Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


30 luglio 2012

LA MORTE DELLA CULTURA URBANA

Si può sempre apprendere qualcosa da altri popoli, da altri gruppi e farlo proprio, ma ogni sistema culturale integra comportamenti estranei soltanto se questi non sono in contraddizione con il modello di base , se non ne altera la “forma” significativa. Gli studi compiuti dai maggiori antropologi in questo campo sono ormai dei classici, impossibili da mettere in dubbio. Da Boas a Kroeber a Benedict a Mead a Malinowsky a Leroi-Gourhan, non c’è chi non abbia dedicato la maggior parte delle sue ricerche a scoprire e verificare il funzionamento del “sistema significativo” che sostiene ogni modello culturale.
Il risultato è sempre lo stesso, e non avrebbe potuto non esserlo visto che la “cultura” è il fattore naturale che contraddistingue la specie umana e ne guida i comportamenti. Ogni modello culturale possiede una “forma”, nel senso gestaltico del termine, e rigetta perciò gli elementi estranei non compatibili, in analogia con il sistema immunitario di sorveglianza e di identificazione con il quale li rigetta l’organismo biologico. Non appena, quindi, viene meno la reazione di rigetto e il sistema comincia a lasciarsi invadere da elementi appartenenti a sistemi diversi, inizia il suo itinerario verso l’estinzione e manda il tipico segnale che l’antropologo percepisce come “etnologico”: segnale di pseudo vita, di “vita morte”….”
.


Questa è una parte del testo con cui Ida Magli, nel suo atroce ma rivelatore libro Dopo l’Occidente, BUR, descrive il metodo attraverso il quale modelli culturali appartenenti a sistemi diversi entrano in contatto tra di loro e come uno di essi può soccombere fino ad estinguersi.

Non sono l’architettura e l’urbanistica al centro dell’attenzione del libro, essendo invece un grido di dolore con poche speranze sulla fine dell’Occidente e della sua cultura secolare, ad iniziare dall’Europa, l’anello più debole della catena, ma i richiami all’arte, all’architettura, alla storia, alla letteratura, al pensiero filosofico europeo e a quello italiano in particolare sono frequenti ed accorati perché i popoli d’Europa si risveglino ed evitino l’estinzione, minati come sono da una cultura di morte per avere perso ogni legame con la tradizione, con il proprio passato, con i legami familiari, con la propria religione, con tutto il suo patrimonio culturale, con il comune buon senso.

Non si occupa di città Ida Magli ma, pur non essendo certo io esperto di antropologia, come pensare che la città, come tutti gli insediamenti umani, non faccia parte del patrimonio culturale dei popoli, se è vero che la città è l’ambiente creato dall’uomo per potervi sviluppare tutti i propri rapporti sociali? Si può dire che la città è il luogo della società. E allora come non osservare i cambiamenti che le città hanno avuto negli ultimi cento anni, e nel nostro caso negli ultimi sessant’anni, grazie ad un “modello culturale” ad essa prima estraneo e di “forma” completamente diversa e volutamente a quello opposta!

L’annientamento della strada, prima di tutto, con la perdita delle sequenze spazio-temporali di quel continuum che era la città precedente, a vantaggio di uno spazio sincopato e frammentato, disegnato esclusivamente per il mezzo meccanico, per l’auto soprattutto, e costituito da zone tra loro separate e ciascuna monofunzionale e super specializzata.
La perdita quindi della ricchezza delle relazioni umane, della varietà delle azioni da compiere nell’arco dell’intera giornata.
La perdita della scoperta continua di situazioni e della possibilità di azioni diverse che accadono nell’arco spazio-temporale di qualche centinaio di metri e della stessa giornata, una variazione dei rapporti umani improntati alla regola della “uniformità nella diversità”, al pari delle abitazioni dell’edilizia di base, ciascuna con le medesime caratteristiche tipologiche eppure ognuna morfologicamente diversa dall’altra per la variazione di pochi elementi architettonici.

Cosa ha a che vedere una città-organismo in cui ogni parte è in relazione al tutto e dove l’insieme delle varie parti è ben più della somma delle stesse, con un modello frammentato, esploso, splittato in cui le singole parti sono relazionate alle altre solo con strade adatte alle automobili, impraticabili a piedi, e dove l’insieme, l’organismo, non esiste perché ogni parte funziona (male) separatamente dall’altra?

