Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


1 dicembre 2009

UN ACUTO "SPROLOQUIO" SULL'ARA PACIS

Un amico, medico bolognese con una grande passione per l'architettura e l'arte, mi ha scritto queste sue impressioni sull'Ara Pacis ed io, con il suo consenso, le pubblico perché i suoi "sproloqui" sono molto acuti oltre che divertenti.

*****
IMPRESSIONI SULLA SCATOLA DI MEIER
di Enrico Delfini

Pochi giorni fa ero a Roma, e avendo un paio di ore libere, ho pensato di recarmi di persona a vedere la scatola di Meier sul lungotevere (o, come si dice da sempre nella mia famiglia, sul "Lungarno del Tevere").
Sull'opera di Meier è già stato detto tutto e il contrario di tutto; aggiungo, per quel che valgono, le mie personali impressioni.
La "scatola" come oggetto è decisamente asettica e anonima. E probabilmente è così che vuole essere. Sembra pensata per essere un corpo estraneo, privo di fronzoli, che non si mette in contatto né in rapporto con gli edifici circostanti (chiesa di San Rocco e un'altra che adesso non ricordo).

Eppure, mi trasmetteva un senso di familiarità, di conosciuto. Ho impiegato qualche minuto a capire la ragione di ciò: è un semplice, banale, capannone!

Nella mia regione, ma non solo, il capannone è un mito, un sogno. Qualsiasi contadino ne vuole uno, meglio magari due, possibilmente vicino-vicinissino a casa. Non importa se rende scomodo l'accesso alla proprietà, non importa se poi mancano i soldi per terminare la casa, o per arredarla. L'importante è erigere un bel parallelepipedo in cemento armato e mattoni, con tetto in elementi prefabbricati, per contenere macchine e macchinari che magari non ci sono, ma....un capannone è per sempre....

Appena poi un esponente di questa tribù, che non rischia l'estinzione, si trasforma in piccolo imprenditore nel commercio o nell'artigianato, bisogna dotarsi di un capannone "moderno". Solo sulla via Emilia, nei 40 chilometri tra Bologna e Modena, ci sono almeno una cinquantina di capannoni che non hanno nulla da invidiare all'opera di meier. Che sia un concessionario auto, una mostra di mobili o di macchine agricole, un centro di bricolage, o di statue da giardino, la tipologia standard è sempre quella. Forme squadrate, ampie vetrate, colore uniforme, con qualche raro elemento caratterizzante, tipo bandiere o pinnacoli vari. Elementi pseudo-decorativi tipo mensole, graticci, paraventi giganti, si sprecano.
La teca di Meier ripropone lo stesso modello, che tutto sommato è entrato nell'orizzonte comune di tanti.

Ma, essendo un'opera architettonica e non una statua, occorre valutarne, oltre l'estetica, anche l'aspetto funzionale.
Orbene, per chi arriva all'Ara pacis dal centro (via Tomacelli), non c'è dubbio che l'oggetto si presenta in modo inequivoco: nome e destinazione sono scritti a caratteri cubitale sulla parete sud; e il gioco delle scale, fontane, muretti, indirizza il turista all'ingresso senza possibilità di errore.
Ma se, per ventura, qualcuno decide di arrivare da nord, nessun segnale, nessun indizio permette di presagire che quel muro bianco è quello che è, e non il retro di una stazione di servizio, o di un ristorante cinese, o di un qualsiasi altro edificio.


In prossimità dell'angolo di nord-ovest, all'inizio della enorme parete, vetrata, una vera e propria porta, con tanto di maniglia, invita all'ingresso, ma è chiusa; solo un foglietto vergato a mano, indirizza verso la giusta direzione.

