Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


16 maggio 2010

DEMOCRAZIA E BELLEZZA NEL NUOVO LIBRO DI MARCO ROMANO

Quello che segue è un piccolo estratto dal Prologo del nuovo libro di Marco Romano, “Ascesa e declino della città europea”, Raffaello Cortina, 2010 (Il libro è scaricabile anche in formato PDF nel sito Estetica della Città).
Quattro capoversi che sono una sintesi dell’origine della crisi della città e dell’architettura moderna, e la spiegazione del paradosso per cui, ad una società tesa ad allargare sempre più gli spazi di democrazia, ha corrisposto invece una città “scritta” con un linguaggio che esclude i cittadini che non capiscono ma devono subire.
L’urbanistica contemporanea, figlia di un mondo dominato dal mito trionfale della tecnica, insiste sull’efficienza che sarebbe conseguibile con un buon piano regolatore, su come sarebbe più facile vivere in una città con le sue cose disposte secondo i principi razionali stabiliti dalla disciplina e raccordate da strade veloci che leghino le tre funzioni fondamentali, la casa, il lavoro, la ricreazione: e in questo, nel far coincidere l’efficienza con la bellezza, la conclamata bellezza di un silos, consiste tutta la dottrina estetica moderna sulla città.

La bellezza di una rigorosa efficienza era poi congruente con il rigore delle avanguardie artistiche contemporanee, e come le avanguardie andavano maturando una visione estetica nuova che tendeva a ridurre la pittura a una composizione di punti, linee e superfici (è il titolo di un noto libro di Kandinsky), quasi a prescindere dal suo significato, dalla consistenza figurativa del suo soggetto, così nella città doveva venire messa in campo una visione altrettanto astratta, e come dai quadri e dalle statue andava cancellata la riconoscibilità delle figure così dalle città dovevano scomparire tutte quelle cose che avevano costituito gli elementi essenziali della loro bellezza, le passeggiate e i boulevard, le strade principali e quelle monumentali, le lunghe prospettive trionfali e le piazz , in effetti cancellate dalle futuristiche prospettive della Ville Radieuse di Le Corbusier o della Groszstadt di Ludwig Hillberseimer.

Tuttavia, mentre una qualsiasi nuova forma di espressione artistica è legittima, dalla “maniera moderna” del Pontormo e di Rosso Fiorentino ai quadri luminosi di Claude Monet o ai tagli di Lucio Fontana, anche se coltivata e condivisa soltanto da pochi estimatori, la città deve venire invece apprezzata da tutti i cittadini, e dunque la sua bellezza non può venire fondata su un linguaggio estetico così nuovo da essere comprensibile soltanto da una élite ma deve per sua natura essere accessibile, proprio come il linguaggio verbale, all’intera cittadinanza, perché le scelte che la concernono debbono poter venire discusse da chiunque e non diventare il campo privilegiato di pochi esperti.

Quanto alla coincidenza tra la razionalità dell’organizzazione cittadina e la sua bellezza i conti non tornano, perché la sfera della tecnica è per sua natura soggetta all’intrinseca legge del progresso, dove ogni novità cancella la precedente, mentre l’aspirazione alla bellezza è quella di durare in eterno, sicché ciò che è nato nella sfera dell’efficienza tecnica non potrà mai aspirare all’eternità della bellezza…
.

Sono per me di grande interesse gli esiti degli ultimi due periodi, e cioè:
1. l’origine elitaria dell’urbanistica moderna, mutuata dalle teorie artistiche delle avanguardie, sovrapposte automaticamente alla città, con l’aggiunta di dati tecnici legati all’igiene e alla mobilità, già presenti dal XIX secolo, che sovrappone la visione urbana di pochi, peraltro dimostratasi da tempo del tutto sbagliata, alla visione estetica e ai bisogni reali dei più;
2. il riconoscimento del bisogno di “eternità della bellezza”, che implica il riconoscimento dell’esistenza del bello condiviso e assoluto, basato sulla osservazione della natura e della figura umana in particolare, che non può risiedere nella tecnica, destinata per sua natura intrinseca alla evoluzione e alla transitorietà.

