Pietro Pagliardini
Continuo la pubblicazione di alcuni documenti e progetti del workshop del 2002 su Arezzo redatti dall’Arch. Pier Carlo Bontempi. Inizio con un estratto dalla relazione di presentazione del progetto.
Pier Carlo Bontempi racconta di una sua visita privata, con famiglia, ad Arezzo e descrive il panorama che si vede dalla sommità della città:
“Bene, guardando il panorama verso nord i miei figli hanno commentato dicendo: “ma qui è bellissimo, non si vede la città moderna”.
Questo mi ha fatto riflettere su una grande opportunità che Arezzo ha, forse unica fra le città di una certa dimensione in Italia, di aver potuto mantenere almeno in una sua parte il fantastico rapporto che doveva esistere in tutte le città italiane fra la città murata e il paesaggio della campagna.
Questo grande valore che avete il dovere di tramandare ai vostri figli così che possa continuare la piacevole sorpresa, che c’è stata per i miei, di vedere ancora tra cento, duecento o trecento anni questa porzione di campagna , che arriva fin sotto le mura della città e che costituisce uno spettacolo straordinario. Mi perdoni il sindaco che ha citato personaggi illustrissimi che hanno lavorato ad Arezzo, ma è forse la cosa più unica che avete ad Arezzo; affreschi bellissimi ci sono in altre città, Cimabue ha fatto qualche altro crocefisso altrettanto straordinario, ma una porzione di paesaggio quasi incontaminato, o che può tornare ad esserlo, fin sotto le mura di una città di grandi dimensioni come la vostra, forse non esiste in nessun altro luogo in questo straordinario paese.
Sono stato anche abbastanza fortunato quando Calthorpe ha deciso, discutendo insieme a noi, quale dovesse essere il tema che toccava a me sviluppare in questa settimana di lavoro, di assegnarmi questa porzione di città che guarda a nord verso la campagna.
L’idea che mi è venuta affrontando questo tipo di tema è stata quella di non trattare questa zona come un quartiere urbano, ma di considerare quella zona, la Catona, piuttosto come l’ultimo paese della campagna che si avvicina alla città, anziché un nuovo quartiere urbano che si espande e che chiude la cintura moderna intorno alla città storica.
Per questo il disegno credo sia abbastanza rappresentativo della idea che ha guidato il mio lavoro, cioè quella di circoscrivere l’abitato esistente all’interno di una cintura verde e arrivare ad una sua definizione per dargli maggiore qualità, perché se andiamo a vederlo dall’alto delle mura ci appare bello, se andiamo a percorrerlo per le strade, ci appare ancora con qualche problema da risolvere.
Allora il mio tema è stato quello di definire in maniera precisa l’insediamento come un paese di campagna, che si accosta vicinissimo città ma il cui linguaggio rimane separato dalla città. (Omissis)
Credo che l’immagine possa servire a suggerire il tipo di architettura che mi permetto di indicare come proposta per gli sviluppi edilizi nuovi all’interno di questo, che deve mantenere il carattere di un paese. E’ una edilizia che riprende il patrimonio straordinario che avete nelle vostre campagne, che lo adatta in funzione delle necessità contemporanee ma che cerca di dare una risposta in sintonia con il paesaggio straordinario che deve accoglierlo”.
L’aspetto che Bontempi coglie del rapporto stretto tra la città e la campagna nel lato nord di Arezzo è una costante in tutte le osservazioni e le descrizioni che i viaggiatori hanno lasciato della città fin dall’800. La forma a ventaglio di Arezzo il cui lato nord è segnato dalle mura che marcano ancora il confine reale e visibile tra città e campagna è stata colta sempre anche dai redattori dei piani urbanistici. Il vigente piano di Gregotti e Cagnardi aveva chiamato questa parte nord “I giardini di Arezzo”, lasciando un cono libero che partiva dalle mura fino alla corona di colline che racchiudono la piana di Arezzo a nord, proprio per mantenere e conservare questo carattere unico e distintivo della città che non si è espansa in quella direzione per motivi geografici, climatici e di rapporti territoriali.
Anche il consulente del Piano strutturale, Peter Calthorpe, ha individuato subito questa caratteristica peculiare e straordinaria, descrivendola, con l’entusiasmo tipico del viaggiatore americano, come la possibilità, dalle case del centro storico, di sentire ancora il canto del gallo (citazione a memoria).
E’ davvero una percezione immediata e istintiva che non necessita nemmeno di essere razionalizzata in chissà quali ragionamenti per essere dimostrata vera: è l’essenza stessa della città di Arezzo, orientata a sud, aperta ad est e ad ovest, ma chiusa a nord.
Ma non c’è niente da fare, nonostante questa evidenza c’è una scuola di pensiero, chiamiamola così, che ritorna ciclicamente ed è convinta che quel vuoto a nord sia una mancanza invece che una risorsa e che la città debba essere “richiusa a nord, come tutte le altre città”. Eppure questa espressione dovrebbe far venire il dubbio che forse sarebbe meglio conservare questo carattere distintivo della città. Questa scuola di pensiero ha evidentemente lavorato bene, tanto da fare accettare allo stesso Calthorpe il fatto di costruire in quella direzione.
Pier Carlo Bontempi si inserisce in questo dibattito con un compito ben preciso che è quello di dare forma al nuovo insediamento e lo fa in maniera egregia, cogliendo questa contraddizione e tentando di risolverla con un progetto che è “l’ultimo paese della campagna che si avvicina alla città, anziché un nuovo quartiere urbano che si espande e che chiude la cintura moderna intorno alla città storica”. Evidentemente ha capito che quell’insediamento è una scelta sbagliata, e come lui Calthorpe, e lucidamente tenta di limitare il danno.
Purtroppo la forte vicinanza alle propaggini della città, a quella fascia di edificato disordinato che lui garbatamente descrive come un’area che “ci appare ancora con qualche problema da risolvere” impedirebbe comunque di leggerlo come l’ultimo paese prima della città, non essendo nemmeno orientato lungo la direttrice d’ingresso.
Il vero problema è che non si sarebbe mai dovuto costruire in quel luogo, tantomeno incrementare l’insediamento.
Ma, restando all’interno di questo equivoco, il progetto è comunque significativo per la capacità di integrare l’esistente con il nuovo e di creare un villaggio che ha una sua autonomia urbanistica, un centro, una rete di strade continua e gerarchizzata e orientata in modo da lasciare visuali libere verso il paesaggio e verso le mura. Il problema è che dubito che sarà realizzato con questo impianto o con uno simile, tenuto conto delle inclinazioni culturali del redattore del piano, subentrato a Calthorpe che è stato ritenuto evidentemente un ostacolo, di genere del tutto diverso, altrimenti questi progetti sarebbero stati tirati fuori e mostrati.
L'assoluta casualità ha determinato il fatto che ad Arezzo si concentrasse il meglio del New Urbanism e di quel movimento europeo che punta alla riscoperta dell’urbanistica e dell’architettura tradizionale -Calthorpe, Lèon Krier, Per Carlo Bontempi- la volontà comune ad amministrazioni di diverso colore che si sono succedute ha voluto che quell’anomalia fosse cancellata a vantaggio di un’urbanistica burocratica senz’anima e senza altro scopo che non sia il controllo totale sui cittadini e sui processi naturali che regolano la crescita della città.
CREDITI:
La foto aerea è tratta da Google Earth. Le immagini dei progetti di Léon Krier e Pier Carlo Bontempi sono fotografie da me eseguite durante l'esposizione al workshop. Gli stralci delle relazioni sono state ottenute sbobinando registrazioni da me fatte durante la presentazione.
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