L'enorme parete trasparente, consente una buona visione dell'interno dell'"hangar" in cui sorge il monumento augusteo. Lo spazio candido è suggestivo e spoglio; forse anche troppo spoglio. Dall'esterno si può agevolmente ammirare l'altare romano, ma anche angoli disadorni, porte chiuse, seggiole vuote, bianche pareti sterminate.
Giunti all'ingresso, appena dentro, una squallida biglietteria, che funge anche da bookshop, intercetta il visitatore: l'entrata costa 7 o 8 euro, e comprende anche l'accesso a mostre temporanee ospitate nei sotterranei (credo).
Per vedere un poco più d'appresso ciò che si vede gratis da fuori è piuttosto caro. Come me devono pensarlo anche altri turisti, tra cui due gruppi di giapponesi.

Ed ora, qualcosa sui materiali. Da quel che posso capire, si tratta di vetro, e di travertino. Parrebbe una scelta in linea con la tradizione locale. ma c'è un ma: superfici tanto vaste, uniformemente lisce, in tale materiale, assumono (hanno assunto) in pochi anni un aspetto polveroso di sporco, assai poco elegante. Effetto inevitabile, potremo dire, ma che in altri palazzi del centro di Roma, è mitigato dai motivi decorativi che, paradossalmente, possono addirittura giovarsi, entro certi limiti, di un certo grado di accentuazione dei contrasti.

Per non farmi mancare niente, termino con qualche nota su come, se fossi stato architetto e fossi stato interpellato, avrei affrontato il lavoro.
1) Dovendo valorizzare un monumento prezioso, ma non maestoso, avrei cercato di valorizzarne il candore marmoreo, cercando il contrasto con qualcosa di verde, tipo prato. (in antico l'opera era colorata, ma adesso no!). Ovviamente occorrerebbero sentieri di avvicinamento in materiale calpestabile, non "fangoso".
2) Trattandosi di opera non molto grande, non è conveniente poterla osservare già a grande distanza. Nulla di male a strutture che la nascondano fino a che si giunga ad una distanza giusta per osservare e godere.
3) L'accesso deve essere libero e gratuito, trattandosi di un monumento-messaggio che da duemila anni inneggia alla pace. Un buon punto ristoro-bookshop nelle vicinanze può garantire un gettito certamente considerevole.
4) Negli spazi sotterranei, non mostre temporanee avulse dal contesto, ma un percorso dedicato al monumento stesso, alla sua storia, al suo restauro, ad altre antichità romane; magari a pagamento.
5) Come progetterei la "casa" dell'Ara pacis? Una struttura che la racchiuda, e la nasconda, pur essendo aperta; qualcosa del tipo un giro e mezzo di spirale, composta di un'unica struttura o di più pannelli affiancati, curvilinei, o a segmenti spezzati, che racchiudono un'area non troppo vasta, a prato, con al centro l'ara. Per dare un'idea, se l'ara è di circa 8x15 metri, considerare una superficie di 20x40.
6) Le mura di questo specie di pozzo semiaperto potrebbero essere high-tech, o in muratura, o in marmo, o un misto; potrebbero essere nude, o decorate con inserti in marmo. Ci si può pensare. L'altezza deve essere tale da conferire dignità e proporzione all'esterno anche da una certa distanza. Se la larghezza media fosse di una trentina di metri, bisogna considerare almeno un 16-18 metri in altezza.
7) Importante la copertura. Penso che un simile monumento debba ricevere la luce dall'alto. (Augusto era un dio; la pace è il sommo dono celeste). La tecnologia moderna consente una infinità di soluzioni, dai tempi della copertura dello stadio olimpico di Monaco'72. Da prevedere le conseguenze del tempo, dello smog e le possibilità di pulitura.
Scusa per lo sproloquio, e per...l'invasione di campo !

Enrico

17 commenti:

Anonimo ha detto...

vorrei commentare, ma oggi non ho molto tempo, lo farò presto e in chiaro grazie epr averim ospitato

ettore maria ha detto...

