Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


17 febbraio 2010

AUGE' E IL FASCINO DELLA STORIA

L’articolo di Marc Augè su Modena scritto per il Corriere della Sera è un piccolo capolavoro.
E’ un testo esemplare per la passione umana e la poesia con cui è scritto; si presenta, a tratti, con il tono letterario degli appunti di viaggio dell’ottocento scritti durante il Gran Tour.
E’ un testo che trasuda “sensazioni”, tanto per citare lo stesso Augè, suscitate dal fascino irresistibile dei luoghi quotidianamente vissuti ma carichi di storia:
Gli italiani sono a proprio agio con lo spazio della loro storia, in quello spazio si muovono e si ritrovano con una disinvoltura e una familiarità ereditate dai secoli passati, di modo che si può parlare al riguardo di un insieme di “luoghi”. Un luogo è un luogo nel senso pieno del termine se vi si può reperire un legame visibile con il passato e se tale legame è manifestamente presente alla coscienza di chi lo abita o lo frequenta. E’ così per un certo numero di città medie in Italia (per non parlare delle più grandi) e questo spiega il fascino durevole che esse esercitano sulla straniero di passaggio, che lo sente immediatamente, anche se non sempre ne percepisce tutte le ragioni”.


E ancora
A Modena, oltre quindi agli amici, ritrovo anche luoghi familiari e ricordi, un presente piacevole e un passato sempre più lontano. La bellezza della Piazza Grande e del Duomo mi restituisce quindi, al tempo stesso, la sensazione di una certa forma di permanenza – le cose sono sempre al loro posto, fedeli – e quella del tempo che fugge”.

Avendo la possibilità di un rapporto diretto con la città e i suoi abitanti, ci si sente vicini alla gente e alle cose…….E’ pienamente città, polis, realtà geografica, storica e architettonica, ma anche e soprattutto, realtà sociale”.

Augè affronta tutti i temi che costituiscono l’essenza della città, luogo artificiale costruito per permettere e favorire la naturale socialità degli uomini. Ed è significativo il fatto che egli riconosca che “gli italiani sono a proprio agio con lo spazio della storia, i quello spazio si muovono e si ritrovano con disinvoltura e una familiarità ereditate dai secoli passati”, quasi che l'abitare nelle nostre città storiche facesse parte del nostro patrimonio genetico.
In nome di cosa rinunciarvi, in nome di quale falsa sfida di una presunta modernità rinunciare a tutto questo? ammesso che sia possibile farlo, ammesso che sia possibile perdere del tutto la memoria, nonostante gli allucinogeni che ci vengono propinati da 60, 80 anni a questa parte da parte di spacciatori di idee assurde che hanno ridotto le nostre città ad informi aggregati di edifici che non hanno alcun altro senso che quello di renderci soli ed estranei gli uni agli altri, di farci perdere la “familiarità” con i luoghi e con la realtà sociale.



Nella foto: Progetto di Pier Carlo Bontempi con Léon Krier per Piazza Matteotti a Modena

44 commenti:

Anonimo ha detto...

Il fascino degli scritti di Augé deriva dal fatto che egli affronta ogni materia come antropologo, e l'antropologia è la madre di tutte le scienze e di tutte le arti, anche dell'architettura (molto interessanti i paralleli anche con la letteratura, fatti proprio da Augè).
Ne sono consci sia gli etnologi che gli antropologi (Marc Augé Il mestiere dell’antropologo, 2008).

Purtroppo gli antropologi non sono in grado di progettare una casa o una città, né di fare un quadro o una scultura.
Augé spiega come vivono gli italiani il loro rapporto con l'ambiente, e gli piace pure, ciò non vuol dire che escluda o condanni la possibilità che cambi, come di fatto sta cambiando in molti luoghi del nostro paese, specie nelle grandi città. Egli stesso vede la necessità di ridefinire un concetto di antropologia della contemporaneità, delle nuove realtà sociali, forse proprio per scoprire 'in nome di cosa' le cose stanno cambiando.
La modernità non è presunta, è un modo di essere (è inutile che ricordi che Augé è il filosofo della surmodernité), l'antropologia studia ciò che accade, ne indaga gli sviluppi e le ragioni, cercando di capire perché Milano costruisce Citylife, perché Fuksas progetta, perché Gehry sia ancora a piede libero.
E' determinante per aiutarci a capire il mondo in cui viviamo, non per cambiarlo.

Vilma

ettore maria ha detto...

Non so cosa Marc Augè possa pensare di questo progetto di Pier Carlo e Léon, ciò che so è che, al pari delle archistars, questo progetto ha subito una vergognosa penalizzazione, è stato approvato persino dalla sovrintendenza e poi, col cambio della guardia politico è stata fatta una marcia indietro assurda basata anche su una ridicola giustificazione (infondata) di falso storico. La differenza è che, mentre la mancata realizzazione dei molti star-projects menzionati nell'articolo sulle "archistars non più di moda" hanno fatto piangere addosso solo gli architetti e i politici che li hanno promossi, nonché gli intellettualoidi che fingono di amare quell'architettura per paura di essere "out", la mancata realizzazione del progetto modenese (in un punto assolutamente orrendo del centro cittadino), ha fatto piangere la cittadinanza. Caro Pietro, o chicchessia, perché non organizziamo un referendum come quello del Sole 24Ore per l'arco di Libera per chiedere ai soli modenesi che cosa ne pensano?

Ettore

Anonimo ha detto...

già che ci siamo, Pietro, allora diciamocelo: il progetto di Pier Carlo e Léon è allucinante.
L'accusa di falso storico è infondata? Ma sì, è del tutto normale fare oggi palazzetti in stile rinascimentale, a patto che poi ci si mettano anche dei figuranti con mantelli, gamurre, giornee, cotte, naturalmente non solo a carnevale!

