Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


16 marzo 2009

LA PERDITA DEL LIMITE

Pietro Pagliardini

Una caratteristica comune a molta architettura ed edilizia contemporanea è quella di essere esagerata, scomposta, priva di senso della misura e del limite.
Certa architettura non solo è enfatica ma fa di questa caratteristica un vanto, un tratto distintivo giudicato fortemente positivo.
Tendenze apparentemente analoghe a queste non sono certamente nuove nella storia dell’arte e in quella dell’architettura e, generalmente, seguono fasi di regole più composte, di classicità, quasi fossero reazioni e risposte a canoni sofferti come troppo stretti e oppressivi.
La cultura ellenistica ne è l’esempio più noto e basta confrontare l’esasperazione del movimento nel gruppo del Laocoonte rispetto alla compostezza dell’Hermes di Prassitele per comprendere la differenza di sensibilità dei due diversi momenti storici e culturali.


Ma anche in architettura questo processo non è nuovo, basta considerare il Barocco, con la dinamica delle sue facciate che si incurvano lungo la strada e degli interni plastici che creano una tensione continua che si estende fino alle cupole, e metterla a confronto con la misura e il controllo geometrico della prospettiva nel Rinascimento, per afferrarne la evidente differenza che sa addirittura di rivolta e di messa in discussione di vincoli ritenuti soffocanti, se riferiti agli autori, e statici, se riferiti all’oggetto architettonico.
Dunque, verrebbe da dire, nihil sub sole novi; e quindi, in una logica storicistica di corsi e ricorsi non ci sarebbe scandalo e tutto si riassorbirebbe e rientrerebbe in una visione più ampia che farebbe accettare l’attuale fase come una normale evoluzione del processo di crescita e sviluppo della creatività umana e ci porterebbe a concludere che è sufficiente aspettare e anche questa passerà. Se così fosse le scomposte e debordanti, quanto ripetitive fino alla noia, architetture di Zaha Hadid, per prendere l’esempio attualmente più eclatante e vistoso, alla fine dovrebbero lasciare spazio a qualcosa d’altro di più controllato, di più rispettoso del contesto e tutto rientrerà nei ranghi normali e seguirà una fase più misurata.
Può darsi che in ciò ci sia del vero (e chi può saperlo?) ma, a parte il fatto che la fatalistica rassegnazione ad eventi ritenuti negativi non appartiene alla cultura occidentale, il fenomeno è oggi del tutto differente ed anche singolare per i seguenti motivi:

1) nello sviluppo temporale di questo processo e nella diversa dimensione del fenomeno stesso;
2) ma soprattutto nella profondità dell’humus in cui questo fenomeno affonda le proprie radici.

1) Cercando un periodo precedente di ordine e di regole cui questo si contrapporrebbe, faccio fatica a non risalire almeno all’800, diciamo verso la seconda metà, all’epoca della seconda industrializzazione e delle prime Esposizioni Universali. La reazione vera e propria scoppia poi con l’avanguardia e tutti i vari movimenti e ismi. Quindi un periodo di poco meno di un secolo e mezzo.

Osservo intanto che per essere, la nostra, la decantata epoca della velocità e dei cambiamenti ce n’è voluto di tempo per giungere a maturazione, esattamente quanto e forse più che nel passato. Ma con una grande differenza: se, per assurdo, con una macchina del tempo un signore del 1887, nemmeno uno qualsiasi ma Gustave Eiffel, potesse essere catapultato nella attuale Pechino, sarebbe colto da panico, tanto poco vi troverebbe in comune con le città e l’architettura a lui conosciuta.

Viceversa, se Filippo Brunelleschi, con lo stesso sistema, si ritrovasse improvvisamente nella Roma del seicento sarebbe certamente meravigliato e disorientato dal diverso e dinamico nuovo impianto urbanistico ma girando per la città e osservando le varie architetture forse non ne potrebbe afferrare l’essenza, forse si indignerebbe anche, ma vedrebbe elementi architettonici e costruttivi a lui conosciuti; potrebbe farne una analisi, comprenderebbe sia la statica che le varie parti di cui si compone un edificio, potrebbe mettere a confronto la sua cupola con quella di Sant’Ivo alla Sapienza, diverse come concezione spaziale e strutturale ma pur sempre riconoscibili come cupole.
Soprattutto riconoscerebbe la maggior parte dell’edilizia di base, il corpo della città, cosa che non sarebbe possibile a Gustave Eiffel, perché l’architettura e l’edilizia contemporanea, avendo perso il senso del limite, non attribuiscono alcun valore all’omogeneità dell’insieme, pur nella diversità dei singoli gesti, avendo affidato il progetto esclusivamente nelle mani e nella mente del progettista il quale si pone nella condizione mentale di svolgerlo libero da ogni vincolo geografico, storico, di legame con il contesto, libero, talora, di ignorare e prevaricare i desideri e le volontà stessa del committente: come paragonare una strada della Parigi dell'800 con una qualsiasi strada costruita 10 anni fa? Cosa avrebbero in comune i fronti edilizi, ammeso che nella seconda vi fossero fronti edilizi?