è sempre molto utile leggere ciò che i non architetti pensano dell'architettura .. purtroppo sono sempre pochi quelli che hanno il coraggio di farlo!
L'ironica lettura, cui aggiungerei un riferimento alla stazione di servizio di Fabro data la presenza di pannelli brise-soleil simili (anche questa somiglianza viene da un non architetto, dato che l'ha indicata qualche anno fa l'autista dell'autobus di un field trip della nostra università) è emblematica del dissenso costante nei confronti di ciò che le architstars (grazie ai politici affamati di propaganda) producono.
Ettore

Salvatore D'Agostino ha detto...

De Architectura,
Ossimoro volontario: architettura medica

Elio e le storie tese - La bella canzone di una volta
«La bella canzone di una volta faceva sorridere la gente,
che la trovava divertente e la cantava a voce alta.
La bella canzone di una volta faceva commuovere la gente,
che la ascoltava attentamente e la imparava in una volta.
La canta il commissario al lestofante, la fischia il portinaio spazzolante
mentre la balia col poppante la trova molto interessante.
L'accenna il giovanotto dal barbiere e dopo un po’ la sa tutto il quartiere
che pullula di mille capinere, e a mezzanotte c'è l'oscurità.
Capinere, capinere, ognuno le vuole amar.
Sono bianche, sono nere, sono nella mia città
Che bella la canzone di una volta che si ascoltava andando a capinere;
noi della ronda del piacere ne abbiamo fatte delle belle.
Ricordo per esempio di un mio amico che non voleva andare a capinere:
l'abbiam portato con la forza ed ha goduto nell'oscurità
(e ci ringrazia ancora adesso).
Capinere, capinere, ognuno le vuole amar.
Sono bianche, sono nere, sono nella mia città.
Mi manca la canzone d'altri tempi, ingenua e piena di malizie,
che cementava le amicizie e poi si andava tutti a capinere.
Invece la canzone di ogni giorno la fanno utilizzando i macchinari,
non te la levi più di torno con la sua cassa Rotterdam»
Link: http://www.youtube.com/watch?v=lf1zDquXLNM
Saluti,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Ettore, questa mattina, prima di arrivare in studio, ho incontrato l’amico Danilo Grifoni, architetto e urbanista muratoriano, uomo di sinistra da sempre, che bollava il nuovo regolamento urbanistico di Arezzo come atto non democratico perché ha favorito solo i grossi investitori senza tenere conto delle necessità dei cittadini. Questi, dice lui, ed io sono d’accordo, non hanno rappresentanza perché non sono state tenute in nessun conto le esigenze di chi ha casa e la vuole ampliare, o non l’ha e la vuole costruire senza ricorrere ai gruppi immobiliari.
Questo per dire che i giudizi e i bisogni della gente comune sono, in realtà, trascurati dalla politica e da gran parte degli architetti; ergo figuriamoci se può essere considerato buono il giudizio di un medico sull’architettura di un’archistar!
Immagino la domanda: ma un architetto potrebbe mai mettere bocca sulla diagnosi e la cura di un medico? La risposta è sì, due volte sì:
1) Perché senza consenso informato non si può fare niente sulla altrui pelle e tanti sono i casi in cui si decide dopo aver consultato altri medici
2) Perché l’architettura, la città non è campo limitato agli specialisti ma è cosa (e casa) comune, è polis, cioè politica, e appartiene a tutti e quindi tutti hanno il diritto di esprimere il loro giudizio e di essere anche ascoltati da chi progetta e decide.

Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

caro Pietro,

sono perfettamente d'accordo con le tue parole. Ovviamente ribadisco il fatto che la gente deve trovare il coraggio di liberarsi del complesso di inferiorità culturale ed esprimere il proprio parere senza timore di essere definita ignorante da parte di una pseudo-elite che ditta sul modo di concepire e parlare di architettura. Tanti sotto voce si lamentano, pochi trovano il coraggio di ribellarsi. Come ho detto più volte, e come ha sottolineato Nikos nell'ultimo capitolo del suo nuovo libro, occorre cambiare il "sistema" per porre fine al "lavaggio del cervello" che impedisce alla gente la possibilità di esprimersi. Il parallelo che Nikos fa con la denazificazione è quanto meno appropriato!

