Pietro Pagliardini
Esco dall’autostrada e seguo le indicazioni per il centro-città. In un intrigo di rotatorie mi infilo in una strada che sembra essere quella giusta. Ai lati vedo qualche azienda agricola semi-abbandonata, case di abitazioni non rifinite esternamente, qualche capannone con il fronte lungo strada vetrato che mostra mobili e lampadari. Passando velocemente si riesce a percepire che dietro il fronte pieno di insegne e cartelli, a suo modo sfavillante, si nasconde un edificio vecchio e fatiscente, il più delle volte privo di parcheggi.
Continuo e incontro gruppi di case che mostrano qualche pretesa architettonica ma tra un gruppo e un altro ci sono campi abbandonati o mal coltivati. Attraverso un piccolo aggregato dall'edilizia modesta ma più strutturato: una chiesa con uno slargo sulla strada a mò di sacrato, un bar-edicola-tabacchi, qualche casa raccolta intorno.
Altri campi, un campo con auto usate, altri campi ancora, un distributore di benzina, un deposito di camion con accanto materiali edili, qualche edificio in linea, parallelepipedi senza tetto dall’intonaco degradato, forse di edilizia pubblica, un albergo-ristorante con il pranzo a prezzo fisso.
Altri campi. Una zona industriale più recente, capannoni prefabbricati in cemento, pannelli orizzontali e finestre a nastro; nonostante tutto c’è più ordine.
Un ipermercato, non faccio il nome per non fare pubblicità, con una enorme insegna pubblicitaria sul fronte; subito dopo colpisce l’enorme spazio del parcheggio. Proseguendo intravedo, oltre un cancello, un lungo viale alberato in fondo al quale c’è una bella villa antica dalle finestre sbarrate.
La strada è costellata di insegne pubblicitarie e di segnaletica, senza la quale difficilmente se ne verrebbe a capo. E’ infatti impossibile riuscire a leggere segni che facciano presumere, intuire l’approssimarsi del centro. Arriverà la città o sarà tutta in questo modo?
Poi la strada si fa alberata, compaiono fasce di verde laterali che hanno il sapore di progettato e intorno edifici alti tutti disposti a pettine, ordinati ma sgradevoli. Questo è sicuramente un PEEP. Sul lato opposto un altro quartiere residenziale con villette singole e case a schiera. Non si riesce, scorrendo velocemente in auto, a decifrarne l’ordine, ammesso che ci sia.
La strada che percorro non ha connessioni con l’abitato. E’ una linea di confine che divide due mondi vicini ma separati. Ogni casa ha il suo giardino davanti e dietro. In molte di esse si è persa la percezione del rigoroso disegno originario sotto l’aggiunta di tende, gazebo, logge chiuse con vetrate, tetti dove c’erano coperture piane, aggiunte di garage in legno o lamiera. La vita ha, insomma, ripreso il sopravvento.
Qua è là si vedono resti di vecchi edifici abbandonati: un’abitazione cadente, un magazzino con tetto in eternit.
Finalmente entro in città e si comincia ad intuire, dalle dimensioni delle strade, dai negozi e dall’importanza degli edifici che vi affacciano, l’approssimarsi del centro, ma la segnaletica comanda ancora, a causa degli assurdi giri cui costringono i sensi unici che fanno perdere l’orientamento.
Non sono un buon narratore ma ho solo inteso dare un’impressione della varietà di situazioni che esistono nella fascia di transizione tra la campagna e la città.
Ho detto fascia ma il termine non è corretto perché fascia potrebbe far pensare ad una forma geometrica, a qualcosa di ordinato, regolare, definito ma non è quasi mai così, è piuttosto una vasta area a nastro sfilacciato lungo le strade, con ampie propaggini laterali, molte delle quali si saldano con frazioni a aggregati pre-esistenti, inglobandoli e rendendoli indistinti.
Questa zona è non-città e non-campagna, un po’ zona commerciale, un po’ produttiva, magari dismessa, un po’ residenza, ogni parte disconnessa dall'altra. Non vi è alcuna possibilità di pedonabilità e l’unica mobilità possibile è quella dell’automobile, al massimo qualche mezzo pubblico. Molte sono aree predestinate a futura edificazione ma che, con quelle pre-esistenze, difficilmente potrebbero essere integrate in un coerente disegno urbano.
Ebbene, queste aree peri-urbane, sono il territorio su cui potrebbe operare il nuovo disegno di legge del governo, su cui, incredibilmente, alcuni architetti di fama (alcuni……tre) forse per cercarne altra, hanno gridato allo scandalo, firmando un malinconico appello al “sussulto civile delle coscienze”, manco fosse l’8 settembre.
