Su La Nazione di martedì 19 gennaio è apparso questo articolo del Prof. Attilio Brilli sulla scomparsa di una veduta più importanti della città di Arezzo, a causa della costruzione di un edificio alto e ingombrante. Con il permesso dell’autore lo pubblico perché, come dice Brilli in chiusura, “il patrimonio d’immagine..in senso stretto nemmeno le appartiene (alla città), perché fa parte del patrimonio della civiltà occidentale”.
Brilli affronta il tema con rassegnata ironia, dato che non c’è più niente da fare, e con un approccio culturale di tipo sintetico-umanistico, che è poi quello più adatto a comprendere meglio i valori permanenti ed essenziali di una città e di un territorio, contrariamente a quella analitico-statistico con cui ormai si affronta il tema della città. C’è una grande presunzione in quest’ultimo atteggiamento, dato che, fino a prova contraria, nessuna città è uscita migliore di prima dopo qualsiasi piano regolatore e dunque che almeno se ne riconoscano i valori veri e si preservino; invece si continua pervicacemente allo stesso modo.
E’ autore di numerose pubblicazioni tra cui pregevoli e raffinate guide di molte città.
“Veduta dall’Apparita, all’Olmo, Arezzo presenta bellissimo e grandioso aspetto, soggetti di magnifica fotografia”, così recita Giovambattista Ristori nella sua guida del 1871 mettendosi nei panni del forestiere che giungeva ad Arezzo da Perugia e da Roma e che si apprestava ad imboccare la via Romana.
Fra le città collinari dell’Italia centrale, Arezzo ha una sua inconfondibile fisionomia, avendo occupato soltanto il versante solatio di una modesta altura. Non a caso, quasi tutte le vedute storiche sono prese, a maggiore o minore distanza, da questo punto di avvistamento. Esso infatti offre al viandante la città in tutta la sua estensione e con i segni che la rendono inconfondibile, dalla torre forata della Pieve, a quella del Comune, al campanile in forma di matita del Duomo.
Arezzo ha sempre avuto un profilo di sintesi e non si è dovuta inventare il suo skyline. Anche se oggi si giunge ad Arezzo ricorrendo in prevalenza al più prosaico raccordo autostradale, la foce dell’Olmo costituisce pur sempre un nodo trafficatissimo e un affaccio privilegiato sulla città, almeno per chi viene dal senese e dal perugino.
Ma la veduta di cui parla Ristori è scomparsa per sempre, cancellata da un albergo particolarmente alto e imponente (e tale appare in relazione al contesto ambientale e al cannocchiale prospettico), elevato all’incrocio tra fra via Romana e la tangenziale.
E’ come se con un colpo di spugna fossero state cancellate le più belle vedute della città, da quella vespertina di Teofilo Torri, a quella nitida di Antonio Terreni, a quella romantica William Brockedon, solo per citare esempi di epoche diverse.
O forse si dirà che quelle raffigurazioni acquistano ora un ulteriore pregio documentario, proponendoci una veduta della quale, dal vero, non ci è dato più godere?
Giotto ha dipinto Arezzo fornendo al mondo intero il prototipo della città occidentale, bisognosa di pace, abbarbicata sul colle e compresa nel circuito delle mura che la cingono simili ad una corazza. E come tale ricorre nei libri di storia degli studenti di tutte le nazioni. Da allora in poi, e per secoli, i viaggiatori stranieri hanno continuato a diffondere l’immagine della città con le loro descrizioni e i loro disegni.
Quei viaggiatori scendevano appunto dalla foce dell’Olmo e vedevano Arezzo inerpicarsi, su per il colle che si trovavano in faccia e dalla cui sommità “la cattedrale domina la pianura e si rende visibile sin dal fondo delle convalli”, per dirla con il botanico ottocentesco Otto Speyer.
La cancellazione di quella veduta equivale allo strappo di un capitolo dal libro di storia, e per Arezzo ad un’ulteriore perdita d’identità.
D’altronde parlare di una città collinare toscana significa riferirsi ad un patrimonio che va ben al di là delle mura cittadine, ad un patrimonio d’immagine che in senso stretto nemmeno le appartiene, perché fa parte della memoria della civiltà occidentale.
N.B. Le immagini rappresentana La cacciata dei demoni da Arezzo; la prima è di Giotto, la seconda di Benozzo Gozzoli
2 commenti:
Caro Pietro,
questo post è bellissimo. Ha lo stile poetico (e senza peli sulla lingua) che spesso si ritrova nelle guide rosse del TCI.
Brilli ha ragione da vendere in ciò che dice, specie nella parte finale.
Con la mia università, ma questo accade per tutti i programmi americani in Italia (anche tra le università di matrice modernista), una volta al mese partiamo con gli studenti e viaggiamo per ripercorrere alcune delle principali tappe del Grand Tour. Lo scopo è quello di studiare, dal vivo, quel magnifico "libro di storia" che è l'Italia. Questo per noi italiani non significa solo cultura, ma anche turismo architettonico-urbanistico, ovvero - venalmente parlando - ragione di guadagno. Quando si assiste a certe violenze urbanistico architettoniche, che come dice Brilli corrispondono ad una pagina strappata a quel "libro", non c'è da stare allegri, poichè bisogna riflettere sul fatto che, poco alla volta, sempre meno gente sarà interessata ad andare a visitare dei luoghi che non raccontano più nulla. A meno che non si voglia andare a studiare gli esempi da evitare!
I programmi stranieri in Italia sono centinaia ma, indipendentemente da questi, il turismo in Italia è una enorme fonte di guadagno per diverse persone, non si può continuare a procedere su questa via ignorandone le conseguenze nel medio-lungo termine. Sono certo che nel depliant illustrativo di quell'albergo ci sarà la tipica frase "vista mozzafiato verso lo skiline di Arezzo!" E non posso non riflettere sul fatto che, chi scrive e promuove certe cose, non rifletta mai sulla visuale dalla direzione opposta!
Buona domenica a tutti
Ettore
E' vero, il prof. Brilli riesce a leggere l'anima e la struttura delle città che t e le sa restituire in maniera a tutti comprensibile.
Non è urbanista né architetto, ma capisce benissimo che quella veduta, così rappresentata nella pittura e nei racconti dei viaggiatori, è la direttrice principale della città di Arezzo che lega la città al suo territorio, la Valdichiana, e che, proseguendo all'interno della città, ne costituisce il suo asse principale, il Corso, già Borgo Maestro (non a caso) che conduce su fino al Duomo e al Comune.
Se trovi qualche sua guida turistica ti consiglio di leggerla perché c'è sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
Buona domenica
Pietro
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