Anonimo ha detto...

ciò che mi lascia molto perplessa è l'uso del temine "la gente", vago, qualunquista, generico, assolutamente privo di significato.
Chi è "la gente"?
I giovani intervistati fuori da una discoteca? quelli dei centri sociali? i manager in grisaglia? gli anziani con pensioni da fame?
Quante ipotesi di città verrebbero fuori? Scegliamo quella più votata? Oppure ci mettiamo a tavolino e interpretiamo con la nostra testa di architetti l'accozzaglia di risposte? E allora, cosa cambia?
Vilma

antonio marco alcaro ha detto...

Ma cosa vi ha fatto il povero Meier ?
State sempre a menarla con l'Ara Pacis.
Fate ogni tanto un post sulle periferie romane.

Pietro Pagliardini ha detto...

Sarebbe una buona cosa, se conoscessi le periferie romane ma, non abitando a Roma, non le posso fare.
Però, anche se le potessi fare, sarebbe ugualmente giusto continuare a prendersela con il "povero" Meier per l'Ara Pacis e per la chiesa.
Per un motivo semplicissimo: per sperare che non accada più.
Saluti
Pietro

ettore maria ha detto...

ma se vogliamo possiamo prendercela con il "povero" Meier anche per qualcosa di non romano ... avete per caso visto ieri sera "striscia la notizia"? Avete per caso visto la vergogna della demolizione del ponte storico di Alessandria che verrà rimpiazzato nei prossimi due anni da un obbrobrio di Meier?
Il problema di Meier e compagni, ma soprattutto di chi continua a difenderli, è che non hanno alcun rispetto per i luoghi in cui intervengono, questo fa sì che la gente comune (almeno quella che ha il coraggio di cantare fuori dal coro) venga presa dall'orticaria al solo sentirli nominare. Quando questi personaggi scenderanno dal piedistallo dal quale si autocelebrano, quando impareranno il significato di bene e bello comune, quando quindi inizieranno ad umanizzarsi dialogando (e ascoltando) gli altri, probabilmente nessuno avrà più voglia di spiaccicargli una torta in faccia ... come Meier ha fatto con la sua Ara Pacis su Roma!

Pietro Pagliardini ha detto...

Una torta in faccia a Roma...Mi sembra una definizione perfetta del progetto di Meier.
Non ho visto Striscia e non sapevo di Alessandria e non sapevo che anche Meier facesse ponti: ma questi architetti contemporanei, che appartengono all'era della specializzazione e della tecnica, che lodano la sperimentazione e la ricerca, che fanno uso di materiali d'avanguardia, che dividono il sapere in capitoli tutti diversi l'uno dall'altro, sanno fare sempre tutto?
Sì, sanno fare tutto perché vorrebbero godere dei vantaggi dell'unità di pensiero, per fare ogni cosa, e della tecnologia, per farla come pare a loro liberi da vincoli.
Saluti
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