Le teorie urbanistiche basate sul funzionalismo e sulla scomposizione del tempo di vita dell’uomo in “fasi” diverse, corrispondenti a diversi momenti del trascorrere della giornata di tutti e di ciascuno, estrapolate dal taylorismo industriale ed applicate anche alla città, con la divisione in zone a diversa destinazione programmata, hanno trovato la loro espressione grafica e compositiva nelle teorie artistiche “astratte”, che trattano la città come una tavolozza bianca da riempire con disegni che nulla hanno a che vedere con la complessità e ricchezza di relazioni proprie di un insediamento umano. La diffusione di questa teoria, ad ogni livello, fa dire a Marco Romano che, dopo vent’anni di insegnamento di urbanistica, egli non avrebbe saputo dare una risposta adeguata ad un Sindaco che gli avesse chiesto di progettare una città “bella”. E’ ormai abbastanza diffusa nella generazione cui appartiene Romano, non molto lontana da quella a cui appartengo io, la convinzione che l’uomo moderno non sappia più progettare città, tanto meno belle città. Ed è anche maturata la certezza delle cause del disastro, cioè il fallimento completo della disciplina che ha creato generazioni di architetti allevati al gusto “estetico e artistico” dell’astrattezza, con una divaricazione sempre maggiore tra città e abitanti, tra urbs e civitas.

Il disegno urbano moderno non prevede e non considera il fatto che, una volta realizzata, la città contenga persone, che hanno necessità ed emozioni che non trovano soddisfazione in quegli spazi frammentati, pur se progettati unitariamente, privi come sono di una narrazione continua, di un flusso sequenziale di informazioni, di cui gli individui hanno bisogno per muoversi, orientarsi e sentirsi a loro agio nello spazio.
La “bellezza” dell’architetto moderno è invece assolutamente autoreferenziale, prodotto ad uso interno di una categoria di persone capaci solo di immaginare oggetti separati in uno spazio sincopato, discontinuo e inanimato, in cui l'uomo assume lo stesso valore del materiale d’arredo. Scelta consapevole questa, dato che agli abitanti delle case e della città moderne si dovrà “insegnare ad abitare", secondo l'espressione di LC, come se l’abitare non fosse un istinto naturale e primordiale che esclude la possibilità di maestri.

Ma per l’uomo normale, non per l’architetto, la bellezza è eterna, è oggettiva, non necessita di, e non è inquinata da, teorie estetiche imposte dall’alto.
A questo proposito c’è una certa sintonia con Romano in un articolo scritto su Il Covile di Stefano Borselli da Luciano Funari, che è un grido di libertà e di rifiuto dai condizionamenti di una cultura conformista e acritica. Purtroppo non posso linkarlo perché per adesso è stato inviato in newsletter e non è ancora in rete, ma tra poco ci sarà (qui e poi sul N° 586):
Prima di resuscitare la “Bellezza”, occorre mettere in terapia intensiva l’uomo stesso e applicare un defribillatore alla cultura umanistica, forza generatrice di autocoscienza e libertà! “Anomia, eteronomia, autonomia” scriveva alla lavagna mia madre-professore di liceo- il primo giorno del corso di filosofia: la cultura forma la capacità critica, la libertà ed autonomia di giudizio. Ma non basta! Ci vuole anche il coraggio. L coraggio di proclamare le proprie idee, senza timore alcuno dei mille epiteti e sberleffi che il “mondo” è pronto a lanciare: il mondo dei “conformisti dell’anti-conformismo”, del gregge ossequioso delle conventicole pseudo-intellettuali e delle consorterie politico-affaristiche.

Dunque, per salvare la Bellezza, lanciamo i kamikaze della Verità!....

La Verità, la realtà, lo spirito critico, l’autonomia di giudizio e il coraggio delle proprie idee...


Per salvare l’arte e le nostre città dal Brutto non c’è bisogno di un pubblico di eruditi, esperti in critica sensista: basterebbe tornare alla realtà, alla verità, alla natura delle cose, recuperando almeno la dimensione “organolettica” della fruizione artistica. Se una scultura, una pittura, un’architettura è brutta, lo è e batsa! Chi se ne importa di chi l’ha fatta e dei fiumi di chiacchiere, verstai dai ciarlatani prezzolati per convincerci del contrario, opportunamente mimetizzati dalla cortina fumogena del loro gergo da iniziati: “sfumature sintattiche, semiologia del’infrastruttura e semantica della struttura”, “morfemi di spazio negativo” e “polifemi del dopo immagine architettonico”… “Il significato sintattico non concerne il significato che compete agli elementi o ai rapporti effettivi fra gli elementi ma, piuttosto, concerne il rapporto fra diversi rapporti” (Eisenmann)…
.


