Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


2 giugno 2009

IL PROF.PAOLO MARCONI SULLA RICOSTRUZIONE A L'AQUILA

Il Covile propone oggi uno straordinario intervento sulla ricostruzione A L'Aquila del Prof. Paolo Marconi, con una nota sull'autore del Prof. Ettore Maria Mazzola.

Corre l'obbligo di un link immediato:
COSA FARE IN CITTA' COME L'AQUILA DOPO IL TERREMOTO?

29 commenti:

Anonimo ha detto...

“... lo spirito dell’artefice morto non può essere rievocato, nè gli si può comandare di dirigere altre mani e altre menti. E, quanto alla copia semplice e diretta, è chiaramente impossibile, Come si possono copiare superfici consumate per mezzo pollice? L’intera finitura del lavoro era nel mezzo pollice sparito; se si tenta di restaurare quella finitura, lo si fa congetturalmente; se si copia ciò che è rimasto, affermando che la fedeltà è possibile, (...) come può il nuovo lavoro essere migliore del vecchio? C’era ancora un pò di vita, in quello vecchio, un misterioso suggerimento di ciò che era stato e di ciò che aveva perduto...”
[ John Ruskin, "The Seven Lamps of Architecture" (1849)]

L'articolo di Marconi è molto bello, ricco di notizie, scritto in un accattivante stile letterario, bisognerebbe aggiungere che il restauro della Fenice a Venezia, perpetrato dal fu Aldo Rossi, è perfetto.
Saluti
Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, il professore Marconi, oltre che scrivere come un letterato, è una vera autorità in materia. Ma è soprattutto una persona di grande sensibilità e intelligenza, dato che il suo metodo non si basa sulla copia esatta quanto sulla riproduzione in cantiere delle stesse condizioni originarie. Può darsi che l'opera non risulti perfettamente "identica" all'originale ma questo interessa a più che mai a coloro a cui sta a cuore l'autore, mentre a lui interessa l'opera e quella che lui restituisce è veramente un'opera autentica, magari lievemente diversa, perché applica le stesse tecniche e legge l'edificio anche in mancanza di precisissimi rilievi.
Basta guardare cosa è stato fatto a Leptis Magna con l'arco dei Severi.
Leggendo il suo libro "Il recupero della bellezza", edizioni Skira mi sono reso conto che Marconi non è solo un grande architetto-restauratore ma è anche un vero architetto.
A proposito di Piazza del Campo: il Palazzo Pubblico è stato rialzato di un piano alla fine del 1600. Ma chi se ne accorge? Notizia appresa proprio nel libro di Marconi che è pieno di notizie e curiosità, almeno per me, sui pittori falsari.
Ciao
Piero

enrico d. ha detto...

Caro Pagliardini, mi inserisco qui anche se a sproposito, per segnalarti

http://www.wired.com/gadgetlab/2009/05/frank-lloyd-wright-lego-sets/

Credo di ricordare di aver letto in un tuo intervento che certi edifici "moderni" del tipo Guggenheim di Bilbao sono dei soprammobili fuori scala; o qualcosa del genere.
A parte il genio di FLW, a cui non mi permetto di fare le pulci, il fatto che una certa architettura sia trasformabile in LEGO, forse vuol dire qualcosa.
(ovviamente non è per la pubblicazione)

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Enrico ti ricordi molto bene, forse addirittura te lo ricordi meglio di me.
Il fatto che sia trasformabile in Lego può voler dire ma può anche non voler dire molto.
Certamente è trasformabile in Lego tutta o quasi l'architettura che manca di ornamentazione e che è schematizzabile in elementi semplici, direi poveri. Questa è certamente più adatta ai mitici mattoncini olandesi. Però non escludo che possa essere trasformata in Lego anche l'architettura classica, perdendo ovviamente la maggior parte delle sue informazioni, riducendola a forme pure. E' una visione falsata ma in fondo è un gioco.
C'è chi dice che la Lego sia responsabile in buona parte della cultura modernista e purista; io non ci credo molto, sinceramente.
Per me resta un bel gioco da ragazzi e non solo. Non è che il meccano o le costruzioni di legno avvicinassero di più i giovani alla classicità. E comunque i giovani e soprattutto i bambini hanno a disposizione il disegno e quando disegnano una casa la fanno sempre con il tetto e con una facciata antropomorfa, come un famoso spot di Telecom, in cui avevano ripreso una serie di edifici che ricordavano appunto volti umani in varie espressioni. Non so perchè ma quello spot venne girato ad Arezzo e ci finirono molti edifici di miei colleghi e uno anche mio, con mio grande orgoglio provinciale.
Quanto a Wright è da tempo che vorrei scriverci un post. Non che io possa aggiungere molto a quanto già detto e scritto ma dato che è quasi dimenticato, a parte l'anniversario della morte, ricordarlo non sarebbe poi male.
saluti
Pietro

Pietro P ha detto...

Articolo molto interessante, peccato che ha questi grandi architetti si preferiscano poi i soliti ciarlatani archistar.