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, avevo cominciato a scrivere, nel mio brevissimo commento all'articolo di Augè, che questo testo preparato per un quotidiano non aveva, necessariamente, presunzione scientifica, ma poi l'ho cancellato. L'ho fatto non per i contenuti in sè quanto per il fatto che da parte dell'autore c'è una tale partecipazione umana (ed è questo che lo rende letterario) da far presumere che egli si sia considerato più oggetto dell'analisi che non analizzatore della realtà. Marc Augè ha analizzato se stesso al cospetto di un mondo dalle forme antiche ma vissuto nel presente in maniera del tutto naturale.
Il fatto che egli abbia osservato che gli italiani, specie delle città medio-piccole (cioè quelle che costituiscono il tessuto connettivo del paese) vivano il centro storico in maniera naturale e del tutto a loro agio, un significato ce lo deve pur avere!
Per assurda modernità intendo l'assurda cultura architettonica e soprattutto urbanistica degli anni '20 e '30 che ha distrutto, e continua a distruggere le città (chi dice che tutto è cambiato secondo me non segue le vicende dei piani) e sfido chiunque a dimostrare che quei modelli sono figli di una cultura o non l'inverso, cioè quei modelli hanno distrutto la cultura urbana e sociale.
Sto vivendo proprio in questi giorni una realtà legata a problemi del nuovo PRG della mia città, Arezzo, in cui è CHIARISSIMA la responsabilità dell'architetto nel dare un'impronta alla città, un'impronta che non appartiene alla cultura della città stessa (e di nessuna città, tra l'altro) e in cui non c'è la minima analisi della realtà.
Le conseguenze degli atti di un pianificatore sono dirette, riscontrabili e, con pazienza, misurabili e possono creare danni enormi.
Quanto al progetto di Modena io, per fare il raffinato, trovo che il palazzo a sinistra, quello di Bontempi sia perfetto e, se mai costruito, nessuno potrebbe dichiararlo falso; quello centrale, chiaramente di Léon Krier, ha in sè quel tanto dell'autore che lo rende in parte non contestualizzato. Lèon Krier è un architetto, nel senso che egli ama la classicità ma la trasfigura attribuendole l'impronta del suo autore.
Questo per dirti che progetti mimetici di questo genere (un pò meno mimetico quello di Krier) non necessitano di dame con mantelli di velluto ma di signori in jeans e signore con borse Fendi.
In una battuta: un edificio di vetro interromperebbe chiaramente l'emozione che Marc Augè prova nella Piazza Grande, come interrompe l'emozione l'edificio di Hans Hollein nella Piazza Santo Stefano a Vienna.
Se devo essere sincero, mi sembrano molto ridicole le maschere del Carnevale di Venezia: belle sì, ma del tutto fuori contesto, perchè....siamo nel 2010. Si tollerano solo perchè il Carnevale è tasgressione.
Ciao
Piero

ettore maria ha detto...

e così, come mi aspettavo, ci risiamo!

Come diceva Viollet-Le-Duc, amiamo vendicarci delle conoscenze che ci mancano con l'offesa, ma sdegnare non significa dimostrare.

cara Vilma, mi sa che sarebbe pure ora di liberarci del cupo e pesante "mantello" del falso storico, problema tutto italiano nato per tutelare il mercato nero dei reperti trafugati e poi esteso all'architettura e alle città .. consiglio vivamente una lettura degli scritti di Paolo Marconi sull'argomento. Sono purtroppo sicuro che le mie mie parole avranno presso te il semplice effetto di parole al vento.
Per quel che mi riguarda, condivido l'opinione di Pietro sui due edifici, ma ciò che mi preme sottolineare è che ai modenesi non frega un bel niente di datare gli edifici, gli interessa molto di più ricucire quel brano di città che è stato violentato da uno dei tanti interventi del ventennio i quali, benchè presentati come dei "miglioramenti", hanno lasciato delle ferite impressionanti sulla città e sul bene comune.

cordialmente
Ettore

LineadiSenso ha detto...

povero augè, anche lui caduto nel tranello degli stereotipi... beh, dai, almeno non c'ha dipinto come mafiosi con in mano 'na pizza e nell'altra il mandolino.

robert

Linea che tu vuoi fa' l'ammericano ha detto...

"mi sa che sarebbe pure ora di liberarci del cupo e pesante "mantello" del falso storico, problema tutto italiano"

ettore, esempi di interventi che volutamente denunciano la propria contemporaneità è pieno il mondo. primo fra tutti l'edificio citato da pietro (che interrompe la città tanto quanto i jeans, i marciapiedi, i segnali stradali, le golf metallizzate, i cavi elettrici ecc ecc...). e poi, anche se fossimo gli unici (e, ripeto, non lo siamo affatto, anzi, altri lo sono di più) a volerci distaccare dal passato, sinceramente, ecchissenefrega... mica dobbiamo a tutti i costi fare come gli ammmmaricani.

robert

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro ed Ettore,
avete letto bene quest'articolo?
Che cosa c'entrano i progetti di Pier Carlo Bontempi e Léon Krier con ciò che ha scritto Augé?
Saluti,
Salvatore D’Agostino


P.S.: È puro spam, vero Pietro.

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, una cosa che mi è assolutamente insopportabile, in ogni campo e quindi anche in architettura è: lo fanno in tutta Europa, dunque....
Beh, anch'io dico: ecchissenefrega!
Pensare che per anni gli architetti hanno lodato la Spagna, il suo modo di vivere, la sua architettura e ora.... Palazzinari che i nostri sono dilettanti, coste massacrate che Rimini è un villaggetto da sottosviluppati, scempi spaventosi finiti nelle riviste, una esposizione a Siviglia che è un luogo abbastanza degradato, e via dicendo. Con molte cose buone anche, ma insomma, esempio proprio no.
E ridico: ecchissenefrega!
Ciao
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, vedo che gli altri lo hanno capito cosa c'entra, anche se non sono d'accordo.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Caro Salvatore,
il motivo per cui parliamo di Pier Carlo e Léon è perchè Pietro ha inserito un'immagine di quel progetto per Modena.

Robert, nessuno "vuole fa l'ammericano", anche perché in tutto ciò gli americani non c'entrano proprio nulla, come dice Pietro lo fanno in tutta Europa, e quel progetto - edificio di Léon a parte - è profondamente modenese. Capisco che per te possa essere difficile leggere le sfumature che fanno riconoscere un edificio come parte di un territorio specifico, tuttavia prima di criticare ti consiglio di provare a capire. E' ovvio che tu preferisca il fregarsene di tutto e tutti secondo il principio teorizzato da Koolhas e che egli stesso recentemente ha rinnegato. Così tutti possono sentirsi degli architetti, tuttavia la gente è stanca di questo "fuck the context" perché vuole riconoscersi negli edifici delle città che in cui vive. Suggerisco pertanto un po' più di umiltà e un po' meno di arroganza ... spesso questi commenti fanno pensare alla vecchia storia della volpe e dell'uva

Ettore

LineadiSenso ha detto...

pietro, lascio perdere la polemica sennò scadiamo nel defilippismo in quanto non penso tu abbia capito cosa cavolo ho scritto (d'altra parte mica era diretto a te il mio commento) e 'sto problema che ettore pensa solo italiano francamente non m'interessa un granchè.

invece:

1 me se sono accorto solo ora, qui sotto c'è un post che rimanda a zecchi e alle sue elucubrazioni su "cavie umane", architettura ecc ecc... non avevo commentato, tanto, mi son detto: ormai di urbanistica se ne occupano cani e porci che vuoi che sia un filosofo in più. ora noto che è entrata la bussadori (che ha partecipato alla scrittura della carta di atene 2003) mettendo in rilievo la "cantonata" pigliata dallo zecchi che cita a vanvera ipotetici padrini della suddetta carta.
sarebbe da coniare una nuova categoria filosofica: il nichilismo-ignorantoide. tradotto suona più o meno così: dato che le regole non ci sono più siamo tutti liberi di sparare cazzate senza nemmeno prendersi la briga di controllare le fonti (leggasi: studiare)

2 hai visto le gang che si menavano a milano? hai notato il luogo? non era di matrice funzionalista, è di uno di quelli che piace a te (e pure a me) e, in teoria, ci dovevan esser "occhi indiscreti" che controllavano... l'asse su cui si innesta la via porta direttamente al centro di milano (è un asse storico) per dirla con romano crea civis, fa sentire tutti partecipi della comunità... e quindi, alla fine, come la mettiamo con l'equivalenza (urbanistica funzionalista = violenza e società alienata)? la rivediamo un po'? dato che montecarlo è impestato di condominiacci funzionalisti ma invece delle gang trovi porsche, lamborghini, ferrari...