In casuale quanto singolare coincidenza con quanto sopra, è uscito su Il Foglio un articolo di Fabrizio Giorgio, La mirabile visione, su Roggero Musumeci Ferrari Bravo, artista e scrittore dei primi del ‘900, che “rivelò” il canone della Divina Proporzione, cioè la “formula” del bello assoluto.
Dicevo casuale coincidenza, nel senso che certamente non c’è alcuna concertazione, ma non credo sia affatto casuale il fatto che da figure così distanti e diverse l’una dall’altra si affronti lo scivoloso e scandaloso tema della Bellezza. Posso almeno dire che di fronte a tanta bruttezza era finalmente l’ora?

31 commenti:

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pagliardini,
dici: «La “bellezza” dell’architetto moderno è invece assolutamente autoreferenziale».

Concordo occorre eliminare ‘l’empietà degli architetti moderni’ propongo di esiliarli tutti ad Olimpia sul modello di Fidia.

Inoltre, propongo di fare una puntata speciale di ‘Voyager’ sulla formula della ‘Divina Proporzione.
Roberto Giacobbe saprà rendere succulente e avvincente il tema proposto da Fabrizio Giorgio.

Il vigoroso (l'immagino affacciato al balcone) Stefano Borselli urla: Se una scultura, una pittura, un’architettura è brutta, lo è e batsa(sic.)!

Secondo quali principi?

Che cos’è bello?

Il brutto è sempre brutto?

Ad esempio, ho la strana sensazione che tutto quello che per te è brutto per me è bello, chi ha il diritto di defenestrare il presunto brutto, io o tu?

Perché la domenica non ti riposi?

Saluti,
Salvatore D'Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Già il fatto che tu immagini Stefano Borselli "affacciato al balcone" mi dice che manchi, come minimo, di intuizione e questo mi rende più lieve il non rispondere.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

D'Agostino,
per me la merda è buonissima: la mangio a colazione, pranzo, cena e a volte anche di notte quando ho un languorino. Secondo me è giusto inserirla nei menù delle mense scolastiche, sei d'accordo?

Forse ai bambini non piace, ma chi ha il diritto di dire ciò che è buono e ciò che è cattivo? Ciò che fa bene e ciò che fa male?

Secondo quali principi?

Che cos’è buono?

Il cattivo è sempre cattivo?

Ad esempio, ho la strana sensazione che tutto quello che per te è cattivo per me è buono, chi ha il diritto di defenestrare il presunto cattivo, io o tu?

Lorenzo

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
hai ragione facciamo che urlacchia contro gli ‘archistar’ (così sei felice) in un convegno del Lions Club o Rotary Club davanti alle autorità competenti.

Non cerco risposte, potrei scrivertele io sarebbe un buon esercizio di stile ovvero in stile ‘mugugno reazionario’.

Saluti,
Salvatore D’Agostino

Salvatore D'Agostino ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Pietro Pagliardini ha detto...

Il sostantivo mugugno è efficace ma non mi piace. L'aggettivo reazionario è efficace e mi piace molto.

Come è efficace, anche se un po' crudo nei termini, il commento di Lorenzo.
Ma che male c'è, se quella d'artista costa tanti soldi!

L'ultimo commento lo definirei cripto-esoterico, però, volendogli attribuire un valore, forse non intenzionale, ci si può intravedere uno lampo di ironia.

Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

---> Pietro,
non so che è successo ma il mio commento era questo :

Lorenzo,
sono disinteressato ai gendarmi del ‘gusto’.
Evito di citare gli ultimi libri di Eco per non disturbare la sensibilità degli amanti di ‘Roberto Giacobbe’.
Buona digestione.
Saluti,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Quindi il lampo di ironia era involontario!
Peccato
Pietro

Linea che ognuno ha diritto al proprio cattivo gusto purchè non lo appicchi alle idee altrui... ha detto...

"2. il riconoscimento del bisogno di “eternità della bellezza”, che implica il riconoscimento dell’esistenza del bello condiviso e assoluto, basato sulla osservazione della natura e della figura umana in particolare, che non può risiedere nella tecnica, destinata per sua natura intrinseca alla evoluzione e alla transitorietà."

pietro, romano non sostiene questo... questa è una tua personalissima e soggettivissima interpretazione.