Pietro Pagliardini ha detto...

Pietro, non è detto, almeno in questo caso. L'uscita del sindaco non ha avuto il consenso di molti e mi piace pensare che l'abbia fatto con l'intento apprezzabile di attirare l'attenzione sui problemi di L'Aquila. So che non è così, so che la maggior parte dei sindaci vedono negli edifici simbolo un grande ritorno d'immagine per se stessi e so anche che spesso, per cavarsi dai guai dei molti questuanti architetti locali, preferiscono chiamare "uno di fuori" meglio se "autorevole", dunque l'archistar va benissimo, per mettersi al riparo dalle critiche. Ma questa volta la vedo dura per il fatto che c'è un forte orientamento generale al "com'era, dov'era".
Staremo a vedere. L'importante è che ricostruiscano bene e alla svelta.
Saluti
Pietro

qfwfq ha detto...

A Roma una volta hanno realizzato una copia di San Pietro con le lattine di Cocacola.
in Cina hanno ricostruito una copia esatta, cosi pare, di Portofino. Mentre la prima operazione aveva il sapore di un happening, ironico, mediatico, culturalmente interessante; trovo la seconda operazione assolutamente deprimente; in ogni caso non mi sognerei mai di pensare che la possibilità di copiare un capolavoro (architettura o paesaggio che sia) possa essere adotta come prova di un minore valore della stessa. L'onestà intellettuale di chi vuole lasciare intendere questo sillogismo ("sei riproducibile quindi vali meno") richiederebbe quantomeno una verifica tra l'opera di FLR e il livello di "finitura" a cui arrivano i famosi mattoncini.
in realtà sono daccordo con voi: ci sono opere, tessuti urbani, paesaggi, la cui riproduzione/riproposizione spazio temporale, nell'illusione di ricrearne lo stesso spirito, è improponibile.....
un saluto

qfwfq ha detto...

"il Palazzo Pubblico è stato rialzato di un piano alla fine del 1600"
chissà cosa direbbe il prof. Marconi se proponessimo di rialzare Palazzo Vanezia, Palazzo Farnese, La Cancelleria, ecc.
Caro Massimo,
Il punto è proprio questo, mentre continuiamo ad ammirare estasiati la vitalità dei nostri antenati che costruivano, ricostruivano, demolivano, recuperavano, ampliavano, rimodellavano, regolarizzavano, creavano assi, inserivano opere moderne in mezzo alle antiche, copiavano, inventavano, creavano, distorcevano, plasmavano la città secondo gusti e cultura delle loro epoche. Questi antenati, che non erano degli stinchi di santi, erano immorali, avidi, guerrafondai, simoniaci, miscredenti, traditori, ecc., questi hanno fatto le nostre città meravigliose e nel farlo hanno applicato metodi e criteri che personaggi come il prof. Marconi, oggi rifiutano, propugnando una idea museale della città contemporanea.
La competenza e l'erudizione non contano e il più delle volte sono solo strumenti per giustificare tesi su un piano prettamente retorico.
La realtà è che la cultura architettonica contemporanea italiana ha fallito gran parte dei suoi obbiettivi consegnando alla speculazione il compito di fare ed allo storicismo il compito di teorizzare, rinunciando in gran parte ad esprimere se stessa come veicolo positivo e positivista della società contemporanea.
un saluto

Pietro Pagliardini ha detto...

qfwfg (sigla improponibile ma riconoscibile), ironia della sorte: stavo appunto lasciando un commento sul blog amatelarchitettura, dove scrivi anche te, credo, quando mi è andato in crash Google Chrome e ho dovuto riavviarlo, perdendo il commento, e alla riapertura ti trovo qui. Vengo a te.
Io non condanno in assoluto riprodurre Portofino in Cina, nel senso che, pur sapendo che è operazione puramente commerciale, che nulla ha a che vedere con il luogo Portofino, pur apparendo identica, tuttavia esprime evidentemente il riconoscimento di una bellezza che supera le barriere culturali. Certo, fa molto Disneyland, è quasi come la costruzione del castello del Principe Azzurro, ma con quel di più (o di diverso)che non è opera della fantasia, ma copia del reale e perciò bisogna sforzarsi di capire cosa c'è dietro. In fondo io penso che quei cinesi che la visitano sarebbero ben contenti di venire a visitare l'originale. Poichè non è possibile per tutti, fisicamente ed economicamente, si accontentano della copia. E' il riconoscimento di un valore.
Diverso, completamnete diverso, il caso d'Abruzzo, dove il ricostruire il com'era e dov'era è un imperativo culturale e morale per il centro storico, con le indicazioni di Marconi, ma può essere un imperativo morale anche per altre parti non facenti parte del centro storico, anche quelle che a noi appaiono e sono brutte. Ho visto ieri in TV una famiglia proprietaria di una casa "normale", cioè normalmente scadente, danneggiata ma non distrutta che, non avendo i soldi per rimetterla in sesto, si sta costruendo una casa di legno provvisoria nel giardino, in attesa di tempi migliori. L'attaccamento alla propria casa ha poco a che vedere con l'architettura come la intendono molti architetti, i quali dovrebbero starsene molto alla larga da giudizi cerebrali fatti sulla pelle e sui dolori degli altri.
Non mi riferisco a te, ovviamente, che hai espresso altre considerazioni.
Saluti
Pietro

Anonimo ha detto...

