Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


9 settembre 2011

QUALE DENSIFICAZIONE?

Densificazione: parola brutta e anche vagamente sinistra: utilizziamola per comodità di linguaggio e di comuncazione. Vorrei rispondere più compiutamente ai commenti lasciati da robert al post precedente e premetto che: non sarò breve e se robert volesse replicare può non limitarsi ad un commento ma inviarmi un post da pubblicare.
robert afferma, e io non ne dubito, che l’idea di densificazione urbana è presente da almeno una decina d’anni in alcune università, e nel suo ultimo commento porta una serie di dati che lo confermano.
Con questa premessa giunge alla conclusione che noi che facciamo riferimento a Nikos Salìngaros non abbiamo inventato niente e che quanto affermato da Gabriele Tagliaventi nel suo articolo ha il merito, al massimo, di essere entrato nella notizia al momento giusto e che tutto sommato lui e noi del gruppo avremmo colto il vento e ci saremmo aggregati. Insomma, avremmo avuto fiuto.
Se anche si trattasse di fiuto lo riterrei già un merito: perché altri non l’hanno avuto, a maggior ragione se di questi argomenti vi è chi ne parla da almeno dieci anni e oltre e che adesso i tempi sembrano maturi?
Potremmo dire che chi ha introdotto questo principio nella legge urbanistica toscana ha avuto fiuto? Io direi più correttamente che è stato intelligente e lungimirante perché ha dato gambe ad una idea.
Ma robert sbaglia sul fiuto, perché si ferma solo alla superficie della densificazione urbana.

Cosa si intende per densificazione urbana?


Letteralmente è semplice: aumento della densità edilizia delle aree urbane, ottenuta andando a riempire vuoti di aree marginali ma urbanizzate, oppure demolendo e ricostruendo, oppure ristrutturando, con incentivi volumetrici per ottenere il doppio obiettivo di non “consumare “ nuovo suolo agricolo e di razionalizzare la vita all’interno della città in termini di servizi pubblici, di ogni genere, a partire dai trasporti.

Cercando nei vari documenti reperibili in rete, ho trovato molteplici varianti di significato, dalle più fantasiose, a quelle che trovano il sistema di infilarci i pannelli fotovoltaici o l'agricoltura urbana, a quelle che ritengono che sia l’altezza, cioè i grattacieli, l’elemento risolutore. Non v’è dubbio che il modello Manhattan sia molto denso. Il modello italiano invece si declina con grattacieli in mezzo al verde. Una novità già scoperta da un signore svizzero molto ordinato. L’ordine, comunque, diventa un merito rispetto alle proposte attuali che, prevalentemente, mettono insieme qualche birillo e, a posteriori, per giustificarne la presunta utilità ci appiccicano, tra le altre, l’idea di densificazione.

Ho trovato poi questo studio targato INU. Si osservi il risultato progettuale finale: qui non è cambiato niente rispetto a prima, il modello urbano è lo stesso, stecche perpendicolari alla strada, strada solo per le auto, mancanza di ogni caratteristica urbana, semplice ripetizione di modelli periferici, solo molto più densi. La chiamano densificazione insediativa. Già il termine insediativo, più ampio e generico di urbano, più burocratico, a mio avviso connota una certa indifferenza alla forma della città privilegiando l’azione dell’occupazione dello spazio e l’aspetto quantitativo. La proposta progettuale ne è una riprova.

Il punto è proprio questo: densificazione come mero dato numerico e funzionale è “vecchia” di qualche anno, come afferma robert, ma cosa c’è di nuovo, di utile, di positivo se la città resta qualitativamente come prima, e anzi replica e moltiplica i suoi difetti ma con molti metri cubi in più? Una densificazione urbanisticamente sbagliata diventa un’aggravante non un vantaggio.
Anche la speculazione edilizia più bieca è “densificazione”, e in questo caso si può affermare che per ritrovare l’origine dell’idea si può andare molto indietro nel tempo, direi alle insulae romane, che nonostante i divieti imperiali crescevano in altezza. Il condono consisteva nella tolleranza. Anche in questa densificazione, dunque, nihil sub sole novi.

In questo blog, invece, con il contributo dei vari amici, è stata sostenuta un’idea di densificazione urbana ben precisa, la cui necessità è giustificata al contempo dai due fattori fondamentali:
- quello economico-ecologico, cui fa riferimento robert, nel senso che più la città è compatta, minore è la necessità dell’utilizzo dell’auto, maggiore è la possibilità della pedonalizzazione e quindi il risparmio di risorse energetiche, migliore è l’organizzazione del trasporto pubblico;
- quello della forma della città, da perseguire mediante il disegno urbano, sul modello della città tradizionale europea: strade, isolati, cortine edilizie, piazze, pluralità di funzioni, zonizzazione verticale e quant’altro adesso non è il caso di ripetere.

