Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


6 marzo 2011

UN COMMENTO IN CHIAVE ANTROPOLOGICA DI MEMMO54

memmo54 ha lasciato questo lungo commento al post PASSATISMO CONTRO MODERNO-NON-MODERNO.
Mi è sembrato che valesse la pena evidenziarlo.


*****
Anche in Architettura il pensiero, qualcuno l’avrà sospettato, si articola solamente in presenza di un linguaggio. In sua assenza è difficile parlare di pensiero, tantomeno di pensiero unico.
Caratteristica è la sostanziale identità nella storia. La lentissima, a volte impercettibile, evoluzione permette comunque di mantenere un rapporto costante e ricucire un’epoca con l’altra. La Maison Carrè parla ancora alle casine basse e modeste d’intorno; dialogava con il teatro antistante, inferiore ma non indegno. L’edificio di Foster, per altri versi ben fatto, ben costruito, ben realizzato, bello in fine, non dialoga affatto: è un estraneo e muto, quanto indecifrabile, segnale giunto per caso.

Eppure gli uomini che hanno frequentato i due edifici, così lontani nel tempo, sono assolutamente gli stessi; si nutrono alla stessa maniera, si vestono di cotone e lana, si organizzano in comunità ecc. ecc. Lasciare intendere che vi sono dietro due tipi diversi di umanità è come postulare che Virgilio, Dante, Shakespeare, nel suo piccolo Manzoni, appartengano ad un'altra razza; ad un altro genere umano.
Giudicare quest’uomo estinto dall’evidente diversità con cui l’attuale si sposta nello spazio, o dall’uso che fa di qualche altro brillante ausilio tecnico, è la più imperdonabile delle leggerezze.

Ancor’oggi quando citiamo un verso di Dante, noi “siamo” Dante: quando parliamo la lingua della tradizione siamo quegli architetti che ci hanno preceduto e quelli che ci succederanno: siamo nella storia e non “la Storia”.

La modestia non nasconde il valore: lo percepiamo ogniqualvolta scopriamo quanti “ordinari incanti” siano nascosti tra le pieghe del territorio e della città.
Al contrario, nel nostro mestiere, i più si affaticano ancora ad organizzare e riscrivere un linguaggio ed un universo nuovo, affidandosi alla “scientifica” permutazione di tutte le infinite variabili nella esilissima speranza di trovarne, per un benigno quanto improbabile dono del caso, la chiave. I più indulgenti ne potrebbero dedurre, con la stessa logica, che il ripetersi disordinato di tali linguaggi costituirà, esso stesso, l’Ordine; ma questa graziosa e raffinata speranza non credo possa rallegrare l’attesa di alcuno….

Sembra, al contrario, che proprio tutti riconoscano quanto, in questi ultimi 80 anni, quanto gli architetti abbiano contribuito alla confusione con la propria attività mentale: continua appassionata, versatile, coinvolgente e del tutto insignificante; quanto i più scaltri fra loro vi abbiano profuso l’autorevolezza che danno la superbia, il denaro, la “freschezza” di pensiero, la coscienza di coronare una gerarchia culturale, la mancanza d’immaginazione, i limiti, la stolidità. Partecipare a tale forma di decadimento comunicativo è la più pesante responsabilità assunta dal vagheggiato “bravo architetto” (…che vi sia ognun lo dice; dove sia nessun lo sa…) e lo rende creditore imperituro della perplessità degli uomini.
Abbiamo avuto il palazzo d’amianto, quello di cemento armato, il palazzo di vetro, i gusci di coleotteri, mitili, nematodi, zanne d’elefante, “girevoli” per di più… Ne abbiamo contati a decine forse centinaia, migliaia.

Tutti acclamati: tutti dimenticati in fretta.

Nel brevissimo volgere della vita, egli li cambia più volte, li manipola, li rinchiude infine, come un bambino stanco, nel polveroso ripostiglio dove, ogni tanto, getta un’occhiata affettuosa convinto che possano tornar utili.

L’architetto, s’è perso: credendo di operare in modo sociale e civile, aderente al contesto, in realtà non faceva che confermare l’esatto contrario.
Ovvio quindi, persino banale, riportare tutto il ragionamento al punto di biforcazione per ricostruire, a partire da premesse fondate, il cammino logico ed espressivo. Stupirsi che qualcuno possa essersi stancato del gioco e che aspiri a cose più solide da lasciare, senza farsi ridere appresso, a figli e nipoti ed ai nipoti dei nipoti, è, nella migliore delle ipotesi, ingenuo.
Saluto
memmo54

27 commenti:

ettore maria ha detto...

caro Memmo 54,
post illuminante ... come sempre!

Ettore

antonio marco alcaro ha detto...

caro Memmo 54
dire che l’edificio di Foster: "non dialoga affatto, è un estraneo e muto, quanto indecifrabile, segnale giunto per caso"
E' UNA BESTEMMIA !!!!!
Non ha senso continuare a dialogare con chi afferma certe bestialità.
Del resto memmo54 vorrebbe che gli architetti non pensassero, ("quanto gli architetti abbiano contribuito alla confusione con la propria attività mentale")

Neanche Hitler era arrivato a tanto!!