3 mi dovete spiegare come cavolo si dovrebbe gettare le basi di un fondamento comune se la logica è: la città va fatta così e il linguaggio cosà, punto.
mi par di vedere bertinotti che vuole cambiare il mondo col 2%... bah, vabbè.

robert

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
chi sono gli altri?
con chi non sei d’accordo?
Saluti,
Salvatore D’Agostino

LineadiContesto ha detto...

il mio “ecchissenefrega” non era riferito al contesto.
cercherò di ripetere: ho scritto che il “problema italiano” non è solo italiano ma c’è in tutta europa. anzi, in europa è ancora più amplio, hanno meno rispetto di noi del passato e meno delicatezza negli interventi. ma, nell’eventualità assai remota che fossimo gli unici a porci rispetto al passato in modo diverso, potremmo anche decidere di essere differenti dal resto del mondo e quindi dire: ecchissenefrega degli altri, noi facciamo come ci pare. quindi, che c’entra questo mio discorso coi luoghi? praticamente zero.

invito pertanto pietro ed ettore a leggere prima i commenti dei contesti sennò strafalcioni tipo questo: “capisco che per te possa essere difficile leggere le sfumature che fanno riconoscere un edificio come parte di un territorio specifico” sono, prima che sciocchi, totalmente decontestualizzati :-)))))

buona serata
robert

ps: avevo fatto un commento, ma probabilmente s’è perso pure lui nella stratificazione storica del blog.

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, mi ero perso un tuo commento che ho pubblicato adesso. Rispondo al tuo ultimo perchè....devo andare a cena.
Evidentemente abbiamo interpretato male sia io che Ettore, ma il chissenefrega sembrava ironico ma riferito al fatto che gli altri se ne fregano del contesto contesto e noi no. Invece volevi dire i contrario. Tanto meglio così.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

btw. La cittadinanza modenese della quale faccio parte ha esultato quando il patetico progetto krier-bontempi è stato finalmente messo da parte.

Anonimo ha detto...

Evviva il coraggio della verità: "Sia il vostro parlare si' si', no no, il di piu' viene dal maligno", (Matteo 5,37)

Vilma

ettore maria ha detto...

caro "Anonimo" il fatto che tu non abbia il coraggio di firmarti la dice lunga sulla tua vera identità di modenese. Nonostante l'identità mascherata sono ben chiari la tua identità professionale e il tuo intento.
Io ho una serie di articoli che ti smentiscono clamorosamente su ciò che attribuisci ai tuoi presunti concittadini.
Mi dispiace ma ciò che tu dici è l'espressione del tuo pensiero schierato e nulla ha a che fare con il pensiero del modenese medio non lobotomizzato in una facoltà di architettura. Mi chiedo se davvero conosci la storia di quel progetto e l'abominio urbanistico per il quale è stato pensato. Mi chiedo anche se tu conosca, almeno "di striscio", la travagliata storia antica e recente di quel brano di città. Se però fosse vero ciò che dici (ma i dati in mio possosso dicono il contrario), allora dovrei concludere che Modena e i modenesi si meritano quello schifo di spazio morto e pericoloso, rivitalizzato di tanto in tanto con un tendone osceno ... ma so bene che ciò non è vero poiché i modenesi che io conosco sono di ben altra pasta.
Esci dunque allo scoperto e dimostraci con i fatti che il tuo pensiero da fondamentalista modernista rappresenta la vox populi ... non è molto educato, nè rispettoso esprimersi con frasi come "il patetico progetto krier-bontempi" , patetico è chi, non essendo in grado di competere quelitativamente con certe cose le denuncia come "patetiche", quindi ribadisco anche a te l'adagio di Viollet-Le-Duc: "amiamo vendicarci delle conoscenze che ci mancano col disprezzo, ma offendere non significa dimostrare"

Ettore

Anonimo ha detto...

Non vedo perché l'anonimo modenese, che invito anch'io ad uscire allo scoperto, avrebbe dovuto prendersi la briga di intervenire nel dibattito se non spinto da dati attendibili sulle reazioni dei suoi concittadini.
Poiché spesso ho visto invocare su questo blog la partecipazione popolare, mi sentirei di dire: avete voluto la bici, ora pedalate!

Vilma

Linea che gli accenti li insegnano alle elementari... ha detto...

io non conosco quel logo di modena e poco conosco modena in generale... mi son preso la briga di sbirciare un po' in internet e su googleheart. ho notato due chiese, due "accenti", uno più potente e uno più silenzioso, ma sembra che si facciano sentire in un tessuto più o meno continuo con aperture e dilatazioni. francamente, in un contesto del genere mi pare che questa piazza potesse anche rimanere "aperta" verso l'asse principale, l'uso di alberature alto fusto per generare una piazza "coperta" poteva pure starci e invece no... volevano ricucire il tessuto. e che fanno allora? due accenti ci son già? massì, mettiamocene altri due, accenti che vorrebbero farsi sentire, svettare verso l'alto... ma niente... essendo anche loro in questo brutto mondo moderno si ritirano... si affolsciano... stonati e soffocati diventano. eh sì, quando si dovrebbe decidere di esser silenziosi, magari ricucire, come disse qualcuno, usando una "lingua morta"... e invece? e invece vorrebbero urlare, ma non ci riescono, vorrebbero pure cantare in coro ma manco sanno far di coppia e stonati diventano.

due accenti veri... altri due accenti poverelli, finti e complessati in mezzo... talmente presi da se stessi che nell'immagine postata da pietro nemmeno inquadrano la preesistenza di sx, inquadrano il palazzetto di bontempi, la chiesa di dx e in mezzo lui, l'archistar che non vorrebbe esser archistar ma siccome architetto è... non ce la fa proprio a starsene zitto.
massì, la modernità che ha insegnato anche i segni flebili, silenziosi e rispettosi avrebbe generato senz'altro di meglio di questo finto storicismo che in fin dei conti manda pure lui a quel paese il contesto.

