Ettore Maria Mazzola
Professor of Urbanism and Architecture
The University of Notre Dame
School of Architecture Rome Studies
Il recente post di Pietro Pagliardini sul costruendo “grattacielino” di Arezzo mi ha riportato alla memoria un attualissimo articolo pubblicato dal grande (e quasi ignorato) Gustavo Giovannoni sul Fascicolo V-VI di Architettura e Arti Decorative nel lontano 1927. Il titolo del suo saggio era INTORNO AGLI SKYSCRAPERS.
Purtroppo i “tradizionalisti” non beneficiavano di un appoggio mediatico come quello della stampa supportata dall’industria, sicché la rivista Architettura e Arti Decorative (fino a quando non è stata sospesa nel ’31) era l’unica che continuava a pubblicare progetti tradizionali, pur aprendosi ad articoli che parlavano la lingua antagonista. Non altrettanto accadeva con le varie Casabella, La Nuova Architettura, o Moderne Bauformen, le quali non solo non si mostravano pluraliste, ma addirittura attaccavano i progetti dell’ICP di Roma con frasi quali “Creature del Ridicolo” e “progetti che sembrano disegnati da Borromini per un Cardinale piuttosto che case per i ceti popolari”. Il 1927 vide la prima grande sconfitta per i “conservatori” romani, con un concorso organizzato alla Garbatella per delle imprese, e non per gli architetti; concorso per i quale gli architetti erano stati scelti a priori dalle ditte in modo da realizzare un gruppo di casette modello di stampo razionalista. Di lì a breve le cose andarono sempre peggio per i “tradizionalisti”.
Oggi, alla luce del disastro socio-urbanistico-architettonico del “modernismo” (o International Style che dir si voglia), sarebbe il caso di rispolverare i libri e le pubblicazioni di quell’epoca, al fine di riscoprire le conquiste teoriche e pratiche che si erano raggiunte. Questa “riscoperta” ci potrebbe aiutare a non ripetere gli errori del passato, e a ripartire dal momento in cui ci siamo “distratti”, o addormentati, nel sogno di un futuro fantastico, che la realtà ci ha mostrato non essere proprio come lo si era immaginato.
Con questo articolo voglio ricordare le parole profetiche di Giovannoni “intorno agli sky-scrapers”, e penso che oggi più che mai sia utile rispolverarle. Chissà mai che aiutassero ad evitare i grattaceli di Milano e quello che spaventa il caro Pagliardini?
Eccovi dunque il testo integrale del Giovannoni:
INTORNO AGLI SKYSCRAPERS
di Gustavo Giovannoni
Spesso nei fascicoli di questa Rivista, ed in particolare nei numeri dell’ultimo anno col bel progetto del Palanti pel così detto “Eternale”, abbiamo pubblicato disegni e notizie su grandi grattacieli ideati o costruiti; e pensiamo di non aver fatto cosa sgradita ai lettori.
Queste grandi mole americane rappresentano infatti uno dei temi più interessanti e vivi nella moderna costruzione, sia nei riguardi tecnici, pei quali possono dirsi una mirabile conquista dello spazio ottenuta con una sapiente organizzazione della scienza e della meccanica pratica, sia in quelli architettonici, poichè sono forse questi gli unici edifici che abbiano saputo raggiungere decisamente uno stile; specialmente nei più recenti esempi, in cui la fabbrica, spogliatasi ormai della inadeguata ed inorganica veste di ordini e di cornici classiche, si presenta con semplici linee e trae dalle grandi masse i suoi effetti.
Ma ormai la questione dei grattacieli si avvia anche tra noi a quesiti contingenti, perchè la moda (artificiosa come tutte le mode) tende dalle città americane, che fanno quasi una gara di fabbriche sempre più alte, ad estendersi alle nostre vecchie città europee; non tanto perchè se ne senta il bisogno, ma perchè spesso da noi, un po’ provincialescamente, si guarda oltre oceano per avere la nota della “strenuous life”. E su questa possibilità d’importazione sarà forse opportuno esprimere fin d’ora qualche pensiero.
S’incontreranno vivacemente in tali quesiti i due eterni argomenti di discussione sulla nostra Architettura: cioè la necessità da un lato di trovare espressioni adatte ai moderni temi, ai tipi di costruzione, alle esigenze attuali, e dall’altro il rispetto al carattere dato dall’ambiente architettonico ed edilizio, pel quale nelle vecchie città il passato diventa energia presente nello stabilire rapporti e forme e misure. E, senza fin d’ora voler concludere con una formula assoluta d’intolleranza, credo che occorrerà pensarci bene prima di ammettere che tra le cupole romane od i palazzi di Firenze o di Venezia si allunghi la grande massa invadente degli edifici a 50 piani.
Ma l’osservazione prima e fondamentale che mi sembra opportuno riassumere per sfatare un pregiudizio diffuso è questa: Lo skyscraper non è un monumento e non va considerato coi criteri dell’architettura astratta, come una piramide od una cupola od un arco trionfale, ma rientra nella categoria dell’architettura pratica, modesta e spicciola nella realizzazione dei suoi scopi edilizi e finanziari, anche quando si svolge in masse imponenti. Ed il suo aspetto infatti dà appunto, logicamente, tale impressione. Forse a chi vede soltanto i disegni, in cui la sapiente grafica architettonica (fatta spesso per falsare anzichè per rendere onestamente il vero) attenua le finestre o le confonde con toni chiari della parete, l’edificio sembra trasformato in una grande e massiccia torre babilonense, ovvero in una selva di pilastri verticali che si perdono nelle nuvole; ma la realtà riporta a lor posto i valori dei pieni e dei vuoti, cancella ogni elemento decorativo, e restituisce la massa al tipo di un “alveare” costituito da tante cellule geometriche tutte uguali tra di loro.