Tale atteggiamento non si riscontra solo nelle opere delle archistar ma, entrato nel bagaglio culturale degli architetti fin dall’università, produce i suoi effetti nella gran parte dei progettisti e, di conseguenza, nell’edilizia corrente.
Paradossalmente sembra che gli unici limiti accettati o subiti siano quelli imposti dalle norme di legge le quali, per eterogenesi dei fini, nella maggioranza dei casi riuscirebbero da sole a produrre oggetti estranei a quei luoghi per i quali invece esse sono appositamente scritte.

La somma di queste due spinte, quella volontaria dell’architetto e quella indifferente dell’ente pubblico, riesce a produrre un campionario di edifici l’uno diverso dall’altro, senza un filo conduttore che li leghi tra sè e tra loro e il territorio.

2) Ma la vera e profonda differenza che caratterizza questa fase da altre apparentemente analoghe è il predominio incontrastato della tecnologia, cioè la scienza applicata alla tecnica, quella che il filosofo Emanuele Severino chiama la tecno-scienza di cui egli giudica ineluttabile l’affermazione se unita al risultato essenziale della filosofia contemporanea cioè “la coscienza inevitabile dell’assenza di ogni limite e di ogni verità assoluta”.

Dice E. Severino in Tecnica e Architettura, R.Cortina Editore, 2003:

La tecnica è un apparato a cui appartengono i tecnici, cioè individui umani che hanno certe convinzioni, per esempio convinzioni religiose, cioè credono che esista il limite stabilito dalle leggi della verità e di Dio. Le “leggi di natura”, la “morale naturale”, il “diritto naturale” appartengono a quelle leggi. [Omissis] E anche per l’arte tradizionale esiste una legge naturale eterna del bello, che l’artista non deve violare.

Ma poi compare , nella storia dell’Occidente, il pensiero filosofico del nostro tempo, cioè la negazione più perentoria di ogni verità assoluta e di ogni Dio immutabile: la negazione dell’esistenza di ogni limite che alla tecnica sia impossibile oltrepassare in linea di principio. Il pensiero filosofico del nostro tempo mostra alla tecnica l’infinità della potenza di cui essa può disporre.[Omissis] Una tecnica legata al passato è più debole della tecnica che del passato si è invece liberata; ed è invece inevitabile che la forma più potente prevalga sulla forma meno potente della tecnica
”.

Appare con ciò evidente la assoluta peculiarità e novità di questo fenomeno che non trova riscontro nella storia: è il paradigma filosofico su cui si è basato l’Occidente ad essere completamente messo in discussione.
Paragonare, come spesso accade, la rottura delle regole dell’architettura contemporanea rispetto a quella precedente alle evoluzioni avvenute in passato nell’architettura e nell’arte significa non comprendere che in gioco c’è la perdita definitiva del senso del limite, delle “leggi di natura”, della “morale naturale”, del “diritto naturale” a vantaggio di un “diritto positivo” che, in quanto prodotto storico che promana dalla volontà del legislatore, viene, di volta in volta, adeguato alla e dalla società e spostato sempre più avanti non in base a quei principi citati da Severino e che hanno guidato la società occidentale, ma basato sostanzialmente sulle dinamiche sociali determinate dall’evoluzione dei costumi, dalla politica e in gran parte dalla macchina della formazione del consenso, oggi prevalentemente in mano ai mezzi di comunicazione.

Se dunque il ragionamento di E.Severino è rigoroso e logico, ed è difficile ammettere che non lo sia, la posta in gioco è tutt’altro che stilistica o formale bensì filosofica e di visione globale del mondo e quando egli scrive: “ La filosofia contemporanea ha ferito a morte la grande tradizione dell’Occidente, che però è ancora viva e lotta per sopravvivere il più possibile, tanto da far credere a volte nella sua capacità di respingere l’attacco della modernità e di uscire vincente dallo scontro” personalmente mi auguro e spero che si avveri la seconda parte della sua ipotesi.

22 commenti:

Anonimo ha detto...

"personalmente mi auguro e spero che si avveri la seconda parte della sua ipotesi"
io invece spero che vinca la prima ipotesi. anzi, ne sono quasi certo, è il destino dell'occidente.

perchè in nome delle "leggi di natura”, della “morale naturale” e del “diritto naturale” qualcuno s'è messo in testa di "infornare" qualche milionata di persone. per questo mi vengono i brividi quando leggo questi concetti.

pietro, quando io parlo di metafisica dell'architettura, dell' "a priori"... penso proprio a questo. poi posso anche decidere che le regole ce le possiamo dare, che si può decidere per il tetto inclinato piuttosto che per quello piano ma, appunto, si tratta di una decisione consapevole o, piuttosto, di un mettersi ai voti e decidere. se mi ficcano sulla testa un tetto in nome di un qualsiasivoglia diritto naturale beh... cento, anzi, mille villa savoye! per ricordarci che abbiano tutto il diritto di mandare a quel paese le regole, il sopra e il sotto (e pure la natura).
io, questa consapevole modernità, me la tengo stretta, eccome se me la tengo stretta.