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Francamente, se l'anonimo vuole restare anonimo, per me sono fatti suoi.
Però se dice che la cittadinanza ha esultato, e non ci dice da dove ricavi questa esultazione, a me sembra che valga, nè più, nè meno, la mia convinzione opposta.
Nemmeno io conosco il contesto, ma per una coincidenza, andrò a Modena i primi di marzo, causa cliente che vuole comprare piastrelle direttamente alla fonte, e gli ho promesso che ci sarei andato anch'io a condizione che ci scappassero due ore per andare in centro. In verità mi interessava la Piazza Grande, visto che non sono mai stato a Modena (mi vergogbo ma è così) ma cercherò di trovare anche il luogo incriminato.
Io ho messo quell'immagine rubandola dal sito di Bontempi, ma planimetrie non ve ne sono. Ricordo, tuttavia, di avere visto alcuni originali (disegni di qualità eccelsa fatti con una tecnica piuttosto complicata) nello studio di Bontempi stesso e ricordo di avere commentato con gli amici al ritorno che, a mio parere, qualcosa effettivamente non mi convinceva del tutto come impianto.
Ma nessun progetto nasce perfetto e condiviso da tutti e credo che lo stop subìto non dipenda di certo dalle stesse considerazioni di merito che feci io, bensì dalle note ragioni della "cultura ufficiale" che rifiuta la mimesi come fosse la peste.
Saluti
Pietro

ettore maria ha detto...

A Vilma dico che abbiamo tutta la voglia di pedalare con la nostra bici, ma se qualcuno si presenta con una harley davidson non può unirsi alla scampagnata.
Il motivo per cui l'anonimo non esce allo scoperto è perché è stato trovato con le mani nella marmellata. E' fin troppo evidente che trattasi di un architetto modernista, non di certo modenese, che ha sfruttato l'anonimato per poter far credere che la sua "verità" sia quella del popolo. Un modo un po' meschino simile a quello utilizzato da LeCorbusier per far credere che la Carta di Atene fosse la trascrizione di un consenso che non c'era mai stato. Del resto molti giornalisti manipolano la verità lasciando credere delle verità artificiali.

A Robert invece voglio dire che un'immagine di googlearth, sebbene utile, non può esser sufficiente a spiegare le cose: è vero, lungo il tratto urbano della Via Emilia ci sono due notevoli emergenze, tuttavia ci troviamo in un brano di città in cui il tessuto è stato drammaticamente interrotto. Uno dei "cardini" che si innestavano sul "decumano" (via Emilia) è stato praticamente chiuso generando quasi un "cul de sac" quando, durante il ventennio, si decise di dare avvio ad un progetto realizzato - a posteriori - per meno di un terzo. Il risultato è stato che la "piazza" (perchè ci ostiniamo a definirla tale solo perché è un vuoto urbano) non presenta alcun senso urbano. Non v'è connessione alcuna con il network delle altre piazze, non vi sono attività socializzanti, non si ravvisa alcun senso di contenimento urbano, non v'è sicurezza nel camminarvi, non v'è continuità di carattere con il circondario, l'edificio di carattere palazzinaro tardo fascista viene a creare una orribile barriera alla permeabilità del tessuto, creando le condizioni ideali affinché dall'altro lato della città (quello un tempo aperto verso questa piazza") si trasformasse in un orinatoio per barboni e ubriaconi. Tutti questi problemi hanno fatto sì che, da tempo, il comune abbia tentato di porre rimedio realizzando delle strutture oscene a carattere temporaneo (generalmente tendoni), per svolgere delle attività in grado di portare vita dove questa non c'è. Il progetto di PCB & LK ha cercato di ripristinare il tessuto urbanistico violentato dallo sventramento (fate pure una verifica planimetrica tra ciò che c'era, ciò che c'è, e ciò che PCB e LK hanno proposto). Il progetto ha ricevuto inizialmente il plauso di tutti, ItaliaNostra inclusa. Poi cambi della guardia politici hanno fatto fare vergognosamente retromarcia ai vari organi competenti e non. Il risultato è che quel luogo schifo faceva e schifo continua a fare ... e siamo a due passi dalla Piazza del Duomo!

Un volta (se non ricordo male proprio a Modena) in un ristorante ho letto uno spassosissimo cartello che diceva "attenzione, prima di azionare la lingua assicurarsi che il cervello sia bene inserito", senza arrivare a tanto voglio consigliare a chiunque scriva di getto le sue opinioni di documentarsi a fondo sulle questioni, piuttosto che lasciare che la sua ideologia guidi le sue dita sulla tastiera del PC.

Cordialmente
Ettore

LdS ha detto...

pietro, la pensilina di isozaki a firenze invece viene rifiutata per ragioni di merito e non di "stile"? e là ci sta pure un concorso vinto...
e poi, non so da voi come sia la faccenda ma qui appena entri nel perimetro del centro storico manco la gronda puoi scegliere, te la dà bella e pronta il prg.

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, la pensilina di Isozaki, che De Carlo, non Krier, ha chiamato "tettoia", viene rifiutata per tutti i motivi possibili e quelli che non esistono dovrebbero essere inventati, pur di non farla. In quella pensilina lo stile E' il merito, e viceversa.
E' sbagliata in ogni senso, anzi, non ha alcun senso. Basta andare sul posto per rendersene conto.
Per quanto riguarda il centro storico anche da noi era così. Adesso non più, almeno per i lavori pubblici. Se ti interessa ho mandato un progetto cosìdetto di restauro della Fortezza Medicea ad Archiwatch
http://archiwatch.wordpress.com/2010/02/20/arezzo-fortezza/#comments
per chiedere il giudizio dei lettori di quel blog.
Sono molto curioso di quello che ne pensano. Purtroppo per ora ce ne sono solo due ma io considero questo progetto un test importante per capire lo stato dell'architettura nel nostro paese. Certo, due pareri non sono sufficienti.
Se vuoi lasciare anche il tuo mi farebbe piacere. E mi farebbe piacere avere il giudizio di Vilma, ma so che lei non va più su quel sito perché una volta è stata trattata con molta maleducazione, e di Ettore.
Soprattutto vorrei sapere il parere di Marconi, anche se me lo posso immaginare.
Ciao
Pietro

LineadeiMattoni ha detto...

pietro, a me sembra che semplicemente vi siano polemiche continue in un senso ed in un altro... basta smuovere lo status quo che subito parte la polemica. a vicenza ricordo un ottimo progetto di moneo ritirato perchè un sottosegretario ai beni culturali chiamato in causa si smise a sbraitare. ricordo anche ottimi commenti di "profani". non se ne fece nulla, solo polemiche in quanto si prevedeva di demolire un edificio esistente di inzio secolo che il prg non vincolava. niente complotti, solo sterili polemiche.

fortezza, arezzo: avevo visto il tuo post... non saprei, faccio difficoltà, non conosco proprio la città, almeno dovrei cercare qualcosa su internet... il plastico dice poco e pure i disegni. così, di getto, non mi convince, ma devo esser sincero è un opinione molto epidermica.