Pietro Pagliardini ha detto...

antonio marco alcaro, forse è il caso che prima di scrivere assurdità del genere, tra l'altro molto irrispettose e del tutto gratuite, dovresti rileggere con maggiore attenzione e serenità tutto il post, perché ho l'impressione che tu, accecato dall'ira su Foster, ti sia perso una buona metà del suo contenuto.
A meno che tu non pensi sia da "nazista" ritenere che gli edifici di Foster non dialoghino con il contesto!
Spero proprio non sia vero.
Comunque se tu lo pensassi puoi assimilare anche me alla schiera e con me molti, molti altri.
Lo vedo infatti impervio asserire che un "cetriolo", traduzione di gherkin, dialoghi con qualcosa che non sia un cesto di insalata o un pomodoro! Per dirne una.
Pietro

ettore maria ha detto...

penso, e spero, che ci sia un fraintendimento tra Antonio Marco Alcaro e Pietro.
Di mio posso dire che l'edificio di Foster accanto alla Maison Carrè è una delle peggiori violenze inferte alle città storiche, violenza che fa coppia con la Haas Haus di Hollein a Vienna.
Interventi di quel genere sono quelli che possiamo ritenere, a giusta ragione, come dittatorialmente imposti all'interno delle città strafregandosene del parere dei cittadini
Ciao
Ettore

qfwfq ha detto...

Effettivamente significativo il post di Memmo (di cui ogni volta non si può che ammirare la capacità retorica).

Personalmente non condivido tesi che pretendono di applicare all'architettura criteri di analisi mutuati da altre branche del sapere (dall'analisi matematica alla filologia fino alla teologia).

Si finisce per perdere di vista la complessità dell'architettura (per certi versi la sua unicità) croce e delizia dei suoi ammiratori perennemente in bilico tra gli innumerevoli poli opposti che la compongono (non è un caso se all’università si parlava di composizione).

Nel caso migliore si finisce per auto convincersi che quella sia l’unica forma di lettura applicabile, predisponendo così solide basi per un pensiero che se non è unico è di certo univoco.

Nel peggiore avviene l’esatto inverso, cioè si finisce col giustificare tesi e opinioni sull’architettura prendendo in prestito postulati teorici da altri campi (in questo caso la filologia), assumendo opinioni personali (oserei dire suggestioni) per assunzioni indiscutibili; scambiando quelle che non sono altro che metafore per postulati da utilizzare come maglie e vincoli da utilizzare per giustificare scelte personali fatte (come è giusto che sia) dall’architetto nella sua opera di progettazione, deresponsabilizzandone di fatto l’azione.

Per fare un esempio che possa esservi caro non condivido l’approccio matematico casuali stico all’architettura che fa Eisenman; come se l’architettura non fosse altro che il risultato di un semplice gioco di dadi.

Nel caso di Memmo la metafora del dialogo non è che una delle tante suggestioni utilizzate retoricamente per spiegare l’architettura.
La frase che sottostà a tutto il suo ragionamento, espressa come un postulato:
“l’architettura è un dialogo”
andrebbe riformulata come un’opinione:
“ritengo che l’Architettura sia come un dialogo”
Alla quale personalmente sarei portato a controbattere:
“l’Architettura a volte può spiegarsi come un dialogo”
Ne conseguono le conseguenze; in primis la necessità di costruire una filologia del linguaggio applicata al linguaggio architettonico, nell’assunzione (anche questa del tutto arbitraria) che per comunicare in un dialogo sia assolutamente necessario il rigore filologico. Poi la selezione eugenetica del linguaggio architettonico che discende da un'altra assunzione (indimostrabile): che nella città antica (in un punto imprecisato tra il 1000 e il 1700) si viveva meglio, gli uomini erano più felici e la serenità regnava sovrana nel mondo.
Poiché non nego che l’approccio “filologico” sia escludibile a priori, suppongo di prenderlo per buono e procedo di conseguenza con il metodo che più mi è congeniale. Ponendo alcune domande.

□ è necessario dialogare sempre e in ogni caso?
□ si dialoga litigando?
□ si dialoga avendo idee contrarie?
□ si dialoga ripetendo le stesse frasi che ha detto quell’altro?
□ e ripetendole ma un poco cambiate?
□ e ripetendole in inglese?
□ si dialoga di più citando il latino?
□ se invece cito i Take That?
□ do you understand me if I speak english?
□ Dacă aţi traduce această frază în Google vă aflaţi în mijlocul unei revoluţii filologic?

Ecco solo alcuni spunti che vi offro per la riflessione, ricordando a Memmo che l’evoluzione tecnologica conta, eccome se conta, Guttemberg e Colombo (il navigatore) si rivoltano nella tomba.

Un caro saluto

Alberto Giampaoli ha detto...

http://www.amatelarchitettura.com/2009/02/un-fiume-e-fedele-alla-propria-identita-quando-va-verso-il-mare-e-non-se-ritorna-alla-sorgente/
Un fiume è fedele alla propria identità quando va verso il mare e non se ritorna alla sorgente
Alberto Giampaoli
6 febbraio 2009
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Vedi il set di immagini su Flickr
(..)“Quadrato” è anche l’edificio a esso di fronte: la Carrè d’Art (inaugurata a maggio del 1993) progettata dall’architetto Norman Foster (Manchester – 1935). Un recente articolo rileva l’esigenza del superamento della distinzione tra classico e anticlassico, nella descrizione delle opere di architettura: in questo caso, la definizione, che a volte diventa uno stereotipo, aiuta a capire la notevole attinenza dell’edificio nuovo con il tempio romano. Norman Foster, per la progettazione di quest’opera, si basa sullo studio degli archetipi, svolgendo ricerche simili a quelle portate avanti da Aldo Rossi e dal gruppo di “Tendenza”, arrivando, senza eseguire entrambi copie dell’antico, a un risultato finale differente. (..)
(..) Il 13 gennaio 2009, il presidente francese Sarkozy (citato dal Giornale dell’Architettura), (..)Ho sempre pensato che fosse veramente il simbolo della riuscita architettonica, della fedeltà all’identità, l’identità di Nîmes. Un fiume è fedele alla propria identità quando va verso il mare e non se ritorna alla sorgente. Ciò che è stato fatto qui è molto intelligente, e non c’era motivo di essere contrari, anche se mi ricordo tutti i dibattiti dell’epoca. Oggi l’edificio di Norman Foster è una realtà. Siatene orgogliosi, tutti, per avere capito che l’essere fedeli alla propria identità significa guardare all’avvenire. E non al passato. Non è ripercorrere meno bene ciò che gli altri hanno già fatto, ma sposare l’identità e la modernità.(…)”

