Questa è la mia risposta alla lettera dell'amico Arch. Mario Maschi, pubblicata IN QUESTO POST.
Questa corrispondenza è del febbraio 2006, e aveva tratto lo spunto dalla minacciata demolizione della sede della Camera di Commercio.
Ne è scaturito uno scherzoso e amichevole scontro di opinioni sull'antico e sul moderno. Per una pura coincidenza con l'attualità, in questa mail viene citato Papa Benedetto XVI, che domenica prossima sarà ad Arezzo e la cui visita ha suscitato, come sempre, aspettative e polemiche, e Beppe Grillo, che è il caso del giorno. Ma qui c'è il Grillo comico in un video sugli architetti.
Carissimo Mario
Ho ancora in bocca il retrogusto della tua garbata e divertente canzonatura a mio danno e ciò mi gratifica oltremodo, non tanto, come malignamente si potrebbe credere, perché io mi ritenga superiore e quindi inattaccabile dalle altrui ironie, quanto perché il trovare qualcuno che fa dell’ironia un linguaggio è piacevole e rassicurante scoperta, in un mondo che l’ironia pare aver completamente dimenticata.
Tanto lusinghiero quanto immeritato è il paragone con il nostro illustre concittadino cui tante doti ed esperienze ho da invidiare, senza menomamente reggere il confronto, avendo, ahimè, con lui in comune solo il nome.
Posso tuttavia fare l’auspicio che tu, emulo di Mons. Giberti, non armi la mano di un sicario, per imitare lo stesso scellerato gesto contro Pietro Aretino, documentato anche dalla sottostante rima di tale Francesco Berni il quale, evidentemente, non amava il nostro:
Tu ne dirai e farai tante e tante,
lingua fracida, marcia, senza sale,
che al fin si troverà pur un pugnale
meglior di quel d'Achille e più calzante.
Il papa è papa e tu sei un furfante,
nodrito del pan d'altri e del dir male;
hai un pie' in bordello e l'altro in ospitale,
storpiataccio, ignorante e arrogante.
Osservo anche che mi hai preso molto sul serio e ciò vieppiù mi onora, dato che non credevo di aver scritto cose di importanza così capitale né così strane da meritare una tua così ben argomentata replica. Ma l’aspetto più divertente della tua risposta è il fatto che, stando al giuoco tra modernisti e antichisti cui accenni, mi sembra che tu, modernista (se mi consenti di semplificare collocandoti in questa categoria), senta “il fiato sul collo” dell’onda antichista e, come dire, avverta il terreno delle tue convinzioni franare sotto i piedi, davanti all’assalto di una masnada di architetti e impresari che, succubi del mercato e proni alle richieste dei propri clienti, si lasciano “violentare” per vile denaro facendo, cioè, marchette con l’uso improprio e debordante di archetti sbilenchi su colonne con piano basamentale costituito da terrazze a sbalzo.
Tanto terrore da dove nasce? E’ così debole la tua fede nell’architettura come rappresentazione della modernità da farti temere perfino gli inconsapevoli, incolpevoli e sgangherati assalti di quattro elementi parodistici del repertorio antichista?
Non posso crederlo perché, conoscendoti, so che sai distinguere bene l’effetto dalla causa e il tuo timore deve essere ben più profondo e motivato e ha un nome: fallimento della città moderna, almeno di quella conosciuta, quella reale, costruita, non di quella che è ancora nella mente, nei rotoli di lucido e nelle speranze frustrate di noi architetti.
Le forme che tu tanto aborri e che (fammi credito di un minimo di capacità critica) neanche io accetto supinamente sono solo l’effetto e la reazione a lustri passati da noi architetti a dibattersi tra utopia e realtà, tra la nostra cultura auto-referenziale e i bisogni frustrati della “gente”.
So di essere obbligato, dall’incalzare delle tue argomentazioni e dalla necessaria brevitas, a ricorrere a grandi semplificazioni (quale l’affermazione pesante e impegnativa testè fatta), ma è dalla dialettica degli opposti che si può sprigionare una scintilla di verità, nella disincantata convinzione, tuttavia, che ognuno resterà abbarbicato alle proprie certezze e convinzioni sperando, al più, di convincere gli incerti (tanto per attingere al lessico elettorale di questi giorni).
Tra gli innumerevoli spunti che tu mi offri, ne scelgo due che proverò ad argomentare:
1) Mi sfugge fortemente il nesso esistente tra i nostri figli che navigano nella rete e la presunta necessità di stare al passo coi tempi in architettura. E’ come dire: siamo passati dalla penna d’oca al portatile dunque dobbiamo passare dal mattone al vetro. C’è un salto logico: la casa tradizionale funziona benissimo, basta introdurre i necessari adeguamenti, la penna d’oca non funziona affatto. E’ vera invece l’aspirazione ad una architettura che “sottilmente” interpreti il nostro tempo portando i segni della tradizione: purtroppo questa architettura è per pochi architetti capaci (non certo per me) e potrei citarne, a puro titolo di esempio, due: Gino Valle e Natalini. Ma il mio ragionamento è umile (anche qui nessuna affinità con l’Aretino Pietro) e parte dalla convinzione che a fronte di pochi bravi ve siano molti di meno bravi e che questi (me incluso, sia chiaro) si limitino ad “attingere” al lavoro altrui. Se questo è vero, ed è sicuramente vero, meglio, molto meglio “attingere” a ciò che la tradizione ci ha lasciato, piuttosto che replicare nelle città le stramberie modaiole.