dato che si parla di modena, a sassuolo c'è un edificio progetto da canali, il comune voleva abbattere l'edificio esistente, canali propose di mantenere la facciata in quanto ricordo ed elemento facente parte della memoria storica ed urbana, intervenì sul retro, riconnettendo e ricucendo. dimmi tu cosa ne pensi, ti do il link:

http://www.laterizio.it/costruire/_pdf/n100/100_054_055.pdf
http://www.laterizio.it/costruire/_pdf/n87/87_12_17.pdf

robert

PS: magari la conosci già la rivista di cui ti ho dato i link, ma se non la conosci entraci, è gratuita e vi sono sicuramente numeri che t'interessano legati a newurbanism, krier e neotradizionalisti (come dire: non è poi così vero che vengono boicottati)

LdS ha detto...

ettore, tira un respiro e datti 'na calmata... che è meglio :-)))

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, conosco l'architettura di Guido Canali da Parma. Ne apprezzo la grande professionalità, perché l'ho conosciuto, c'è un ingegnere mio amico che dirige i lavori del suo progetto per Prada lungo l'autostrada, ma il suo è puro formalismo. Ha un grande gusto del dettaglio modernista, non si discute, ma quel progetto che mi hai mostrato è utile solo ad esaltare ciò che c'è dietro, non la facciata storica, che sembra esattamente una scenografia di un film western. Canali ha grandi doti, lo ripeto, in specie per le ambientazioni con il paesaggio e con l'acqua. Non voglio minimamente mettermi a criticare un architetto di grande esperienza e capacità, ma siamo alle solite: la sua non è architettura urbana, è un'architettura di oggetti, curati, studiati, sapienti ma sempre oggetti. Non a caso ho visto un suo progetto per un'area all'ingresso di Parma ed è un'assurdità, pura geometria astratta senza riferimento alcuno.
La rivista in questione, che ricevo gratuitamente su carta perché è sponsorizzata, mostra tutto ciò che è costruito con mattone. Che sia modernista o tradizionale a loro fa lo stesso, basta che ci siano i mattoni. E' normale che sia così.
Sulla Fortezza. Forse avrei dovuto mandare qualche foto della realtà, ma, da ospite, non potevo riempire il post di foto. Ma basta pensare alla Fortezza da Basso a Firenze, immaginare un bastione semi-distrutto e riflettere sulla sua ricostruzione in vetro, per farsi un'idea. O, se preferisci, al Colosseo, e immaginare che le parti mancanti fossero ricostruite con una struttura metallica rivestita di vetro. Non è molto diverso, a parte l'uso.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Robert, perchè dovrei calmarmi? Forse perché dico la verità e, come diceva una vecchia canzone, "la verità fa male lo so"?
Penso che ogni tanto faccia bene dire le cose pane al pane e vino al vino, soprattutto quando qualche fantomatico "anonimo" si arroga il diritto di sparare sentenze assurde.

LineadiSenso ha detto...

sono dell’opinione che le ricostruzioni dipendono da fattori ben poco architettonici ma molto affettivi dovrei iniziare a chiederti: quand’è crollato? un anno fa o 70 anni fa? tu mi dirai che c’entra? per me c’entra eccome, secondo me è uno dei pochi parametri da tener conto nel ricostruire in un modo o nell’altro. siccome non c’ho voglia di star lì a chiedere lascio perdere e mi tengo la mia opinione assai epidermica del “non mi par un granchè”. ti posso solo dire: non mi convince il vetro, preferirei materiale più corposo, non mi convince che svetti sopra il resto del bastione rompendo l’allineamento, non mi convincono quelle “protesi” verso il fossato, mi convincono poco in generale gli spazi aperti. ma ripeto, sono solo epidermiche, in certi contesti, dettagli e materiali vanno a braccetto della composizione.

canali formalista? mi sa che torno al punto 3 di un mio commento precedente: ma cosa cavolo volete ottenere con delle ideologie così estremiste? pur essendovi delle opinioni condivisibili, vi rendete conto del fondamentalismo che aleggia nelle vostre posizioni? ah, e gli altri due punti? cazzarola, me n’ero dimenticato... le gang formate in un tessuto non-modernista? e lo zecchi che piglia cantonate? che ne facciamo?

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, guarda che, per quello che mi riguarda, sul bastione della Fortezza hai detto tutto o quasi quello che c'era da dire. E in gran parte coincide con quello che penso io.
Solo che io lo avrei fatto ricostruire semplicemente e "banalmente" com'era.
Un restauro è un restauro e non esiste motivo per volerne fare "un'opera di architettura", tanto più in una fortezza che è un'opera chiusa in sè e in questo caso non esistono dubbi interpretativi sullo stato dell'originale, essendo un elemento architettonico perfettamente simmetrico. Se serve un ascensore, che lo caccino dentro. Non serve conoscere molte altre informazioni per prendere la decisione di cosa fare.
Per tua informazione è stato fatto saltare dai francesi due secoli fa.
Canali è formalista e manierista perché mette insieme, in maniera sapiente, forme architettoniche moderne fatte di piani, di superfici geometriche astratte, di dettagli costruttivi ben fatti ma l'insieme è sempre giocato su un tipo di architettura che è puro design, ottimo per l'immagine pubblicitaria di una fabbrica o di un'azienda, ma che nulla ha a che vedere con un abitare per l'uomo e ancor meno con un rapporto con la città.
Ciao
Pietro

memmo54 ha detto...

Il motivo semplicissimo è perché gli italiani di storia ne hanno tanta, importante e dappertutto. Non c’è paesino o frazione, collina o piantata in cui non siano visibili segni consistenti del passato.
Sul perchè rinunciarvi la risposta l’hanno fornita, nel loro piccolo, anche i nostri “maestri” ed è più o meno quello che viene ripetuto tuttora, senza spostare una virgola.
Dovevamo farlo perché la situazione culturale lo richiedeva,
La ragione morale, etica, si fondava sull’intollerabilità di un’architettura segno concreto della rapacità e grettezza delle generazioni passate (…tutte… indistintamente.!...).
Il linguaggio del proprio contesto: un freno esiziale alla conquista di un nuova umanità , un intralcio al radioso futuro della tecnica e della scienza.
Le povere case, gli stretti vicoli, le cascine sperdute nella campagna, assunti a testimonianza della miseria e della grettezza della popolazione minuta, inebetita perdipiù, dai fumi della religione . Qualcosa da abbandonare al più presto al proprio destino, accreditando, con argomenti di Procuste, l’idea della storia come un linea retta che conduce inflessibilmente ad un futuro migliore lasciando indietro tutto.
E non è bastato inventare l’energia atomica, neppure mandare qualcuno sulla luna; non è bastata la rivoluzione mediatico-informatica, tantomeno la globalizzazione economica per debellare il fantasma (..il cancro ?..) del passato, del già visto.
Ora che la storia ha compiuto un’inaspettata ed inopinata inversione ad U e stiamo tornando a grandi passi all’Europa del 1915 ( se non a quella del 1815), ad equilibri che sembravano dettati dalla volontà di potenza di ridicole, anacronistiche, patetiche, case regnanti, ora ci accorgiamo che quelle analisi ( partorite dalle più brillanti menti in circolazione ) erano di una settorialità e superficialità strabiliante, schematiche, fuorvianti quando non del tutto erronee.
Nessuno, pare incredibile a dirsi, s’era reso conto che il contesto civile, la cultura ed infine l’architettura, avevano origine ed esistevano al di là ed al di sopra delle sovrastrutture politiche ed economiche del momento, legati indissolubilmente allo spazio fisico, al territorio, alla geografia, anche minuta, dei luoghi, al linguaggio parlato ed infine anche a quello architettonico.
Nessuno parve ( e pare tuttora) rendersi conto che l’uomo è animale sociale che si aggrega per aree geografiche, culturali, linguistiche precise ed ha bisogno di sistemi comunicativi (…architettura inclusa… ) che lo mettano in relazione fattiva con i suoi simili ed i suoi “prodotti” passati presenti e futuri.
Un piccolo dettaglio secondario, sfuggito al quadro generale insomma : ciò che conta nella situazione presente sembrerebbe invece l’individuo, il demiurgo che rende “chiaro” ed inventa (…senza nemmeno conoscere bene significato ed etimologia…), cambia la storia, sogna e si batte contro la massa banale ed ignorante ; ripetitiva infine (.. peggiore incubo.!..) che vorrebbe ridurlo a se; senza, peraltro, sospettare che quella massa deprecata “è” lui.

