri-usato, evidentemente l’uso a cui è stato destinato, o la tipologia per quell'uso, era sbagliato, tutti inneggiano al gesto, lo inseriscono nella “cultura del tempo” e perciò stesso lo assolvono, assolvendo quindi indirettamente anche quella cultura tout court. Ma gli abitanti restano sullo sfondo, merce buona per i servizi sociali, le associazioni di volontariato, i gruppi culturali che li rallegrano con i loro spettacoli e le loro feste dagli immaginifici nomi.
E la sera ognuno di loro torna alle proprie belle case del centro storico, della campagna, dei condomini con portiere, e al Corviale ci restano gli altri. Ma, si sà, il critico deve fare questo, non ha responsabilità nei confronti della società ma solo della sua disciplina! Chissà se avranno mai fatto un convegno su etica ed estetica, etica ed architettura!
Facciano un bel gesto di coerenza, dato che l’Istituto case popolari ha intenzione di mettere in vendita gli appartamenti per liberarsi di un peso, economicamente e socialmente, insopportabile: costituiscano una bella cooperativa, lo comprino loro (la compagnia non manca certo), con il sostegno di imprenditori edili di area che anche questi si trovano, ci vadano a stare, ci facciano un bel Falansterio stile ‘800, case, loft, studi, atelier, un pizzico di Università (ma non troppa perché i giovani sono rumorosi), spazi polivalenti culturali, pista elicotteri in alto, sala cinematografica con una copia restaurata della Corazzata Potiomkin, centro congressi, un albergo per gli amici ospiti, e così il gossip che ora ondeggia tra Capalbio e le masserie pugliesi riacquisterà la sua centralità romana al Corviale.
Una raccomandazione però: nel piano economico-finanziario non sottovalutino i costi di ristrutturazione.
Di seguito il link ad un altro video su Corviale e link a qualche post correlato:
One day at the Corviale
Le Corbusier e lo storicismo
Periferie e archistar
Pratiche pre-moderne dell'urbanistica
Dimenticare Le Corbusier
Sull'edilizia popolare
Dietro il modernismo alcune verità
4 giugno 2010
CORVIALE: TUTTO SI TIENE
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7 commenti:
Abbiamo capito!
a te il Corviale fa schifo e dedicherai la tua esistenza ad abbattere il tuo mulino a vento.
Daltronde visto il suo lampante degrado hai individuato qualcosa su cui "ti piace vincere facile".
Quello che non capisco è cosa ci sia di così terribile nel sostenere che, tra le varie soluzioni al problema, ci possa anche essere quella del recupero e della riqualificazione.
Alla fine date l'impressione che, più che una battaglia per il miglioramento delle condizioni di vita dei corvialesi (che un giorno mi auguro insorgano per riprendersi in mano la gestione della loro città), la vostra sia una battaglia ideologica contro il modernismo tout court.
non solo, la critica al modernismo appare essere il pilastro fondamentale del vostro modo di intendere l'architettura; in effetti è quanto emerge da tutti i vostri documenti; in questo modo però svilite voi stessi e quanto di positivo potrebbe esserci nel vostro messaggio
in pratica voi sostenete il seguente assioma:
1 - Corviale fa schifo
2 - Corviale fa schifo perchè è un prodotto dell'architettura moderna
3 - quindi Tutto il moderno fa schifo
4 - Noi critichiamo il Corviale
5 - Quindi l'antimodernità è una figata!
ammettiamo che il primo punto sia corretto, sul secondo riconoscerai che ci sono opinioni discordanti, il terzo presupporrebbe una dimostrazione di carattere universalistica (ovvera valida in ogni caso), e su questo avreste maggiori difficoltà, a meno di selezionare accuratamente gli esempi, come in effetti fate.