Cosa ha a che vedere un modello di città denso caratterizzato dalla pluralità di funzioni, dalla prossimità, intesa in senso spaziale, funzionale e simbolico, con un modello in cui ad ogni zona corrisponde una sola funzione e per assolvere a più funzioni nell’arco della giornata è necessario spostarsi con il mezzo meccanico? La prima città in un certo senso si muove con il cittadino, perché il suo fluire continuo ti accompagna ovunque; la seconda è immobile e gli abitanti devono spostarsi in massa da un luogo all’altro: se si bloccano gli spostamenti in auto, la città non funziona più, si paralizza. Paradossalmente i due estremi ingorgo-blocco del traffico producono lo stesso risultato: la paralisi della vita urbana.

Cosa ha a che vedere un modello di città caratterizzata da fronti continui che racchiudono la strada, lungo la quale si sviluppa la vita di relazione, con quello di una somma di edifici scollegati tra loro, tenuti insieme da vuoti informi, da verde di tutti e quindi di nessuno e/o da parcheggi, entrambi destinati presto a diventare luogo di degrado?
Il secondo modello, totalmente estraneo e diverso dal primo, è figlio di una cultura diversa, immessa a forza nel sistema culturale esistente da una macchina propagandistico-culturale straordinaria, che si è impadronita di quella precedente, ma ha iniziato “il suo itinerario verso l’estinzione e manda il tipico segnale che l’antropologo percepisce come etnologico”, cioè quello di una cultura morta. Questo fenomeno è già certamente avvenuto nella mente degli architetti, cioè di coloro che insieme alla politica, al mondo accademico, ai media avrebbero avuto il compito di capire in tempo cosa stesse accadendo e di porvi rimedio. Ma così non è stato e così non è tuttora, anche se vi sono segnali, deboli e incerti che vanno nella direzione opposta.

Segnali confusi però in mezzo a molti altri segnali, non sbagliati in se stessi, ma il cui forte rumore mediatico finisce per coprire i primi:
• la "smart-city", sistema tecnologico fors’anche utile, ma di secondo o terzo livello, solo software, quando la città invece è hardware, è forma delle varie parti relazionate tra loro. Una città funziona se la sua forma è giusta e i sistemi tecnologici sono utili supporti che, da soli e in presenza di una forma non idonea, poco o niente possono risolvere. Al pari di una abitazione, in cui ciò che conta è il tipo, gli spazi interni che la definiscono, la materia con cui è costruita, non gli impianti, avanzati quanto si vuole, ma che possono essere cambiati o migliorati in ogni momento.
•la città “sostenibile” o “green”, concetto generico entro cui ci sta tutto e il suo contrario. Non è certamente sostenibile per la sola presenza di un po' fotovoltaico, è sostenibile se il risparmio energetico deriva dalla sua forma, cioè se è pedonabile non per decreto del Sindaco ma perché è compatta ed è possibile accedere alla gran parte delle funzioni di uso quotidiano senza la necessità dell’auto.

In questi segnali non è difficile leggere il marchio delle lobbies industriali e commerciali che hanno tutta la convenienza a lasciare le cose come stanno, cioè a conservare la morta città attuale, per vendere i loro prodotti salvifici. Il mondo della cultura urbanistica non deve lasciarsi distrarre da queste idee, continuamente e ossessivamente veicolate dai media, che allontanano la ricerca della soluzione, per cadere ancora una volta nella trappola tecnicistica, dopo quella dello zoning che favoriva prima e adesso obbliga all’uso esclusivo e massiccio dell’auto.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

L'immagine di Pasolini mi ha ricordato l'apertura di una lezione tenuta da Pier Carlo Bontempi a Parma tempo fa. Pochi giorni fa ho scoperto che qualcuno l'ha caricata su internet; la condivido con voi: http://www.youtube.com/watch?v=gVYoNL2Qjiw

Pietro Pagliardini ha detto...