Pietro Pagliardini ha detto...

Devo dire che quanto a capacità retorica non scherzi neanche te.
La capacità di convincere gli altri con le proprie argomentazioni, logiche ma non necessariamente vere, è un'arte apprezzabile.
Mi riferisco alle tue che ritengo molto meno vere di quelle di memmo54.
Ma veniamo alle domande, cui proverò a rispondere, salvo a quella scritta in non so quale lingua (ma sta proprio qui il miglior trucco retorico che adotti).
1-Il dialogo è inevitabile, che sia in contrapposizione o in accordo.
2- Lo psicologo ti direbbe di sì e proprio per questo la risposta giusta è: il litigio è un litigio e basta.
3- Sì
4- No, infatti quando apro una rivista, o meglio ancora quando sfoglio le immagini di archiportale, vedo sempre le stesse identiche e banali frasi ripetute. Una noia mortale.
5- Già è meglio, vedi l'edilizia spontanea che funziona più o meno così.
6- Da adesso in poi diventi sofista, altra grande qualità per il successo ma che poco ha a che vedere con il vero e il giusto.
Se si potessero incontrare contemporaneamente un italiano, un inglese e un antico romano, e perfino uno dei Take that (sembra una barzelletta) forse non farebbero una grande conversazione, ma avrebbero in comune la loro umanità che, tecnologia o meno, non è cambiata e si capirebbero.
La diversità è una ricchezza, ed è proprio per questo che Roma non deve diventare come Londra o Pechino o NY e tu credi invece che noi apprezziamo l'uguaglianza, la copia, il clone addirittura.
Noi apprezziamo la variazione nell'ambito della omogeneità. Esattamente come negli uomini.
Ciao
Pietro

Piccoli zeviani crescono ha detto...

'na schiera di ideologizzati, modernisti o tradizionalisti che siano...

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, però te lo devo proprio dire: non è che puoi sempre giudicare gli altri, come fai te, senza spiegare il perché ma ponendoti, da solo, su un livello superiore a tutti evitando di sporcarti le mani! Non so perché, ma mi fai venire in mente Casini, che è contro la destra, è contro la sinistra, è simpatico, sì, ma lui che diavolo vuole?
Questo è, rivolgendomi a qfvfq, un caso di un dialogo quasi impossibile, anche se riconosco a robert il dono di una scapigliata simpatia.
Ciao
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

qwfwq, leggo adesso in rassegna stampa una lunga intervista a Massimiliano Fuksas. Tralascio gli "eroici" ricordi universitari giovanili che interessano gli amanti del genere, e ti riporto questa piccola parte:
Fuksas: [Zevi] Odiava il post-moderno, odiava gli imbroglioni del post-moderno.
Domanda: Che cosa vuol dire per te non imbrogliare?
Fuksas: Creare un linguaggio. Pensa al cinema italiano degli anni Sessanta, le battute fulminanti, come quando Gassman ne Il Sorpasso guarda la foto sfuocata della ragazza che piace a Trintignant, lo studente timido che l'ha fotografata dalla finestra, e gli dice sorridendo: "Non je potevi annà un po' più vicino?". Non è vero che adottavano un linguaggio, lo inventavano. Alberto Sordi, lo stesso Gasmann, hanno inventato un linguaggio molto rapido, che si associava a un'immagine. Pasolini non ha mai amato questo linguaggio.

A parte il fatto che quel linguaggio era da tutti i romani comprensibile ed è poi diventato comprensibile a tutti gli italiani, dunque era un linguaggio condiviso, riconoscibile sì come tipico di Alberto Sordi ma che affondava le basi su una tradizione linguistica e di costume, a parte questo, l'importante è la risposta immediata: Creare un linguaggio. Questa frase non può essere letta dagli architetti che come uno stimolo a inventarsi un'architettura propria, a diventare creatori piuttosto che costruttori, a valorizzare solo il proprio io. Questo messaggio, che oggi lo trasmette Fuksas ma che da decenni è stato trasmesso dalla quasi totalità dei docenti di architettura, dei libri di architettura, delle riviste, ha inesorabilmente creato una casta di potenziali artisti-architetti che si credono liberi da ogni condizionamento che non sia quello di "inventare un linguaggio personale" e che dunque rifiutano, per principio, ogni dialogo con l'intorno, cioè non fanno il loro mestiere di architetti, che richiede, prima di scrivere, di saper leggere il testo esistente cui aggiungere una frase. A scuola si direbbe "andare fuori tema".
Che dialogo vuoi che possa esserci tra egocentrici che apprezzano solo se stessi e, al massimo, un Maestro di riferimento?
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

caro qfwfq.
Fermo restando il fatto che sono d'accordo con la convinzione che non si possano applicare i postulati matematici all'architettura, tant'è che ravviso proprio nella scientificizzazione post illuminista l'inizio della fine, ritengo che questa tua frase:

"Nel peggiore avviene l’esatto inverso, cioè si finisce col giustificare tesi e opinioni sull’architettura prendendo in prestito postulati teorici da altri campi (in questo caso la filologia), assumendo opinioni personali (oserei dire suggestioni) per assunzioni indiscutibili; scambiando quelle che non sono altro che metafore per postulati da utilizzare come maglie e vincoli da utilizzare per giustificare scelte personali fatte (come è giusto che sia) dall’architetto nella sua opera di progettazione, deresponsabilizzandone di fatto l’azione"

ci sia un errore di fondo, probabilmente dovuto alla tua non conoscenza di ciò che è la filologia. Non mi voglio dilungare nello spiegare ciò che ho già detto rispondendo a Galassi sul blog Archiwatch, quindi ti invito ad andare a leggere quel commento in modo che possa correggere la tua posizione.

Tra l'applicazione dei postulati matematici moderni, che mai nessun architetto della storia aveva applicato lavorando su principi proporzionali non astratti, ma che tanti "geni" modernisti hanno voluto ritrovare nella facciate e nelle piante degli edifici antichi, e l'applicazione dei principi filologici di strada ne passa parecchia.
Ti prego di non semplificare il tutto per far tornare i conti del tuo ragionamento.
Cordiali saluti
Ettore

ettore maria ha detto...

per Giampaoli,

come si fa a far parte di un movimento che dice di "amare l'architettura" e poi sostenere "l’esigenza del superamento della distinzione tra classico e anticlassico"? oppure che possa esserci una "notevole attinenza dell’edificio nuovo (Maison Carrè) con il tempio romano"? Oppure ancora che "Norman Foster, per la progettazione di quest’opera, si basa sullo studio degli archetipi, svolgendo ricerche simili a quelle portate avanti da Aldo Rossi e dal gruppo di “Tendenza”, arrivando, senza eseguire entrambi copie dell’antico, a un risultato finale differente"
Non mi esprimo su Sarkozy poiché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, però vorrei sapere a chi si riferisce quando parla di "esigenza del superamento della distinzione tra classico e anticlassico". Io sospetto che questa "esigenza" sia solo degli architetti che, non sapendo come confrontarsi con l'esistente, si inventano ogni giorno una soluzione astrusa che poi, usando le giuste parole fumose, riescono a fare entrare a forza nella mente di certe persone prive di personalità che, nel timore di "non essere ritenute attuali", fingono di comprendere ciò che non ha alcun significato.
Sembra la storia della volpe e l'uva.
Cordialmente
Ettore

alberto giampaoli ha detto...

1. Non ho espresso un parere circa il superamento della distinzione tra classico e anticlassico, ho solo brevemente ricordato che nella infinita diatriba tra classico e anticlassico, un articolo ci ha fornito un nuovo spunto di ricerca su questo argomento:”nuovi architetti: meglio la Terza via né utopie totalitarie né ritorni nostalgici al classico di Pierluigi Panza
dal Corriere della sera del 27.03.08”
2. insieme ad un’analisi attenta dell’architettura e dei suoi archetipi, l’autore ha usato il medesimo schema classico inteso come stereotipo per colloquiare con la Maison Carre:” Università “La Sapienza” di Roma Facoltà di Ingegneria Edile-Architettura Corso di Architettura e Composizione architettonica III NORMAN FOSTER e l’architettura high-techAnche nel caso del Carrè d’Art (1984-1993), Foster mostra come un edificio possa non solo far dialogare la moderna architettura con quella classica ma anche essere un punto catalizzatore di incontro per la città; il sito è posto a fianco al Maison Carre, un tempio romano perfettamente mantenuto, e la sfida era quella di mettere in relazione l’antico al moderno ma allo stesso tempo di creare un edificio che rappresentasse l’epoca attuale. In questa mediateca c’è un’interazione tra 2 tipi di culture, quella delle arti visive, e quella dell’informazione tecnologica. L’edificio è strutturato su 9 piani, di cui 5 sono interrati per mantenere un profilo basso che non si scontri con gli edifici circostanti, e riprende la stessa serialità del tempio classico che gli è di fronte, attraverso la creazione di un pronao e l’utilizzo di linee rette, ma mantiene la sua modernità grazie, ad esempio, alla leggerezza dei nuovi materiali della copertura che permettono la diffusione della luce all’interno. Nei livelli più bassi alloggiano l'immagazzinaggio dell'archivio e un cinematografo e i livelli superiori sono collegati da una scala procedente in sequenza, collegante le gallerie protette dal tetto-terrazzo che dà sulla nuova piazza pubblica. La creazione di questo spazio urbano era una parte integrante del progetto. La geometria di questa piazza segue la griglia romana di Nimes nella ricreazione delle vie; insieme a questi interventi urbani, il Carrè d'Art mostra come un progetto di costruzione, sostenuto da un'iniziativa politica dichiarata, può non solo ispirarsi a un dialogo fra le architetture antiche e moderne ma può anche costituire un catalizzatore potente per rinvigorire il tessuto sociale e fisico di una città.”
3. i materiali vengono utilizzati in modo, giustamente differente nella Carrè d’Art (1984-1993) e nella Maison Carre, come vengono utilizzati in modo diverso nella l’opera di Nimes di Foster e nelle opere di Tendenza, proprio perché di diverse epoche
4. qualche volta torno a osservare ” l’incendio di borgo” tanto contemporaneo alla sua epoca da inventare un nuovo stile tanto frutto del suo autore da travolgere il suo linguaggio e quello dei suoi allievi.