LdS ha detto...

pietro, io penso che anche il restauro sia un progetto, sono rarissimi i casi in cui si può fare un ricostruzione filologica e anche se si può fare non è detto sia la cosa migliore... praticamente penso che vi siano talmente tante casisitiche che la teoria generale valga sino ad un certo punto.

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, io faccio mia la splendida sintesi di memmo54, lasciata sul post di archiwtach che più o meno dice: in fondo, c'è solo da rifare un muro.
Come a dire: il re è nudo.
Potrà sembrare brutale ma è semplicemente la verità.
Il resto sono intellettualismi che nascondono solo l'incultura egomaniaca e il narcisismo degli architetti.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

l'ho appena letto quel commento e ci stavo proprio pensando... come al solito la polemica imperversa (basta leggere anche il commento di ettore per capire il livello in cui siamo precipitati) e le visioni intelligenti, moderate e "di centro" vanno a farsi fottere... olè.

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, a parte il fatto che, per correttezza, vorrei che il dibattito sulla fortezza fosse fatto su archiwatch, non esistono, nel piano del merito, visioni di centro, di destra o di sinistra, esistono visioni giuste o sbagliate.
Se poi si collocano al centro, tanto meglio. Se invece per centro si intende il luogo della mediazione, del compromesso, del contorcimento per dire e non dire allora "guai al centro".
Quello è un caso "di scuola" in cui non c'è alternativa possibile, se non in minimi dettagli.
Ciao
pietro

ettore maria ha detto...

Caro Robert,

faresti bene ad essere un po' più rispettoso quando dici "basta leggere anche il commento di ettore per capire il livello in cui siamo precipitati", potrei dire altrettanto e con molte più ragioni, alludi anche ad una mancanza di intelligenza in alcuni interventi (suppongo miei) quando dici "le visioni intelligenti, moderate e "di centro" vanno a farsi fottere... olè", diciamo pure che lasci senza parole. Tengo anche a sottolineare che non mi riconosco in nessun partito politico, quindi non capisco in quale corrente politica estrema mi vuoi inserire, di certo mi rendo conto che tu ti definisci "moderato e di centro", buon per te, ma la politica non ha nulla a che fare col dibattito in corso, e ti prego di non fare alcun riferimento poiché ne abbiamo le scatole piene delle persone che bollano (senza argomenti) l'architettura come fascista o comunista.

Anonimo ha detto...

Pietro, effettivamente la foto del plastico dice assai poco per capire e tanto meno criticare il progetto di restauro della Fortezza. Ma se vuoi un mio parere, in linea generale e di principio sulla procedura di restauro , ti accontento.
Parto da quando dici “basta pensare alla Fortezza da Basso a Firenze, immaginare un bastione semi-distrutto e riflettere sulla sua ricostruzione in vetro, per farsi un'idea. O, se preferisci, al Colosseo, e immaginare che le parti mancanti fossero ricostruite con una struttura metallica rivestita di vetro.”

La Gedachtniskirche di Berlino nel Kurfürstendamm è quanto resta di un edificio neoromanico edificato nel 1895 in onore di Guglielmo I, gravemente danneggiato nel 1943 dai bombardamenti della RAF. Ciò che restò in piedi fu la torre campanaria, tutto il resto andò in rovina meritando per questo rudere monco il nome di "Hohle Zahn", "Dente Cavo". A guerra finita, Egon Eiermann venne incaricato di edificare la nuova Gedachtniskirche, e lo fece innalzando un moderno edificio sviluppato attorno al vecchio campanile che oggi ci ricorda, in un traumatico confronto, in uno scioccante faccia a faccia il potere distruttivo della guerra, il passaggio della morte, la follia degli uomini. Oggi il campanile diroccato della Gedächtniskirche è uno straordinario monumento commemorativo, testimonianza in presa diretta di un tragico passato, ciò che non sarebbe stato possibile se la vecchia chiesa fosse stata restaurata nella sua forma originaria e rifatta come nuova, cancellando senza lasciar traccia una dolorosa lezione della storia.

Qui l'immagine http://www.berlin.de/imperia/md/images/bacharlottenburg-wilmersdorf/bezirk/kirchen/kaiser-wilhelm-gedaechtnis/061104breitscheid_003640.jpg

E visto che il post è dedicato a Marc Augé, "la rovina è il tempo che accompagna la storia: un paesaggio, un misto di natura e di cultura che si perde nel passato e risorge nel presente come un segno senza significato, senza altro significato, quantomeno, del sentimento del tempo che passa e che dura allo stesso tempo".
Lo scarto tra passato e presente si legge nelle rovine, "La percezione di questo scarto è la percezione stessa del tempo, della subitanea e fragile realtà del tempo, cancellata in un batter d'occhio dall'erudizione e dal restauro".
Il senso dello scorrere del tempo, il senso del passato, quindi, sta in ciò che degrada e si distrugge, sfuggendo all'arroganza e alla tirannia del presente, nelle rovine che "tra i loro passati molteplici e la loro funzionalità perduta, ciò che lasciano percepire è una sorta di tempo puro, al di fuori della storia, a cui è sensibile l'individuo che le contempla, come se questo tempo puro l'aiutasse a comprendere la durata che scorre in lui." (Marc Augé, "Le temps en ruines")
.