De Architettonici,
che brutto risveglio.
Mentre facevo colazione, il nostro presidente sul TG5 diceva che:«la mafia è un fenomeno marginale» e sbirciando sul mio ‘Google Reader’ leggevo: «Scatola di Meier»;
«per sperare che non accada più»;
«quando impareranno il significato di bene e bello comune, quando quindi inizieranno ad umanizzarsi dialogando (e ascoltando) gli altri»;
«Sì, sanno fare tutto perché vorrebbero godere dei vantaggi dell'unità di pensiero, per fare ogni cosa, e della tecnologia, per farla come pare a loro liberi da vincoli».
Sarà la Domenica che ispira il giustizialismo e il verbo architettonico, ma di cuore, v’invito a cambiare pusher.
I problemi della buona architettura sono ben altri.
V’invito a rileggete, con attenzione, le affermazione del nostro Presidente.
Buona domenica,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, mi sembra che tu confonda del tutto i problemi. Sarebbe come dire: visto che la mafia è il problema, basta andare a scuola, basta lavorare, basta leggere i libri, combattiamo. Non è nemmeno giustizialismo questo, è prendere fischi per fiaschi.
Comunque il mio pusher di ieri mi ha fornito di ottimo vino Chianti bevuto insieme a meravigliosi ceci e costoliccio di maiale cotto al fuoco da mia moglie. Il tutto insieme ad altri amici intossicati da bruschette di pane abbrustolito con l'olio nuovo.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Caro Salvatore,

il mio problema non è il pusher, è proprio il contrario. Infatti non avendo mai provato a fumare una sigaretta, figuriamoci mai a provare una droga, mi è mancata la sostanza in grado di farmi comprendere certe architetture!
Probabilmente, però, bisognerebbe far sì che le industrie emettano dei fumi a base di hascish affinché lo smog aiuti - l'intera società ignorante - a comprendere ciò che pare non aver senso

Ettore l'antiproibizionista

Anonimo ha detto...

http://ilpdchevogliamo.blogspot.com/2009/09/demolizione-del-ponte-denominato-ponte.html

http://www.museodelfiume.it/museo_web/tanaro_2002/i/i_ponti_di_ieri_i.htm

Pietro Pagliardini ha detto...

Come si vede il virus modernista non colpisce in base alle appartenenze politiche, è assolutamente trasversale.
Volete mettere passare alla storia con un bel ponte di Meier!!!
Mai come in questo caso vale la nota ed efficacissima battuta del sempre grande Umberto Bossi: "Ma và da via il cul" (chiedo scusa per la non corretta scrittura, ma credo si sia capito).
Saluti
Pietro

LineadiSenso ha detto...

"Come progetterei la "casa" dell'Ara pacis? Una struttura che la racchiuda, e la nasconda, pur essendo aperta; qualcosa del tipo un giro e mezzo di spirale, composta di un'unica struttura o di più pannelli affiancati, curvilinei, o a segmenti spezzati, che racchiudono un'area non troppo vasta, a prato, con al centro l'ara"

più o meno curvilinei...
più o meno spezzati...
più o meno spiralata...
più o meno aperta...
più o meno chiusa...
magari... chessò...
più o meno colorata???
magari con gli angoli più o meno... acuti???
ma anche no...
magari, se mi gira... li faccio attorcigliati!
a seconda dell'estro... creativo...
cazzarola, ma dove l'ho vista...'na roba così?
ohmamma, è gerhy! è hadid! è libeskind!
ohmamma! alla gente piace!
sì-sì, piace!
eccome se piace il...pop...modernism!!!


con buona pace degli antichisti che non lo voglion ammettere...

robert

PS: 'sta volta son serio nel titolo. il momento è topico, la compagine pop-modernista ha fatto breccia in questo non luogo :-)

Pietro Pagliardini ha detto...

Accidenti! Chi trova una amico trova un tesoro ma questa volta enrico mi ha cucinato ben bene!
Avevo ovviamente notato questa lieve discrasia nella parte finale del post di enrico, che era una lettera e non un post, ma l'ho voluta lasciare così perché, nonostante la spirale, il bilancio è largamente positivo.
Dopo robert non venirmi a dire che sono un manipolatore.
D'altronde quale italiano non è nel suo intimo un architetto!
Avrai però anche notato alcune osservazioni "propositive" molto giuste tipo quella di illuminare il monumento dall'alto, come un'altra proposta di progetto di Raffaele Giovannelli che mi inviò a suo tempo e che mi piacerebbe pubblicare, dopo che avrò chiesto il suo permesso.
saluti
Pietro

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