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, che tu ti tenga stretta la modernità è una tua legittima opinione e un diritto, tuo e di chiunque. Che tu confonda le infornate come le chiami con il diritto naturale è semplicemente un errore, uno sbaglio, una sciocchezza.
Finchè parliamo di sciocchezze architettoniche ci possiamo permettere di sbagliare ma su questo punto sbagliare è un discorso un pç diverso.
Tu potrai negare il diritto naturale e riconoscere solo il diritto positivo e va bene ma davvero confonderlo con le camere a gas..... l'hai detta grossa.
Saluti
Pietro

Anonimo ha detto...

pietro, qualche commento fa ho cercato di porre la questione su esempi concreti (che ti ho chiesto e mi son guardato) e su cose comuni che ci uniscono (noi architetti) e che ti ritrovo? un post che mischia diritto, morale e leggi naturali per dimostrare la bontà delle tue tesi. ora, se non l'hai capito, è da un bel po' di commenti che cerco di spiegare che tutte le balle filosofico-metafisiche tirate in campo dai vari eroi del tradizionalismo sarebbe meglio lasciarle perdere (così come le balle che inventano i cosiddetti modernisti). e invece? e invece te inventi un post co' 'ste robe. primo: le rogne te le cerchi. secondo: bel modo di dialogare; uno ti mette sul tavolo cose concrete e te porti dentro il dio dei valori...
se a ciò si aggiunge che in 'sto blog gira l'idea che se uno mette un edifico sui pilotis è un nazi-comunista-hitleriano mentre quando uno cita concetti che appartengono alla mistica tradizionalista più conservatrice è dalla parte di dio (sempre quello dei valori eh!) beh... pietro, non ti lagnare se le tue idee sono di nicchia e c'è qualcuno come me che le critica brutalmente e mette a sua volta di mezzo valori forti e non il cornicione o il fronte strada.
quindi se non mi sono spiegato: smettiamola con le "sciocchezze architettoniche" da ambo i lati.

robert

PS: come al solito ciò che mi preoccupa è che qualche studentello le legga e confondendole per preghierine da recitare a memoria inizi a pensare se stesso come un angelo che porterà il nostro territorio direttamente in paradiso.

Master ha detto...

Mi sa che LdS abbia invece centrato il problema!
La storia ci ha insegnato che l'unico modo di evitare estremismi distruttivi come quelli che purtroppo abbiamo avuto nel Novecento è di mantenere una pluralità di punti di vista. Quando si tirano in ballo assurde "leggi naturali" per imporre un concetto allora si percorre la stessa strada già sperimentata dal Nazismo e dal Comunismo, con i risultati che tutti sappiamo.
LdS ha un modo tutto suo di esprimere i concetti, ma spesso centra in pieno il problema senza tanti convenevoli.
Qui nessuno ti costringe ad abbandonare la tua visione dell'architettura o le tue preferenze stilistiche, nessuno ti impone il proprio modo di interpretare la materia in questione; tu proponi un argomento che viene poi commentato. Ma se cerchi di imporre il tuo punto di vista dicendo che tutta la restante architettura contemporanea è da buttare, beh è normale che qualcuno ti critichi perchè la storia recente ci ha insegnato che solo la pluralità di opinioni (proporre senza imporre) permette alle idde migliori di venir fuori e soprattutto oggi con uno strumento come internet (una vera piazza virtuale dove far circolare idee).
Eiffel poi fu aspramente criticato da molti intellettuali dell'epoca (tra cui anche Victor Hugo) per la sua "brutta giraffa" che deturpava l'immagine di Parigi di fine ottocento, tuttavia oggi è il simbolo di quella città e guai a toccarla. Secondo me Eiffel rimarrebbe estasiato dai grattacieli di Pechino e dalla loro altezza impensabile per i suoi tempi.

Anonimo ha detto...

A me pare che vi siano anche altre differenze.
In particolare: il barocco spingeva all'estremo un certo linguaggio architettonico, ma all'interno di regole ferree e nell'ambito di una koinè linguistica e culturale. Per cui, ogni "star" di allora aveva sì una sua precisa autonomia e stile, ma non era puro "individuo", tutt'altro.
Invece, negli ultimi anni, mi pare che il gioco sia soprattutto de-strutturante il linguaggio: questo in favore di una sorta di "autonomia linguistica dell'artista come individuo singolo".
C'è probabilmente una tendenza più generale che tende a porre il singolo individuo in contrapposizione alla società nel suo complesso, laddove invece l'individuo può trovare una sua dimensione (anche in quanto individuo) solo in un contesto sociale, sia pure con tutte le tensioni che questo comporta. Il "contesto sociale", come l'ho chiamato, richiama la necessità del "linguaggio" inteso come terreno comune, entro cui l'individuo può esplicarsi ma in questo "contesto", contro la destrutturazione del linguaggio che invece è conseguente alla frattura fra individui singoli e società.
Si potrebbe anche dire che questa "destrutturazione" linguistica, sociale, è opera del nichilismo.
Ora, porre invece la "tecnica" come una sorta di Moloch invincibile, della tecnica come dominatore dell'Uomo* (e non invece governata dagli uomini, animali sociali) è un mito appunto nichilista, e non a caso, Severino lo è.

* Uomo, nel senso di "superuomo"... curiosamente, questo "superuomo", è dominato dalla tecnica, non la domina.
E ricordo a "linea di senso" che coloro che mettevano al forno la gente, si ritenevano, appunto, superuomini, ed erano altamente "tecnici" ... medita ragazzo, medita ...