Ringrazio l'Anonimo commentatore per questa segnalazione, anche perchè di Pier Carlo Bontempi sono più noti i progetti e le realizzazione che non le lezioni. Non l'ho vista ancora tutta, per motivi di tempo, ne ho visto solo 6 minuti circa e mi sembra che sia un'ottima lezione. Una sola cosa non condivido, con lui ma non solo con lui, cioè il voler usare come strumento di convinzione, e direi di pressione, per tornare ad una città analoga a quella storica l'immagine apocalittica della fine dell'energia fossile, cioè dell'esaurimento delle riserve petrolifere. Premesso che sono oltre 30 anni che c'è chi sbandiera come sicuro questo esaurimento e non si è esaurito affatto, tuttavia il motivo vero per non ricorrervi è un altro: esaurimento o no la città moderna e contemporanea è irrazionale perchè consumare energia ben oltre il dovuto è comunque sbagliato, anche ipotizzando riserve pressochè illimitate, dato che la natura merita rispetto da parte dell'uomo. L'uomo la deve utilizzare per i propri scopi ma non scialacquarla e usarla oltre il limite consentito, limite fissato dalla razionalità: tra due sistemi urbani che garantissero un corretto svolgimento della vita urbana e sociale, non c'è dubbio che è più intelligente utilizzare quello che consuma minore energia. Figuriamoci poi se uno dei due è anche fonte di disagi, di malessere e tale da consentire lo svolgimento della vita privata e di relazione solo attraverso il mezzo meccanico. E' chiaro che il migliore dei due, a parità di condizioni, è quello che consente uno svolgimento della vita più vicino alla natura dell'uomo, e l'andare a piedi è certamente più naturale, oltre che più sano.
Domani continuerò a guardare il video.
Grazie
Pietro

Anonimo ha detto...

Se nel suo libro del 2010 “La dittatura europea” Ida Magli si conferma irriducibile nazionalista avversaria di Maastricht, dell’UE e della burocrazia centralista di Bruxelles, con questo ultimo libro allarga il tiro dall’Italia all’Europa e a tutta la cultura occidentale, con una visione, secondo me, più politica che antropologica che mi ricorda per certi versi gli scritti appassionati di Oriana Fallaci. Come lei, infatti, dopo l'11 Settembre 2001, ha scritto articoli filo-israeliani e filo-statunitensi, contro il fondamentalismo islamico ed un fantomatico "progetto ebraico" che insidiano il potere dell’Europa, dichiarandosi anche favorevole alla guerra in Iraq.
“…… io ho soltanto delineato il futuro di un mondo dove la civiltà europea non esisterà più e l'Europa conserverà soltanto il nome geografico ma in realtà sarà abitata da Africani e mediorientali musulmani che, in base alle leggi dell'Antico Testamento e del Corano, distruggeranno tutto quello che ci appartiene: architettura, arte, musica, letteratura, filosofia, diritto, scienza.” così preconizza nell’aprile del 2012 su sito ‘Italiani Liberi’ (http://www.italianiliberi.it/) in un commento al suo stesso libro, ripreso anche dal blog di Nuova Destra Sociale (http://www.nuovadestrasociale.it/).
Apprezzo molto la Magli, mi interessa molto l’antropologia, la madre di tutte le scienze umanistiche, tuttavia trovo strano che, proprio un’antropologa, studiosa dei comportamenti sociali, culturali, fisici, nell’ambito di quelle scienze etnoantropologiche che oggi ricomprendono molteplici discipline correlate non voglia prendere in considerazione l’enorme influenza di alcuni fenomeni, inesistenti solo pochi anni fa, come l’evoluzione dell’ambiente urbano e la mutata percezione del rapporto pubblico/privato, la dinamica delle relazioni sociali tra i due opposti poli globalizzazione/individualismo, le variazioni demografiche legate ai flussi migratori, persino le variazioni climatiche (i cambiamenti del clima, secondo alcuni scienziati, potrebbero innestare un inedito trend di adattamento fisiologico) con tutte le derivate conseguenze, multiculturalità, integrazione, accoglienza, sincretismo culturale e sociale, socio-poiesi.
E’ sorta persino una nuova materia a carattere interdisciplinare quale l’ecologia umana, recente acquisizione della scienza ambientale, raggruppante diverse discipline (economia, antropologia, psicologia sociale, etnologia, biologia) che studia l’interazione tra l’adattamento biologico e l’adattamento culturale umani e i fattori che possono favorire lo sviluppo sociale, culturale, tecnologico e ambientale nel rispetto di un processo di sviluppo sostenibile.
Se antropologia, nella sua più ampia accezione, vuol dire studio di cosa significa essere uomo, l’antropologo deve analizzare ciò che accade, studiare la variabilità umana inserita in un processo di adattamento molto complesso, cercarne i perché, senza necessariamente proporsi di definire una cultura migliore di un’altra, perché, comunque sia, vincerà il migliore.