Pietro, Portofino in Cina ..... io che sono ligure rabbrividisco solo al pensiero .... e tu non condanni in assoluto .....
Bé, ma quelli sono abituati a copiare, alle repliche, ai falsi, dalla borsa alla città!

Può persino succedere che chi è più comodo vada a vedersi quella Portofino lì, tanto è uguale, fa lo stesso effetto!
Guarda che ciò non vuol dire che l’operazione compiuta sia corretta, neanche innocua (finirebbe per far concorrenza alla Portofino vera),vuol solo dire che l’inganno è stato attuato con grande abilità, ma sempre di inganno si tratta, per chi guarda, per chi lo vive, per la storia.

Nel suo articolo Marconi afferma “Gli architetti moderni infatti non sono affatto preparati a ricostruire i centri storici devastati dai terremoti” : vien da chiedersi a chi ci si dovrebbe rivolgere allo scopo, ai pochi vegliardi sopravissuti e mummificati davanti ai loro tecnigrafi?
E poiché gli architetti moderni, continua Marconi “dovrebbero cimentarsi, piuttosto che col sedicente ‘linguaggio moderno’, con la ricostruzione dei centri urbani abbandonati o terremotati” a chi il compito di esprimere l’architettura della contemporaneità, se non ai contemporanei?

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, io non condanno e non assolvo, io dico che non mi scandalizzo se in Cina fanno una Portofino finta perché non siamo nel campo dell’architettura, siamo nel campo del parco giochi o come lo chiamano oggi parco tematico. A Gardaland credo ci siano le piramidi ma nessuno si scandalizza, sapendo di essere in un grande Luna Park. Mi sembra molto più pericoloso Dubai, non per loro, gli abitanti, che hanno il diritto di fare ciò che vogliono, quanto per noi che prendiamo per vere e soprattutto riproducibili quelle architetture. Questo è per me il vero falso, il riprodurre cioè in luoghi diversi, in ogni luogo, architetture che nascono già delocalizzate e decontestualizzate e che potrebbero andare ovunque, in una parola architetture astratte, oggetti di puro design. La vera copia è il prodotto architettonico di tipo industriale, ancorché commissionato su misura in base al cliente, all’estro del momento dell’autore ma mai, proprio mai, in relazione al luogo e agli utenti finali. Pensa, come caso limite, al grattacielo girevole spacciato come una conquista perché costruito per una buona percentuale in stabilimento. Ovviamente sarà in flop alla lunga ma intanto è un messaggio che passa.
Per Portofino, come per qualunque altra città d’arte italiana, la copia in Cina o in Australia non è un problema, perché ci sono miliardi di turisti potenziali pronti a venire e appena sarà alzato il livello di vita di cinesi e indiani, stai tranquilla che ci invaderanno e a Portofino, in un colpo solo, non c’entrano neanche un milionesimo di cinesi. Sarei preoccupato per l’assalto a Portofino, non per la sua riproduzioneall’estero.
Quanto al discorso della contemporaneità io devo capire bene: qual’è la radice filosofica che costringerebbe a produrre architetture che rappresentino la nostra epoca? Giuro di non riuscire ad afferrarne le ragioni profonde, perché l’architettura non è un prodotto umano fine a se stesso, non è arte e non è tecnica, ma è arte e tecnica insieme, è strumento e non fine, ha una funzione, che è poi l’utilitas, che non è puro romanticismo ma è un concetto essenziale dell’architettura. E la funzione prima è quella di saper costruire un ambiente di vita adatto all’uomo, il migliore possibile. Quindi l’unica, ma proprio l’unica, espressione essenziale della contemporaneità è quella di saper rispondere alle novità tecnologiche che oggi sono ritenute necessarie, quali gli aspetti impiantistici, la salute, la sicurezza, la possibilità di ricoverare le auto, ecc. Assolte aqueste, la forma e soprattutto l’aggregazione delle forme, cioè la città, è solo funzionale al benessere dell’uomo e alla sua socialità. Anche dal punto di vista costruttivo niente costringe ad usare materiali tecnologici, almeno in senso assoluto, se questi non soddisfano né quei requisiti di cui ho detto e neppure quelli di durabilità e sostenibilità ambientale in senso lato.
Quanto a L’Aquila lo stesso Marconi pensa e scrive, non ricordo se sull’articolo o sul suo libro, che il “dov’era e com’era” non è da prendere alla lettera, qualunque sia il manufatto in oggetto. Lui dice, poiché è un architetto, che la storicizzazione di tutto in base alla datazione è una fesseria in genere utilizzata dalle soprintendenze e invece sostiene che c’è una gerarchia di valori in campo.
Quindi il suo approccio è molto più articolato di quanto non si pensi. Forse leggendo il libro “Il recupero della bellezza” lo si apprezza certamente meglio e in maniera più completa.
Ciao
Piero