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, le balle metafisico-filosofiche non sono mie ma di E.Severino che ha ci ha dedicato un libro dal titolo Tecnica e Architettura, tanto crede in quelle balle. Ora Severino non può essere classificato tra i tradizionalisti reazionari e parrucconi ma è un filosofo piuttosto importante che più che prendere posizione "filosofeggia" sulla società e ne trae alcune indicazioni (che tra l'altro sono, grosso modo, più vicine alla tue). Inquadra l'architettura nel pensiero filosofico e ne trae conseguenze. Sei libero di credere che siano stupidaggini io invece penso che, se non sono tutta la verità, rappresentano tuttavia un ottimo strumento di lettura.
Difficile spiegare l'arte medioevale, ad esempio, se non la inquadri entro una cosmogonia e un pensiero religioso che permeava la società.
Quanto a me io ho solo cercato di riassumere, se possibile, quel punto di vista; se qualcuno è interessato ad approfondire non deve rivolgersi a me ma va in libreria, cerca e studia.
Di mio ci ho messo una speranza e, ti dirò, non tanto riferita all'architettura (le sciocchezze appunto) quanto a temi ben più importanti di cui non parlo nel blog, dato che non mi piace mischiare i generi. Spero tu mi conceda il diritto di sperare ciò che voglio io e non ciò che speri te.
Quanto poi alle regole che mi chiedi non puoi pretendere una riduzione ad un manualetto tipo Bignami: ho citato più volte autori e scuole, ho indicato esempi, ho scritto più di 100 post (non saggi, post): se uno è interessato, al solito, va in libereria, in rete ovunque e cerca.
Qui si lanciano messaggi, si scambiano idee, flash insomma si fa politica ma lo studio è altrove.
Certamente è più facile dare le regolette del modernismo: le sette invarianti, i pilotis, le finestre orizzontali, la terrazza sul tetto, la forma mostra la funzione, il piano libero,l'edificio libero da relazioni in mezzo al verde e il gioco è fatto.
Questa semplificazione è, appunto, la povertà e spesso la miseria dell'architettura moderna.
Potrei opporre una serie di regole (che già sono state indicate ad esempio nel post Toscanità) più pregnanti ma, se non se condividono i principi, se non interessa il perché di quelle regole, che senso ha? Si eccepirebbe che è un fatto stilistico, che la modernità richiede ...modernità (che detta così non vuol dire niente, ma Severino spiega cosa vuol dire) ecc.
Le balle metafisico-filosofiche servono, eccome se servono.
Se posso azzardare una mia interpretazione mi sembra che tu sia alla ricerca di risposte perché non sei soddisfatto di ciò che c'è in giro e te la prendi con me perché non sono capace a dartele.
Mi spiace, io faccio del mio meglio, ma ho i miei limiti. Ti invito a non affidarti a me ma a leggere con grande attenzione e, superando talora una certa noia arrivare alla fine, Caniggia e Maffei: Lettura dell'edilizia di base. Se ci si entra dentro vi si spiegano molte cose.
Saluti
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

biz, totalmente d'accordo con te. Io sono stato più moderato, una volta tanto e ho cercato di rappresentare in maniera più oggettiva possibile (per me) una spiegazione data da parte, appunto, di un autorevole nichilista.
Ciao
Piero

Anonimo ha detto...

non ricordo il nome ma c'era tale che sosteneva: io scrivo le mie poesie se poi tu decidi di recitarle sappi che in quel momento le mie poesie diventano tue. tradotto: se ti tirano i pomodori in faccia son cavoli tuoi non venire ad incolpare me.

le balle metafisiche non sono riferite a severino di cui conosco e condidivo le idee e le posizioni ma, appunto, a chi si mette in testa di usarne le parole per dimostrare la fondatezza della proprie idee e arriva a delle conclusioni talmente superficiali da lasciarti basito (ho scritto conclusioni non quello che ci sta in mezzo che può andare).
questo vale anche per biz che, di tutto il suo bel commento tralascia una questione non da poco: la tecnica (e il mercato, cita pure quello severino) che nel contemporaneo nihilismo ha il suo perno. ora, imbastire bei discorsi sull'individualismo senza tenerne conto è un po' superficiale la cosa. o no biz? o meglio: la cita, alla fine, senza interrelarla alle premesse, citandola semplicemente come moloch ma non giusticando perchè l'abbia citata (cosa che fa anche pietro che cita la tecnica di severino senza mai darne spiegazione concreta).
ora, 'sto moloch, più di qualcuno ha cercato di non tenerne conto come fate voi due, pietro e biz, che incolpate sempre e comunque l'individuo ma è come andare in guerra con la baionetta mentre gli altri hanno lo scudo spaziale. vi auguro buona guerra, personalmente, io faccio obiezione di coscienza.

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, però devi riconoscere una tua contraddizione: io riporto il pensiero di Severino (che tu dici anche di condividere) il quale, partendo da un principio opposto al mio (si parva licet)arriva a conclusioni congruenti con le mie (ripeto vieppiù si parva licet), ma di segno opposto, e a te non sta bene!
Dici che ho utilizzato Severino per i miei loschi scopi.
Ma se avessi citato autori reazionari-conservatori-fideisti ecc. ecc. tu mi avresti detto (magari a ragione) lo stesso.
Allora se io ho torto ha torto anche Severino e allora perché tu lo approvi?