Molti però, evidentemente più accorti, attendono e qualcuno invece, come Stefano Boeri, non ha aderito all’appello e ha spiegato il perché sulla Stampa, dichairandosi in parte favorevole alla legge, pur avanzando alcune perplessità.
Io credo che la proposta abbia potenzialità grandi e sia la scelta giusta al momento giusto.
Prima di tutto va detto, paradossalmente, che, nel merito, non c’è nessuna novità sconvolgente: vi sono già casi di ampliamenti una tantum e vi sono casi, ad esempio nella mia città, in cui si daranno premi volumetrici a chi abbatterà edifici impropri per ricostruirli ex-novo e altrettanto leggo si sta facendo a Milano.
Quindi dove sta lo scandalo?
Lo scandalo c’è, eccome se c’è, e risiede nel fatto che questi premi, così come si presentano al momento, non sono “contrattati” dai cittadini né “mediati” da politici, architetti e tecnici comunali, ma diventano un “diritto” di quella sterminata massa di cittadini proprietari di una casa i quali, ogni volta che hanno il bisogno, o il desiderio, di ampliare per sé o per propri figli devono “sperare” che qualcuno si prenda a cuore il problema, devono fare domande, andare ad assemblee pubbliche, chiedere, pietire, protestare, rivolgersi al politico o all’amico, all’architetto o al geometra influente in comune, insomma devono comportarsi come sudditi verso il sovrano ed in più sopportare anche il moralismo di sentirsi dire che costruire è male, che occorre verificare le compatibilità, ecc. ecc. E quelli vogliono solo un paio di stanze.
Alla fine forse ce la faranno ma solo dopo anni, quando i figli se saranno andati in una nuova casa e loro saranno rimasti in due in una casa diventata troppo grande; e dopo avere allontanato del tutto il cittadino dalle istituzioni, viste giustamente come un nemico da fregare alla prima occasione con un bell’abuso edilizio.
Oggi questo potrebbe, dico potrebbe, finire e da qui nasce lo sconcerto di alcuni.
Ma l’altro merito, più propriamente culturale, sta nell’aver portato all’attenzione degli architetti, degli urbanisti e del mondo della cultura in genere un problema (offrendo uno strumento per l’inizio della soluzione) come quello del rinnovamento urbano di aree degradate come quelle da me malamente descritte all’inizio ed anche di altre, ovviamente.
Poter ridefinire i limiti della città, poter ridare un’immagine compatta e leggibile alla città nel suo complesso, riuscire a distinguere tra città e campagna potrebbe essere possibile con il metodo della demolizione e della ricostruzione con un disegno urbano appena decente e, aggiungo io, orientato all’urbanistica della strada e dell’isolato, della connessione e delle reti.
Potrebbe esser possibile dare inizio ad una vera politica ambientale non andando ad occupare nuovo territorio agricolo o comunque libero da costruzioni, fermare l’espansione delle aree urbanizzate mediante la “densificazione” della città, cioè far crescere la città entro se stessa.
E’ vero, se ne parlava nei vari comuni e nelle regioni anche prima dell’attuale proposta di legge, ma vogliamo mettere la forza di un messaggio nazionale rispetto alle cerchie ristrette e spesso incomunicabili delle nostre migliaia di comuni?
Questa proposta ha dato la possibilità, dopo anni di silenzio, di riportare al centro del dibattito politico l’urbanistica ed è una proposta che sta dalla parte della città e dei cittadini.
Spetta ora agli architetti saper cogliere la sfida e trovare l’energia per riuscire a cogliere il buono che c’è.
Se non lo faranno, se , a parte gli eccessi delle solite prefiche, si limiteranno a guardare con una certa aria di sufficienza, allora tutto rimarrà come adesso.
Se faranno sentire la loro voce con proposte che sappiano individuare strategie democratiche e non trucchi per riprendersi il potere, anche le Regioni contrarie, e si sa quali siano, dovranno ascoltare.
Altrimenti è possibile che tutto si risolva con qualche intervento di tipo esclusivamente speculativo.
Ma dopo non vorrei sentire il solito lamento sulla cementificazione, sul potere del mattone, sulla cattiva politica.
Questa proposta ha dato agli architetti e agli urbanisti una responsabilità: speriamo di esserne all’altezza.
NOTE:
La proposta di legge non avrà un effetto operativo immediato, anche nel momento in cui verrà approvata, essendo una legge cornice, un indirizzo, una possibilità di cui le Regioni, che hanno competenza in materia urbanistica, potranno approffittare in tutto, in parte o, addirittura, non farne uso.