Pietro Pagliardini ha detto...

qfwfq, non so chi sia il Massimo cui ti rivolgi ma non importa, il senso è chiaro lo stesso.
Il prof. Marconi non ha affatto una visione museale della città, ammesso che ci sia del male a considerare la città storica come un immenso patrimonio all'aperto da vivere, godere e salvaguardare. Semmai vedo più museografica una visione che tende a fare "allestimenti" contemporanei e chiaramente provvisori perchè destinati a rapida obsolescenza, all'interno del centro storico.
E' invece interessante la tua considerazione che "La realtà è che la cultura architettonica contemporanea italiana ha fallito gran parte dei suoi obbiettivi consegnando alla speculazione il compito di fare ed allo storicismo il compito di teorizzare". C'è del vero in questo ma detto così mi sembra troppo semplice perché speculazione da una parte, per le parti nuove, e storicismo dall'altra, per il centro storico, sono il frutto della cultura contemporanea modernista che ha deciso di dividere la città in parti distinte e diverse, relegando la bellezza nel centro storico ed assegnando ad una brutta modernità la città nuova. Invece la città avrebbe dovuto crescere in continuità con il centro storico senza la pretesa e la presunzione di reinventare ciò che l'uomo sa fare e bene da millenni, solo aggiornandosi alle diverse condizioni della mobilità, della produzione ecc- Non che fosse facile, certo, ma questa difficoltà è stata superata annullando tutto ciò che c'era prima.
La speculazione è il mito dietro cui si nasconde l'incapacità della cultura modernista di fare città belle. Infatti la cultura ha fallito anche dove c'erano piani pubblici di edilizia sociale ed è perfino inutile fare l'elenco degli ecomostri famosi e quelli ignoti, la cui appartenenza a questa categoria, quella degli ecomostri, è indipendente dall'essere abusivi o meno. Il Corviale è legittimo e pubblico, lo Zen è legittimo e pubblico, quello di Cagliari di cui non ricordo il nome è legittimo e pubblico, i piani di zona di Milano, Roma, Bologna, torino, Firenze e di quasi tutte le città sono legittimi, pubblici e disumani. E' fin troppo facile e anche moralistico dare la colpa alla speculazione, certamente presente nelle aree metropolitane e in vaste regioni del sud (ma mafia e camorra nulla hanno a che vedere con lo storicismo o l'antichismo, converrai).
saluti
Pietro

enrico d. ha detto...

Un poco mi vergogno a dire la mia di estraneo ai lavori, su argomenti come questi.
Riguardo la "copiatura" di monumenti, quartieri paesi e città, non ci vedo nulla di male se è chiaro che si tratta di Disneyland, o Las Vegas... A Barcellona, il falso paese creato con le copie di edifici da tutte le città spagnole, eretto per la fiera mondiale una settantina di anni fa, è ancora in piedi; è un "falso" simpatico e di un qualche interesse.
Bisogna vedere se nalla Portofino cinese ci si andrà in visita come a Gardalnd, o se ci andrà ad abitare qualcuno. Dubito che le case dei pescatori liguri si adattino al popolo dei pescatori cinesi, che mi risulta tendano ad abitare in "case-barca" o su sorte di palafitte. Vista da un cinese, ho idea che Portofino sia una bizzarria, non una città abitabile. Come forse per noi una pagoda è un edificio puntuto e simpatico, ma non ci spinge alla meditazione e alla preghiera come la cattedrale di Modena o Notredame (taccio su Foligno).
Da non dimenticare poi il problema del "consumo" delle città d'arte. Venezia può reggere 5 milioni di visitatori l'anno? potrebbe reggerne 15 ? o 50, 500 quando i cinesi medi si potranno permettere il viaggio?
Portofino a stento e male regge il turismo di oggi, che mal si amalgama con chi a Portofino dovrebbe vivere (nel senso di vivere, non di passare i weekend in barca).
Nella Francia centrale, le magnifiche grotte dipinte di Lascaux, già deteriorate dopo pochi anni di visite, sono state chiuse e riprodotte in scala 1:1 con estrema perizia. Le pareti in fibra di vetro rivestite di materiale identico all'originale, con una precisione inferiore al millimetro, su cui artisti all'uopo preparati hanno riprodotto le immagini, usando le stesse tecniche desunte dall'analisi paleontologica.
Sapendo che si tratta di un falso, una volta entrati nella falsa grotta , occorre un po' di tempo per riuscire a non pensarci. sapete quanto ci vuole? ad uno scettico come me, ci sono voluti non più di 30-secondi-30.
E poi, Portofino.... d'accordo, è unica, ma....
Manarola, Vernazza, Framura,... non sono, a loro modo, delle "copie" di Portofino ?
E il duomo di Siena, assomiglia forse troppo a quello di Orvieto? NotreDame a Reims ? E San Patrizio di NYC a tutte e due ?
Ultima notazione proprio su san Patrizio (a costo di beccarmi una scomunica!): come cattedrale gotica è forse anche meglio delle altre: certamente più unitaria come stile, arredi, ornato. ed è logico pensando che la fabbrica è durata certo meno degli eterni cantieri medievali.
A noi oggi dà fastidio vederla affogata in mezzo ai grattacieli della Va Avenue, così più alti di lei. Ma quando fu eretta nell'800 faceva la sua bella figura di "chioccia" in mezzo agli edifici "pulcini" a lei d'intorno. Sono i grattacieli che sono stati costruiti a sproposito attorno a lei. (e lo dico io che amo i grattacieli; a Manhattan almeno)

