Pietro Pagliardini
Ma è compito di una legge urbanistica stabilire i principi, qualunque essi siano, che devono guidare la disciplina urbanistica oppure dovrebbe limitarsi a fissare le regole e le procedure che permettano una gestione limpida, efficiente, rispettosa dei diritti di tutte le parti, democratica nella sua approvazione, chiara nel fissare ruoli e responsabilità e il meno interpretabile possibile?
Me lo domando ben sapendo la difficoltà di dare una risposta univoca. Non è un caso se Francesco Finotto, che ho già citato altre volte (1), scrive: "In che cosa consiste l'urbanistica moderna? Nella possibilità di condurre una pratica premoderna in una società moderna. Di fare una politica premoderna in età moderna" (2).
Me lo domando perché leggendo quella della mia regione, la Toscana, ma anche le varie proposte nazionali o le varie idee che circolano, non posso fare a meno di pensare che se lo stesso metodo fosse applicato ad altre leggi potremmo dire, con certezza, di appartenere ad uno stato di tipo etico. Uno stato cioè che determina una morale, un comportamento da seguire, uno stato che decide cosa è buono o cattivo per i cittadini, che non lascia spazio alla libertà dei singoli e delle comunità locali, pur nel rispetto, è ovvio, di poche priorità sovraordinate cui tutti devono necessariamente soggiacere.
Se immagino una legge per il cinema che dicesse che i film devono essere ispirati alla rappresentazione di una nazione felice, di un popolo italiano dedito al bene comune, di sentimenti che possano ispirare i giovani ad una sana visione della vita e che li porti ad atti di generosità verso il prossimo, pur potendo esser anche d’accordo su alcuni di questi principi mi preoccuperei molto e non credo che sarei l’unico a farlo. Ebbene la legge urbanistica toscana indica, e in misura sempre crescente con le numerose varianti, principi analoghi a quelli da me portati ad esempio, naturalmente trasferiti dal corpo sociale al territorio.
E’ davvero inevitabile che, almeno in parte, debba essere questa la forma e la sostanza di una legge urbanistica per il fatto che il nostro ambiente naturale e artificiale è quello che si chiama con retorica espressione “bene comune” e quindi, appartenendo a tutti, richiede una normativa con regole stringenti e con inevitabili indirizzi comuni tali da limitare in vario grado la libertà di ognuno, per garantirne il libero godimento da parte di ciascuno? In fondo, anche il Codice Civile fissa, nel campo delle costruzioni, regole limitative della libertà dei singoli per questo medesimo scopo.
La difficoltà consiste nel saper determinare il giusto punto di equilibrio per non scavalcare il confine del soffocamento della libertà, individuale e collettiva, cioè delle varie comunità locali, e trasformarsi quindi in leggi che configurano uno stato etico e illiberale.
Volendo immaginare una situazione ideale, che in quanto tale rischia di essere irrealistica se non utopica, le scelte su città e territorio dovrebbero essere lasciate al “libero mercato” della cultura, al contradditorio tra idee diverse tra le quali poi una potrebbe o dovrebbe prevalere, non necessariamente in modo omogeneo ovunque ma comunque a carattere dominante, lasciando alla legge, eventualmente, il compito di assecondare e seguire, non imporre e precedere, le scelte maturate dal dibattito culturale e politico della società. Se questa è una visione ideale probabilmente irraggiungibile se non in astratto, credo che dovrebbe essere tuttavia una traccia di percorso cui ispirarsi.
Ma, come ci ricorda Marco Romano in un libro che uscirà alla fine del mese e recensito in un articolo de Il Giornale dal significativo titolo Vogliamo libera casa in libero stato: “tanto più i cittadini sono lasciati liberi di costruire quanto più esprimono il loro essere cittadini; il possesso della casa, la possibilità di trasformarla, ampliarla, decorarla, cambiarla del tutto, di averne anche altre per le vacanze, è la base della nostra cittadinanza, che si sviluppa nella città; se invece lo Stato, come ha fatto nel '900 e come fa oggi, reprime questa libertà di costruire con forzose norme edilizie, pianificazioni urbanistiche, costrizioni estetiche, estenuanti procedure e controlli, i cittadini sono come sospinti a trasgredire la legge”.