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Sì robert, è vero, è una mia interpretazione, o più precisamente una mia estensione del pensiero di Romano.
Infatti, se c'è aspirazione all'eternità della bellezza, ciò implica che il concetto di bello debba essere eterno e perciò assoluto e, dice giustamente Romano, non basato sulla tecnica. Di mio (non nel senso che è un mio pensiero originale ma nel senso che Romano non l'ha scritto) ho aggiunto che non può che essere basato sulla figura umana, cioè non sull'astrattismo (e questo lo dice anche Romano) e quindi sull'osservazione della natura.
Credo che Luciano Funari, e anche Lorenzo, abbia chiarito bene con quella sua espressione di "dimensione organolettica della fruizione artistica", che registra una sensazione istintiva e naturale, cioè sensoriale e percettiva e quindi non mediata dalla cultura, di ciò che è brutto e di ciò che è bello.
Ciao
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

Ecco il link completo all'articolo di Luciano Funari pubblicato oggi su Il Covile di Stefano Borselli:

http://www.ilcovile.it/news/archivio/00000590.html

Pietro

Linea enogastronomica ha detto...

"espressione di "dimensione organolettica della fruizione artistica", che registra una sensazione istintiva e naturale, cioè sensoriale e percettiva e quindi non mediata dalla cultura, di ciò che è brutto e di ciò che è bello."

quindi hanno ragione hadid, gerhy, liebskind e compagnia bella... in quanto vanno dritti al cuore, anzi allo stomaco, per questo io li chiamo pop-modernism. e le loro cose sono belle dato che piacciono agli stomaci globalizzati.

robert

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo, hadid, gerhy, liebskind e compagnia bella vanno dritti allo stomaco, ma di solito questa non è una sensazione molto piacevole. Andare dritti al cuore non è esattamente la stessa cosa di andare dritti allo stomaco... provoca reazioni molto diverse. Quelli citati hanno come unico obiettivo quello di pubblicizzare se stessi facendosi notare, e il miglior modo per farlo è gridare più forte possibile, "spararla grossa". Il problema è che ogni loro schiamazzo, oltre a costare un occhio della testa, non da alcun contributo né alla bellezza dei luoghi né al "progresso artistico", perchè ognuno di loro ha un proprio specifico linguaggio destinato a scomparire (o almeno si spera) quando saranno sotto terra. Ma vogliamo dire che la Hadid ha francamente rotto le palle con i suoi svincoli autostradali o che Liebskind ha fatto altrettanto con le sue scaglie metalliche...? Lo scopo dell'architettura non può essere solo quello di stupire, perchè se ci passo davanti una o due volte al giorno potrò essere stupefatto per tre o quattro settimane, ma se dopo anni che ce l'ho davanti continuo ad essere stupito sono un idiota... e una volta passata la sorpresa e la "stupefacenza" della novità cosa rimane? Arrivederci

Lorenzo

Salvatore D'Agostino ha detto...

---> Pietro,
Luciano Funari è ancora più illeggibile dei tuoi ‘mugugni reazionari’ ma c’è una scuola feltriana in giro che insegna a scrivere, tutti questi ‘luoghi comuni ‘ populisti, con estrema tranquillità?
E dopo, il nostro non sa che il giornalismo di opinione (ovvero i lupi dell’informazione) è stato inventato dal suo Wolfe (che nel suo cognome contiene la parola lupo)?

---> Lorenzo,
bene le archistar sono delle ‘multinazionali’ iconiche.
Solo in pochi e circostanziati casi sono stati utilizzati in Italia.

Chiedo, anche a te, di parlare di architettura (non di quella che non ti piace, troppo comodo), lasciando da parte le archistar ‘reazionarie’ Krier, Salingaros e il pasticcio italiano che vorrei definire ‘Bondi’ mi proponi architetture, pratiche urbanistiche, testi critici (non testi contro qualcosa) e via dicendo che avvalorano la tua tesi?

Pietro non riesce a farlo (con dispiacere, poiché potrebbe essere un’occasione vera di dialogo), provaci tu, altrimenti rischiamo di parlare di nulla e fare opinione con la variante vittimistica dell’italiano colto (quello medio lavora o se ne frega) o del giornalista di regime lecchino.