Non è dato un lato della medaglia senza l’altro e direi che l’elemento prevalente è il secondo, la forma urbana, quella che consente, aldilà della situazione contingente di crisi economica, scelte economicamente virtuose, come scrive Tagliaventi nel suo articolo. La situazione di crisi è uno stimolo, direi un’occasione e una necessità in più per spingere in quella direzione, ma la forma compatta della città tradizionale ha un valore indipendente da quella e non ad essa subordinata.

Per restare a Tagliaventi, che sostiene quest’idea da sempre, portando spesso ad esempio il caso dello sprawl americano ed il retrofitting dei centri commerciali a veri quartieri urbani, mai ha egli tenuto separati i due aspetti del problema.
Ma vogliamo ampliare il discorso? Lèon e Rob Krier non hanno fatto altro che progettare e scrivere di città tradizionali, cioè dense, compatte, in cui il margine con la campagna è nettamente definito. Siamo agli antipodi dello sprawl. Altro che dieci anni, e altro che calcoli numerici!

City Pizza, di Léon Krier - La pizza completa (città tradizionale), la pizza per ingredienti (città dello zoning)
Il fatto è che, ragionando per assurdo, se non vi fosse stato quel taglio netto nella storia, quel grado zero dell’urbanistica teorizzato dall’avanguardia, se non fosse stata inventata, diffusa e propagandata fino a far credere che fosse impossibile immaginare una città moderna senza la zonizzazione, se non fosse stato abbandonato il disegno della città a vantaggio dei retini che indicano le varie funzioni parcellizzate, se l’unica forma di disegno, a scala di piani attuativi, non fosse stato quello della astratta geometria di tipo pittorico senza alcuna relazione con l’abitare dell’uomo nello spazio urbano, se non fosse stata vituperata e abbandonata la strada come elemento generatore della città, per sostituirla con edifici staccati e separati (ma dicevano tenuti assieme) da un improbabile verde comune, se non fosse stata abbandonata la città europea, ma solo adeguata ai nuovi standard di vita degli individui e della società, oggi non ci sarebbe stato bisogno di coniare questo brutto termine di densificazione, più adatto ad una confettura di marmellata industriale che ad un insediamento umano.

E’ un discorso per assurdo, l’ho già detto, perché con i se non si fa la storia, ma serve a far comprendere a robert la diversità esistente tra i 10 anni di studi sulla densificazione e quanto da noi sostenuto. E serve per sottolineare che c’è un uso buono ed un uso sbagliato di questo termine.
E noi ne abbiamo fatto un uso buono e lo abbiamo sostenuto con un’azione efficace, tenace e sfidando spesso anche il ludibrio di molti. Niente di eroico, per carità, specialmente per chi come me svolge la libera professione in ambito privato, ma chi è vissuto o ha provato a vivere nell’ambiente accademico credo ne abbia dovuto ingollare di rospi.

Quindi il fatto che vi sia chi l’ha studiato da dieci anni, e magari dal punto di vista sbagliato, e l’abbia tenuto in un cassetto da aprire per qualche convegno da mettere nel cv e presto dimenticato e non l’abbia diffuso presso gli studenti, non abbia insomma fatto scuola, loro che avrebbero potuto farla, per me ha valore "zero".
Lo studio della città non è lo studio delle particelle elementari della fisica, riservato al mondo accademico e della ricerca. Lo studio della città è destinato agli architetti, agli urbanisti e agli amministratori che devono diffonderlo e comunicarlo ai cittadini per renderlo operativo, a vantaggio di tutti.

La città è bene comune, cioè appartiene a tutti, la città è il luogo della politica (e tutti gli architetti lo sanno bene perché tutti i giorni si confrontano o si scontrano con la politica, cioè con l’arte di amministrare la polis, volenti o nolenti) e l’architettura è arte civica e le se le idee non si diffondono e si sostengono, specie in momenti in cui le città sono così in difficoltà, è come non averle prodotte.
Teoria e prassi in urbanistica camminano a braccetto e non possiamo immaginare l’una senza altra proprio per la specificità e direi unicità dell’urbanistica e dell’architettura rispetto ad altre discipline.
Una riprova elementare: qualsiasi quotidiano o foglio locale, oltre che di calcio, tratta sempre di urbanistica, lavori pubblici, traffico. Perché?