Infine gli ultimi due passaggi (sto riferendo le mie impressioni, non sto mettendovi in bocca parole non dette) che si possono riassumere con parole di E. Bennato:
"puoi fidarti di me! il peggiore di tutti si è scoperto chi è!"
ecco io penso che l'idea del Borgo Corviale sarebbe più solida senza il substrato anatemistico messianico di guerra al moloch moderno/Corviale
ne gioverebbe anche la discussione ed in ultimo la città che potrebbe finalmente, con animo leggero, "sperimentare" anche forme di costruzione architettonica tradizionale, concedendosi ogni tanto (ma solo se mamma consente) anche qualche scappatella Hi Tech, Decostructivista, Razionalista Neorazionalista o Postmoderna che sia
ciao
PS - rispondo in anticipo ad una obiezione: "no che non ci vado a vivere a Corviale, a meno che non diventa un posto fighetto radical scic, frequentato da artisti, designer fighetti, gallerie d'arte, localini trendy, ecc." perchè tu ci andresti a vivere in una grotta nei sassi di Matera?
le due domande sono pretestuose e la risposta, ovviamente, è ironica
Caro Pietro,
ottimo post, c'è ben poco da aggiungere, mi limito a riflettere su coloro i quali supportano l'idea di trasformazione:
1) dove vanno a finire i residenti dei due piani da adibire ad università? Occorre deportarli in altre case, che andrebbero a sommarsi alle 25000 che già mancano a Roma a detta dei giornali. Si! Questa è un'ottima soluzione sostenibile!
2) ma se l'ATER vuole sbolognare il Corviale perché costa troppo per le casse pubbliche tenerlo in vita, perché dovrebbe passare da una mano pubblica ad un'altra? Che in questo caso sparisce la necessità di manutenzione?
Un chiarimento anche per qfwfq: A noi non piace dire che Corviale fa schifo, per il solo gusto di dirlo, penso che il perché lo abbiamo motivato fin troppo. Noi non vogliamo (almeno io) sostenere l'identità Corviale=modernismo=tutto il moderno fa schifo.
Nel mio caso l'aver battuto tanto sul modernismo e su LeCorbusier è stato dovuto alla necessità di fare chiarezza, poiché una delle ragioni per cui non ci sono grandi speranze per Corviale e simili è dovuta all'idiozia delle persone che argomentano politicamente la cosa, sostenendo che Corviale si identifichi con la cultura comunista sovietica. Finchè tra le persone di destra si sosterrà questa idiozia, dall'altro lato ci sarà sempre l'idiota di sinistra che dirà che l'architettura tradizionale è fascista. Il fatto che l'architettura monumentale fascista somigli a quella nazista e a quella comunista basterebbe a far riflettere che non v'è alcuna identità. Sarà forse perché a me fa schifo sia la destra che la sinistra che riesco ad accorgermene? Io non credo, penso piuttosto che tra le persone si inneschino dei fenomeni di orgoglio e pregiudizio che appannano la vista.
Corviale attuale è una sangiuisuga, e non v'è possibilità di modificare geneticamente questa sua prerogativa. ABBATTIAMOLO!