Tu dici, giustamente, "la città è l’ambiente creato dall’uomo per potervi sviluppare tutti i propri rapporti sociali", per questo diventa espressione di un "sistema culturale esistente" fino a che quel sistema esiste, perché, tanto per riprendere una nostra vecchia discussione, la città ne è l’effetto, non la causa.

Ciao
Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma,
intanto si può affermare che le previsioni di Ida Magli sull'Europa erano fortemente azzeccate. E questo fatto, in mezzo a santoni e guru della finanza cui abbiamo ormai affidato da anni la nostra vita, e che non ne hanno azzeccata una che una, mi sembra un merito non da poco.
Non so se hai letto quest'ultimo libro, ma a me sembra estremamente lucido, coerente e raziocinante. Qualche punto oscuro mi pare che rimanga, non dico di no, talvolta il tono è esasperato, certamente, tuttavia costruisce un'impalcatura logica piuttosto convincente.
Sull'ultima tua affermazione io, a intuito però, penso che non sia proprio vera. Credo che la relazione tra causa ed effetto sia più complicata e vi siano interazioni continue tra cultura e modello urbano. Insomma la città è una parte integrante della definizione stessa del modello culturale, non un semplice effetto.
Quanto alla sua visione apocalittica dei rapporti con l'Islam, se è vero che vi sono toni che sembrano esagerati e che configurino un atteggiamento preconcetto, va detto che vi sono prove, anche qui, che c'è del vero, come attualmente nel Mali dove i ribelli distruggono le tombe protette dall'UNESCO a Timbuctù o come in Pakistan, dove sono state distrutte quelle statue scolpite nella roccia. Inoltre in Olanda, a causa della proverbiale tolleranza, vi sono città dove esistono parti di esse amministrate separatamente con la giustizia islamica, vere e proprie enclave che sfuggono al controllo. Mi dispiacerebbe alquanto se mia figlia fosse costretta a portare il velo e mio figlio potesse comportarsi come un padrone assoluto con la propria famiglia.
Però le ragioni che lei adduce mi sembrano abbastanza convincenti, basate tutte sul concetto di sacro e sul fatto che le religioni rivelate (Islam ed Ebraismo) non ammettono deroghe.
Più convincenti di quelle della Fallaci, in cui l'aspetto passionale e la reazione istintiva certamente prevalevano.
Sui cambiamenti climatici mantengo tutto il mio scetticismo dato che non c'è alcun accordo nella comunità scientifica. Quindi anche le conseguenze è un po' difficile determinarle se la causa è incerta.
Fa politica Ida Magli? E' probabile che la faccia, perchè non si arrende al ruolo di Cassandra inascoltata ed è chiaro che si esaspera.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

