Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


4 maggio 2010

AVANGUARDIA

Pietro Pagliardini

Inaki Abalos, spagnolo, architetto e teorico dell’architettura: come architetto pare sia famoso. Dico pare perché per me è un nome del tutto nuovo. I suoi progetti non appartengono certo al genere che interessano questo blog: grattacielo a forma di cactus, o di Montagne Rocciose, abitazioni nel pieno rispetto della moda con le finestrine verticali irregolari, forme di design. Bisogna leggere le solite riviste per conoscerlo, e io non lo faccio da tempo. Se posso trovargli un merito è quello di fare progetti molto diversi tra loro, non possiede marchio o brand, ed è già un merito.
Come saggista però è straordinario. Ho letto un suo libro del 2000 pubblicato in Italia alla fine del 2009: Il buon abitare. Pensare le case della modernità, Marinotti. Non conosco lo spagnolo ma ci vuole poco a capire che la traduzione è piuttosto libera. Titolo originale: La buena vida. Visita guiada a las casas de la modernidad. Ed in effetti il libro non ha intenti didattici, non è un manuale di progettazione per abitazioni contemporanee, come sembrerebbe dal titolo italiano, ma è proprio una visita guidata a sette abitazioni, di cui una è una scenografia cinematografica, che mostra “come il modo più diffuso tra gli architetti di pensare e progettare lo spazio domestico altro non sia che la materializzazione di certe idee archetipiche sulla casa e sui modi di viverla che hanno origine nella corrente positivista, nonostante da più parti si insista nel segnarla come l’unica ormai esaurita”.


Tra queste visite, la più singolare, divertente e illuminante sulla formazione dell’architetto moderno è quella nella casa che è al centro del film Mon Oncle, di Jacques Tati, attore e regista, e del suo celebre personaggio, Monsieur Hulot. La casa è una villa moderna progettata da un architetto moderno, con tutti i vizi, i tic e gli archetipi della villa moderna, dove vive la famiglia Arpel. La signora Arpel è cugina di Hulot, che, viceversa, vive in una approssimativa casa del centro storico.
In fondo al post una serie di link al film su YouTube, che consiglio di guardare, come consiglio di leggere il libro.
Riporto pochi brani da questa visita guidata:
Il confronto tra gli Arpel e di monsieur Hulot non scaturisce dai dialoghi o dalle opinioni espresse dai protagonisti…..ma dalle azioni e dagli ambienti che le vedono svolgersi; architettura e urbanistica, al pari dei suoni, sia naturali che artificiali, inducono a certi comportamenti, dei quali possono essere causa e/o conseguenza…..

Di fatto, come vedremo più avanti, la trama riproduce con grande efficacia la lotta tra due atteggiamenti filosofici, la cui influenza durante il XX secolo è stata decisiva. Da un lato il permanere e anzi l’estendersi alla sfera della vita privata del paradigma positivista, della fede nel progresso e nell’ordine come strumenti salvifici, a disposizione dell’uomo per lo sviluppo tecnico e scientifico;… Dall’altro la critica al positivismo condotta da Husserl e Bergson prima, Heidegger e Merleau-Ponty poi, con l’intento di ristabilire un nuovo soggettivismo, o vitalismo, che limitasse l’influenza della scienza e smascherasse il carattere ideologico del positivismo e dei suoi sviluppi sociali e tecnocratici….

In questo aspetto, ma non solo, riscontriamo una similitudine tra la dottrina positivista e l’architetto moderno, nonché l’evidenza della profonda influenza che la prima ebbe sul secondo: l’architetto moderno è incapace di dotare di contenuti concreti i propri appelli, siano all’industrializzazione o alla macchina; è incapace perfino di considerare se stesso uno scienziato. Preferisce comportarsi come un pontefice nell’atto di annunciare l’imminente avvenimento di una mutazione che gli è appena stata rivelata…

