Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


17 gennaio 2010

JANE JACOBS (2): STRADE

Pietro Pagliardini

In Vita e morte delle grandi città di J. Jacobs, Einaudi 1969, è ricorrente il tema della strada come struttura di base della comunità cittadina. L’autrice è una giornalista, perciò l’argomento è trattato da un punto di vista sociologico, ma le sue osservazioni portano inevitabilmente a conclusioni che gli urbanisti dovrebbero tenere in considerazione.
In verità non esiste un capitolo del libro intitolato “La strada”, ma esiste un capitolo dal titolo “Le funzioni dei marciapiedi”, con le sue articolazioni: la sicurezza e i contatti umani.
Va sempre tenuto conto che il libro è stato scritto negli anni ’50 e il campo di studio sono gli USA e prevalentemente una metropoli, New York, oltre ad altre città sempre e comunque di grandi dimensioni, quindi con una realtà temporale e fisica molto diversa da quella di oggi e da quella dell’Italia e dell’Europa. Ma ciò nonostante, basta escludere parti specifiche decisamente datate e localizzate, le considerazioni svolte potrebbero essere riferite ad una qualsiasi città europea e, in alcuni casi, come il tema della sicurezza su cui si insiste molto, addirittura sembrano scritte in funzione della nostra quotidiana cronaca.
Le funzioni di autogoverno delle strade sono tutte modeste, ma indispensabili. Nonostante molti tentativi, pianificati o no, non s’è ancora trovato nulla che possa sostituire una strada vivace e animata”: in queste due frasi è sintetizzato gran parte del pensiero di J.Jacobs.


L’osservazione continua della sua strada, del suo quartiere, della sua e di altre città, con animo sgombro da precostituiti dogmi urbanistici, ma tesa invece all’analisi dei comportamenti sociali e personali della gente, la induce a ricavare alcune regole generali in ordine alle differenti conseguenze che un tipo di organizzazione urbanistica di vicinato ha rispetto ad un altro tipo.

E ne ricava che:
Le strade e i marciapiedi costituiscono i più importanti luoghi pubblici di una città e i suoi organi più vitali. Quando si pensa ad una città, la prima cosa che viene alla mente sono le sue strade: secondo che esse appaiano interessanti o insignificanti, anche la città appare tale”.
E poi:
Caratteristica fondamentale di un quartiere urbano efficiente è che chiunque per strada si senta personalmente al sicuro, senza sentirsi minacciato dalla presenza di tutti questi estranei”.

A scanso di equivoci, alla parola “estranei” non deve essere attribuito un significato negativo ma è solo una qualità oggettiva riferita a tutti coloro che non vivono direttamente nella strada e a tutti coloro che, in una grande città, sono naturalmente sconosciuti agli altri. L’estraneità in J.Jacobs è un valore, casomai, positivo perché è una caratteristica propria della città, di quella grande in particolare, che permette di incontrare tanta gente diversa e di arricchire la propria vita.

La Jacobs ne ricava anche una regola su cosa possa garantire senso di sicurezza:
La prima cosa da capire è che l’ordine pubblico nelle strade e sui marciapiedi della città non è mantenuto principalmente dalla polizia, per quanto questa possa essere necessaria: esso è mantenuto da una complessa e quasi inconscia rete di controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi. In certe zone urbane, come ad esempio in molti vecchi complessi di case popolari e in molte strade con rapido cambio di popolazione, il mantenimento della legge e dell’ordine sui marciapiedi è affidato quasi interamente alla polizia e a guardie speciali: ebbene queste zone sono vere giungle, perché non c’è polizia che basti a garantire la civile convivenza una volta che siano venuti meno i fattori che la garantiscono in modo normale e spontaneo. Il secondo punto da tener presente è che il problema della sicurezza non si risolve accentuando la dispersione degli abitanti, sostituendo cioè al carattere urbano quello tipico del suburbio. Se così fosse Los Angeles dovrebbe essere una città sicura”.