Le immagini tratte da Virtual Earth di Microsoftsono solo illustrative di aree peri-urbane e non direttamente correlate allo scritto.
11 marzo 2009
DALLA PARTE DELLA CITTA’ E DEI CITTADINI
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5 commenti:
Voglio aspettare il decreto prima di dare un giudizio vero e proprio.
In ogni caso, mi pare prematuro sia parlare di "cementificazione", ma sia, ancor di più attribuirgli intenti urbanisticamente nobili.
Biz, io parlo di potenziali effetti positivi della proposta, non faccio il processo per sapere se lo spirito sia nobili o un pò "belluino" come dice Ripa di Meana stamani sul Foglio (pur però non dicendo no alla proposta). E questo per la demolizione e ricostruzione.
Per quanto riguarda l'ampliamento del 20% senza distinzioni invece mi sembra proprio nobile perché è dalla parte dei cittadini che non sono sudditi nè biechi speculatori.
Un potere pubblico che demonizza le istanze più semplici dei propri amministrati non è nè democratico nè rispettoso dell'ambiente, è solo un potere autoritario.
Comunque staremo a vedere.
Vedo che in giro anche tra gli architetti c'è una certa attenzione. Molti attendono.
Io credo, ma no, diciamolo, sono sicuro che molta diffidenza sia dovuta al fatto che dispiace ammettere che sia proprio un governo di centro-destra a fare una legge così semplice e così popolare. Ma potrei sbagliarmi.
Ciao
Piero
Biz, aggiungo una precisazione: avrai notato che evito accuratamente di ondicare il Governo con il nome del suo Presidente del Consiglio.
Credo che in questa situazione molti, di molte parti, farebbero bene a utilizzare questo sistema, perché è più corretto (la nostra Presidenza del Consiglio non è la Presidenza degli USA e nemmeno quella francese) e perché contribuirebbe a spersonalizzare, con conseguente disintossicazione del dibattito politico.
Saluti
Piero
Saluti Pietro... Non ho letto le motivazioni di quei tre che gridano allo scandalo... ne cosa dice Boeri... ho ascoltato Sgarbi alla tv (non so' quando valga questo!) che dice che: visto che di danni ne fanno un sacco le pubbliche amministrazioni, allora che male può fare il privato ad ampliare... Non so, e che così di primo acchitto penso che una cosa così semplice manda a quel paese molte delle "tecniche" di pianificazione territoriale... quelle degli standards, ecc... (non è che in effetti abbiamo prodotto chissache!)... Però ragionando, sono proprio in aree "dismesse" nè carne ne pesce, o agendo sulla modificazione (processo lento) della città storica, ove avrebbe senso un libero diritto percentuale ad aumentare (legare) il proprio spazio. D'altro canto bisognerebbe contrarre almeno un po' tutte quelle aree di espansione troppo spesso speculative e sicuramnente genranti quei paesaggi che nel tuo racconto descrivi...
! marco+
marco+, non è che io sia sicuro dei risultati della proposta, che tra l'altro ancora non è ufficiale.
Dico però che permettere alle casette (e se c'è anche qualche villa pazienza, non mi interessa l'invidia sociale) di ampliare una stanza, di questo si tratta, mi sembra una cosa talmente giusta, corretta e scontata che gridare allo scandalo fa semplicemente sorridere. Che male farà una stanza in più per ogni casa singola al territorio? Semmai farà risparmiare qualche casa nuova.
La demolizione e ricostruzione con incremento volumetrico mi sembra invece una opportunità da cogliere ma è chiaro che spetta alle Regioni prima e poi ai comuni saperla utilizzare. Continuo a non capire dove stia lo scandalo: io ti dò una possibilità, la vuoi usare, bene, non la vuoi usare, affari tuoi! La vuoi usare in modo virtuoso, bene, la vuoi usare per fare schifezze, affari tuoi.
Insomma, ognuno si prenda le sue responsabilità.
Io mi auguro che venga utilizzata come ho detto, cioè per rendere più densa la città esistente e per risanare le periferie e le fasce periurbane.
Non nego, poi, che a me piace l'approccio da "poche chiacchiere pianificatorie", visto che con tutta la pianificazione che ci ritroviamo il nostro territorio è devastato.
Può andare peggio di così?
Davvero non riesco a trovare controindicazioni e, tra l'altro, a parte qualche Cassandra, ho sentito più imbarazzato silenzio che proteste. Imbarazzato perché molti sanno che è una proposta intelligente ma non lo dicono per non passare da cementificatori e filo-governativi.
Saluti
Pietro
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