Pietro Pagliardini ha detto...

enrico, chiotto chiotto.... io non sono esperto... faccio un altro lavoro.... però quello che dici non è campato per aria.
Con le grotte di Lascaux mi hai fatto venire in mente un'idea del mio collega legata all'arte, non all'architettura. nella Chiesa di San Francesco ad Arezzo c'è il ciclo della Vera Croce di Piero della Francesca, straordinario capolavoro di quello straordinario artista che è Piero. Accanto alla Chiesa c'è un museo di arte moderna. Non so francamente quanta gente ci vada ma insomma nn sono certo numeri importanti. Dato che le opere di Piero, nel loro complesso, non sono moltissime e, a parte l'eccezionale tour tra Arezzo, Monterchi e Sansepolcro, per il resto sono sparse un pò ovunque: Urbino, Milano, Firenze, Londra, New York, il mio collega Giulio Rupi, senza alcun interesse personale, tanto meno professionale, ma solo come contributo d'idea alla sua (e mia) città propose ad un'amministrazione di collocare nel museo tutte le copie delle opere di Piero, in scala ovviamente reale. Aveva fatto solo un pò di fotocopie in scala e un rapidissimo calcolo della lunghezza delle pareti necessarie e non ne occorreva moltissimo. I costi sarebbero stati piuttosto contenuti e ci sarebbe stata la possibilità di avere una visione unitaria dell'opera di Piero riunita intorno a quella che è la sua opera più imponente, cioè gli affreschi. Risultato: neanche preso in considerazione, solo cortesi parole di ringraziamento e poi...ci penseremo. Certo, sarebbe stato opportuno non fare concorrenza alle vicine Monterchi e Sansepolcro, ma per il resto era operazione fattibilissima e meritoria.
D'altronde quante sculture sono state sostituite con copie per evitarne il deterioramento!
Mi domando: c'è forse inganno in questo? C'è trucco, c'è falsificazione?
Ciao
Piero

qfwfq ha detto...

una piccola nota ancora sulla copia.
chi ha letto Gomorra, si ricorderà di quel camorrista che, affascinato dal personaggio di scarface si era riprodotto in casa la stessa identica scenografia, e ne era talmente infervorato da assumerne atteggiamenti e movenze.
quella villa, ora sequestrata, dovrebbe essere usata come museo per illustrare la follia maniacale che stà dietro la camorra (anche se penso che l'effetto non sarebbe proprio quello sperato). per me resta comunque un oggetto di straodrdinario interesse per il contorcimento mediatico che rappresenta.
la realtà che copia la fantasia, l'illusione, e la rende in tal modo, reale, viva; un po' come se superpippo comparisse all'improvviso tra noi portandoci il suo verbo da supernocciolina.
in effetti non c'è nulla di scandaloso nella copia, a patto che l'inganno sia dichiarato, intellegibile e mentalmente riconoscibile; altrimenti sconfina nella frode; che diresti se ti vendessero un rolex, pagato come un rolex, ma tarocco, un po' ti girerebbero.....
concludo.
l'idea della riproduzione delle copie di PdLF è geniale! Io, la alloggerei in una teca di cristallo con copertura in legno e basamento in opus incertum da realizzare a via Giulia
ciao

Pietro Pagliardini ha detto...

qfwfq, non ho letto Gomorra e non ho visto il film e quindi non saprei dirti. Marconi dice, a proposito del tarocco che tu citi, che all'origine della condanna dell'idea del falso in architettura c'è proprio il falso in pittura, fatto tra l'altro da una eccellente scuola senese. Il pregiudizio verso questi falsi, che venivano venduti per originali (ma non erano copie, era molto meglio, erano quadri creati con lo stile di autori celebri)avrebbe contribuito a creare la cattiva fama della ricostruzione di architetture.
In quel libro di Marconi ci sono un mucchio di notizie, oltre che di grandi riflessioni!
Saluti
Pietro

Master ha detto...

