Ho tratto il brano che segue dal classico “La vita quotidiana a Roma” di Jérome Carcopino, Edizioni Laterza, 2008 (ma la prima edizione in francese è del 1939):
Proprio al contrario della domus di Pompei, l’insula romana è cresciuta in altezza e ha finito per raggiungere sotto l’impero dimensioni vertiginose.
Alla fine della repubblica l'altezza media delle insulae indicata incidentalmente da questo episodio è superata. La Roma di Cicerone è come sospesa nell'aria per la sovrapposizione delle sue abitazioni: Romam cenaculis sublatam atque suspensam.
La Roma di Augusto si leva ancora più in alto. Allora, come scrive Vitruvio, «la maestà dell'Urbe, l'accrescimento considerevole della sua popolazione portarono di necessità un'estensione straordinaria delle sue abitazioni, e la situazione stessa spinse a cercare un rimedio nell'altezza degli edifici».
Rimedio d'altra parte così imprudente che l'imperatore, spaventato dai pericoli che minacciavano la sicurezza dei cittadini e dai crolli di cui tale sviluppo in altezza era responsabile, impose un regolamento che proibì ai privati di elevare le costruzioni oltre i 70 piedi (21 metri circa). Ma in seguito proprietari e imprenditori gareggiarono tanto in avarizia quanto in temerità nello sfruttare in qualunque modo i margini di tolleranza fissati dall'interdetto imperiale.
Per tutta la durata dell'Alto impero, troviamo abbondanti prove di questo sviluppo in altezza degli edifici, appena credibile per l'epoca; a Tiro,a principio dell'èra cristiana, le case di quel porto famoso dell'Oriente - osserva sorpreso Strabone - sono quasi più alte di quelle della Roma imperiale. Cento anni dopo, Giovenale deride questa Roma aerea, che poggia solo su travicelli sottili e lunghi come flauti. Aulo Genio cinquant'anni più tardi si lagna di queste case dai numerosi ed erti piani: multis arduisque tabulatis; e il retore Elio Aristide s'indugia a considerare gravemente che se le abitazioni dell'Urbs fossero d'un colpo portate tutte al livello dei loro pianterreni, si estenderebbero fino a Hadria sull'Adriatico Superiore. Invano Traiano aveva rinnovato le restrizioni di Augusto, aggravandole anzi col fissare a 60 piedi (18 metri) l'altezza degli edifici privati: la necessità fu più forte della legge; e nel IV secolo si mostrava ancora tra le curiosità dell'Urbe, a fianco del Pantheon e della Colonna Aurelia, una casa gigantesca le cui dimensioni prodigiose non mancavano mai di attirare l'attenzione del visitatore: l'insula Felicles. L'edificio di Felicula era stato fabbricato duecento anni prima, perché all'inizio del principato di Settimio Severo (193-211) la sua fama aveva già attraversato i mari; e quando Tertulliano cercava di convincere i suoi compatrioti africani dell'assurdità delle invenzioni con le quali i Valentiniani cercavano di colmare l'infinito che separa la creazione dal creatore, non trovò allora paragone più istruttivo: egli deride senza pietà questi eretici - impacciati da tutti gli intermediari e mediatori generati dal loro delirio - per avere «trasformato l'universo in una specie di immenso palazzo mobiliato», al sommo del quale pongono Dio, sotto i tetti - ad summas tegulas -, e che eleva «verso il cielo tanti piani quanti se ne vedono a Roma nell'edificio di Felicula».