ciò che non vogliamo capire, Pietro, è che il medioriente musulmano paventato dalla Magli ci ha già conquistati, senza bombe e senza sbandierare il Corano, se pensi che la nostra ricchezza, le borse di tutto il mondo, le industrie occidentali più prestigiose appartengono a ricchi arabi (tralasciando cinesi e russi) signori del petrolio e del gas, Hamad al-Thani, emiro del Qatar, possiede il 15% della borsa di Londra, un quarto di Sainsbury’s ed altre cosucce come Harrods o il nuovo grattacielo The Shard, il petroliere saudita re Abdullah, secondo Forbes il sesto uomo più ricco del pianeta, tiene in mano le chiavi del mondo e così via. La primavera araba e l'inverno dell'Europa sono due facce della stessa medaglia, che gli serve il Corano?
"architettura, arte, musica, letteratura, filosofia, diritto, scienza" non verranno distrutte "in base alle leggi dell'Antico Testamento e del Corano", ci autodistruggeremo da soli perché non avremo le risorse per ricostruire e produrre, Ida Magli se ne deve fare una ragione, l'antropologia economica e politica ci spiegheranno le ragioni di ciò che sta accadendo.
Se è vero, come dichiara la Magli in un'intervista di tre giorni fa su libero, che "ci riduciamo alla morte consegnandoci al governo globale", nel nome di un'Europa che non esiste come stato, perché mai riponiamo la nostra sopravvivenza di base, quella fisica, assicurata da risorse sufficienti per garantire la vita, ad un mercato globale che assorbe le nostre esportazioni ed assicura la nostra ricchezza? Ci va bene che i ricchi arabi vestano Prada e contemporaneamente li accusiamo di comprarci? Bisogna prendere tutto il pacchetto, autonomia può voler dire autarchia, economia basata su un limitato mercato interno che non basta più a mantenere il nostro tenore di vita. E nessuno di noi è disposto a tornare indietro.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Non sono d'accordo Vilma: io non penso che l'Islam ci conquisterà con le armi, non potrebbe e non sarebbe comunque un metodo efficiente, ci conquisterà con la demografia guidata dal Corano. Se è vero che gli sceicchi ci stanno comprando, è anche vero che se ciò accadesse ad opera di altri paesi, ma occidentali, avremmo comunque un patrimonio culturale, filosofico e religioso comune. Ma così non è con gli sceicchi i quali investono i denari dei proventi petroliferi utilizzando quindi gli strumenti dell'occidente, ma conservando la loro religione come strumento di potere nei loro paesi, per oggi, domani chissà.
Non è il loro denaro che ci distruggerà, in fondo avremmo, se lo volessimo, armi (non necessariamente armamenti) per difenderci, sono i loro costumi quando saranno maggioranza rispetto a noi che siamo deboli, non solo di numeri, ma di convinzione di voler sopravvivere. E le reazioni forti che vi sono nei paesi più islamizzati, cioè i partiti di estrema destra come in Francia e in Olanda, sono un sintomo del malessere di cui tenere conto, ma non credo siano la soluzione.
La primavera araba non mi sembra tutta questa primavera che gli entusiasti democratici di casa nostra decantano, in verità, ma solo un potere che si sostituisce ad un altro tramite guerra civile. E il nuovo potere si organizza con metodi molto diversi dai nostri.
Ma quando c'è una ribellione, ai nostri nostalgici della rivoluzione scatta subito il riflesso condizionato e immaginano che tutto si debba svolgere secondo le proprie aspettative.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

A mio parere vi focalizzate, come Ida Magli, sul bersaglio sbagliato, contro un nemico immaginario. Siamo già stati conquistati è vero, ma non dall'islam bensì dagli USA, siamo ormai una COLONIA AMERICANA (o per la precisione, della classe capitalista globalizzata che ha il suo centro negli Usa e un suo protettorato nella Ue, quell' 1% contro cui manifestava “Occupy Wall Street”).
Basta vedere la lingua che parliamo, dove gli inglesismi inutili (computer, beaty-farm, meeting, packaging, spread, devolution, beach-volley, pet-therapy, designer ecc. e chi più ne ha più ne metta) stanno soppiantando il bell’idioma di Dante. Abbiamo basi americane e Nato sul nostro territorio, e quindi siamo un paese a sovranità limitata. Gli Usa spendono per la difesa più di tutti gli altri paesi del mondo messi insieme: così possono dichiarare guerra a questo o quello stato, anche contro il diritto internazionale.
La musica che ascoltiamo sono canzonette pop-rock in lingua inglese. La maggior parte dei film al cinema sono di produzione americana, idem per le serie in televisione. I principali centri di informazione internazionale sono anglofoni. Le principali banche del mondo e multinazionali sono americane (ma anche inglesi, svizzere, tedesche, giapponesi… solo in minima parte collegate ai paesi arabi).

Viceversa, chi di noi invece conosce l’arabo o ha letto il Corano? L’influenza della cultura islamica sulla nostra è a pari a zero, l’influenza politica idem. Il PERICOLO ISLAMICO mi pare un MITO, frutto della propaganda creata negli anni scorsi per giustificare certe operazioni politiche, che pian piano sta pure passando di moda…
Gengiss

Pietro Pagliardini ha detto...