antonio marco alcaro ha detto...

caro Pietro
qui chi scrive le assurdità non sono certo io.
Innanzitutto il riferimento a hitler non era in merito al progetto di Foster ma in merito alla seguente frase: " Sembra, al contrario, che proprio tutti riconoscano quanto, in questi ultimi 80 anni, quanto gli architetti abbiano contribuito alla confusione con la propria attività mentale".
Al mio paese in soldoni significa: gli architetti non devono pensare.
Quanto all'edificio di Foster non si può continuare a ciurlare nel manico.
Chiariamo una cosa una volta per tutte in un blog si possono esprimere delle opinioni ma non si possono dire stupidaggini perché sarebbe un grave danno per la collettività.
Arrivo al punto, dire che l'edificio di Foster a Nimes non dialoga con il contesto non è un'opinione è semplicemente una stupidaggine!!!
Chiunque abbia visitato l'edificio e la piazza capisce, lo capirebbe anche un bambino, che il rapporto tra l'edificio di Foster la Maison Carrè, la piazza, i vuoti i pieni e tutto il resto è fortissimo. Dall'interno dell'edificio di Foster sembra che la Maison Carrè sia stata realizzata in previsione dell'edificio di Foster e viceversa, non c'è neanche bisogno di parlare di archetipi, di classico, di stili, di materiali o di altro, basta semplicemente vivere l'esperienza di quegli spazi per capire che l'edificio di Foster è uno dei progetti che meglio si inserisce nel contesto in tutta la storia dell'architettura.
Ora queste non sono opinioni sono fatti che non si possono negare.
Le opinioni sono dire: che Foster è un archistar che deve andare al rogo, che l'architettura contemporanea fa schifo e che non deve rovinare i centri storici, che gli architetti sono dei mentecatti e che devono cambiare mestiere, che non si può usare l'acciaio o il calcestruzzo ma solo mattoni, che il nostro secolo ha fallito e che l'unico che può progettare al mondo è krier+ rosponi, sono tutte opinioni valide che potete continuare ad esprimere nel vostro blog, ma non potete dire che l'edificio di foster non ha rapporti con il contesto, sarebbe un insulto all'intelligenza umana!!!

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro antonio marco, in quella frase non c'è scritto che gli architetti "non devono pensare", ma che hanno pensato troppo e male e quindi che devono pensare meglio. Mi pare ci sia una gran bella differenza.
Su Nimes premetto che non ci sono stato e credo che in questo caso possa fare la differenza. Vedo però da una sezione nel sito di Foster che, nonostante la parte interrata, l'edificio sovrasta e giganteggia su tutto, principalmente sulla Maison Carrè. Quindi il dialogo c'è, ma è alquanto autoritario e arrogante. Rimanendo su Alberto Sordi si potrebbe parafrasare: "qui la star sono io e tu non vali un cazzo!".
Vogliamo dire che coi tempi che corrono si sarebbe potuto fare di peggio? Diciamolo pure.
Sul cetriolo non c'è da discutere, credo.
Il rogo non lo desidero per nessuno, la penitenza sì. A New York gliel'hanno fatta fare già una volta:
http://www.de-architectura.com/2008/05/norman-foster-riprogetta-un-edificio.html

Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

caro Giampaoli,
su questa frase:
"Foster mostra come un edificio possa non solo far dialogare la moderna architettura con quella classica ma anche essere un punto catalizzatore di incontro per la città" mi chiedo, e le chiedo: cosa significa dialogare? Se il dialogo tra due edifici si instaura solo perché prospettano sulla stessa piazza, allora diciamo di si! Ma mi sembra quanto meno ridicolo. Nel caso dell'edificio di Nimes, mi perdoni la metafora, l'effetto è quello di un chitarrista hard rock che maltratta la sua chitarra elettrica nel bel mezzo di un'opera lirica.

Su quest'altra frase:
"i materiali vengono utilizzati in modo, giustamente differente nella Carrè d’Art (1984-1993) e nella Maison Carre, come vengono utilizzati in modo diverso nella l’opera di Nimes di Foster e nelle opere di Tendenza, proprio perché di diverse epoche"
mi chiedo, e le chiedo: GIUSTAMENTE PER CHI? Non credo affatto che i materiali abbiano un tempo, eccetto quelli tanto cari al modernismo che, GIUSTAMENTE, risultano deperibili.
Ne deduco quindi che l'effetto lobotomizzante dell'insegnamento universitario fondato dul pregiudizio della "falsificazione della storia" abbia fatto un passo avanti: non si accusa più di falsificazione chi adopera il linguaggio o la grammatica degli edifici storici, ma addirittura chi adopera materiali tradizionali.
Grazie quindi del chiarimento, ora ho una ragione in più per sostenere la responsabilità, o meglio l'irresponsabilità, di un certo modo di insegnare che ci ha condotto al massacro di questo pianeta. Continuiamo quindi a costruire edifici energivori realizzati con "materiali della nostra epoca", sicuramente la storia dell'architettura modernista ne trarrà giovamento ... peccato però che a chi non interessano queste fregnacce stia a cuore il surriscaldamento del pianeta.

Non crede, visto ciò che succede in giro per il mondo, che sarebbe il caso di mettere finalmente in discussione le idiozie che ci sono state inculcate dai nostri docenti ideologicamente compromessi? Se non altro per quelli che sono gli effetti collaterali sul futuro della nostra specie.