Dai coraggio stupiscimi!

Saluti,
Salvatore D’Agostino

LineadiSenso ha detto...

"Il problema è che ogni loro schiamazzo, oltre a costare un occhio della testa, non da alcun contributo né alla bellezza dei luoghi né al "progresso artistico""
"se dopo anni che ce l'ho davanti continuo ad essere stupito sono un idiota"

lorenzo, se sei così convinto, vaglielo a dire alle milionate di visitatori che frequentano il museo di bilbao. e magari pure ai cittadini di bilbao. però... dopo averglielo detto... scappa a gambe levate... te lo consiglio...

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, se Lorenzo vorrà proporti "testi" critici, lo farà; io vorrei "testa" critica, ma mi rendo conto che non è molto facile.

robert, per chiarire meglio quello che penso e non ripetere le stesse cose, che uno spreco energetico, ti allego il link ad una cosa scritta su Il Covile diverso tempo fa. Il primo articolo che troverai è di Mario Praz, il secondo è il mio, a commento (parola grossa) di quello.

Ciao
Pietro

Linea del sadomaso kitsch... ha detto...

dove sta il link?

che se digito praz paggliardini covile mi escono fuori laptop artigliati, desk vittoriani e ci manca solo la frusta sadomaso con divisa in latex decorato e siamo a posto :-)

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

mannaggia...è tipico.

Eccolo:
http://www.ilcovile.it/news/archivio/00000491.html
Gli sfondi sono tratti da William Morris e tutta l'impaginazione è curata da quel cultore dei caratteri da stampa che è Stefano Borselli.

Scusa
Pietro

Linea su e xo pai ponti anca se no i pararia mia moderni.. ha detto...

pietro, l'avevo già visto 'sto articolo che mi hai dato e non capisco cosa c'entri con quello che ho scritto a lorenzo. il museo di bilbao ha milioni di visitatori, bilbao è radicalmente cambiata grazie anche al bilbao e i cittadini sono contenti del rinnovamento avuto e dei soldi arrivati. la stessa cosa si può dire degli interventi fatti a barcellona... che ti devo dire, son tutti degli idioiti come afferma lorenzo? e vabbè, spiegateglielo che sono idioti


comunque, tornando a romano. penso che gli interessi la bellezza della città in senso lato. la bellezza come civis, come appartenenza ad una comunità più ampia. città che può poi accogliere i più disparati linguaggi. così come succedeva alle città prenovecentesche. paradossalmente il 900 ha rotto le regole della città compatta ma ha tentato di uniformare il linguaggio, ovviamente è stata un'impresa persa in partenza in quanto la bellezza assoluta era andata a quel paese (eh sì, ma quanto tradizionaliste erano 'ste avanguardie???). pertanto tornare a città compatte non significa in alcun modo tornare al tradizionalismo, anzi significa accettare la babele in quanto al sacrificio della privacy deve pur esser compensato da un individualismo formale. regola di base dei nostri centri storici, ovviamente estremizzata come estremizzati siamo noi contemporanei (invito a guardare il borneo di amsterdam, venezia contemporanea, così si capiscono meglio le mie parole: http://www.lablog.org.uk/wp-content/060613-borneo.pdf).

non è un caso che romano critichi le avanguardie ma prende anche le distanze dai conservatorismi alla new-urbanism e alla leon krier

detto questo, la domanda è: ai cittadini piace la città immaginata romano? per me no... almeno ai miei concittadini veneti... vivono benissimo nella loro cacca-diffusa che mangiano a pieni mani tutti i giorni e, ripeto per la centesima volta, il territorio leghista con le avanguardie non c'entra nulla.

robert

Anonimo ha detto...