Il senso della vita, per l'architettura come per l'individuo, sta nel concetto di durata, nel senso di precarietà, nel tempo che passa e che inesorabilmente porta avanti la sua azione dissolutrice.
Quel vetro che mette sotto vuoto uno spettacolo di distruzione vuol preservare il tempo della storia, che non sarebbe la stessa se si cancellasse, con un abile lavoro di mimesi, anche un solo pezzetto del passato.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, il paragone con la Fortezza da Basso è calzante per il fatto che la Fortezza di Arezzo non è un rudere cadente, come non lo è quella di Firenze, ma necessita di restauri, e direi, meglio, di "manutenzione" perché non lo diventi ed ha un bastione parzialmente crollato.
Non siamo perciò in presenza del dilemma di ricostruire "com'era e dov'era" oppure se reinterpretare ciò che c'era e non c'è più; siamo nell'ambito di una persona che ha perso un dente e che lo deve reintegrare.
Marc Augè scrive, nell'articolo di cui parlo nel post: "La bellezza della Piazza Grande e del Duomo mi restituisce quindi, al tempo stesso, la sensazione di una certa forma di permanenza – le cose sono sempre al loro posto, fedeli – e quella del tempo che fugge".
Dunque, anche la permanenza di ciò che c'è, e che è antico, trasmette la percezione del tempo che passa.
Questo per dire che Augè, come tutti del resto, va preso con le molle: è un uomo di lettere, oltre che un etnologo, un uomo che, al pari di tutti gli altri uomini, vive di sensazioni che certi luoghi trasmettono, in base a mille fattori contestuali e individuali.
Resta, in maniera oggettiva, la bellezza e la testimonianza di architetture e brani di città di grande valore, qualità e, nel caso di Modena, di grande urbanità, di fronte a cui occorre avvicinarsi con grande umiltà e avendo almeno il dubbio che ciò che sarà fatto potrebbe essere molto peggio di ciò che già esiste.
Il caso di Arezzo io lo ritengo, mi si passi il termine, demenziale e figlio dei tempi di grande ignoranza. La sola idea che quel progetto sia stato redatto da un professore dell'università mi fa rabbrividire e la dice lunga sullo stato di questa istituzione.
Fino a qualche anno fa c'era, fortunatamente, una Soprintendenza che non avrebbe consentito nemmeno l'idea stessa di dare corso ad un simile progetto.
Fortunatamente, ma è tutta da verificare, ho sentito dire (è davvero un sentito dire di terza mano) qualche giorno fa, prima di mandare il post ad Archiwatch, che ci sarebbe un ripensamento e l'ascensore lo collocherebbero dentro.
La città ne sarà grata, come è stata grata Perugia quando è stato fatto un ottimo intervento dentro la Rocca Paolina con un sistema di scale mobili che non solo non ha deturpato, ma ha valorizzato quell'architettura oltre che svolgere una grande funzione per l'accessibilità al centro città.
Qualche tempo fa sottoposi il caso ad un sindaco di un comune della provincia di Arezzo (non faccio il nome perché era una chiacchierata durante una cena) e lui mi rispose: "guarda che lo facciamo anche noi nella nostra fortezza, solo che lo facciamo di legno". Allibito gli domandai perché. E lui, sinceramente, rispose che aveva bisogno di effetti spettacolari!
Apprezzo la sincerità, anche perché non eravamo in due ma in diverse persone, ma altro non posso davvero apprezzare.
Ciao
Piero

LineadiSenso ha detto...

“la realtà è che c’è un’ignoranza professionale tale che può mascherarsi solo da interventi che se ne fregano del monumento […] e la porcheria dell’ascensore dell’Altare della Patria ci bastano e avanzano”

Questa qui sopra, Ettore, è la frase che abbassa il livello. Penso che vi siano pochi commenti da fare, quando si ricorre al dare dell’ignorante agli altri e si usano termini tipo “porcherie”.
Per quanto riguarda “il centro” (virgolettato) non è un centro politico è metafora dello schieramento del mondo dell’architettura ai cui estremi situo l’egocentrismo dell’ iper-pop-modernismo e dell’iper-pop-tradizionalismo. Sono estremi, ma come tutti gli estremi si somigliano molto: nei modi (populisti e demagogici) e nelle idee (semplificate) e, ovviamente, nel mettere al centro, anche se non lo ammettono, il proprio IO che scambiano per Verità. Entrambi, guarda caso, li stiamo importando dall’America. Ho la presunzione che la nostra cultura abbia invece un sostrato talmente spesso che non abbiamo bisogno di fare come gli “ammmaricani”. Siamo di “centro” per la nostra storia, “contrattiamo la modernità” continuamente e questo ci ha messo al riparo dall’estremismo architettonico di entrambe le matrici, ma ho come la sensazione che stiamo mandando a farsi sfottere questo nostro prezioso “contesto”. Penso che questa visione dell’area molto amplia del “centro” sia l’unica strada percorribile per trovare strade comuni e condivisibili, partire dal presupposto che “le idee sono giuste o sbagliate” (come qualcuno ama ripetere) e non semplicemente convenienti o meno è il primo passo per evitare la condivisione.

Robert


PS: se ti ritieni insultato perché ho usato la parola “intelligenza” che era riferita alle posizioni e non certo alle persone me ne scuso, sostituiscila con “buonsenso”.