Cordiali saluti
Ettore Maria Mazzola

Anonimo ha detto...

1. A differenza di altri, forse, ho visitato l’edificio da voi incriminato, ho studiato la sua planimetria etc. e non solo io, mi sembra, di aver trovato alcune analogie nelle “forme” con differenze delle misure e dei materiali, secondo me giustamente in questo caso;
2. A differenza di altri, forse, non pretendo di essere il pensiero unico, ma di esprimere se possibile una mia idea che forse viene condivisa da altri;
3. A differenza di altri, forse, esprimo mie modeste idee dopo aver studiato per anni per esempio il restauro filologico con cui qualche idea sui materiali credo di averla acquisita e solo successivamente scegliendo una mia posizione personale;
4. "i materiali vengono utilizzati in modo, giustamente differente nella Carrè d’Art (1984-1993) e nella Maison Carre, come vengono utilizzati in modo diverso nella l’opera di Nimes di Foster e nelle opere di Tendenza, proprio perché di diverse epoche";
5. A Differenza di altri, forse, sono appassionato di bioclimatica eco etc. e le assicuro che nell’architettura che s’ispira alla bioclimatica eco etc. sono proposti spesso materiali antichi, vengono utilizzati in modo diverso…. Un solo esempio .. forse il tempio romano lo hanno costruito schiavi…..
6. Ricordo che con il metodo consequenziale , proprio attraverso lo studio singolo delle parole estrapolate dal loro significato totale e non solo ,i gesuiti attaccarono Galileo Galilei…
poi è stato rivaluato …ma intanto.

ettore maria ha detto...

caro Anonimo,

intanto è davvero triste dover parlare con chi non si firma, e la cosa lascia aperte tutte le possibilità di interpretazione sul perché si decida di nascondersi.

Visto che pone delle differenze da altri (che ovviamente siamo io, Pietro e Memmo), io dico che, a differenza di altri, che esprimono il loro giudizio e operano le loro scelte a seguito di un indottrinamento universitario distorto dall'ideologia, noi ci poniamo il problema di pensare come la maggior parte delle persone che non sono passate per i banchi dell'università pensano. E allora ci poniamo il problema che, magari, non basti lavorare con l'archetipo o "studiare la planimetria" per poter dire di che un edificio rispetti il contesto e i monumenti preesistenti. Sarei davvero curioso di vedere i suoi restauri filologici per capire quanto rispettosi della filologia realmente siano, ma non ci è dato verificarlo perchè lei resta nell'anonimato. Personalmente, restando nell'anonimato, potrei dire di essere andato sulla luna senza darne alcuna descrizione e, dato che non c'è diritto di replica, tutti mi crederebbero. Anch'io mi interesso di bioclimatica e so benissimo che i materiali "antichi" vengono utilizzati, anche se a mio avviso troppo poco rispetto ai materiali industriali delle multinazionali della "bioarchitettura", detto ciò le chiedo, ma non le sembra ridicolo e fuori luogo, parlando di bioclimatica, scrivere "Un solo esempio .. forse il tempio romano lo hanno costruito schiavi…", ma che serietà e che certezze ha questa frase? E che senso ha il successivo riferimento a Galileo? Il dibattito è sempre benvenuto, tuttavia debbono portarsi argomentazioni valide e non frasi ad effetto che ottengono proprio l'effetto contrario

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro anonimo, confesso di non aver capito molto bene. Ho capito che i materiali tradizionali sono quelli veramente eco-compatibili e su questo siamo del tutto d'accordo, e Mazzola lo ripete da anni e ci ha scritto più di un libro.
Mi sembra di aver capito che tu sostenga, come antonio marco alcaro, che l'edificio di Foster ha forme e proporzioni che riprendono quelle della Maison Carrè. Poniamo che sia vero. Ti invito a guardare questo mio fotomontaggio fatto per gioco sulla piazza Grande di Arezzo:
http://www.de-architectura.com/2010/04/fuck-contest.html
Anche qui le proporzioni sembrano in certa misura rispettate ma sei proprio sicuro che sia sufficiente a decretare la bontà dello scherzo, per assurdo del progetto, o invece non decreta solo lo scempio di un luogo?
Non ho capito affatto il discorso dei gesuiti e di Galileo perché non vedo il nesso con i commenti pervenuti. Forse si riferisce alla frase che antonio marco ha, secondo me, frainteso ma comunque non mi sembra che nel suo caso né nel mio si possa evidenziare una volontà subdola di travisare un intero discorso. Non c'è nessuna inquisizione ma solo una diversa interpretazione del testo.
Comunque grazie
Pietro

Anonimo ha detto...