A me pare che ogni volta che si realizza un falso si rinunci ad una parte importante del processo creativo che differenzia l'architettura e tutte le altre discipline creative. Questo ovviemente perchè si copia una "soluzione" già sperimentata da altri.
Uno dei principi che stà alla base del progresso nel nostro campo come in tanti altri campi tecnici e creativi è proprio la sperimentazione di nuove soluzioni, di nuove strade che conducano a risultati migliori. Questo lo si può capire solo se ci si rende conto che i risultati ottenuti in alcuni casi (vedi Portofino o Venezia per parlare di ambienti urbani accattivanti) sono buoni ma ancora ampiamente migliorabili. Non bisognerebbe mai "adagiarsi sugli allori" e superbamente ritenere di aver già raggiunto il massimo, ma continuare a ricercare soluzioni innovative.
Si possono certo creare "parchi a tema" che assomigliano a Portofino o Hotel con gondole e canali che sembra di essere a Venezia ma queste sono solo trovate commerciali buone per turisti facilmente condizionabili (e ce ne sono milioni nel mondo).
La vera architettura è un'altra, ma non tutti gli architetti sono in grado di coglierla.

Pietro Pagliardini ha detto...

Master, su Portofino in Cina operazione commerciale ho gà detto e siamo d'accordo.
Su Venezia e Portofino migliorabili, oibò, necessitano spiegazioni più approfondite, ma forse volevi dire qualcos'altro.
La vera architettura non è sperimentazione, è semmai copia ed evoluzione dell'originale. Sarebbe come a dire che a uno gli fa schifo l'italiano e decide di sperimentare, inventare un'altra lingua, quella della modernità, e se gli altri non mi capiscono è colpa loro.
L'architettura è qualcosa di molto più vicino ad una lingua che non all'arte o alla scienza perché è frutto dell'evoluzione dell'uomo e della società e sia l'uno che l'altra non possono dimenticare il passato, anche se non lo conoscono e non l'hanno studiato, perché viene trasmesso dall'ambiente, dagli altri. La colpa grave e imperdonabile del MM è proprio l'aver voluto cancellare la memoria. E' stata un'operazione di una violenza inusitata, che ha dato i suoi frutti velenosi in un ambiente e in una città disumana.

L'architettura non può fare a meno della memoria, ma non tutti gli architetti sono in grado di coglierla.
Saluti
Pietro

Master ha detto...

Venezia e Portofino sono AMPIAMENTE migliorabili, non mi dirai che ti piacciono tutti gli angoli di quella bella ma molto sporca e umida città lagunare?
A parte gli scherzi ogni città del mondo è e deve essere migliorata e deve subire un processo evolutivo al fine di adattarsi alle esigenze della popolazione che vi vive. Con tutto quello che può seguire, demolizioni, nuove costruzioni, trasformazioni urbane, anche profonde, perchè mi sembra universalmente riconosciuto che niente è eterno e tantomeno le città, la storia e l'urbanistica lo insegnano ampiamente e lo si può documentare facilmente studiando una città qualsiasi, anche le nostre "intoccabili" perle italiane (sempre più simili a parchi giochi per turisti stranieri che a città veramente vivibili e qualitativamente elevate). Il rischio è proprio quello di trasformarle in città museo da cui i cittadini scappano a gambe levate.
Peccato che tu non ritenga che l'architettura sia sperimentazione, perchè tutta l'evoluzione in questo campo si è ottenuta proprio sperimentando nuove soluzioni, ma forse chissà, oggi abbiamo raggiunto la perfezione assoluta con la grande Architettura Tradizionale"!!!
Non te la prendere se scherzo un po' ma ho letto in queste pagine alcune "stranezze" che mi hanno fatto un po' sorridere.
Per quanto riguarda la tua similitudine tra l'architettura ed una forma espressiva è interessante ma la ritengo molto più simile alla musica che ad una lingua, proprio perchè è universale e tutti ne possono trarre qualcosa.
Che musica ti piace? Un bel madrigale di Vivaldi o il requiem di Mozart? Oppure un po' di pop music? rock? o musica leggera ... "moderna"?
Forse aiuta di più parlare di una materia come l'architetturta in modo ironico e senza troppe paranoie o preconcetti perchè ci si accorge di ovvietà di cui altrimenti ci si può dimenticare.

Pietro Pagliardini ha detto...

Tralasciando la pulizia delle città, che spetta alla N.U., è evidente che le città sono state in trasformazione continua ma non sono state cavie di sperimentazione ed anche le più radicali modificazioni urbane, come nella Roma barocca ad esempio, erano sempre "evoluzioni" e la distanza tra il prima e il dopo non era paragonabile a quello contemporaneo. Oggi qualunque intervento, anche il più piccolo, anche la panchina o la fermata del bus, deve essere per forza elemento di visibilità per l'architetto, dimenticando che prima viene la città e poi l'architetto. Vai a vedere come hanno ridotto a Firenze Piazza santa Maria Novella. A te piacerà per la modernità a me sembra un atto di stupidità e arroganza da parte di chi l'ha fatto e di chi lo ha approvato.
Quanto alla musica, non saprei. Ci devo riflettere con più calma. Che sia così universale avrei alcuni dubbi, dato che se io sento una musica orientale mi tappo le orecchie. Che sia universale la musica pop e rock ecc. ci credo, ma quella è la globalizzazione del mercato che crea modelli uguali per tutti. Comunque non vorrei spingermi oltre.
Saluti
Pietro

enrico d. ha detto...