Questa semplice verità rivoluzionaria, sicuramente contestata dai più dell’establishment urbanistico, ma anche dal corpo degli architetti che si ritengono dispensatori di cultura a quegli ignoranti dei cittadini, sposta però il discorso dal mondo della cultura a quello ben più reale e corposo dei cittadini stessi, che dovrebbero essere i veri soggetti delle trasformazioni della città. Questa verità rivoluzionaria mette alle corde il modo che noi architetti abbiamo di considerare la nostra professione. Ci prende a schiaffi, non perché siamo inutili ma perché ci riteniamo essenziali. E non lo siamo. Siamo utilissimi al servizio dei bisogni espressi dai cittadini. A maggior ragione, come possono un consiglio regionale e un pletorico dipartimento di burocrati regionali arroccati ai piani alti di brutte torri fiorentine, stabilire cosa sia giusto o sbagliato per tutto il territorio e quindi per tutti i cittadini, visto che non esiste territorio o città senza di essi?
Eppure il “bene comune” richiede qualche regola. Esattamente come un condominio non può andare avanti senza norme che diano certezza su ciò che è possibile fare e con quali procedure e a quali condizioni sia possibile farlo.
Ma anche le leggi sul condominio non dicono che è necessaria la solidarietà tra condomini, o che incontrando un vicino di pianerottolo lo si debba salutare con un sorriso. Non ci insegnano insomma comportamenti che non superino la soglia oltre la quale creiamo un danno ai condomini.
Le leggi della mia regione ci vogliono insegnare invece proprio questo e anche molto di più e di peggio di questo. Sono infarcite di retorica ambientale e sono scritte con linguaggio indecifrabile ai più e soprattutto agli attori principali del processo, cioè i cittadini.
E’ necessario che il di più, il molto di più sia eliminato, oltre che il tutto sia semplificato, di molto semplificato. E’ necessario che chi pensa le leggi e chi le scrive immagini, ogni tanto, che esse sono scritte per persone e non per politici o burocrati affinchè le possano poi portare ai convegni con lo stesso orgoglio con cui un cacciatore mostra la sua preda. E’ necessario ridurre l’influenza delle idee di pochi sulla vita di tutti.
Note:
1) Pratiche premoderne nell'urbanistica, blog De Architectura
2) Francesco Finotto, La città aperta, Saggi Marsilio 2001
10 marzo 2013
URBANISTICA DA STATO ETICO
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4 commenti:
Perdona Pietro, non capisco. Se leggo bene, Romano ci sta dicendo che nel momento in cui ognuno di noi abbia a disposizione una proprietà fondiaria, egli deve poter liberamente costruire la propria abitazione. Negare la necessità di pianificazione urbanistica é questo.
Ma pianificazione urbanistica, retorica ambientalista e VAS (demenziali) a parte, é anche rispetto per vincoli "oggettivi" del territorio (geologici, sismici, ecologici, biologici) e delle sue risorse (acqua, inerti, ...). Proprio non riesco a immaginare un'Italia migliore, un paesaggio migliore (di quello già devastato attualmente!) abolendo la pianificazione e le sue, per quanto astruse e spesso idiote, regole.
Paolo, intanto diciamo che il libro di Romano non è uscito e non lo conosciamo e fermiamoci quindi a quanto riportato nell'articolo. E' ovvio però che io propendo ad interpretarlo in modo positivo, perchè è venuto a toccare una corda che già c'era. Quindi è quasi meglio discutere dell'idea prescindendo da Romano.