1.non ho detto che ho fatto restauri filologici ma che ho studiato il restauro filologico;
2.mi sono firmato almeno con il successivo post uguale al primo ma non lo avete pubblicato,
ciao
cordiali saluti
alberto giamapaoli

ettore maria ha detto...

ora è un po' più chiaro, grazie.
Tuttavia voglio sottolineare che, tra la teoria e la pratica può esserci un abisso. Personalmente ho restaurato e/o consolidato sia edifici antichi, come il Convento di Sant'Alessio all'Aventino (pubblicato su Costruire di novembre 2007), Palazzo Capranica del Grillo-Ristori a Roma, un casale a Perugia, un casale della bonifica di Latina, un paio di condomini storici siti in zone centrali di Roma, sia edifici "moderni", incluso un edificio poco noto per abitazioni progettato da Pier Luigi Nervi a Roma presso Piazza Bologna. In questi lavori mi è capitato di dover mettere le pezze a situazioni a dir poco preoccupanti a causa dei "moderni materiali". Questo equivale a dire che, in aggiunta alla teoria, ho imparato a conoscere sul campo i materiali, il loro reale comportamento, e i loro effetti collaterali. Inoltre mi è capitato, in moltissimi casi, di dover risolvere problematiche termoigrometriche, cosa che mi appassiona moltissimo, sicché, oltre al bagaglio culturale che mi veniva dal corso del prof. Platone, ho studiato moltissimi altri testi sull'argomento (p.es quello di Neretti e Soma) e oggi posso ritenermi molto esperto della materia, tant'è che ho lavorato anche come consulente in alcune cause giudiziarie. Questo fa sì che oggi penso di sapere moltissime verità nascoste sui materiali adoperati in edilizia che i sostenitori della cosiddetta "bioedilizia" o della "green architecture" o "Leed" non ci dicono. Uno dei pochi che ha accennato a queste cose è stato Beppe Grillo, che non a caso non è un tecnico e non è ben visto! In materia di restauri, penso di aver scritto abbondantemente, anche su questo blog, sulle ragioni di alcuni crolli recenti, quindi non mi dilungo per non annoiare. Mi limito a far notare che qui non ho fatto alcun accenno a termini stilistici che potrebbero far pensare ad una volontà di falsificare la storia, nè ho fatto accenno a nulla che possa suggerire nulla di ideologico.
Cordiali saluti
Ettore Maria Mazzola

Anonimo ha detto...

Gent.mo Ettore Maria,
perchè dovete cambiare ogni volta le frasi di altre persone,
non ho detto che non ho realizzato restauri, ho detto che ho studiato restauro filologico e non ho fatto necessariamente restauro filologico,
mi trovo anch'io nei vari cantieri del nuovo e del restauro,probabilmente non nella quantità di chi scrive su questo blog,ma continuo a farlo studiando molto, Platone lo ho avuto all'esame e mi fece una domanda molto difficile, a cui per mia fortuna oforse per lo studio riuscì a rispondere.
Perchè tanto fuoco contro una semplice opinione su un singolo edificio?,
perchè Foster deve essere punito?:
se ha fatto un edificio che funziona va bene, se ha fatto un altro edifico che non funziona va male, e un altro edificio va anch'esso bene va bene (ammesso e non concesso che il tutto sia oggettivo).Non dovrebbe essere come prima scritto in un altro post punito solo perchè fa parte di un'altra corrente di pensiero,
oltre tutto con questa polemica non si parla del nuovo che avanza magari chiamandolo terzo polo, e si vuole ritornare a un ideale passato mai esistito: la punizione delle idee contrarie mi ricorda momenti non felici,
sono solo mie opinioni, scusate,
cordiali saluti,
ciao
al prossimo articolo
alberto giampaoli

qfwfq ha detto...

A me sembra che la semplificazione sia già insita nell’approccio proposto da questo blog; d'altronde la semplificazione, usata con parsimonia, dovrebbe aiutare la comunicazione; eccessi di semplificazione ovviamente possono sembrare fuorvianti, ma nessuno è immune da questo.
Sono ad esempio generalizzazioni (a mio parere molto fuorvianti) frasi che affermano che “Tutta” la produzione architettonica degli ultimi 80 anni sia da buttare via. Così come si tende a semplificare quando si dice che “tutta” questa variegata produzione sia stata “dimenticata in fretta”.
Si tratta evidentemente di semplificazioni che più che una verità esprimono semmai un desiderio, al quale si vuole dare il significato consolatorio di assolutezza totalizzante.
Semplificazioni che servono per sostenere l’idea che “solo” l’utilizzo di linguaggi architettonici tradizionali potrà salvare la nostra società dal disastro culturale del nichilismo surmoderno.
Semplificazioni che consentono di giustificare un arbitrio (la scelta personale di utilizzare uno specifico linguaggio architettonico, uno qualunque purché riconducibile ad un periodo precedente alla rivoluzione industriale) solo perché proposte in antitesi al modello corrente (identificato genericamente nel modernismo).
Ora poiché il modello corrente non esiste o se non altro non esiste più (“c’è confusione”, come dice giustamente Memmo, ma questo potrebbe anche essere una risorsa), la ricerca ossessiva del “nemico” da abbattere diventa prioritaria per la propaganda antimoderna.

Se mi passate il paragone la mia sensazione é che vi comportiate come quelli che per sostenere la propria tesi politica continuano a sbandierare il pericolo del comunismo. Questo pericolo non esiste più (salvo che per pochi nostalgici), ma a voi evidentemente fa comodo credere che non sia così.

ettore maria ha detto...