D'Agostino,
io purtroppo in architettura sono un reazionario e quindi in questo momento il mio appoggio va ai pochi che hanno il coraggio di assumere pubblicamente una posizione pesantemente anticonformista come i due che hai citato (a proposito, che c'entrano loro due con il pasticcio italiano?). E le loro posizioni sono piuttosto chiare quindi, anche se non sono d'accordo proprio su tutto ciò che dicono, se vuoi farti un'idea di ciò che penso vatti a leggere qualcosa di quei due. A non essere assolutamente chiare (almeno per me) sono invece le idee dei sostenitori di tutto ciò che è cominciato con il movimento moderno: avete delle idee precise in ambito urbanistico e architettonico o vi va bene qualsiasi cosa si possa ritenere innovativo e futuristico? In particolare quali sono le tue idee in ambito urbanistico? A quale venerabile critico concedi il tuo appoggio? Se non sbaglio l'urbanistica contemporanea si basava sul pensiero di Le Corbusier: tu cosa pensi della città immaginata (e molte volte realizzata) da Le Corbusier? Soddisfatto? Comunque confesso che non ho la passione di leggere testi critici di architettura, li trovo terribilmente noiosi e pieni di seghe mentali: eppure ti assicuro che leggo di tutto, ma dopo essermi trovato costretto a leggere al primo anno di università diversi scritti di Bruno Zevi ti assicuro che mi è passata la voglia.

Lineadiquellocheè,
tu parli delle milionate di turisti che vanno a Bilbao. Ti confesso che anche io, il giorno in cui ne avrò la possibilità, andrò a vederlo: perchè? Perchè mi incuriosisce, perchè è strano, perchè comunque una cosa sarebbe meglio vederla dal vero e non solo sulle riviste che te la fanno vedere tutta scintillante e leccata. Ma io non mi riferivo ai turisti, ma ai cittadini. Sono loro infatti quelli che hanno il tempo di far passare il valore dello stupore e ti possono dare un giudizio vero su un edificio del genere. Tu però dici che se provassi a contestare ai cittadini di Bilbao il loro museo dovrei cominciare a scappare: e te credo! Da quello che mi si dice Bilbao non eccelle per particolari valori architettonici o paesaggistici e prima del museo non era una meta turistica molto ambita: il museo da lavoro a tutti. Quindi Gehry avrebbe anche potuto realizzare un cesso in scala 1000:1, poco importa, l'importante per loro è che l'economia abbia avuto uno scossone (e su questo nessuno li può biasimare). Il tuo esempio non è quindi giusto, hai scelto un caso molto particolare.
Ciao

Lorenzo

Anonimo ha detto...

Scusate ma non avevo ancora letto l'ultimo commento di linea.
Io non do assolutamente degli idioti a quelli a cui piace certa architettura. Io mi riferivo semplicemente al fatto che un'opera non può avere il solo valore della novità, perchè la novità non è più novità dopo un po' di tempo e lo stupore e il senso di meraviglia che si prova il primo giorno non sarà più lo stesso dopo un po' di tempo: tutto qua. Se poi uno giorno dopo giorno continua a sobbalzare gridando tutto sudato: "o mio Dio!!" di fronte alla novità allora mi permetto di dire che si tratta di un idiota, ma non offendo nessuno dal momento che sono sicuro che una persona del genere non esista.

Lorenzo

Linea che coi morti si va distanti eh? :-) ha detto...

ok, lorenzo, vuoi altri esempi di città che non hanno paura della modernità, delle archistar e dei linguaggi che a te e qualcun altro, secondo i vostri personali criteri soggettivi, fanno schifo? che portano soldi coi turisti, i cittadini son contenti e ci vivono bene? amsterdam, berlino e barcellona... e si potrebbe continuare...

domanda: ma è possibile che pure te citi le corbusier e zevi, capisco pietro che quando è nato corbu era ancora vivo e nel pieno della propria carriera professionale. ma te... credi ancora ai fantasmi? :-)

robert

enrico d. ha detto...

i cittadini di Bilbao, anzi il loro sindaco, hanno avuto qualcosa da dire con calatrava, che, poco distante dal Ghery, ha progettato un ponte pedonale, precedente a quello di venezia (ma moooolto simile).
Ebbene, anche il ponte di Bilbao era invetro, e pertanto estremamente bello e stupefacente, anche se un poco scomodo e molto sdrucciolevole.
Al punto che, dopo non so quanti femori frantumati, la municipalità provvide a modifiche per rendere il manufatto usabile in sicurezza.
Calatrava si imbufalì per il delitto di lesa archistar. causa, controcausa eccetera. La sentenza definitiva ha dato torto all'architetto e ragione al sindaco. Non è reato modificare un'opera architettonica.
Per tornare a Gehry, mi risulta che la biblioteca del MIT di Boston (moooolto simile al Bilbao, molto scintillante e stupefacente) ha il difetto di non evitare vistose infiltrazioni d'acqua.