Vorrei cominciare con una premessa: se tu guardi le borgate abusive romane del dopo guerra, o meglio quelle che ne resta dopo il condono e le trasformazioni edilizie effettuate, potrai osservare che alla scala del disegno urbanistico, trascurando cioè il dettaglio e l'edilizia, queste sono vere e proprie città strutturate secondo leggi che la nostra pianificazione praticamente non conosce più. La rete stradale è leggibile, continua, gerarchizzata e segue pure alcuni elementi naturali presenti, per ovvi motivi: costa meno adattarsi alla morfologia che trasformarla. Questo dimostra la capacità naturale che ha la gente di costruire, quando èp libera, senza bisogno di nessuno e meglio degli architetti stessi. Il fenomeno è noto anche nelle favelas. Tu poni il problema di un paesaggio migliore ma il tema è qui di una democrazia migliore. Al centro del paesaggio c'è il cittadino e la sua famiglia, i suoi bisogni, le sue necessità. Non stiamo parlando di grandi interventi immobiliari, stiamo parlando di gente che si fa la propria casa che, come sostiene l'amico Architetto Grifoni, non appartiene al luogo dell'urbanistica. Fare o ampliare la propria casa non è urbanistica, è una necessità e un diritto primario e naturale dell'uomo che non deve essere sottoposto alle vessazioni attuali. Parlare di questo è prima di tutto parlare di politica, quella vera. Non credo che Romano, ma certamente non io e nemmeno Grifoni, sostenga: fate quello che volete dove volete. Ma, una volta stabilito il dove, fate quanto vi serve e quanto basta. Stai certo che la libertà farà fare il necessario e non il superfluo. E anche se di abitazioni ne facesse due, una per sè e una per i propri figli, vorrei capire dove sta il problema, vorrei capire che speculazione edilizia sarebbe.
Io prendo queste frasi di Marco Romano come un invito a riportare il dibattito alla realtà delle persone contro l'astrattezza della politica, quella non vera. Astrattezza che però diventa concreta violenza sul cittadino quando questi è costretto a pagare cinque o sei professionisti per un ampliamento strimizzito che costa più di una casa, quando è costretto a fare ampliamenti a fasi successivi, con doppi costi, per aggirare le norme, quando è costretto a diventare abusivo nella forma, se non nella sostanza, per ottenere solo in parte ciò di cui ha bisogno.
D'altra parte gli architetti rivendicano sempre il diritto di progettare liberamente, il diritto di espressione ma io preferisco di gran lunga il diritto dei cittadini di fare la propria casa nella massima libertà possibile. Vedrai che vengono più belle di quelle degli architetti
Ciao
Pietro
E' un tema antico. La legittimità della libertà del singolo diventa elemento di preoccupazione in quanti, incapaci di esercizio autorevole, individuano strumenti di controllo autoritario. La necessità di regolare puntualmente anche il moto naturale delle cose, si avvale di un apparato burocratico gigantesco e strutturato che, in un continuo scambio di cortesie, aiuta a formare il moderno apparato. Una falange macedone. IO sono il garante e strenuo difensore della tua libertà e, pertanto, IO ti dico cosa devi fare, come lo devi fare, dove lo devi fare, quanto lo devi fare e, sempre a garanzia della tua libertà, se lo devi fare. Questa tua libertà IO la devo difendere a tutti i costi, perchè stiamo parlando della tua libertà, da chi, reazionario, insinua biecamente sul nostro amorevole impegno. IO sono la tua garanzia e lo dimostro impedendo ai nemici del popolo di costruire sui letti dei fiumi e senza le più elementari norme di sicurezza. IO, sempre IO, solamente IO.
http://www.youtube.com/watch?v...
Capisco ciò che intendi, ma non credo si possano confrontare le costruzioni abusive di Roma nel dopoguerra con la situazione attuale, questo perché nel frattempo c'è stata la motorizzazione di massa e internet, non c'è più la necessità della vicinanza. io credo che senza regole avremmo uno sprawl all'americana, ma non organizzato, perlomeno fuori dai grossi centri. Certo la legislazione di oggi è quanto di peggio possa esistere
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