Ma che la cultura contemporanea sia imperante in tutti i continenti è un dato di fatto innegabile. Anche gli arabi bevono la Coca Cola. E comprano anche i vestiti di Armani. E hanno comprato il marchio Valentino. Ma la cultura americana è cultura occidentale, è figlia dell'Europa e ci ritorna sotto forma di prodotti. L'occupazione americana, il termine non è giusto ma l'accetto per semplicità, c'è stata, insieme ad una parte di cessione di sovranità, ma era figlia dei due blocchi: o di quà o di là. Noi siamo stati di quà, per fortuna. Quanto al mondo musulmano non voglio insistere, altrimenti mi dirai che le torri gemelle non sono cadute o che le hanno abbattute gli israeliani.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Intanti, Gengiss, direi che, almeno per ciò che mi riguarda, non si è parlato di 'nemico', la competizione antropologica, tanto per restare dalle parti della Magli, premia il migliore che, di volta in volta, è rappresentato dal più 'adatto' alla sopravvivenza nell'ambiente il quel momento. Il discorso vale anche per gli USA, che hanno colonizzato l'Europa perché l'Europa glielo ha permesso e perché in quel momento erano la potenza più 'adatta' ad emergere, dandoci coca cola e rock 'n' roll in cambio di basi militari e mercati commerciali.
Oggi anche l'America è ostaggio dei paesi cosiddetti emergenti che, se si ritirassero contemporaneamente tutti dalla borsa di NY, manderebbero in default il paese e in questo senso molto figurato si può parlare di 'pericolo islamico', anche se l'11 settembre ci ha dimostrato che volendo potrebbe essere anche assai meno figurato e assai più reale e resta comunque un episodio che, non casualmente, ha innescato una inarrestabile crisi dell'economia occidentale. E non è (più) vero che "le principali banche del mondo e multinazionali sono americane"
"La banca islamica più grande al mondo? È l’americana Citibank. Il centro della finanza islamica mondiale? È la City di Londra. Fare affari nel nome di Allah attira i più prestigiosi istituti di credito occidentali: dall’inglese Hsbc alla Deutsche Bank, dalle francesi Société Générale e Bnp Paribas all’olandese Abn Amro. Si tratta complessivamente di una torta di 200 miliardi di dollari, la cui materia prima si trova principalmente nei ricchi Paesi arabi del Golfo,ma i cui beneficiari risiedono spesso laddove non regna la legge islamica." (Magdi Allam, 2005)
E già qualche anno fa l’agenzia di rating Moody‘s stimava che gli asset delle banche islamiche, in un solo anno, fossero aumentati del 20% raggiungendo quota 500 miliardi di dollari.
La crisi del sistema capitalistico e bancario occidentale basato sull'usurocrazia che produce ricchezza dal nulla lucrando sul tempo e su imprese industriali e commerciali che faticano a produrre lavoro perché schiacciate da interessi vessatori si dovrà confrontare sempre più da vicino con il sistema bancario islamico al quale, per esempio, è fatto divieto di addebitare interessi perché il Corano (sura 2, versetto 275) vieta la riba (l'usura e le pratiche bancarie basate sugli interessi sul denaro prestato).
L'Inghilterra è stata nel 2004 il primo paese occidentale a emettere buoni del tesoro compatibili con la legge coranica, con l'obiettivo di attrarre dai paesi arabi capitali cresciuti a dismisura con l'aumento del prezzo del petrolio.
‘La nascente ricchezza petrolifera sta portando il sistema bancario islamico, che aderisce alle leggi del Corano e alla sua proibizione di applicare interessi, verso il mainstream finanziario...Oltre al prestito islamico, ci sono i buoni islamici, le carte di credito islamiche...Prestiti e buoni conformi al Corano sono già disponibili negli Stati Uniti...’ (“Islamic banking rises on oil wealth, drawing non-Muslims” , New York Times, 22 novembre 2007)
Come vedi, Gengiss, è quantomeno semplicistico affermare che “L’influenza della cultura islamica sulla nostra è a pari a zero, l’influenza politica idem.”, perché il grimaldello che permetterà all'Islam di violare sia la nostra cultura che nostra la politica sarà probabilmente l'economia, la faccenda è più complessa e sottile di quanto potrebbe sembrare.