Ettore
qfwfq, cercherò di risponderti con ordine:
1) per te, e per tutti coloro che sostengono Corviale, il problema è di "degrado" dell'edificio, esattamente come allo Zen la responsabilità del degrado, per Gregotti, sarebbe attribuibile all'abbandono, ai servizi non completati, ecc. Non c'è dubbio che l'abbandono accentui il degrado, ma si fa finta di non vedere che il degrado è consustanziale a quel tipo edilizio, chiamiamolo così, e a quel tipo di costruzione. Il progetto contiene in sè stesso l’ineluttabilità del "degrado". Affermando quello che tu affermi giustifichi, in realtà, il Corviale come architettura. La sociologa Amalia Signorelli ha espresso bene questo concetto, affermando che gli architetti hanno avuto mano libera con il committente pubblico. E non è accaduto solo a Corviale, ma nei soliti casi che è perfino noioso ripetere, come pure nella stragrande maggioranza dell'edilizia sociale, sovvenzionata e anche convenzionata; quella che non si conosce, quella che è visibile però in quasi tutte le città, grandi o piccole. Senza faticare molto vai su Google o su Bing e guarda. Dunque difendere il Corviale, che è il caso più vistoso, dimensionalmente, e tra l'altro una pessima architettura nata, e osannata, con intenti ideologici, vuol dire difendere un mondo che non appartiene solo agli architetti (magari fosse così) ma ad un tipo di cultura indifferente ai cittadini e alle città. Per questo io personalmente, senza coinvolgere gli autori dei progetti in questo mio giudizio, non ho difficoltà alcuna a riconoscere che abbattere un simbolo è anche una posizione politica, oltre che culturale. D’altra parte ho sempre dichiarato questo un blog “fazioso”, nel senso di schierato, perché per affermare la nostra verità occorre prima demolire La Verità assoluta e incontrovertibile che domina. Attenzione, posizione politica, ho detto, ma non di parte, nel senso che se Marrazzo, ad esempio, avesse detto: il Corviale va abbattuto, io gli avrei dato mille ragioni. Ma non l’ha detto e non avrebbe potuto dirlo se mai lo avesse pensato, perché il suo mondo politico e culturale avrebbe reagito. L'ha detto Buontempo, detto ‘er Pecora, e io gli do mille ragioni.
2)Il valore alle nostre proposte ed idee, in casi come questi, difficilmente viene per adesione culturale spontanea, ma solo se c'è, prima, una presa di coscienza dei danni che opere come queste hanno prodotto e che per questo devono essere, di norma, eliminate. Partendo da questo presupposto si può discutere dei vari progetti alternativi e si può parlare solo di architettura e urbanistica, ma se non si rimuove quell'ostacolo ideologico non c'è discussione possibile, e la dimostrazione sta in tutti quei discorsi che ho trascritto nel post: falsa adesione ad un metodo oppure decisa contrarietà ad esso.
3) Andrei a vivere a Matera? No, perché vivo ad Arezzo e non mi sogno di trasferirmi altrove. Però so che i sassi attualmente tirano eccome. Andrei molto volentieri a vivere in un bel palazzo del centro storico della mia città, proprio come tutti coloro che difendono Corviale (sono sempre incerto se davanti ci voglia l’articolo oppure no). Ci vadano, ci vadano a Corviale lor signori, oppure lascino scegliere chi ci vive se restarci o meno (dato che ce li hanno messi loro, anche se non tutti loro).
Ciao
Pietro
Non so se qualcuno l’ha accennato, comunque, non l’ho memorizzato, ma il sistema costruttivo del Corviale è uno dei più grossi ostacoli ad una eventuale ripensamento anche manutentivo.
La rigidità del sistema a telai in c.a. impallidisce di fronte al diabolico sistema di prefabbricazione a tunnel (…non tunnel ma “tunnèl”… ) tanto in voga sulle rivistine per “architetti soli”.
Diffuso ampiamente anche tra i progettisti “minori” (..nel senso che hanno “meno” prestigio accademico e purtroppo anche meno buon senso…) tanto da essere adottato in molti cantieri di edilizia popolare nella stessa Roma, prevede un setto portante di circa 30 cm, tutt’uno con il soprastante solaio, ogni circa 6-7 metri.
I setti sono forati unicamente ove previsto nel progetto: in genere in corrispondenza di angusti corridoi larghi poco più di un metro.
Ci si può quindi imbattere in un alloggio di tre tunnel affiancati che all’interno ha due divisori in c.a. di considerevole spessore.
Il tunnel porta un pannello prefabbricato di prospetto lungo anch’esso circa 6-7 metri; adornato di infissi in lamiera di ferro verniciato a fuoco tutt’uno con il cassonetto secondo il sistema “Secco” anch’esso in voga. Talmente poco rigido da rendere problematica l’apertura di un’anta da finestre a balcone: la traversa superiore si discosta regolarmente da quella inferiore di buoni 10 centimetri; in compenso la gran mole di guarnizioni incolla tutto ed impedisce, per fortuna, che si rompano i vetri ad ogni occasione. Questo accadeva nel 1980-82 al momento delle prime consegne: oggi a trent’anni la plastica ha polimerizzato completamente con le conseguenze che ognuno può immaginare.