Allora cos’è che contribuisce a rendere sicure strade e marciapiedi?:
Tutti sanno che una strada urbana frequentata è probabilmente anche una strada sicura, a differenza di una strada urbana deserta. Ma come vanno effettivamente le cose, e che cosa fa sì che una strada urbana sia frequentata oppure evitata? Perché viene evitato il marciapiede di Washington Houses, che dovrebbe costituire un’attrazione, e non i marciapiedi della città vecchia immediatamente adiacente? Che cosa avviene nelle strade che sono animate in certe ore ma ad un certo punto si spopolano improvvisamente?
Per essere in grado di accogliere di accogliere gli estranei e di approfittarne per accrescere la propria sicurezza, come sempre accade nei quartieri più vitali, una strada urbana deve avere tre qualità principali:
1. Dev’esserci una netta separazione tra spazi pubblici e spazi privati; lo spazio pubblico e quello privato non devono essere compenetrati, come in genere avviene negli insediamenti suburbani o nei complessi edilizi.
2. La strada deve essere sorvegliata dagli occhi di coloro che potremmo chiamare i suoi naturali proprietari. In una strada attrezzata per accogliere gli estranei e per garantire lo loro sicurezza e quella dei residenti, gli edifici devono essere rivolti verso la strada; non è ammissibile che gli edifici lascino la strada priva di affacci, volgendo verso di essa la facciata posteriore o i lati cechi.
3. I marciapiedi devono essere frequentati con sufficiente continuità sia per accrescere il numero delle persone che sorvegliano la strada, sia per indurre un congruo numero di residenti a tenere d’occhio i marciapiedi dagli edifici contigui. A nessuno piace starsene seduto sul terrazzino d’ingresso o affacciato alla finestra a guardare una strada deserta (e infatti quasi nessuno lo fa), mentre c’è molta gente che si diverte a dare di tanto in tanto un’occhiata a ciò che avviene in una strada animata”. 

Omissis
Condizione essenziale per attuare tale sorveglianza è che lungo i marciapiedi del quartiere sia disseminato un congruo numero di negozi e di altri luoghi pubblici, e in particolare di esercizi e luoghi pubblici frequentati nelle ore serali e notturne. Così soprattutto i negozi,i bar e i ristoranti possono favorire in modi diversi e complessi la sicurezza dei marciapiedi
”.
Omissis
L’idea stessa di eliminare per quanto è possibile le strade urbane, di degradare e minimizzare il ruolo sociale ed economico che esse hanno nella vita cittadina, è la più pericolosa e deleteria invenzione dell’urbanistica ortodossa”.

Il quadro urbano che emerge è quello di una città fatta di edifici posti lungo la strada e su questa affacciati con il loro prospetto principale, con negozi a piano terra, con una chiara distinzione tra ciò che è privato e ciò che è pubblico. L’esatto contrario di un edificio lontano dalla strada e a questa indifferente, immerso in un verde che non è pubblico e non è privato, cioè non è di nessuno. L’idea folle di edifici staccati immersi nel “verde” viene liquidata dalla Jacobs, nell’originalissimo capitolo in cui parla dei parchi, con la seguente, lapidaria espressione:
Il fatto è che i frequentatori dei parchi urbani non vanno in cerca di un ambiente per gli edifici, ma di un ambiente per se stessi: per loro, i parchi rappresentano il primo piano e gli edifici lo sfondo, e non viceversa”.


Altro elemento essenziale è quella della varietà delle destinazioni che determina la complessità della vita sociale urbana, contro la monofunzionalità della zonizzazione, che la impoverisce fino ad annullarla.
Queste condizioni, quasi mai rispettate in quelli che l’autrice chiama i “complessi edilizi”, cioè quegli insediamenti progettati unitariamente seguendo le regole del’urbanistica “moderna”, consente una sicurezza intrinseca che nasce dalla presenza di vita in tutto l’arco della giornata, e che fa sì che siano i cittadini stessi ad esercitare tale controllo.
Non c’è niente di bucolico o di idealizzato in questa visione, solo la constatazione di fatti, che la Jacobs racconta ed enumera in maniera ricorrente e documentata.
La sua visione coincide, senza che questo sia il uso scopo, con una città tradizionale, intesa non in senso stilistico, naturalmente, ma come struttura urbana che si è evoluta nell’arco dei secoli e che da un certo momento in poi si è voluto abbandonare, proponendo alternative ideologiche e che non trovano alcuna giustificazione nei comportamenti umani.