Ps: io il Corano lo ho letto

Vilma

Anonimo ha detto...

Siamo un po’ fuori tema, visto che il sito (che ho scoperto da poco e mi piace molto) tratta di architettura e non di religione. Ad ogni modo torno in argomento per chiarire alcuni punti.

Anzitutto mi pare un errore parlare di Islam in generale, come fosse un blocco unico, come se fosse possibile che un miliardo di persone pensino allo stesso modo. Sarebbe come parlare di Cristianesimo in generale: ma i cattolici non sono protestanti né ortodossi, tra gli stessi cattolici c’è radio Maria e la teologia della liberazione, e il cattolicesimo del 2012 è molto diverso da quello del concilio di Trento…
Lo stesso avviene con l’Islam, dove convivono diverse interpretazioni del Corano (come per la Bibbia), non esiste un’unica autorità religiosa, ci sono sunniti e sciti e sette minori, esiste un pensiero liberal-democratico accanto a impostazioni fondamentaliste. Da quanto capisco l’Islam pericoloso è quello salafita e wahabita, mentre ad es. il sufismo non ha mai fatto paura a nessuno.
Spesso si tratta di una fede praticata per tradizione di famiglia più che per convinzione personale (come da noi il cattolicesimo), e gli immigrati musulmani che vengono in Europa (i quali, ricordiamolo, sono una minoranza tra gli immigrati) talvolta perdono o dimenticano le proprie radici religiose.

Sarebbe quindi utile per l’Occidente favorire, all’interno dell’Islam, le correnti compatibili con i propri valori, e contrastare quelle opposte. Purtroppo negli ultimi decenni è spesso avvenuto il contrario: per interessi politici ed economici, si sono abbattuti Stati laici e multietnici (Iraq, Libia e ora Siria) e si sono sostenuti guerriglieri islamisti (Afghanistan, Bosnia, Kossovo) e monarchie teocratiche (Arabia Saudita, Qatar).

Infine, non ho letto il Corano ma ultimamente ho letto parecchi testi di economia, e non ho mai sentito alcun economista, liberista o keynesiano, sostenere che “ l' 11 settembre…resta comunque un episodio che, non casualmente, ha innescato una inarrestabile crisi dell'economia occidentale”. La crisi economica iniziata nel 2008 (non nel 2001) ha una molteplicità di cause, occasionali (mutui subprime, derivati, debito pubblico), ma soprattutto strutturali (esorbitanza dell’economia finanziaria su quella reale, globalizzazione anarchica, espansione dei profitti a danni dei salari con conseguente crisi da sottoconsumo, teorie economiche sbagliate, Europa costruita come un libero mercato senza alcun potere per la politica di influire sull’economia ecc.) che non c’entrano nulla coll’Islam.
Sembra incredibile che, nel corso della più grave crisi economica dal 1929, invece di denunciare i poteri forti che l’hanno causata, ce la prendiamo con il vicino di casa solo perché frequenta la moschea…

Un saluto
Gengiss

Anonimo ha detto...