Il professore se leggesse (dubito) questo commento spero sarà indulgente con la mia superbia ma mi serviva solo fare un esempio.
Saluti
Piero

Anonimo ha detto...

una sola domanda pietro: la tecnica, in severino è centrale, secondo te, o no? è centrale nel ribaltamento dei significati, delle parole usate in architettura, dei luoghi trasformati in non luoghi oppure no? e, soprattutto, assieme al mercato... ha fatto o no saltare l'Istituzione Architettura?

attendo tua risposta, per il momento ti do la mia: la tecnica è perno centrale in tutto ciò che ho elencato. anzi, è la fonte primaria, assieme al mercato, della "perdita del centro" avvenuta negli ultimi due secoli.
ora, se è così, la causa del caos attuale è da ricercarsi nel binomio tecnica-mercato (tecnica che non è neutra ma autonoma) e non da ricercarsi nel semplice individualismo dell'architetto (individualismo che, tra l'altro, è tipico di tutti e non solo del progettista che, come tu sai bene, nel progetto non è sufficiente da solo).

tradotto: la tecnica (e il mercato) ci sono scoppiati tra le mani.

non è un caso che con la proposta del premier di "rottamare" l'archiettura (che io condivido quasi in toto) si è giunti alla definitiva "sconsacrazione" dell'archiettura come Istituzione e la si è resa simile a qualsiasi altro bene di consumo. alla faccia dei secoli, dei linguaggi atemporali e sovraindividuali. l'archiettura, anche da parte delle nostre Istituzioni, è diventata definitivamente "moda" e bene di consumo strettamente legato alla spirito della tenica e dell'economia del tempo... tempo che ormai si è ristretto al massimo a qualche decennio. in questo contesto il cambiamento di linguaggio continuo e repentino è funzionale al fatto che l'archiettura è ormai "moda".

a me questa situazione non piace ma non vedo altra ipotesi che partire da qui e ricostruire e non semplicemente negare l'evidenza e dire: "è colpa dell'archistar". fare questo significa sbagliare bersaglio, fraintendere severino e, soprattutto, non affinare strumenti adeguati (qualcuno c'ha già provato coi semplici strumenti compositivo-archiettonico-urbanistici ma non c'è riuscito) per affrontare una situazione ben più gravosa e difficile di quanto appaia. sì, insomma, è come se alle elezioni non bastasse cambiare chi governa (in questo caso l'archistar e l'apparato mediatico che secondo te li sostiene) per cambiare lo stato delle cose.

robert

Anonimo ha detto...

Robert, Severino secondo me pone giustamente il nodo della tecnica come molto importante. Certamente, anche collegato con gli altri temi.
Ma ecco, non posso ritenere nemmeno "vero uomo" colui che non domina la tecnica, ma ne è dominato. Figuriamoci ritenerlo un superuomo.
E credo che, sempre, certe illusioni legate alla tecnica, certi nodi, sempre verranno al pettine.
(la tecnica non è, e non potrà mai essere perfetta e onnipotente, e talvolta, se incontrollata, fonte di danno e "hybris" (con tanto di colpa da scontare, come pensavano gli antichi greci ... in questo senso mi riferivo ad una "mitologia" della tecnica onnipotente, che corrisponde alla sua idolatria, cieca).

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, ti rispondo subito e volentieri.
Io sono d'accordo con te che la tecnica e l'economia (il mercato è un pò riduttivo) stanno alla base dei problemi, oltre naturalmente alla maggiore libertà degli individui e alle conseguenti spinte centrifughe in ogni campo della sfera pubblica e privata.
Diversamente da te però, e qui siamo davvero nel campo delle scelte e delle sensibilità strettamente personali, io non mi rassegno alla vittoria della tecnica sull'uomo perché penso che la tecnica senza limiti distrugga l'uomo stesso e non solo e non tanto nel campo architettonico (quelle che definivo banalmente le nostre sciocchezze) quanto nella sua profonda essenza. Penso al tema della vita e della morte, penso alle bio-tecnologie, ai mostri che può generare e che già genera.
Rassegnarsi alla tecnica significa diventare eugenetici, significa mettere nelle mani degli scienziati la selezione umana (e tu sai che è vero), significa la distruzione dell'umanità. Ciò che fino a qualche anno fa veniva giudicato come bestiale nel nazismo oggi si sta tentando di farlo entrare nella morale comune: questa è la differenza tra il diritto naturale, che è nell'uomo, e il diritto positivo, che è nella società.
Io credo che l'uomo abbia una risorsa grande che è la sua libertà di scelta,la sua volontà e la sua responsabilità e non credo affatto che tutto sia determinato e predestinato come pensa Severino. O almeno spero non sia così.
C'è un fenomeno per cui se uno dice che un evento è inevitabile esso diventa inevitabile perché nessuno fa niente perché non avvenga: è come nell'economia e nella finanza dove il fattore emotivo collettivo può produrre l'effetto domino.
Per questo, da questo punto di vista, io dico che il fenomeno archistar, che è la punta di diamante del fenomeno più generale, va smascherato nei suoi elementi deteriori e combattuto, proprio per l'effetto imitazione e l'effetto domino.
Le archistar sono i simboli del "male" e se vuoi abbattere il male devi abbatterne "anche" e prima di tutto i simboli.
In un esercito se colpisci il comando generale distruggi l'esercito (espressione cruda ma efficace).
Inoltre credo che una società matura, ricca e post-moderna come la nostra, che prova e sperimenta di tutto, purché vi sia una redditività economica, possa e debba "sperimentare", tra le tante sue mode, anche quella di un ritorno all'antico (in architettura e urbanistica), perché certamente paga e perché potrebbe far capire la differenza che corre tra un ambiente urbano nuovo ma vivibile e uno alienante.
Per questo Poundbury è importante, perché è un esempio positivo i quanto realizzato. Non a caso, e lo ripeto perchè è funzionale a quanto dicevo prima, il primo ministro lo ha preso a modello per una politica urbanistica nelle nuove aree commerciali in zona rurale.
Se non ci fosse stato Poundbury costruito, ma solo disegnato sulla carta, avrebbe potuto adottare questa politica? L'effetto imitazione e domino, appunto.