13 commenti:

ettore maria ha detto...

fantastico! ... ma come la mettiamo con il discorso sugli outlet e i megastores? Le due cose si annullano a vicenda e, attualmente, la seconda sta battendo la prima. L'assurdo è che gli outlet e i centri commerciali cercano in maniera "disneyana" di ricreare gli aspetti piacevoli della città tradizionale. Nel mio intervento sul Covile in replica alle interviste di Servadio avevo evidenziato la relazione tra mancanza di sicurezza (in quel caso gli stupri avvenuti in maniera seriale a Roma) e mancanza di vitalità lungo le strade dei moderni quartieri residenziali. Quand'è che gli urbanisti e i politici si degneranno di capire che le teorie successive alla Carta di Atene sono state la peggiore idiozia teorizzata dal 20° secolo in nome dell'industria automobilistica? E' interessante notare nello scritto della Jacobs il riferimento alla sorveglianza armata lungo le strade che mi rimanda alle recenti scelte politiche italiane. Speriamo che qualcuno porti a conoscenza di chi governa questo post. Grazie Pietro!

Pietro Pagliardini ha detto...

Sì Ettore, siamo in una situazione paradossale: negli outlet la gente ritrova un fantasma dell'idea di città ma gli outlet rappresentano il certificato di morte della città!
Credo si debba cogliere l'aspetto positivo: il bisogno di città tradizionale c'è e gli outlet, oltre che per aspetti legati al risparmio, piacciono anche per questo.
La risposta vera è quella di cui parla la Jacobs, cioè la strada, cioè la città vera, che può essere conciliata con un sistema di vendita che siano attrattivi e diano vantaggi ai consumatori.
Sulla sicurezza è certamente illuminate l'analisi della Jacobs, dato che i problemi che oggi noi abbiamo nelle metropoli americane si sono verificati già molti decenni fa. Quella simpatica vecchietta della foto (ma prima di essere vecchia anche lei è stata giovane) che mi ricorda Miss Marple aveva la vista lunga e ha capito che la sicurezza è garantita da una città densamente abitata e omogeneamente vissuta, nel tempo e nello spazio.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Ciò che la Jacobs scrive (parecchi anni fa), è una favola bella e suggestiva che, però, non ha nulla a che fare con la realtà di oggi.
Che la sicurezza della città sarebbe garantita da una elevata densità abitativa, dalle varie attività commerciali distribuite in fregio ai marciapiedi, da finestre aperte sugli stessi con persone curiosamente affacciate a guardare il passeggio lo sa anche mio nonno. Ma guardiamo una grande città oggi: molte zone, non necessariamente periferiche, sono di giorno deserti dormitori perché gli abitanti lavorano magari a chilometri di distanza ed escono presto e rientrano tardi (magari senza neanche aprire le persiane delle finestre sul marciapiede, finestre peraltro munite quasi tutte di inferriate fino al terzo piano), i negozi chiudono l'attività uno dopo l'altro, stroncati dalla concorrenza della grande distribuzione (e dei famigerati outlet), la varietà di destinazioni è antieconomica ed irrazionale per il piano dei trasporti (sia delle merci che delle persone), la frammistione delle destinazioni crea problemi di inquinamento ambientale e vigorose proteste dei residenti (che scendono in piazza per far chiudere bar e paninoteche aperte fino a tardi perché oggi i frequentatori non sono più gli allegri nottambuli di una volta, ma giovani ubriachi e drogati che danno fastidio e fanno danni).
Non sto descrivendo uno scenario da day after, parlo di Milano, una città neanche troppo estesa, ma abbastanza da non avere la possibilità di preservare quell'effetto borgo che forse era ritenuto possibile quando la Jacobs ha scritto il suo libro.
Ora che ne facciamo, la bruciamo?