Anonimo ha detto...

Linea ti rispondo:
immagino che tu non frequenti le nostre facoltà, altrimenti ti renderesti conto di quanto i loro spiriti siano nel pieno del loro vigore. E poi possono essere pure morti, ma non puoi negare il fatto che da loro sia nata la città contemporanea. Non so se tu sia un architetto ma, se lo sei, essendo tu modernista, discendi direttamente dal Corbu: che fai, vuoi rinnegare il tuo nonnino e capostipite della tua famiglia? Non è carino... Il problema è che avete paura di lui perchè cominciate a rendervi conto delle stronzate che diceva.
E poi sinceramente non ho la minima idea di ciò che pensino gli abitanti di Berlino, Amsterdam o Barcellona delle loro città, e sono abbastanza sicuro che anche tu non ne sia particolarmente edotto. Mi limito a parlare di ciò che conosco e delle persone che conosco, e quindi di Roma, senza spingermi in posti tanto lontani. Per conoscere una città non è sufficiente sfogliare riviste o andare su Wikipedia.
ciao

Lorenzo

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, ieri sera avevo commentato le tue osservazioni, che io giudico luoghi comuni, su berlino, Amsterdam, Bilbao, ecc. Purtroppo ho perso il commento forse perché troppo lungo, e ho chiuso senza accorgermene.
A questo punto, con maggior calma ti risponderò, anche su quella giovanilistica sciocchezza in ordine a LC e Zevi, che è come se ti dicessi: "Ma che fai, tu non c'eri mica quando Dante ha scritto la Divina Commedia o Marx Il Capitale, o Matteo uno dei Vangeli, o Omero l'Iliade! a noi "contemporanei" mica ci riguardano queste cose! oba da vecchi antichisti".
Ciao
Pietro

Linea... ha detto...

lorenzo, il tuo commento mi fa sorridere :-)
appena posso ti risponderò :-)

robert

ps: pietro, stavo scherzando

Linea omeopatica ha detto...

“Adesso vi mostro come sarebbe stata l’architettura se non ci fosse stato tra i piedi il movimento moderno.”

Lorenzo io, all’università, ci sono entrato ‘na ventina d’anni fa e non ci sono più uscito. Prima come studente poi come correlatore, assistente e collaboratore ecc ecc. Continua tuttora, sono in facoltà quasi ogni settimana, anche se non è mai diventata professione e mai lo diventerà. Ho visto, in vent’anni, varie sindromi e patologie più o meno acute: tipologite, morfologite, centrostoricite, aldorossite, tafurite, tendenzite, neorazionalite, postmodernite, storicite, restauratite, geniuslocite, neomodernite, decostruttivite ecc ecc. Tutte accompagnate ora da creativite acuta (il fatto che si insegna allo studente ad esser un genio) oppure timorite acuta (viene insegnato ad aver timore di tracciar linee chiedendosi sempre perché e per come). Ora direi che siamo in fase di sostenibilite e paesaggite, ma per molti versi è un’università assai migliore rispetto a quella in cui ho studiato io. Non mi sono ammalato per ragioni anagrafiche, per colpo di fortuna o, forse, per scelta mia, di lecorbusierite acuta e di wrightite acuta. Il mio relatore, di cui sono poi diventato assistente per un certo periodo, iniziava alcune lezioni dicendo quella frase che ho riportato sopra virgolettata. E mostrava Plecnick. Mostrava anche molto altro (soprattutto legato al paesaggio e ai parchi/giardini, essendo il corso “arte dei giardini”) senza preclusioni ideologiche, linguistiche o altro… ma non ti annoio, tanto son sicuro che conoscerai tutto o quasi e mi fermo subito qui sennò non finisco più. Comunque queste patologie, se pigliate a dosi accettabili, non sono poi così gravi.

Ciò che invece considero preoccupante è la schematite acuta. Quest'ultima tende a banalizzare il mondo, semplificare eccessivamente e pensare che esistano delle tavolette della legge, basta scoprirle e si mettono in pratica... è assai diffusa, non solo in campo architettonico. Quindi Lorenzo, il tuo commento penso sia un po' affetto da questa patologia. Pertanto per il momento non posso far altro che darti ragione: non sono architetto, non sono mai entrato in una facoltà d'architettura, studio su wikipedia e sono nipote di Corbu.