Spero di averti risposto in maniera sufficientemente esauriente. Certamente in maniera sincera.

Saluti
Pietro

Anonimo ha detto...

Ciao.
Ammetto di concordare in molti punti con le tue osservazioni a proposito dell'esito nefasto che sta avendo la politica "archistar" sul mondo dell'architettura e quindi, di riflesso, sul nostro modo di vivere ed abitare le città (ed anch'io nel mio blog mi sono scagliato spesso e volentieri contro la "faciloneria" di certe opere contemporanee).
Credo però che attestandosi su posizioni così estremiste si rischia di vanficare qualunque sforzo; inoltre mi sembra riduttivo parlare unicamente di "tecnologia" quando il fenomeno appare molto più complesso e sfaccettato (è vero che Severino è un pensatore di rilievo, ma in fondo dice le stesse cose ormai da vent'anni...mi scuso già da ora per questa frase).
La crisi ontologica innestata già diversi anni fa non ha solo la "tecnologia" come motore primo: potrei citare ad esempio i paradossi economici e di mercato che oggi governano le nostre decisioni anche se concretamente il PIL o il Dow-Jones non determinano le nostre scelte di vita.
La tecnologia è un "mezzo" e non deve mai essere un fine. E' vero che molta architettura contemporanea fa della tecnologia il mezzo principale di espressione (vedi il Beaubourg o i ponti di Calatrava) ma la cosa più sconcertante è che le opere più "estreme" utilizzano solo marginalmente gli strumenti tecnici a disposizione. Ad esempio il Burj-Dubai utilizza soluzioni "classiche" nella sua impostazione strutturale, oppure le architetture fluide della Hadid (ad esempio le pensiline della metropolitana) non utilizzano le resistenze proprie che potrebbe offrire una guscio strutturale, ma derivano la loro forma da considerazioni "estetiche".
Inoltre occorre ammettere che la maggioranza degli operatori dell'edilizia italiana non conosce neppure le basi del buon costruire, figuriamoci quindi entrare in un dibattito filosofico sulle sorti dell'architettura.
Più costruttivo sarebbe forse dibattere su sistemi alternativi (e magari più sostenibili) di intendere l'architettura e proporli all'attenzione del pubblico.

Matteo
http://arching.wordpress.com

Master ha detto...

Anche mio nonno diceva che le automobili sono "i simboli del male" come i cellulari e i computer e che serviva un ritorno all'antico! Poi si è comprato una bella auto, un cellulare con macchina fotografica e un portatile. Ora non lo dice più!
A parte gli scherzi cercare di fermare il progresso e l'evoluzione di arte e tecnica (che sono due degli aspetti fondamentali dell'architettura) è infantile e risibile, se permettete, anche perchè è una battaglia persa in partenza, visto che senza evoluzione c'è solo il regresso e la fine inesorabile. Molto meglio partecipare all'evoluzione della materia in questione e dare il proprio contributo per nuove e più efficienti soluzioni. Non so ma a me sembra naturale questo processo evolutivo, trattato ovviamente in senso critico ma non negato ne tantomeno rigettato. Pensare che "il mondo era meglio una volta" è un discorso da "vecchi al bar", senza offesa ovviamente, ma lascia il tempo che trova. Non mi sembra neanche tanto deontologico e di sicuro non pa professionisti che hanno l'obbligo morale di rimanere al passo coi tempi per dare al proprio committente sempre un prodotto all'avanguardia delle ultime conoscenze tecniche e tecnologiche. Se i politici si fanno abbindolare da una moda o dall'altra sono problemi loro (e anche un po' nostri ma insomma ognuno ha i politici che si merita, no?). Tuttavia i sindaci o i presidenti passano, gli architetti rimangono, nella speranza che i prossimi siano più lungimiranti e meno attenti alle mode.
Un singolo architetto può anche sbagliare ma la stragrande maggioranza mi sembra che vada nella direzione opposta alla nostalgica riproposizione di vecchi schemi obsoleti, e grazie a Dio (in questo periodo lo stò ringraziando molto, non avrò mica una crisi mistica?). E se lo fanno ci sarà un perché! Oppure è una cospirazione di qualche società segreta?
Comunque ognuno è libero di credere nel ritorno al passato o nell'evoluzione, l'importante è NON IMPORRE il proprio pensiero ma confrontarsi nella pluralità delle opinioni che è il modo migliore di far nascere e crescere le buone idee.