5 commenti:

ettore maria ha detto...

Caro Pietro,
il post mi sembra molto opportuno in questo momento che potrebbe segnare un cambiamento notevole nel modo di pianificare le città. Un chiarimento sul termine "densificazione", che tu giustamente critichi e prendi con le pinze, (viste le possibili interpretazioni che si potrebbero dare ad esso da parte dei progettisti e dei politici amministratori) e che io preferirei definire un "USO RAZIONALE DEL TERRITORIO", dove per razionalità non si intende la pseudorazionalità dei progettisti e teorici che hanno fatto la storia dell'architettura del secolo trascorso.
Quanto alle sterili critiche che ti hanno suggerito di scrivere questo post, voglio sottolineare che io queste cose le porto avanti dal settembre 1983, quando mi iscrissi alla facoltà di architettura e iniziai a combattere con chi mi obbligava a guardare a modelli urbanistico architettonici che non condividevo, all'epoca non sapevo nemmeno dell'esistenza di Léon Krier, Christopher Alexander, Jane Jacobs, ecc, però sentivo che le città erano altra cosa rispetto a quella che volevano inculcarmi a forza. Ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada il prof. Moneta, che veniva dalla scuola Muratoriana-Caniggiana e che, sin dal 1985 (ero ancora studente del 3° anno) mi chiese di fargli da assistente perché condivideva le cose che andavo facendo (peccato che verso la fine della sua vita, quando i suoi figli si apprestavano a laurearsi, il prof ebbe una sorta di crisi ideologica che lo portò a sposare in toto il decostruttivismo, cosa che mi portò a distaccarmi dal suo corso) Il seminario che tenevo, a cui il professore aveva dato il nome di "Il Superamento del Moderno", l'ultimo anno della mia permanenza in quel corso, arrivò ad avere ben 70 studenti (si accedeva per scelta dello studente, e rimanemmo molto sorpresi di vedere come, per l'ultimo esame progettuale, così tanti studenti decidevano spontaneamente, e con grandissima convinzione, di confrontarsi con un mondo che non avevano avuto la possibilità di esplorare fino ad allora, perché vietatogli). Qui, comunque non si tratta di dover rivendicare la paternità di un modo di affrontare l'urbanistica, si tratta di comprendere che, in luoghi molto distanti tra loro, così come si sono sviluppate le civiltà, il linguaggio, la scrittura, le religioni, le arti e l'architettura, gli esseri umani addivengono a delle soluzioni simili tra loro, soluzioni che possono essere valide, perché testate nel tempo, o fallaci, quando sono create a tavolino e sulla base di ipotesi e stime di carattere scientifico che, non necessariamente il tempo ha confermato. Avere l'umiltà di crescere passo dopo passo, spesso guardandosi alle spalle per non perdere la strada maestra, conduce sempre, senza incidenti, alla meta, e questo non è un atteggiamento passatista, ma semplicemente un atteggiamento privo di presunzione e rispettoso di tutto e di tutti. E' un discorso di sensibilità delle persone che possono arrivare a soluzioni simili. Non è un caso se, molte delle cose che dicono i New Urbanist, le andavano dicendo, anche meglio di loro Giovannoni e l'Associazione Artistica Cultori di Architettura più di cento anni fa, e so per certo, perché mi è stato riferito dai suoi massimi esponenti, che i New Urbanist hanno iniziato a sapere chi fossero questi personaggi solo quando ho pubblicato i miei libri in doppia lingua che ne raccontavano le gesta.

LdS ha detto...

pietro, ti ringrazio sentitamente per avermi fatto comprendere le diverse declinazioni che si possono dare allo strumento della densificazione... grazie per davvero... se non vi fosse questo blog...

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

In verità non avevi dato l'impressione di saperlo, altrimenti avresti capito da solo la differenza. E d'estate si va a ripetizione se durante l'anno non siamo stati attenti a scuola.
Ciao
Pietro

LdS ha detto...

beh, se stai frequentando le ripetizioni estive... fa uno sforzo... metti in bibliografia questi due libri:

http://www.vg-hortus.it/index.php?option=com_content&view=article&id=479:luca-reale-densitittesidenza&catid=4:libri&Itemid=3

http://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_Libro.asp?CodiceLibro=1863.21

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Nel primo c'è il rischio di un buon consiglio, nel secondo un'alta probabilità di fuffa. La presenza del buon Secchi fa propendere per la certezza
Ciao
Pietro

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