Stammi bene
Robert

Anonimo ha detto...

Robert,
hai ragione, so di essere affetto da schematite, è una sindrome che odio negli altri ma mi rendo conto di cascarci spesso anche io. Il problema è che questo è un blog e quindi spesso per rispondere brevemente si banalizzano alcuni concetti; non per questo si può dire che io banalizzi il mondo o che normalmente tenda a semplificare le cose. D'altra parte di schematite siamo affetti un po' tutti: tu stesso ci cadi quando ci dici in volata che città come Amsterdam, Berlino e Barcellona non hanno paura della modernità, delle archistar e di particolari linguaggi... mi sembra un'affermazione un po' azzardata, ma può darsi che mi sbagli.
Sull'università ti posso dire che ci sono infinite cose che mi danno fastidio, molte delle quali sono state da te elencate. Ma la cosa più vomitevole è la creativite: supporre che la totalità degli studenti abbia in se il seme della genialità. Mi sembra assurdo che all'università, invece di insegnarci a fare onestamente il mestiere dell'architetto, si perda tempo tra modellini che tutto sembrano meno che architetture. Io nelle discussioni sono aggressivo e spesso esagerato perchè sono deluso e incazzato. D'altra parte rosico per il fatto che fino a 70 anni fa avevamo delle belle città che ora sono state in gran parte irremidiabilmente massacrate (forse su questo possiamo essere d'accordo) ed io ne do la colpa principale agli architetti (e forse su questo non siamo d'accordo).

Ciao
Lorenzo

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, per me è una novità che tu frequentassi l'università come assistente (termine desueto forse), Non che cambi niente, però, se mi posso permettere, non è che con tutti questi ismi che hai dovuto sopportare sei diventato un po' troppo cinico e disincantato (in campo architettonico, sia chiaro)?
Te l'ho già detto un'altra volta riferito al tuo Veneto e te lo ripeto riferito all'Università: qualche volta, dal dentro, non si giudica bene come da fuori.
Come Lorenzo ti ha molto umilmente spiegato, c'è ancora chi crede in qualcosa e la difende con passione. Non mi sembra che sia per questo da condannare, anche se nel fare questo, lui (come me d'altronde) tende a semplificare. D'altra parte ogni scelta richiede una semplificazione, e viene sempre il momento di scegliere 1/0, on/off. Non credi?
ciao
Pietro

ettore maria ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Linea del Po ha detto...

Scusami Lorenzo se ti rispondo solo ora... impegni e un po' di tempo buttato sul Corviale.

Io parto dal presupposto che il paesaggio (di qualsiasi genere esso sia) è figlio della società che l'ha generato. È sintesi dei rapporti che si instaurano tra gli individui e tra la società e il mondo fisico. Dare la colpa a qualcuno piuttosto che ad un altro lo considero un errore, chiunque esso sia: immobiliarista, politico, architetto o cittadino qualsiasi. Le città che ho elencato, soprattutto Amsterdam, sono tutte e tre meglio pianificate e progettate di Roma. In particolar modo l'Olanda. E non è dovuto al fatto che gli architetti olandesi siano più bravi dei nostri, son proprio tutti gli olandesi ad esser più bravi di noi. E ribadisco, il linguaggio contemporaneo è assai più accettato e sedimentato (sottolineo: linguaggio).
Insomma, il paesaggio è come la classe politica, ogni paese ha quello che si merita. Ciò non toglie che ovviamente ogni categoria deve farsi un esame di coscienza... ognuna però... non serve a nulla scaricare le colpe solo su una parte della società. Soprattutto se si ha di fronte un territorio come quello Veneto costruito dal singolo e non solo dall'urbanista o dall'architetto.

Pietro, non sono disincantato né cinico... accetto semplicemente la contemporaneità così come è andata formandosi dalla fine del '700. Per quanto riguarda 'sta storia che da fuori si vede meglio... hai ragione, ultimamente da quassù (pedemontana vicentina) le polemiche, assai spesso gratuite, in ambito architettonico e urbanistico, che mi giungono dal centro Italia e in particolar modo dalla capitale, vi fa sembrare ai miei occhi un branco di architetti polemici, lagnosi e brontoloni :-))))). Ti consiglio di tenerne conto... vi sto osservando, appunto, da fuori.

Robert

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