Lo spazio della modernità sarà caratterizzato da un’analoga proiezione verso il futuro e dalla rimozione quasi completa del passato e si costruirà, come propugnato dal catechismo positivista, su una serie di leggi e norme universali che delegano al futuro prossimo la propria completa realizzazione. La pianta, la pianificazione e la sua oggettivazione come tecnica di controllo della crescita, l’urbanistica, saranno emblematiche manifestazioni di questa concezione del tempo, un tempo teleologico, perfetto o, per così dire, radioso. Il lavoro sulla pianta si riproduce con un automorfismo scalare dalla casa alla città, rendendo esplicita la tecnica dell’architetto, “tanto necessaria ed immodificabile come una legge fisica”. Lo spazio della casa, la sua atmosfera e la sua memoria, quasi non esistono più; sono stati eliminati per far posto alla quantificazione normativa, all’oggettivazione biologica della famiglia tipo attraverso la pianta, o meglio, l’organizzazione in pianta. La nuova categoria dominate è il “metro quadrato”, il principio ottimizzatore che l’architetto positivista mutua dalle tecniche di produzione industriale espresse da Frank W. Taylor in L’organizzazione scientifica del lavoro (1911) e trasla nella sfera privata
”.

E’ difficile non apprezzare la lucidità e la chiarezza espositiva di queste frasi. Mirabile è inoltre la visita alla casa ideale di Mies, in cui traccia un profilo psicologico dell'architetto e la sua corrispondenza con il Superuomo di Nietzsche.
Impossibile non domandarsi perché tra i progetti di Abalos e le sue analisi di questo saggio vi sia una simile frattura. O meglio, perché le conclusioni che ne trae siano così diverse dai contenuti espressi nel libro.
L’atteggiamento per me difficilmente comprensibile è quanta inerzia vi sia nel riuscire a prendere piena consapevolezza del fatto che, se una strada la si riconosce come sbagliata, non c'è altra soluzione che tornare indietro e riprendere quella giusta. Esiste infatti una sorta di schizofrenia tra l’osservazione lucida di ciò che è stato, e di ciò che continua ad essere, degli incommensurabili errori fatti per la casa e per la città che tuttora allungano la loro ombra e di cui ancora si osservano gli effetti nella quotidianità del costruire e dell’amministrare la città, e lo sperare ancora, dopo un secolo di tentativi sbagliati, di trovare una soluzione, invitando a “esercitare la fantasia, stimolare l’interesse che spinga a superare le inerzie acquisite e ad esplorare i limiti della conoscenza della nostra disciplina”, come scrive l’autore nell’epilogo,  denunciando l'inerzia altrui ma senza la consapevolezza della propria.

E dice anche altro: “Dobbiamo rallegrarci di avere avuto di aver avuto padri e nonni tanto fortunati ed eccentrici, e godere di esse (le case visitate): si tratta di un vero lusso. Se vogliamo considerarci buoni architetti dovremmo però anche saper essere all’altezza delle circostanze, imparare ad amministrare questo patrimonio e provare, soprattutto, ad accrescerlo e ad attualizzarlo”.

Ecco, probabilmente, la soluzione al problema del dualismo di Abalos il quale, nonostante la sua grande capacità di analisi, la sua raffinata, colta e intelligente interpretazione dei progetti alla luce del pensiero filosofico, è rimasto ancorato inevitabilmente all’idea di avanguardia, alla concezione dell’architetto-pontefice “incapace di dotare di contenuti concreti i propri appelli… incapace perfino di considerare se stesso uno scienziato”.
Uno scienziato, infatti, di fronte a un secolo di errori, avrebbe cambiato strada e avrebbe ricominciato da dove si è manifestato il primo sbaglio nell’esperimento, accorgendosi magari che c’era molto poco da sperimentare.
Come spiegare diversamente il solito, trito appello alla fantasia e alla ricerca, se non come l'impossibilità di sfuggire al condizionamento culturale dell'avanguardia che lui coglie perfettamente nella sua essenza negativa ma che non riesce a scrollarsi di dosso?


Link al film Mon Oncle:
Mon Oncle 1
Mon Oncle 2
Mon Oncle 3
Mon Oncle 4
Mon Oncle 5
Mon Oncle 6

Altri ancora ve ne sono su You Tube, basta cercarli


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Pietro, mi pare di capire che il libro di Abalos venga da te letto come un trattato di critica
dell’architettura secondo una visione colpevolista o quanto meno responsabilistica di ciò che ci ha preceduti: in realtà l’analisi di Abalos, mi sembra, non cerca né colpevoli né responsabili, indaga ciò che è accaduto, il come e il perché, cercando relazioni interdisciplinari e trasformando l’analisi dell’architettura in una più vasta analisi di un momento culturale.