Vilma

Matteo ha detto...

Concordo con Vilma.
Tutto quello che ha descritto è proprio quello che è avvenuto a Bologna, dove abito.
Però non credo che non sia più possibile fare nulla...basterebbe passare dal controllo "passivo" del PSC ad un controllo "attivo" che si estenda anche ai flussi di persone, alla pianificazione delle attività, ecc...
Matteo

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, il libro della Jacobs è prevalentemente ambientato (il termine è giusto perché è una somma di storie) nella NY anni 50, elei parla spesso di intere strade e piazze in mani a gente della peggior specie e dove c'era ancora forte la discriminazione razziale, almeno in termini sociali. Certamente le condizioni sono cambiate, ma la situazione che viviamo noi in certe zone credo sia abbastanza paragonabile a quella del tempo.
Il fenomeno del tutto nuovo è quello dei giovani chiassosi, diciamo così, che però, non so a Milano, in genere si limita, ridiciamo così, al venerdì e al sabato.
Ciò detto, non vedo come il mix di funzioni possa creare problemi, tolte naturalmente discoteche, inceneritori, industrie insalubri e simili.
Io so per certo che i supermercati che attualmente funzionano meglio sono le medie strutture di vendita max mq 1500, perfettamente compatibili con la residenza (ce n'è una sotto il mio studio da 30 anni e in un quartiere abitatissimo di Arezzo ce ne sono tre (dii cui uno nuovo) in un'asta di 400 metri mx.
Uscire e trovare sotto casa, o nei pressi, il supermercato, la rosticceria, il panettiere, il macellaio, il fotografo che oggi noleggia dvd, il giornalaio e quant'altro non è un sogno romantico, ma, per fortuna, la realtà di molti luoghi.
Certamente se si fanno dilagare gli outlet o i grossi centri commerciali è chiaro che si sottraggono risorse alla città.
Tuttavia io non penso che si possa pianificare alcunchè in questo campo, penso che si debba dare l'opportunità urbanistica, mediante il progetto e mediante la liberalizzazione delle funzioni, al mercato di muoversi secondo bisogno.
Oggi, di fatto, c'è una pianificazione che spinge verso le grandi strutture di vendita. E' una scelta, non una necessità.
E poi il problema dei ragazzi che si ubriacano e disturbano esiste oggi ed è nato in presenza di città zonizzate, dunque dovremmo dare la colpa a queste?
Non credo sia così, anche se il degrado urbano aiuta i comportamenti anti-sociali (la teoria del vetro rotto) ma non credo nemmeno l'opposto.
La forma della città può favorire e aiutare comportamenti anti-sociali o virtuosi, ma non può certo essere considerata l'unica causa.
E' chiaro però che chi vive in ambienti che non favoriscono relazioni umane si abitua a vedere gli altri come ostili, nemici; ad esempio, laddove gli immigrati che sono normalmente inseriti in condomini o quartieri insieme a vecchi residenti non creano più problemi di quanti ne crei un normale, litigioso condominio. Se li metti tutti insieme crei un ghetto. Questo è ovvio, ma il mix delle funzioni non è molto diverso dal mix delle etnie: la mono-funzione crea emarginazione e la divisione della città in etnie crea emarginazione, per tutti.
Matteo, come ho detto non credo alla soluzione tecnologica e alla pianificazione. Credo solo che occorra che un'amministrazione abbia delle idee e faccia di tutto per favorirle.
Ciao
Pietro

enrico d. ha detto...