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, nella fretta ho dimenticato un passaggio importante.
Noi leggiamo Severino e diciamo: una logica rigorosa, un ragionamento difficile ma razionale. Tutto torna, all'interno di quella logica. Ma la domanda è: tutto è logico ma siamo sicuri che sia vero?
Possibile che quella di Severino sia la risposta ultimativa ai problemi dell'uomo?
Esiste una teoria assoluta, che non sia basata sulla fede, e definitva?
Davvero non è soggetta a falsificazione il pensiero di Severino?
Io credo di no. Io credo che siamo nell'ambito di un pensiero logico affascinante e razionale ma è il "suo" pensiero, uno dei tanti possibili e, se noi lo prendiamo per buono ci convinciamo che sia vero e ci orientiamo in maniera sbagliata.
Voglio dire: quante teorie filosofiche e scientifiche sono state superate! E' probabile che anche questa lo sia, un motivo in più (per me) per contrastarne gli esiti.

x arching. Come osservi te giustamente Zaha Hadid, che viene decantata come una sperimentatrice, in realtà "sperimenta" (si fa per diere) solo nuove forme e niente più e in effetti vi è sempre una grande differenza tra i progetti e le realizzazioni. Ma il fenomeno della separazione tra forma e tecnica, che poi vuol dire anche tra forma e struttura, è presenta in molti progetti famosi: uno è lo stadio olimpico di Pechino di Erzog e de Meuron. Progetto di grande fascino per una struttura specialistica di quel tipo, secondo me, perché c'è un richiamo alla tradizione ma la struttura è, più o meno, di tipo tradizionale, con gli elementi portanti che altro non sono che pilastri e non funziona affatto come un "nido".
Più rispettoso di questo rapporto era (adesso è ripetitivo e formalista) Calatrava.
Saluti
Pietro

Anonimo ha detto...

Ciao.
Forse è un pò OT, ma penso che il progetto di Erzog e De Meuron volesse ispirarsi apertamente a temi "naturalistici" nell'ideazione dello stadio e la struttura fosse quindi una conseguenza piuttosto che una partenza "a priori". Ho scritto anche un articolo a proposito della vicinanza di questa opera con quella degli artisti impagliatori di bambù giapponesi (spero che ti piaccia).
http://arching.wordpress.com/arte/kawashima-shigeo-e-lo-stadio-olimpico-di-pechino/

Ciao
Matteo

Pietro Pagliardini ha detto...

Master, scusa il ritardo nel rispondere ma l'avevo perso, anche se pubblicato.
Sul diritto naturale, qualunque opinione se ne abbia, credo di avere chiarito cos'è nel commento precedente.
Sul fatto di venire criticato la cosa non solo non mi scandalizza ma direi che è il motivo principale per cui uno lascia un commento. Però è chiaro che anch'io voglio replicare e criticare le prese di posizione altrui, specie se mi sembrano oggettivamente sbagliate (come sul diritto naturale).
Per il resto, se leggi i commenti, potrai notare che con LdS ci sono diversi punti in comune, anche se, è ovvio, ognuno resta della propria idea (come è normale che sia).
Saluti
Pietro

Anonimo ha detto...

"Anche mio nonno diceva che le automobili sono "i simboli del male" come i cellulari e i computer e che serviva un ritorno all'antico! Poi si è comprato una bella auto, un cellulare con macchina fotografica e un portatile. Ora non lo dice più!"

eheh master :-) tranquillo... che se potessero, carlo e leon, metterebbero come regola che a poundbury si può entrare solo con la ford T, le donne solo con gonna alla caviglia e bustino, vieterebbero i jeans e i cellulari color oro-nero stile retrò :-)

robert

Anonimo ha detto...

LdS, non dirlo troppo forte che se ti sentono potrebbero anche farci un pensierino. Daltronde già le comunità Amish dell'Ohio rifiutano ogni sorta di modernità e vivono come se fossero ancora nel 1700. Il passo è breve e secondo me qualche comunità del genere potrebbe presto sorgere anche qui in europa. Qundi ssst, parla piano!

Anonimo ha detto...

Sulla dialettica in corso, che pare destinata a non esaurirsi né a smuovere le rispettive posizioni, e sulla inevitabilità di tutto ciò:

“Sembra che nel processo evolutivo vi siano due componenti, e che analogamente il processo mentale possegga una doppia struttura. ……..
La sopravvivenza dipende da due fenomeni o processi contrastanti, due modi di raggiungere l’adattamento. Come Giano, l’evoluzione deve sempre guardare in due direzioni: all’interno, verso le regolarità dello sviluppo e la fisiologia delle creature viventi, e all’esterno, verso i capricci e le esigenze dell’ambiente [………]
Abbiamo a che fare con una specie di relazione astratta che ricorre come componente necessaria in molti processi di cambiamento, e che ha molti nomi. Alcuni sono familiari: struttura/quantità, forma/funzione, lettera/spirito, rigore/immaginazione, omologia/analogia, calibrazione/retroazione, e così via.
Alcuni possono preferire una delle due componenti di questo dualismo, e allora noi li chiamiamo ‘conservatori’, ‘radicali’, ‘liberali’ e così via. Ma dietro queste etichette sta la verità epistemologica che afferma recisamente che i poli dell’opposizione che divide le persone sono in realtà necessità dialettiche del mondo vivente. Non ci può essere ‘giorno’ senza ‘notte’, o ‘forma’ senza ‘funzione’.
Il problema pratico è un problema di combinazione. Una volta riconosciuta la natura dialettica della relazione tra questi poli di opposizione, come procederemo? [………]
Vediamo come vengono affrontate le opposizioni tra forma e funzione e così via, ricordando che il problema è sempre quello di scegliere bene i tempi: come accelerare senza pericolo il cambiamento della forma per evitare l’obsolescenza? E come riassumere e codificare, senza fretta eccessiva, nel corpus della forma le descrizioni del cambiamento di funzionamento?
Nell’evoluzione biologica la regola è semplice: gli effetti del funzionamento che si manifestano in forma immediata nel corpo dell’individuo non potranno mai interferire con il codice genetico individuale [………] La barriera che proibisce l’ereditarietà ‘lamarckiana’ protegge appunto il sistema genetico da un cambiamento troppo rapido causato da esigenze magari capricciose dell’ambiente.
Ma nelle culture, nei sistemi sociali e nelle grandi università non esiste una barriera equivalente. Le innovazioni vengono adottate in modo irreversibile e inserite nella dinamica del sistema senza che ne venga verificata la vitalità a lungo termine, mentre i cambiamenti necessari vengono ostacolati dal nucleo degli individui conservatori senza alcuna garanzia che siano proprio quelli i cambiamenti da ostacolare.
Il benessere e il disagio dell’individuo diventano gli unici criteri di scelta del cambiamento sociale, e la fondamentale differenza di tipo logico tra elemento e categoria viene dimenticata finché la nuova situazione non genera (inevitabilmente) nuovi disagi. La paura della morte individuale e del dolore fanno apparire ‘positiva’ l’eliminazione delle malattie epidemiche, e solo dopo cent’anni di medicina preventiva scopriamo che la popolazione è aumentata troppo. E così via.
L’obsolescenza non deve essere evitata semplicemente accelerando il cambiamento della struttura, né può essere evitata semplicemente rallentando i cambiamenti funzionali. È chiaro che non vanno bene né un conservatorismo assoluto né un’assoluta brama di cambiamento. Una combinazione antagonistica dei due abiti mentali sarebbe forse migliore di entrambi presi da soli [………] “

Gregory Bateson ,“Mind and Nature. A Necessary Unity” (1979) (Mente e natura. Un'unità necessaria, Adelphi, Milano,1984. pag. 295)

saluti
Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, io, grossolanamente, riassumerei quanto più scientificamente scritto da Bateson in questo modo: è dal conflitto che nasce la conoscenza e il progresso.
Il conflitto può assumere molti nomi e molte facce: tesi-antitesi, scontro di opinioni e di convinzioni, visioni del mondo diverse, ecc.
Io credo che non serva a nessuno essere per forza d'accordo e per questo (oltre naturalmente all'imprescindibile apporto caratteriale di ognuno)mi dichiaro e mi comporto da fazioso: se le posizioni non sono chiaramente espresse si cade nell'equivoco, nel generico, nel "volemose bene", ma non si fa un passo avanti.
Io, Master e robert possiamo anche dire che siamo d'accordo ma non è così, non lo siamo affatto, nessuno con nessuno, ed è cosa naturale (come scritto da te) ed anche utile a progredire e, a mio parere anche "bella" e rispettosa delle sensibilità di ognuno di noi.
Purtroppo nel nostro paese per anni siamo andati avanti col "volemose bene", in ogni campo, soprattutto politico ma anche culturale: emarginato qualche dissenziente, tutti gli altri sotto un presunto e coatto pensiero unico. Il risultato è una cultura non autonoma dal potere, anzi asservita al potere (gli appelli dei nostri "intellettuali" non sono fenomeno di libertà ma dimostrazione di quell'asservimento).
Poi è successo qualcosa e quell'equilibrio si è rotto, finalmente.
Adesso occorre solo che ad un pensiero unico, ad un conformismo, non se ne sostituisca un altro ma, francamente, mi sembra l'ultimo dei pericoli.
Ciao
Piero

Anonimo ha detto...

biz, guarda che se non te sei accorto sian già dominati dalla tecnica se, come afferma severino, è "un coordinamento di mezzi in vista di un fine". non dirmi che non viviamo tutti o quasi non per l'obiettivo in se ma per approntare e portare alla perfezione tutti i mezzi per poterlo ottenere. questo succede nella vita di tutti i giorni dove ti vengono chieste prestazioni e dove vi sono pure esperti che si occupano delle performance delle persone. in qualsiasi studio di architettura ormai buona parte del tempo non è dedicato alla progettazione in se ma a come ottenere il progetto: organizzazione delle persone, dei collaboratori, dei software (persino vi sono software predisposti alla gestione di altri software) dei tempi ecc ecc. senza citare il cad ove spesso e volentieri perdi tempo non per progettare ma per capire come usare lo strumento per poter progettare. ormai nella tecnica ci siamo completamente immersi e non è semplicemente nascondendola o fingendo di non vederla che si possa dominarla.

per quanto riguarda dibattito conservatori/progressiti penso che il pensiero unico lo veda solo pietro. sarà che architettonicamente mi sento di "centro" ma non lo vedo proprio.

robert

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