caro Giampaoli,
non mi sembra affatto che si sia voluto "cambiare le frasi di altre persone", almeno da parte mia, la sua frase era infatti "non ho detto che ho fatto restauri filologici ma che ho studiato il restauro filologico" il che lasciava intendere che la conoscenza si limitasse all'aver studiato. Se poi dice di aver "realizzato dei restauri non necessariamente filologici" me ne rammarico, poiché il restauro DEVE mettere in primis il rispetto del monumento e non la firma del professionista, e non intendo solo il discorso sul "restauro creativo" che potrebbe sottintendere ad un discorso di rispetto stilistico, ma nello specifico il comportamento statico, fisico e chimico del monumento, cosa che è possibile fare solo ed esclusivamente studiando a fondo il monumento, ovvero operando filologicamente. Mi dispiace ma questa non è una convinzione ideologica, ma una necessità richiesta dal manufatto.
A qfwfq (mi perdoni l'ironia, sembra di parlare con uno dei mostri di Ben10 che piacciono mio figlio) mi limito a dire che l'unico che semplifica è prorio lei. A proposito, per quanto mi riguarda in Italia non c'è mai stato alcun pericolo di comunismo, poiché il PCI italiano è sempre stato anni luce distante da quello sovietico e cinese, tant'è che Moro lo aveva capito e aveva cercato un avvicinamento. Poi qualche entità esterna che muove i fili del mondo ci ha voluto far credere che Moro sia stato ammazzato dagli estremisti di sinistra, solo che ciò è successo proprio nel momento in cui il fantomatico pericolo comunista italiano sarebbe venuto meno grazie all'operato di Moro. La storia dei mostri invisibili, un tempo i giapponesi, poi vietnamiti, poi i russi, oggi l'Islam, purtroppo fa comodo agli oligarchi del mondo, ma non è detto che si debba credere a tutto.
Mi scuso per questa divagazione che nulla ha a che fare con l'oggetto di questo blog, ma non potevo esimermi dal rispondere alla "generalizzata" accusa del "antigeneralizzatore" qfwfq
Ciao
Ettore

Alberto Giampaoli ha detto...

Gent.mo Ettore Maria,
mi scusi,
personalmente non ho mai pensato che il suo lavoro fosse peggiore del mio o di chiederle il suo curriculum, solo perché lei potrebbe avere idee diverse dalle mie.
Voi dite di rappresentare le idee delle persone che non sono architetti, bene perché un collega che potrebbe lavorare meno di voi, non dovrebbe esprimere le sue idee? Ho fatto un’osservazione su un eventuale rapporto tra i due edifici, come osservatore e visitatore, comunemente ad altri su blog o scritti.
Con i vostri modi, cambiate l’agenda originale della discussione, attaccando su problematiche che secondo me non entrano nel merito e ciò che è più importante, mi sembra che, in generale, con il vostro scrivere non parliate delle esigenze delle persone e del lavoro di numerosi nostri colleghi che stanno operando in modo egregio e certamente non promuovete la discussione con altri che potrebbero avere idee diverse dalle vostre. Sono d’accordo che sia necessaria una architettura di qualità diffusa non necessariamente delle archistar, ovviamente non sono d’accordo sui modelli che proponete voi, ma mi sembra difficile promuoverla, da parte vostra, se operate in questo modo.
Ripeto ho espresso solo e semplicemente una opinione dell’eventuale rapporto tra due edifici, senza neanche scrivere se ciò sia stato giusto o meno, come in parte ha poi concordato, mi pare, il Gent.mo Pagliardini, che ringrazio per la sua preziosa e gentile ospitalità nel suo blog.
Tutto il resto che cosa c’entra? Scusate per l’abbondanza del mi pare, e secondo me, ma non vorrei scatenare nuove analisi sulle frasi, di cui sinceramente non vedo la necessità.
Cordiali saluti, Alberto Giampaoli.

ettore maria ha detto...

gent.mo Alberto,

a me non sembra di aver mai detto che lei abbia detto che il suo lavoro è meglio del mio.
Nessuno ha mai detto che le idee diverse debbano essere escluse dal dibattito. Semmai, diversamente dal democraticissimo Pietro Pagliardini che ospita tutte le opinioni, non c'è blog di matrice modernista che ospiti mai qualcosa, o qualcuno che la pensi diversamente dal titolare del blog, altrettanto dicasi per le riviste patinate e per la vergognosa esposizione delle "nuove tendenze" italiane raccolte da Molinari per l'ultima Biennale. Il problema è che, quando ci sono posizioni differenti, giustamente si genera un dibattito, e quando questo c'è, divergenze a parte, non può che essere istruttivo e costruttivo. Il problema è che quando ci sono accuse immotivate, o certezze assolute non dimostrate, il dibattito perde di incisività. Il discorso su Foster, purtoppo, non sta in piedi, o meglio ci sta nella mente degli architetti perché non hanno il coraggio di accettare che possano esser stati plagiati dai loro professori, ma sicuramente non sta in piedi nella mente di chi ha visto violentare la propria città. Non è un caso se un tempo l'apertura di un cantiere era seguita con grande interesse ed aspettative dalla cittadinanza, mentre oggi, anche senza conoscere il progetto, all'arrivo delle ruspe partono in massa i comitati di cittadini che vorrebbero scongiurare il prossimo scempio ... qualche ragione ce la dovranno pure avere, e gliel'hanno data proprio gli architetti modernisti troppo innamorati di se stessi e delle proprie idee per accorgersene

ettore maria ha detto...

Caro Robert,
ritengo che parlare di architettura in termini politici possa essere fuorviante.
Se Bassolino o Veltroni hanno avviato qualche demolizione, è vero pure che hanno fatto scempi da altre parti, ma il loro colore politico non ha molto a che fare con i poteri forti che muovono i fili dell'urbanistica e dell'edilizia in generale.
Credo che un'opinione politica su di me te la sarai fatta, se ti è poco chiara, io non sto con nessuno, perché in ogni direzione vedo politici che pensano solo ai loro interessi, quindi non mi interessa essere accusato di essere di sinistra o di destra ... però mi fa ribollire il sangue essere paragonato a Zevi!!!!
Un caro saluto
Ettore

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