leggo che oggi ad Amburgo, o in qualche altra città tedesca, si è votato per decidere sull'apertura o meno di un negozio IKEA in pino centro. Pare che l'affluenza sia stata maggiore cha alle elezioni europee...
Non so si tratta di consultazione consultiva o decisionale, ma è un segno interessante.
Riguardo alla rovina dei centri storici, a Bologna è stato fatto tutto il possibile per ...farsi del male. e i risultati si vedono.
Quello che mi fa imbufalire è vedere chegli stessi organi regolatori.tecnici che mettono il naso nelle cose private e di piccolo conto (altezza dei gradini di una scala interna, direzione di apertura della porta del bagno, altezza delle cantine misurate al millimetro....) lasciano poi che interi palazzi, strade, rioni, perdano tutti i negozi a favore di banche. Qualche correttivo non era impossibile; oggi è tardi, ma nessuno a suo tempo fu in grado di prevedere che era una stupidaggne autolesionista costringere i piccoli negozianti a chiudere alla sera alle 7, mentre i centri commerciali restavano aperti fino alle 10 ?
Sarebbe bastato guardarsi un poco in giro, per scoprire che, nella libera e liberistica America, i grossi centri hanno l'orario obbligato, mentre il piccolo commerciante può fare concorrenza, garantendo orari più flessibili.

LineadiSenso ha detto...

vilma, perchè ritieni che il mix sia antieconomico anche per le persone? capisco per il produttivo, nelle aree più sviluppate del paese gran parte di esso richiede spazi, infrastrutture e nodi intermodali che implicano sicuramente una monfunzionalità ma il resto? commerciale, direzionale, parte dell'artigianato e residenziale non mi pare sia irrazionale mescolarli. anzi, evitare che una massa di persone si muova contemporaneamente e con mezzi privati verso un'altra area mi pare una cosa positiva... beh, ovvio che alla base di tutto ciò vi dev'essere alta densità, se mixiamo e tutti si muovono attraverso l'auto il disastro è assicurato.

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert solo una velocissima comunicazione perchè te l'avevo lasciata sul tuo blog ma al momento di pubblicarla è successo qualcosa e l'ho persa:
se vai sul sito Eddyburg e fai una ricerca Jacobs trovi tre articoli tradotti da giornali americani. A parte questo nello stesso sotto-sito (non è il termine giusto9 di Bottini ci sono tre lezioni sullo sprawl. niente di speciale però so che ti interessava.
Ciao
Pietro

ritorno alla città ha detto...

Probabilmente non ci "azzecca" niente, ma queste immagini dello Zen sono strazianti.
ciao
Angelo

http://www.repubblica.it/cronaca/2010/01/20/foto/foto_palermo-2014927/1/

Matteo ha detto...

@enrico d.
Concordo con la tua analisi, ma non credo che il problema sia solo a livello "amministrativo".
Mia moglie ha fatto la tesi sul recupero dell'area universitaria in centro a Bologna: oltre a interventi di pedonalizzazione e ottimizzazione del traffico aveva anche proposto il coinvolgimento della popolazione stessa alle attività di miglioramento (mercatini, incontri, ottimizzazione delle attività commerciali via per via, ecc..) e magari degli stessi consigli di quartiere (visto che a Bologna esistono ma è come se non ci fossero, visto che più che altro si occupano di piccioni o dei punkabbestia).
La tesi è piaciuta a tutti, è andata su e giù per gli uffici amministrativi dell'università e del comune e poi...ovviamente niente: comunque arrivano più soldi da una banca che da cinque negozi.
Credo serva anche "rieducare" la gente a vivere in città: trovo abbastanza stupido ad esempio vedere quelli che abitano in centro lamentarsi che non possono arrivare con la macchina fin sotto casa oppure che non c'è parcheggio per il loro SUV oppure che anche a tarda serata ci sia gente in giro; se danno fastidio queste cose, perchè non si comprano una bella villetta a Granarolo?!?
Matteo

Pietro Pagliardini ha detto...

Angelo, per me c'azzecca perchè siamo in presenza, appunto, del caso, eclatante in negativo, di cui parla la Jacobs:
"L’idea stessa di eliminare per quanto è possibile le strade urbane, di degradare e minimizzare il ruolo sociale ed economico che esse hanno nella vita cittadina, è la più pericolosa e deleteria invenzione dell’urbanistica ortodossa”.
Diciamo che lo Zen è un po' troppo ortodosso, sia dal punto di vista urbanistico che sociale, avendo concentrato insieme un'unica classe sociale.
La politica dell'edilizia sociale in Italia è quanto di più "razzista" possa esserci.
Se vuoi divertirti domani vieni a sentire Langone a Firenze.
Ciao
Piero

Anonimo ha detto...