Certamente, malgrado gli editti di Augusto e di Traiano, i costruttori avevano raddoppiato la loro audacia e l' insula Felicles si levò al di sopra della Roma degli Antonini come un grattacielo. Anche se questa è rimasta un'eccezione straordinaria, un caso-limite quasi mostruoso, è anche vero che gli edifici di cinque o sei piani non si contavano più attorno ad essa. In quello che abitò Marziale sul Quirinale, in via del Pero, il poeta doveva salire soltanto fino al terzo piano per tornare a casa, e non era certo l'inquilino peggio alloggiato. Tanto nella sua insula quanto nelle insulae vicine, c'erano inquilini molto meno favoriti perché erano appollaiati molto più in alto; e nel quadro crudele che egli ci ha lasciato, d'un incendio romano, Giovenale immagina di rivolgersi al disgraziato che abita, come il Dio dei Valentiniani, sotto i tetti: « Già - egli dice - il terzo piano brucia e tu non sai nulla. Dal pianterreno in su c'è lo scompiglio, ma chi arrostirà per ultimo è quel miserabile che è protetto dalla pioggia solo dalle tegole, dove le colombe in amore vengono a deporre le loro uova ».
Cosa voglio dimostrare con questo? Ben poco, dato che il testo parla da solo, però mi sembra
un utile invito alla lettura del libro per chi non lo conoscesse, mi fa osservare che la scellerata sfida in altezza non è esclusiva del nostro tempo (al pari di moltissimi altri temi e argomenti) e che la condanna che Tertulliano emette sulle insulae esageratamente alte è una secolare anticipazione di quella emessa da Camillo Langone nel noto articolo "L’anticristo abita al 53° piano" nei confronti dei grattacieli.
Il tempo non sembra portare saggezza.
7 commenti:
Caro Pietro,
il testo è come al solito interessantissimo, e stimola un grande dibattito. Penso sia la giusta continuazione del tuo post sul "grattacielino" di Arezzo. C'è comunque una certa differenza urbanistica tra l'insula e il grattacielo. Una cosa interessante è che, mentre le insule, a causa della loro erano precarietà in caso di incendi, erano pensate per i soli "poveracci", i grattaceli moderni sono pensati per i "ricchi" ... un po' come la pasta e fagioli, un tempo ritenuta dagli snob una vergogna della tavola contadina, ed oggi tanto amata nelle cene di rappresentanza.
E' in ogni modo incredibile che, nonostante il disastro delle torri gemelle, ci sia ancora chi promuove queste trappole verticali come dei modelli da seguire.
Mi farebbe piacere se un giorno riuscissi a postare l'articolo di Giovannoni che ti ho spedito tempo fa, poiché lo ritengo illuminante su certe scelte.
Ettore, analogie e differenze tra insulae e grattacieli ce ne sono moltissime ma io non ho voluto farla troppo lunga, dato che il testo è molto chiaro e l'ho postato come stimolo alla riflessione.
Personalmente non prenderei le torri gemelle a simbolo della stupidità dei grattacieli, dato che siamo in presenza di un episodio inusitato, criminale, imprevedible, epocale e, spero, difficilmente ripetibile (anche se è vero che episodi di piccoli aerei andati a sbattere contro grattacieli non mancano certo, uno per tutti l'Empire State Building). Mi sembra che terremoti, incendi, cedimenti strutturali, problemi impianistici, cadute dall'alto, ecc. siano argomenti largamente sufficienti da soli a giustificarne la intrinseca pericolosità.
Quanto al testo di Giovanoni mi scuso ma non riesco a ritrovarlo in questa massa di mail che mi arriva tra blog, studio e private. Se me lo rimandi, senza fretta, mi fai un grande piacere.
Ciao
Pietro
mi sono sempre chiesto quale fose il grado di abitabilità di strutture abitative in mattoni (o simili) alte sei piani.
in basso, saranno stati necessari muri spessi, a scapito della suerficie utilizzabile; lungo tutta l'altezza lo spazio per le scale era sempre spazio non abitabile;in alto, era scomodo arrivarci ( e dobbiamo pensre che la percentuale di invalidi, storpi e zoppi, era certo elevata...
Aggiungerei il "pirellone" agli altri casi di aerei schiantatisi su dei grattacieli.