Orbene in questo campo dell’architettura pratica, la prima revisione deve essere quella delle ragioni concrete a cui l’opera risponde. Ed allora che ne risulta? Che tali ragioni rappresentano non un progresso, ma un regresso nella vita civile, un assurdo più ancora che un errore nei riguardi dell’igiene, della viabilità cittadina, dell’economia edilizia. Gli skyscrapers rendono infatti pessime le condizioni di illuminazione degli edifici prossimi e di insolazione delle vie; negli ambienti interni, per la serrata utilizzazinoe dello spazio e la esclusione dei cortili, rendono nulla la ventilazione naturale; col concentrare forti nuclei di popolazione e di traffico congestionano sempre più il movimento delle strade e nei quartieri; costano infine enormemente, cioè almeno 5 o 6 volte al mc. in più della costruzione ordinaria, perchè sulle loro gambe d’acciaio si accumula il peso non necessario, della grande altezza, e pertanto recano un inutile sperpero di denaro....
L’adozione degli skyscrapers nel Nord-America, per un fatto edilizio non dissimile, pur in ben differenti proporzioni, a quello che vide sorgere le insulae nell’antica Roma, deriva, a veder bene, da quei grandi errori edilizi che son stati i piani regolatori, tanto inferiori agli europei, delle città americane. Se Chicago ha veduto sorgere, col Tacoma Building ed il tempio massonico, i primi skyscrapers, questi hanno preso poi cittadinanza specialmente in New York nei quartieri costituenti la City: quartieri stretti tra l’Hudson, l’East River ed il mare, mal serviti da vie tutte regolarmente uguali e quindi tutte insufficienti; sicchè ogni sviluppo è dovuto avvenire in altezza anzichè in superficie. Poi nelle altre città americane è avvenuta la imitazione, e l’elemento economico è intervenuto a sospingerlo, non tanto pel ripetersi di analoghe condizioni edilizie, quanto pel determinarsi di questo paradosso: La tolleranza dei regolamenti edilizi per le case altissime, espressione di un individualismo esagerato e dannoso, ha fatto crescere a dismisura il valore delle aree fabbricative, cioè il valore potenziale che è in diretto rapporto con la capacità di reddito ed ha così creato la convenienza artificiosa.
Possono dunque definirsi gli skyscrapers come una interessantissima ed ingegnosissima anomalia patologica della edilizia moderna, che certo dovrà essere sorpassata e posta tra gli errori inutili quando i mezzi di comunicazione avranno compiuto il loro ciclo di sviluppo e consentiranno un rapido decentramento dei nuclei cittadini verso la campagna. Ce n’è abbastanza, senza entrare nel dibattito tra la meraviglia che destano e la disarmonia che possono creare, per dichiararli ospiti “non desiderabili”.
Queste considerazioni dunque si oppongono al preconcetto, troppo frequentemente invalso, che tutto ciò che si produce nella moderna tecnica edilizia sia razionale ed opportuno e debba accettarsi come il portato di una civiltà dominante al cui progresso è vano opporsi; preconcetto che fa il contrapposto all’altro che vede tutto bello in quello che ha prodotto il passato...
La conclusione pratica è che in ogni caso, se mai, la moda e l’interesse dovessero condurre queste nuove espressioni edilizie - quasi cristallizzazioni geometriche di esigenze mal intese - nelle vecchie città europee, occorrerebbe tenerle nettamente distinte dall’ambiente edilizio ivi già costituito.
Un quartiere di sky-scrapers può essere assurdo praticamente, ma ha, come si è detto, il suo stile. Quando questo si inserisce nello stile di una città, nel suo sottile profilo frastagliato fatto di piccole unità e di grandi monumenti, la disarmonia è evidente ed insanabile.
Nel numero di Aprile 1926 del Wasmusth’s Monathefte, è un interessante resoconto di un concorso bandito a Colonia per un enorme grattanuvole da costruirsi allo sbocco del ponte sul Reno in prossimità delle ardite guglie del duomo; ed il tema, arduo, non ha scoraggiato i concorrenti che sono circa 450! Ma i bozzetti prospettici dei progetti migliori mostrano il contrasto insanabile tra la linea frastagliata della vecchia città culminante nelle cuspidi sottili e la massa parallelepipeda, traforata con regolarità geometrica da finestre dei piani equidistanti, e provano così ancora una volta la necessità dello sdoppiamento tra ambiente nuovo ed ambiente vecchio.
Gli unici bozzetti che siano tollerabili, almeno nel disegno compiacente che rende le masse piene, sono quelli in cui con una specie di mimetismo irrazionale si simulano schemi che rientrano nelle nostre concezioni acquisite: una torre, un insieme di costruzioni addossate che sembrano accavallate su di una collina...
Pregiudizi? Certo. Ma quando si esca dagli elementi fisiologici del colore e del suono, di pregiudizi è fatto tutto il nostro senso estetico; e l’armonia nelle proporzioni ne è la norma principale, ed i rapporti col significato ne rappresentano la principale sua relazione con la vita reale.
Nessuno può dirci come questi pregiudizi si orienteranno, come si comporranno nell’avvenire. Intanto è elementare dovere far prevalere il concetto dell’ambiente, cioè le ragioni di un’architettura edilizia già costituita a quelle dell’architettura individuale che forma l’esterno secondo lo schema interno, logico o no, dell’edificio. A ciascuno dei due concetti il proprio diverso campo. G.G.
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