storicamente l'universalità della musica è... una novità.
Fino a pochi decenni, qualche secolo al massimo fa, la musica era solo "accompagnamento", e la sua fruizione come elemento a sè stante molto rara. Gli strumenti musicali, che ci sembrano "storici" e che ci viene da considerare eterni, sono in gran parte invenzioni moderne.
Le sale da concerto, causa e conseguenza del periodo d'oro della musica lirica e sinfonica, sono elementi "architettonici" tipici di un lasso di tempo tutto sommato breve.
Lo stesso concetto di ascolto della musica è oggi così pervasivo e diffuso, che ci viene difficile immaginare un mondo in cui l'ultimo successo di Beethoven era sentito da qualche centinaio di persone in tutta Vienna.
Tutto ciò per dire che l'universalità dell'architettura si assimila molto più all'uso della parole, del linguaggio che non alla musica.

Pietro Pagliardini ha detto...

enrico, sono d'accordo con te. Lo volevo dire ma non osavo perché la musica è per me intuizione e istinto, non conoscendone il linguaggio e non avendone mai approfondito l'analisi critica. A parte uno studio di violino troppo presto abbandonato.

Adesso decido di essere creativo e di esprimermi con il mio linguaggio:

kjb clskc ijwpfiofc wijwkfm oieflfn
wfhw kiwfl uqtywe66i8 848484

Vabbè, all'ora di cena una provocazione futurista si può anche ammettere.

itulaS
orteiP

Salvatore D'Agostino ha detto...

Paolo e Pietro,
credo che spetterà al nipote di Paolo Marconi restaurare con la stessa dovizia filologica del nonno la chiesa di Padre Pio a Pietralcina di Renzo Piano, la chiesa di San Giacomo a Foligno di Massimiliano Fuksas o la chiesa di Padre Misericordioso a Roma di Richard Meier.
Io non lesinerei a consultare i testi di Paolo Marconi qualora mi occupassi di un restauro, poiché i suggerimenti per l’anamnesi sono validi.
Carlo Scarpa – un architetto che per i tradizionalisti è stato un delinquente del restauro -, disegnava nei minimi dettagli l’edificio da restaurare per dopo riprogettarlo adeguandole alle nuove esigenze ‘funzionali’.
L’incondizionato ‘dov’era com’era ‘non collima con l’evoluzione degli edifici e i suoi abitanti si preferisce un restauro che maschera le addizioni tecnologiche che uno che li includa visibilmente.
Per me la ricostruzione della Cupola di Noto è un inganno, un ecomostro del restauro, come lo sono le migliaia di case finto rustico che abbelliscono il nostro paesaggio.
No comment nei confronti di questa supponente definizione nei confronti dei neo-architetti: «Ma non saprebbero neppure da dove incominciare per ‘leggere’, interpretare ed eventualmente ricostruire per parti una città antica, come non saprebbe leggere e tanto meno correggere e implementare (“emendare”, dicono i Filologi) un testo lacero scritto in latino antico o medievale chi conoscesse solo l’italiano odierno.»
Mi domando lei saprebbe progettare utilizzando la complessità dei nuovi strumenti informatici e l’innovazione dei materiali degl’ultimi anni? È proprio così convinto che gli architetti siano così stupidi e avvezzi alla cultura dell’architettura ‘fashion’? Possiede la grammatica (il suo latino) necessaria per leggere l’architettura contemporanea?
Questo scritto è palesemente uno spot alla ricerca di possibili commissioni per il suo studio. Niente di più.
Un saluto a lei Paolo Marx.
Saluti ai lettori,

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, in effetti il tuo commento, un pò sgarbato, è rivolto a Paolo Marconi, cui mi associ per la coincidenza dell'onomastico.
Io commenterò per la mia parte dicendo che per la chiesa di Piano e quella di Meier non si pone il problema del restauro ma quello della loro demolizione.
Quanto a quella che tu chiami supponente definizione dei neo-architetti altro non è che una constatazione fatta da un osservatore privilegiato. E comunque Marconi non usa il termine stupidi, dice solo che non è stato loro insegnato, che c'è una bella differenza.
Cosa ci incastri poi Marx non saprei proprio se non una mal riuscita sarcastica battuta.
Saluti
Pietro

Anonimo ha detto...

A proposito del restauro e della ripetibilità di un'opera (di arte come di architettura) Claudia Bianco, con molta più eleganza di come lo potrei fare io (è per questo che uso parole sue) scrive che questa operazione significa distruzione di "quell’intreccio tra lontananza, irripetibilità e durata che caratterizzava il nostro rapporto con le opere d’arte tradizionali, e avvento di una fruizione dell’arte basata sull’osservazione fugace e ripetibile di riproduzioni." Il tutto è perfettamente sovrapponibile all'architettura antica.
Ciò non toglie che si possa scegliere di farlo, basta avere l'onestà di ammettere che si sta compiendo un falso e rispettare il parere di chi contesta certi tipi di intervento.