Senz'altro si spera che cose simili non succedano, tuttavia il crollo delle torri non fu generato dall'entrata degli aerei ma dal'esplosivo posto in maniera strategica e comandato a distanza dal grattacielo lì "vicino" (dove si suppone ci fosse anche il transponder che guidò gli aerei) che, pur non essendo stato colpito da nessun aereo fece la fine delle Twin Towers ... e poi si scoprì che c'erano da poco degli uffici dei servizi segreti (andati in fumo con tanti segreti) La documentazione scientifica pubblicata in moltissimi libri di controinformazione sull'argomento lo ha charamente dimostrato (P. es. "Zero" di Giulietto Chiesa e altri). Tuttavia, anche in assenza di crolli, ritengo i grattacieli in caso di incendio restano delle trappole. Ma quello che più mi disturba dei grattacieli è la loro assoluta antiecologicità e insostenibilità. La cosa più ridicola è l'enorme massa di finestre che però non risultano apribili. Peraltro lo scorso anno ero per motivi universitari a Chicago, ed ho potuto visitare una serie di grattacieli famosi: sono rimasto letteralmente allibito dallo squallore del grattacielo di Mies e dal fatto che, nonostante la ricerca dell'altezza, questi giganti hanno dei piani terra e dei piani intermedi che sembrano progettati per dei nani .. e lo dico io che sono alto appena 1,70
Caro enrico, devi giudicare questa edilizia rapportandola al tempo:
primo non è che a Roma ci fosse la legge sulle barriere architettoniche e certamente gli invalidi erano proprio quelli che abitavano ai piani più alti non fosse altro perchè avevano gli affitti inferiori. D'altronde l'attenzione dei romani per le invalidità era affidata, semmai, ai singoli e non alla società. In genere, se andava bene, dopo la nascita venivano esposti.
Quanto alle modalità costruttive di edifici in muratura di cinque o sei piani, pur non conoscendo bene le caratteristiche specifiche delle insulae romane, è chiaro che sono quelle che tu immagini. Il problema però non era l'abitabilità quanto la pericolosità come si capisce bene anche dal testo.
Ciao
Piero
Continuo a esprimere le mie sensazioni-opinioni su argomenti a me estranei. A me i grattacieli piacciono. Dove hanno senso (non nel mio comune di campagna alle porte di Bologna). Ma non apprezzo quelli "vecchi", come quelli di MVDR, semplici scatole con tanti piani. il Woolworth (1913) e anche il Chrysler e l'EmpireSB, che possono essere anche gradevoli come oggetti "fuori scala", interessanti come opere ingegneristiche, sono a mio parere deboli come architetture. Come nota Ettore, ad esempio, le dimensioni degli ingressi sono striminzite: quelle di un normale condominio di 6 piani. Dagli anni '70-'80 (Trump; TwinTowers...) l'introduzione di atri-hall alti 3-5-7 piani, ha portato significativi miglioramenti estetici e funzionali
certo le insulae non erano il posto migliore dove vivere, i racconti di Marziale sono divertentissimi (tranne che per coloro che ci vivevano .. o che ci passavano di sotto in fase di "svuotamento dei pitali"), comunque non tutte erano così male. Gli appartamenti erano organizzati anche in base al ceto, da quello più umile "coenaculum" posto sulla "taberna" per il gestore del negozio, all'appartamento più dignitoso posto al piano equivalente al "piano nobile". Ciò che però è importante ricordare a proposito delle insulae è che, grazie alla riscoperta di Ostia, agli studi dell'arch. Gismondi (autore del modello di Roma imperiale esposto al Museo della Civiltà Romana con il mitico Pierino Di Carlo) ed agli scritti di Guido Calza ("Le origini Latine dell’abitazione moderna"in Architettura e Arti decorative – Fascicolo I settembre 1923), gli architetti romani che lavoravano presso l'ICP ebbero la possibilità di raggiungere livelli sensazionali in materia di edilizia residenziale, e quelle case popolari, ispirate all'antico modello romano, oggi vengono vendute dall'ATER a prezzi da capogiro.
Un caro saluto
Ettore
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