Il mio ragionamento esclude la genialità, che è un dono di pochi, ma riguarda la normalità del nostro fare quotidiano che, guarda caso, è al servizio dei nostri clienti e, soprattutto, dei figli, nipoti e pronipoti. Per tornare alla genialità, cui molti architetti aspirano, vorrei darti del “genio” una bella definizione di un antropologo: “un genio è un catalizzatore della sua cultura, colui che riesce a cogliere nel fiume del continuum culturale tutti i segmenti, i temi che vi interagiscono e ne presenta una sintesi che li oggettiva e li rivela a se stessi”. Non c’è dubbio dunque che tendenzialmente l’interpretazione dell’architettura come sintesi di passato e presente e come prefigurazione del futuro sia quella giusta ma i geni, ripeto, sono merce molto rara.
2) Tu porti, spericolatamente, in architettura una categoria deprecata dal Cardinale Ratzinger e introduci l’espressione di “relativismo architettonico” appiccicandomelo come marchio d’infamia, quasi fossi una strega. Per me che dell’intelligenza di Ratzinger sono un sincero ammiratore (credo che Pietro Aretino propendesse più per le suore!!) è un invito a nozze. Premesso che quella parte del tuo scritto mi sembra lievemente confusa e quindi posso avere equivocato, proverò ad interpretare e immagino che tu volessi dire, usando la categoria di relativismo, che sarebbe grave errore attribuire pari dignità ad ogni tendenza architettonica, perchè l’una ha più dignità dell’altra (inutile spiegare a quale ti riferisci). Penso che il Papa mi perdonerebbe se avesse il piacere di leggere queste nostre facezie, e perciò dichiaro, stando al tuo gioco, di essere relativista in architettura (ma solo in architettura, eh, non scherziamo) con una propensione per l’architettura tradizionale. Il mio collega Giulio Rupi che, in uno dei suoi schizzi goliardici, ha diviso gli architetti aretini tra antichisti e modernisti tracciando una linea verticale in un foglio e collocando ognuno più o meno lontano dalla riga a seconda di quelle che lui ritiene essere il loro orientamento culturale, mi ha collocato tra gli antichisti sì ma vicino alla linea: sarei, cioè, un border line (se vuoi sapere dove ti ha collocato chiediglielo). Ritengo questa collocazione da un canto una debolezza, perché il marketing professionale richiede idee decise, dall’altro una forza perché gli architetti non lavorano per se stessi, come vogliono far credere le riviste, ma per gli altri cioè per il mercato e oggi il mercato chiede cose per te deprecabili (cioè io faccio marchette e tu le rifiuti). Non si tratta di atteggiamento spregiudicato, si tratta di non vivere in un perenne stato di frustrazione e alienazione a sentirsi dire no, no, no: quei no hanno pure un valore e credo sia “da architetti” ascoltarli per capire la realtà e interpretarla. Tutto torna in fondo: la prostituta e l’architetto sono i due più antichi mestieri al mondo e dunque non possono non avere qualche affinità (meno male che il Papa non avrà questa mia).
Concluderò non eludendo la tua curiosità sul perché io faccia un distinguo tra edilizia di base ed edifici specialistici. Potrei affermare, in maniera seriosa, che basta girare per il centro storico di Arezzo per trovare molte abitazioni che, salvo caratteri stilistici lievemente diversi, sono simili se non uguali (perdonami la semplificazione) e trovare invece la Cattedrale e la Santissima Annunziata che sono profondamente diverse tra loro come diverso è il tempo in cui sono state edificate ed entrambe molto diverse dalle abitazioni. Ma preferisco consigliarti (e lo consiglio a tutti) il DVD dello spettacolo di Beppe Grillo a Roma con un brano di 8 minuti dedicato agli architetti. Potrei raccontartelo ma la comicità non si racconta, si gode. Se ti fa piacere ne ho fatto un breve clip che non posso mandarti per e-mail perché troppo pesante, ma te lo farò avere su CD e lo farei avere anche all’Ordine se non temessi una denuncia per pirateria informatica.
8 minuti di spettacolo e ironia, come ironica è questa mia, augurandomi di essere stato all’altezza della tua.
Saluti
Piero
2 commenti:
Ho riso di gusto. Grazie Piero!
Alessandro
Spero di ... Beppe Grillo!!!
Ciao
Piero
Posta un commento