Volendo, il discorso si potrebbe estendere alla funzione originaria degli edifici ricostruiti, la quale, a differenza dei caratteri formali e stilistici, non è un valore restaurabile, né decontestualizzabile, né sostituibile, individuato com'è da parametri non ripetibili al di fuori del contesto storico di riferimento, nè è scindibile dalla forma che la ospita. La quale viene, sì, ricostruita, ma per tutt'altro scopo.
E' così che si restaurano vecchie stalle per farne improbabili musei d'arte moderna o antichi conventi per farne risicate sedi universitarie (vedi Gregotti a Bergamo).
Ma allora, il recupero della forma non rischia di essere, spesso, un vuoto esercizio di stile, puramente estetico?

Vilma

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
quelle opere non verranno mai demolite ma restaurate.
T’invito ad ascoltare queste puntate di radio tre dove si discute sul restauro delle opere d’arte contemporanee ---> http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=248734 e http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=248969#
Marx era una battuta volgare alla Emilio Fede (che storpia i nomi delle persone a lui non congeniali).
Paolo Marconi nel suo scritto ha storpiato il cognome di Fuksas in Fuxas
Saluti,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, riprendo la frase: questa operazione significa distruzione di "quell’intreccio tra lontananza, irripetibilità e durata che caratterizzava il nostro rapporto con le opere d’arte tradizionali, e avvento di una fruizione dell’arte basata sull’osservazione fugace e ripetibile di riproduzioni."
Io farei una bella differenza tra ripetibilità e restauro. Ripetibilità, riferita all’architettura,significa, credo, ricostruire un’opera identica ad un’altra in altro luogo; mi pare siamo nel caso di Portofino in Cina o altre amenità simili. Marconi non parla mai di questo, ma proprio mai, e il problema mi sembra confinato strettamente al campo commerciale. Semmai c’è il caso di intere architetture trasportate nei musei oppure il caso di Abu Simbel. Però anche qui siamo in un campo limitato ma importante della conservazione e trasmissione di testimonianze archeologiche di notevole valore che, in altro modo andrebbero perdute per varie cause.
Tornando invece al restauro di un’opera lasciandola, ovviamente, nel suo luogo originario, oppure al rifacimento totale della stessa distrutta per cause di guerra o di calamità o per l’incuria e il tempo, la frase di Claudia Bianco tradisce, o meglio mostra, un approccio di tipo sentimentale o emozionale che attiene ai singoli fruitori dell’opera. Quel concetto è comunque chiaramente riferito ad opere d’arte e non all’architettura e a me sembra non trasferibile a quest’ultima e comunque non applicabile al restauro che non è ripetibilità e quindi serialità. Ma ipotizzando che lo sia e assegnando alla ripetibilità il significato di riedificabilità di un edificio distrutto (poi lo estenderemo alla città) che ragionamento mi sembra faccia Marconi? Quello di riconoscere all’architettura tradizionale un valore che è di attualità senza per questo dare lo stesso valore a tutti gli edifici tradizionali. Lui vede la città storica nel suo complesso come una realtà viva e se va perduta per un causa qualsiasi questa deve essere ripristinata, ricostruendola con le stesse tecniche. E’ la logica che ha fatto ricostruire il Campanile di San Marco, Varsavia, Dresda ecc. E’ la logica che ha fatto ricostruire Gemona in Friuli uguale a se stessa e che invece a Gibellina ha portato ad una scenografia teatrale disabitata, spettrale ed anche un po’ caricaturale. Quando viene danneggiata una statua, si cerca di rimarginare la ferita in modo che non si veda e a me sembra un metodo corretto perché non interessa a nessuno il fatto di denunciare l’intervento (fuorchè agli architetti). Mostrare la ferita è una inutile sincerità perché ne fa perdere la visione originaria e non si rende neanche giustizia al suo autore. Uno sfregio nel viso di una persona richiede un intervento di chirurgia plastica e sia lo sfregiato che gli altri hanno grande piacere se la ferita viene completamente rimarginata. Perché dovrebbe essere diverso in architettura e nell’arte?
Ciao
Vilma

Anonimo ha detto...

Scusa, Pietro, mi permetto di insistere brevemente sul fatto che le domande che ponevano erano semplicemente due: la prima, se sia corretto tenere in piedi un edificio per il quale viene persa traccia della funzione originaria, come se forma e funzione non avessero alcuna relazione, la seconda , se, quando ciò venga attuato, non si compia un'operazione di valenza puramente estetizzante, quindi non un gesto di architettura, ma di pura scenografia.
Se io fossi il dott.arch.prof. Paolo Marconi una risposta la darei.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, io non credo che il Prof. Marconi sappia di questo link e quindi reputo difficile che possa risponderti. D'altronde io non lo conosco, se non dai libri, e potrei anche avere dubbi sul fatto che viaggi nei blog. Dunque non ci resta che aspettare un pò e...sperare. Tra qualche giorno, se non si fa vivo, ti dirò il mio parere.
Ciao
Piero

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