Robert, quando dico “la varietà di destinazioni è antieconomica ed irrazionale per il piano dei trasporti (sia delle merci che delle persone)” faccio una considerazione molto semplice: lo zoning vale sia per le destinazioni che per le infrastrutture, in una zona industriale-artigianale non necessitano quei servizi, costosi per la comunità, che è possibile e più economico circoscrivere alle sole zone residenziali, penso allo scuolabus, ai parchi-gioco per i bimbi, all’arredo urbano, per non dire scuole, asili ecc…… Ovviamente, più l’area che richiede tutto ciò è concentrata, meno oneroso è coprirla.
Il discorso non vale per il piccolo artigiano, l’idraulico o l’elettricista che hanno un piccolo negozio o neppure quello, o per le piccole attività terziarie, ma, per esempio, il palazzo per uffici può benissimo starsene fuori, oltre una certa ora della sera e durante i festivi sarebbe un deserto buco nero estraneo e controproducente per la vita della comunità.
Purtroppo l’Italia è una realtà talmente particolare e frazionata che ogni cittadina e ogni borgo costituisce un caso a sé, è difficile generalizzare e dare direttive comuni, e riconosco che i tentativi fatti fino ad oggi in questo senso sono del tutto insoddisfacenti e discutibili.

Vilma

LdS ha detto...

veramente interessante il materiale scaricabile di bottini, grazie

robert

Etichette

Alemanno Alexander Andrés Duany Angelo Crespi Anti-architettura antico appartenenza Ara Pacis Archistar Architettura sacra architettura vernacolare Archiwatch arezzo Asor Rosa Augé Aulenti Autosomiglianza Avanguardia Barocco Bauhaus Bauman Bellezza Benevolo Betksy Biennale Bilbao bio-architettura Bontempi Borromini Botta Brunelleschi Bruno Zevi Cacciari Calatrava Calthorpe Caniggia Carta di Atene Centro storico cervellati Cesare Brandi Christopher Alexander CIAM Cina Ciro Lomonte Città Città ideale città-giardino CityLife civitas concorsi concorsi architettura contemporaneità cultura del progetto cupola David Fisher densificazione Deridda Diamanti Disegno urbano Dubai E.M. Mazzola Eisenmann EUR Expo2015 falso storico Frattali Fuksas Galli della Loggia Gehry Genius Loci Gerusalemme Giovannoni globalizzazione grattacielo Gregotti Grifoni Gropius Guggenheim Hans Hollein Hassan Fathy Herzog Howard identità Il Covile Isozaki J.Jacobs Jean Nouvel Koolhaas L.B.Alberti L'Aquila La Cecla Langone Le Corbusier Leon krier Léon Krier leonardo Leonardo Ricci Les Halles levatrice Libeskind Los Maffei Mancuso Marco Romano Meier Milano Modernismo modernità moderno Movimento Moderno Muratore Muratori Musica MVRDV Natalini naturale New towns New Urbanism New York New York Times new-town Nikos Salìngaros Norman Foster Novoli Ouroussoff paesaggio Pagano Palladio Paolo Marconi PEEP periferie Petruccioli Piacentini Picasso Pincio Pittura Platone Popper Portoghesi Poundbury Prestinenza Puglisi Principe Carlo Purini Quinlan Terry Referendum Renzo Piano restauro Ricciotti riconoscibilità rinascimento risorse Robert Adam Rogers Ruskin S.Giedion Sagrada Familia Salingaros Salìngaros Salzano Sangallo Sant'Elia scienza Scruton Severino sgarbi sostenibilità sprawl Star system Stefano Boeri steil Strade Tagliaventi Tentori Terragni Tom Wolfe toscana Tradizione Umberto Eco università Valadier Valle Verdelli Vilma Torselli Viollet le Duc Vitruvio Wrigth Zaha Hadid zonizzazione