La critica, a seconda delle epoche, è stata accusata di tutti gli eccessi, sia voler imporre una sua visione dei fatti sia di fare della semplice storiografia, vero è che in passato si è spesso assunta, a torto o a ragione, il compito di discriminare ciò che è bene da ciò che non lo è, autoattribuendosi una funzione morale.
Oggi ciò non ha più senso, Abalos lo esprime con acutezza, neutralità di giudizio, ironia e divertimento, non dà sentenze sulle strade ‘sbagliate’, ma lui fa altre cose, chi vuole tragga un giudizio su quella che tu chiami frattura, che in realtà è semplicemente cambiamento, sapendo che senza il prima non ci sarebbe il dopo.
Mies corrisponde al Superuomo di Nietzsche, certo, eppure Nietzsche non è stato demonizzato quanto Mies, forse perché non ha fatto case, ma ha tuttavia indirizzato ideologie, non so cosa sia più importante, entrambi sono figli del loro tempo e del loro cervello, quanto al seguito, non credo all’esistenza di carnefici e vittime, credo alla correità.

“l'impossibilità di sfuggire al condizionamento culturale dell'avanguardia” è la stessa che si verifica nei confronti di ogni passato dal quale
discendiamo, sia quello del rinascimento che quello del ‘900, non c’è un condizionamento migliore di un altro, il cambiamento non ha soluzione di continuità, da cosa nasce cosa, e non altro.

Sintesi eccessiva per un argomento così vasto .....

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, premesso che la mia natura mi impedisce di fronte a qualsiasi fatto significativo di restare neutrale, indifferente, di non scegliere, di non esprimere un giudizio, e questo blog che io definisco fazioso ne è la riprova, ma che, tuttavia, ciò non esclude affatto che io riesca a riconoscere e ad apprezzare l'intelligenza e la raffinatezza del pensiero ovunque essa risieda, come in Abalos ad esempio; premesso questo, dico che l'architettura non è puro esercizio del pensiero neutrale e asettico ma ha una ricaduta, un effetto piuttosto importante sulla natura e in particolare sulla natura umana, dato che lascia segni indelebili che non possono essere cancellati con una gomma o strappando una pagina di un romanzo, se non piace.. Dunque è uno di quei campi in cui è difficile, se non sbagliato, restare indifferenti. Non resteremmo affatto indifferenti se una teoria medica diffusa portasse alla morte dei malati.
E Abalos stesso non rimane indifferente perchè durante tutto il testo si percepisce bene la contraddizione che esiste tra ciò che giudica (perchè la giudica, se pur con lievità) e ciò che è stato e ciò che dovrebbe essere. E cosa dovrebbe essere? Dovrebbe essere esattamente ciò che è stato ma senza il portato della cultura positivista. Mi sembra un po' riduttivo e liquidatorio, anche se c'è una buona dose di verità, e mi sembra un'analisi molto parziale, forse, dico forse, non potendo spingersi oltre a difesa anche di ciò che lui stesso progetta. Ora si dà il caso che anch'io non abbia fatto, e non stia facendo tutt'ora, progetti (di scala largamente inferiore a quelli di Abalos) che possano essere classificati nella categoria dell'architettura tradizionale, salvo pochi(d'altra parte ognuno ha la sua storia e io non la rinnego, ma ne riconosco i limiti) però questo non mi impedisce di riconoscere il vero dal falso, il giusto dallo sbagliato e di non vedere la contraddizione evidente tra ciò che scrivo e ciò che ho fatto. Non mi suicido per questo e neanche mi affliggo, però onestà intellettuale vuole di non nascondersi dietro ad un dito.
Abalos invece mi sembra che non tragga affatto alcuna conseguenza logica dalla sua analisi, profonda per certi versi, e il suo libro rischia di essere un puro esercizio retorico, una bella dimostrazione di cultura filosofica ma senza costrutto.
Se posso azzardare una mia idea, ma direi meglio una sensazione, scorrendo le pagine del libro non riuscivo a togliermi l'impressione che Abalos fosse il frutto di quella Spagna nichilista e relativista in cui si teorizza che non esista il bene e il male, il giusto e l'ingiusto, il padre e la madre (è noto che vogliono abolire per legge questi termini sostituendoli con non so cosa), di quella Spagna che non riconosce più nemmeno il genere maschio e femmina. Una cultura in fuga dalla realtà naturale. Ma forse esagero a trarne queste conclusioni.
Quanto a Nietzsche è stato demonizzato, e non poco, in quanto ritenuto, a torto o a ragione, alla radice del nazismo.
Ciao
Pietro

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