Tutti i componenti sono assemblati tra loro mediante incastri, tirafondi e bulloni spesso senza sigillatura ma con profusione di scossaline anch’esse in lamierino di ferro verniciato.
Le finiture sono meno che spartane con la carta da parati direttamente applicata al c.a. di cui si intravedono le inevitabili cariature. D’intonaco, “civile intonaco”, non v’è traccia: non si piantano chiodi per un quadruccio qualsiasi... proibito. Gli impianti sono immutabili e fissi come la stella polare: spostare un punto luce, aggiungere modificare è impensabile.
Qual è il daffarsi quindi per mantenerlo, adeguarlo, ristrutturalo ?
Rifare tutto; ma, dati i vincoli, rifarlo esattamente come prima. Evitare qualsiasi variazione interna, qualsiasi integrazione di servizi igienici: un secondo bagno in un alloggio di 8 (…dicasi otto utenti…) è una chimera; il tunnél di soggiorno-pranzo è democraticamente uguale per tutti siano 3 o 8 persone. Mantenere ingresso, corridoio, finestre di bagni e cucine rigorosamente sul ballatoio alla mercè di quel centinaio di persone che lo percorre incessantemente per recarsi al proprio (..od ai propri…) tunnél e con cui si finisce per condividere le abitudini igieniche, culinarie ecc. ecc.
Vita da sfollati: negli anni 80 come nel 2010. proprio come quelle famiglie che in tempo di guerra, venivano precariamente alloggiate negli edifici pubblici, separate solo da tende e bandoni.
Francamente troppo per un cittadino italiano…
Saluto
Alla descrizione precisa di memmo54 aggiungo solo che l'impianto elettrico è incassato direttamente nei getti delle pareti e dei solai ed è in genere "a ragno", cioè scende dai solai superiori sulle pareti. Modificarlo è impossibile e anche solo ritrovare da dove viene un cavo non è affatto facile. Considerando l'anno di costruzione e la "meno che spartana" costruzione, i cavi saranno certamente insufficienti rispetto agli standard attuali, dunque gli impianti elettrici dovrebbero essere tutti rifatti. Esternamente, è chiaro.
La mania, e il fallimento, della industrializzazione edilizia! Davvero la storia non insegna niente a chi non vuole ascoltarla, perché oggi si ripropone con le case di legno: più umane forse nell'aspetto, ma nella sostanza il principio è lo stesso.
Ciao
Pietro
qfwfq il tuo paralogismo rovescia semmai, ed espone, l'intenzione di chi il Corviale, alla fine, lo vuole tenere comunque su: 1) Il Modernismo dogmatico e parolaio non si tocca e va difeso; 2) Il Corviale è un frutto esemplare del Modernismo dogmatico e parolaio; 3) Anche se fa schifo, il Corviale va difeso a tutti i costi, magari con attacchi ad hominem contro chi ne critica a ragione la mostruosità.
Tra questi attacchi ad hominem, il primo consisterebbe nell'anatema degli anatemi: tradizionalista, conservatore e stagnante. Che sarbbe chiunque non accetta il punto uno del tuo sillogismo implicito.
Grande intervento quello di Memmo54. Adesso sarà interessante vedere in che modo i "restauratori-conservatori" di Corviale tenteranno di arrampicarsi sugli specchi per reclamare ancora il restauro e la trasformazione del "gratta-terra".
Chi ha poca conoscenza della storia (inclusa quella recente), e soprattutto non ha esperienza di cantiere, (pensiamo a Nicolini per esempio) parla come la sua ideologia gli suggerisce, non rendendosi conto della figura penosa di ignorante che va a fare agli occhi di chi le cose le sa per averle studiate o per la pratica di cantiere
Ettore
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