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, ora ti sei spiegato bene. Però non sono d'accordo. Che il nostro paese abbia una certa resistenza e direi inerzia ad accogliere follie indiscriminate è anche vero, ma a me sembra che ormai sono rotti gli argini e di quelle che tu chiami americanate (non so perchè in verità) ce ne sono anche troppe: Ara Pacis, MAXXI, Chiesa di Foligno di Fuksas, Auditorium di Ravello, City Life, Koolhaas alla Bovisa, ecc. solo per citare quelle più famose e recenti. Poi vi sono le migliaia di imitazioni di provincia. Poi c'è, soprattutto il disastro urbano, la distruzione di un patrimonio unico al mondo e, soprattutto, di un tessuto sociale.
Quello che non ha potuto la guerra lo hanno fatto gli architetti. Tu mi dirai: no, lo hanno fatto gli speculatori e io invece ti dico che il mestiere dello speculatore è speculare, ma chi glielo ha permesso? I politici? Sì, ma consigliati dagli architetti.
Basta con questa storia che la responsabilità è sempre altrove: la responsabilità è degli architetti, delle loro teorie e delle loro/nostre pratiche.
E questa realtà è davanti a me tutti i giorni, quando mi scontro con norme e piani SCRITTI E DISEGNATI da architetti incapaci e presuntuosi!
I politici, almeno, possono essere mandati a casa, gli architetti no.
Per tornare al tuo commento: asserire che l'ascensore dell'altare della Patria è una porcheria è solo un giudizio, tra l'altro palesemente giusto, ed è brutale nella sua espressione formale, non nella sostanza: brutale è l'opera, non il giudizio su di essa. Non confondere l'assassino con il giudice.
Non è affatto vera questa storia del centro: Ma il vostro parlare sia SI SI NO NO, ciò che è in più vien dal maligno, Matteo.
Almeno in molti casi. Le sfumature sono, in questi casi, solo accondiscendenza verso ciò che è brutto e sbagliato, il maligno, appunto. Avere e dichiarare idee precise su certi argomenti o situazioni non c'entra niente con gli estremi che si toccano: questo è un luogo comune, che vale solo per certe ideologie, non per chi argomenta e ragiona.
Nessuno ti obbliga ad avere certezze ma la contraddizione spaventosa dei relativisti è tutta qui: vogliono che tutti siano relativisti come loro. Ma se sei relativista devi accontentarti di esserlo senza pretendere che gli altri lo siano, altrimenti che relativista sei?
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Pietro,
grazie per aver riassunto molto bene il senso del mio commento.
In aggiunta voglio sottolineare che quando parlo di "porcherie" non mi limito all'aspetto estetico, ma mi riferisco soprattutto alle porcherie che stanno dietro opere che nascono senza seguire l'iter procedurale previsto per ogni comune mortale. Per esempio la vetrata in plaxiglass che è stata installata - gratuitamente - ai mercati di Traiano, a spese di una ditta che produce impianti di aria condizionata: dopo 2000 anni, uno spazio che era stato sempre aperto è stato chiuso, si sono create così le premesse per dover installare l'aria condizionata, e così la stessa ditta si è rifatta. (vedasi l'articoletto di denuncia del prof. Muratore). L'ascensore è nato in maniera simile, ed oggi c'è un consenso generale nel doverlo rimuovere (cosa che pare, e si spera, avverrà molto presto), e allora chissenefrega se quest'opera è costata quello che è costata, e costerà quello che costerà per essere rimossa ... tanto sono soldi pubblici! Quell'ascensore è nato con l'intento di far "godere" della vista del foro durante la salita sulla terrazza del Vittoriano, 30 secondi!! Nessuno si era posto il problema della vista 24 ore su 24 dal foro (e da tutto il resto) verso il Vittoriano, il Campidoglio e la Chiesa dell'Ara Coeli. Visto che sono accusato di abbassare il tono del blog, mi permetto una battuta sull'ascensore e sui progetti che partono dallo stesso principio di voler consentire le "visuali passeggere": sembrano progetti egoistici ideati da un sofferente di "eiaculatio precox" al fine di "godere" di quei pochi istanti idipendentemente dal piacere altrui.

Pace e bene,
Ettore

memmo54 ha detto...

Ho l’impressione che codesto sentimento dell’antico, del fluire del tempo, si acuisca nei casi non infrequenti di un oggetto vetusto che funzioni a dovere, che abbia ricevuto quel minimo di manutenzione e rispetto ad evitarne la dissoluzione.
Un edificio antico perfettamente funzionante, un violino del 700 impegnato in concerto, un quadro ben restaurato, danno ancora di più l’idea che questo “tempo andato” non sia sostanzialmente diverso dal nostro, che i maggiori non fossero proprio dei sempliciotti alle prime armi.
Si può anche dissolvere violentemente ( invasioni, bombardamenti, terremoti, ecc.) una città e un territorio, ma non la percezione di questa come proprio prodotto e patrimonio. Di qui la necessità di ricostruire, quando se ne hanno le possibilità, com’era e dov’era; diversamente significherebbe negare il valore di ciò che si è perso. E’ un motivo in più, forse, per evitare di “inventare” e moltiplicare “enti” senza necessità.

Pietro Pagliardini ha detto...

memmo54, in effetti il valore romantico del rudere, se pur suggestivo, più che trasmettere il senso dello scorrere del tempo trasmette solo quello dell'incuria. Mi viene in mente la Chiesa di San Galgano, Siena, gotica, senza tetto e con il pavimento a prato. Che susciti suggestioni in questa commistione tra natura e cultura, non c'è alcun dubbio, ma ha un fascino nordico e di desolazione che proprio non ci appartiene. Non è più una Chiesa, non è più un edificio, è un luogo per soli turisti, manca completamente di vita e il senso di abbandono è profondo. La stessa Chiesa con il suo bel tetto, il suo pavimento, gli arredi sacri, le candele accese, il parroco che ogni tanto dice messa forse perderebbe un pò del suo interesse turistico ma riacquisterebbe la sua funzione.
Non voglio pensare nemmeno ad un tetto di vetro, ad un pavimento in acciaio e ad arredi in acciaio corten!
Saluti
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

Per una più completa informazione su Piazza Matteotti, riporto un articolo tratta dalla Gazzetta di Modena di oggi di Stefano Luppi. Adesso Botta ha sostituito Krier e Bontempi, e vedremo la differenza.

Procedono gli studi tecnici affidati alla star internazionale dell'architettura Mario Botta per il restyling delle piazze del centro Roma, Matteotti e Mazzini. «Stiamo lavorando intorno a piazza Matteotti - ricorda dal suo studio Botta - in attesa di definire in modo più approfondito le questioni con l'assessore Sitta. E' ancora presto per capire come sarà i piazza di cui abbiamo presentato un bozzetto, perché stiamo discutendo intorno a progetti di sviluppo di quello spazio: ad esempio stiamo ri¬flettendo sul numero di par¬cheggi del posteggio sotterra¬neo».
Da Lugano l'architetto Botta - incaricato dall'amministrazione dopo il fallimento, alcuni anni fa, del progetto di rifacimento affidato a Lèon Krier, vicino a Carlo d'Inghilterra - di più non dice, ma si intuisce che, nonostante siano passati molti mesi dalle giornate modenesi dell'autore del museo Mart di Rovereto, i contatti procedono. Del resto l'assessore all'urbanistica Sitta l'aveva detto: la prima delle tre piazze a essere portata a termine sarebbe stata Matteotti, nonostante i tanti malumori di residenti come l'avvocato Marco Ferraresi.
Il progettista svizzero nel dicembre del 2008 presentò a Modena la sua idea - probabilmente in questi mesi in "evoluzione" - che consisteva sostanzialmente nel suddividere in due parti lo spazio, adibendone una a zona per i bambini, essendoci un asilo sotto i portici. L'altra metà, quella affacciata sulla via Emilia, dovrebbe essere arricchita con spazi verdi e un segno distintivo piuttosto evi¬dente dovrebbe averlo un "gioco" d'acqua posto oriz-zontalmente ad attraversare l'intera piazza Matteotti. Più complicato sembra al momento l'iter per le commissioni delle piazze Mazzini e Roma, necessarie a trasfor¬mare il centro città in luoghi davvero vivibili. Nella prima, sede della sinagoga, Botta era stato costretto ad adattare la fontana perché non era piaciuto quasi a nessuno il muro di 4 metri di altezza posto nei pressi di via Emilia, mentre davanti all'Accademia militare dovrebbe esserci uno spazio per far circolare cavalli con panchine per gli umani.
di Stefano Luppi

Speriamo che nessuno del giornale legga questo commento perchè l'articolo è....rubato.

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