Gengiss, non siamo affatto fuori tema, almeno per me, che, come Pietro sa, nelle discussioni amo partire da lontano. La religione è una 'scienza' sociale, è filosofia, è morale, è l'espressione più completa ed intuitiva di una civiltà, come può essere estranea al modo di esprimersi, sia formale che funzionale, delle strutture in cui quella civiltà si colloca? da dove deriverebbe l'architettura se non dalla formazione storico-culturale di una comunità, dalla sua religione, dalla tradizione, dalle capacità tecniche tramandate ed inventate (e tutto ciò è oggetto di studio antropologico), oltre che, ovviamente, dalle condizioni ambientali del luogo geografico? Certo "ridurre tutta l’architettura al suo valore d’uso è parlare di pura costruzione e ridurla tutta al suo valore simbolico è probabilmente parlare di religione! Questo approccio dicotomico è antropologico e, certo l’architettura come disciplina umana, può essere concepita solo da questa angolatura. …." così scrive Guidu Antonietti su Antithesi in un articolo chiaro e stringato a cui rimando (Architettura o dell’antropologia?, http://www.antithesi.info/testi/testo_2.asp?ID=238) che conclude "Sì l’architettura è antropologia e, per converso, l’antropologia può reggersi sull’architettura!"
La mia critica alla Magli era rivolta ad un suo atteggiamento ideologico che non c'entra niente con lo studio antropologico, anzi può essere fuorviante, né avevo intenzione di disquisire sull'Islam non avendone la necessaria preparazione, volevo solo dire che è implicato nella storia dell'occidente più di quanto si pensi. Sull'economia, materia sulla quale sono altrettanto deficitaria, intendevo dire che l'inizio della crisi, di identità oltre che di risorse, che l'occidente sta vivendo non scoppia a ciel sereno il 15 settembre 2008 quando la Lehman Brothers fa il botto, ma è preceduta da una lunga preparazione, da campanelli d'allarme in parte inascoltati, in parte raccolti da scienziati, storici, filosofi, sociologi, analisti ed anche alcuni economisti come Paul Krugman (un Nobel) che all’indomani dell’11 settembre conia il termine "economia della paura" per indicare quelle che saranno a suo giudizio le conseguenze anche emotive di quell'evento (cosa di più emotivo della borsa?), legate ai grandi cambiamenti indotti nei comportamenti individuali e collettivi della società. E da subito molti si chiedono se si è davanti ad una crisi ciclica e ricorrente o strutturale e sistemica (lo scopriremo solo nel 2008), mentre intanto la mentalità keynesiana dell'America più liberal rinvia il problema fino allo scoppio della bolla immobiliare con le conseguenze che tutti conosciamo. La complessità dei motivi che tu citi come cause della crisi del 2008, maturati indubbiamente negli anni precedenti, non sono affatto slegati dall'islam, in quanto esito di un confronto che non si poteva più rimandare ed al quale l’occidente viene forzatamente costretto da una inaspettata tragedia.
Che ha fatto il gioco dei poteri forti, della quale essi hanno approfittato (non credo all’ipotesi complottista che vorrebbe l’avessero addirittura provocata), e così tutto si connette.
Se ti piace leggere di economia e se già non lo conosci, consiglio il libro di Loretta Napoleoni, “Economia canaglia” che ci invita “ad aprire gli occhi e a conoscere veramente il mondo in cui viviamo: dalla caduta del Muro di Berlino, attraverso gli anni novanta, la rivoluzione cibernetica, il diffondersi della pirateria fino alla tragedia delle Torri Gemelle e alla costruzione dell'impero economico cinese e di quello finanziario islamico.”.

Saluti
Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Quella frase tratta da antitesi, Vilma, è certamente vera: se si riduce l'architettura a simbolo, si parla quasi esclusivamente di religione e di sacro.
In effetti l'architettura e tutto il dibattito su essa sta in quel range che va dalla funzione alla religione. E' a mio avviso molto utile per capire meglio, non perchè sia necessariamente vero, ragionare nei suoi valori limite dato che così si comprendono i punti di forza e quelli di debolezza di ciascuna opposta visione.
Per farti un esempio, Gengiss, come potresti capire la splendida architettura musulmana senza legarla alla religione? Non parlo delle sole moschee, ma anche dei palazzi, delle kasbe, delle abitazioni chiuse alla strade e tutte introverse all'interno di se stesse? Non basta però la religione se non si tiene conto anche degli aspetti climatici in cui essa è nata e di molti altri fattori naturalmente. Ma la religione spiega molte cose.
Lo stesso vale per le nostre cattedrali ma anche per la città: solo la città europea ha, ad esempi, le piazze in senso stretto o meglio, la civiltà urbana europea ha prodotto nel medioevo la piazza.
Quella greca e romana non era piazza, era altro, era un luiogo specialistico deputato a specifiche funzioni. Perchè? Come non pensare, anche, non solo, al fatto che c'è un'idea di comunità cittadina aperta (aperta per quanto fosse possibile al tempo) al contributo di tutti i cittadini e che questo non abbia alcun riferimento con la religione cristiana (al tempo cristiana e basta)!
Comunque Gengiss, non preoccuparti, non è che si parli solo di religione, ma in questo caso era d'obbligo
Pietro

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