Io ho una gatta scontrosa. Anzi, avevo una gatta scontrosa. L’ho persa, in effetti, quando i miei hanno deciso a maggioranza, io all’opposizione, di prendere un altro cucciolo di gatto. Simpaticissimo questo, e ormai completamente umanizzato. Dorme nel lettone, come un figlio piccolo, ci segue ovunque andiamo, in casa o in giardino, ha i nostri stessi orari. Si sveglia con la sveglia e ci aspetta per la colazione. Cena con noi.
Però ho perso la gatta, che non ha retto al dolore di essere usurpata, o meglio, che non ha tollerato l’intrusione nel suo territorio di un estraneo. Prima dormiva spesso sopra la borsa del mio portatile lasciata per terra. Si vede che le risultava comoda, ma io mi illudevo che lo facesse perché era mia.
In realtà non l’ho persa del tutto, perché è andata a vivere dal mio vicino di casa e a cena viene spesso da noi, sempre con grande sospetto, guardandosi continuamente alle spalle temendo che arrivi l’intruso a disturbarla. Mangia e chiede subito di uscire. Come lo chiede? Lo chiede e basta.
Ieri sera sono andato a trovare il mio vicino e amico e collega. Vedo un nuovo gattino in casa sua. Domando come l’abbia presa la gatta. La risposta è arrivata prima che finissi la domanda: ha lasciato una chiara traccia nel divano, e non l’aveva mai fatto. Ben gli sta, al vicino dico.
E’ una gatta identitaria. Fortemente identitaria, ed ha uno smisurato senso della proprietà o meglio del suo territorio.
Ma lei segue il suo istinto, non la ragione, tanto meno la cultura. Noi esseri umani, fortunatamente, seguiamo, o dovremmo seguire, ragione e cultura e dunque siamo animali, sì, ma di tipo diverso e superiore.
Eppure non possiamo dimenticare del tutto certi istinti che sono latenti ma pronti a riemergere quando c’è una situazione di pericolo o di disagio o anche di benessere; non possiamo, e penso non dovremmo neanche desiderarlo, metterli a tacere una volta per tutte e fare finta che non ci siano. Anche questo è uno degli aspetti della nostra complicata umanità.
Abbiamo il dovere, però, di non comportarci come la mia gatta nei rapporti con i nostri simili. Non ci sono dubbi: in questi casi dobbiamo usare ragione, cultura, tolleranza, etica, morale. Il senso iper-identitario può andare a finire male.
Ma nel giudicare l’arte, la nostra casa, lo spazio in cui viviamo, la nostra città, non esiste obbligo morale a non giudicare anche con il nostro istinto. Non procuriamo danno a nessuno nel pensare e nel dire che un quadro di Fontana è solo un taglio su una tela, che la Merda d’artista è solo stomachevole, anche se ipotetica, merda di un artista, che un progetto della Hadid ci può disgustare e procurarci ansia e non appartiene al mondo dell’architettura ma solo a quello della vanità, pagata talora con denaro pubblico. Anzi, sono loro che procurano danni a noi, a quella parte di noi che appartiene anche alla mia gatta e che la fa scappare di casa, e quindi l’immoralità, se c’è, non è la nostra.
Non c’è motivo di vergognarsi se la scatoletta che non si sa cosa contenga davvero - e che se uno si vuole cavare lo sfizio di saperlo deve buttare una cifra variabile da 15.000 a 130.000 euro (non so se dipende dall’annata) - non solo non ci piace ma ci sembra anche una bella presa in giro. Non c’è motivo di vergognarsene perché l’istinto ci suggerisce che è una presa in giro e non c’è una vera ragione perché prevalga una cultura concettuale e astratta che confligge con un aspetto non secondario della nostra umanità, perché il prodotto contenuto nel barattolo non ci stimola propriamente il senso estetico ma quello di nausea, anche se è solo evocato.
Certo, il senso estetico appartiene all’uomo e basta, ma anche questo ha a che fare con i sensi e con la natura che è in noi; quel senso estetico che ci fa apprezzare paesaggi naturali splendidi, nel cui giudizio siamo tutti alla pari a prescindere dal grado d’istruzione e di intelligenza, se non per lo scrittore o il poeta o il pittore che riescono ad esprimere meglio di altri le proprie emozioni attraverso la loro arte; ma si tratta di comunicazione di emozioni, appunto, non di maggiore o minore capacità di emozionarsi. Nessuno può infatti supporre, e tanto meno affermare, che l’analfabeta abbia emozioni inferiori al premio Nobel.
Se un quadro di quello stesso paesaggio che tutti ammiriamo è composto da tre macchie di colore informi ecco che ci si divide e i più vedranno tre macchie di colore informi, gli altri un’opera d’arte. Entrambe i giudizi hanno diritto d’asilo, anche se il secondo richiede argomentazioni e non fuffa e non deve prevalere con la prepotenza.
Libertà vuole che ci siano persone che apprezzano la Merda d’artista o la Hadid o Libeskind e nessuno deve loro negare questo diritto (apprezzare le squallide periferie, invece, è un diritto solo per chi ci abita, gli altri non hanno titolo perché non sono credibili), ma vale anche la reciprocità e chi non le apprezza o le detesta ha il diritto di dirlo senza dover essere additato come un cavernicolo illetterato e primordiale. Libertà vuole che nessuno ha il diritto di importi ciò che ti deve piacere.
Vale per i progetti della Hadid, o per un film di Godard, o per la musica classica contemporanea (che non esiste quasi più) o per gli incubi urbani di Le Corbusier o per gli edifici storti e spigolosi di Libeskind (già, che fine ha fatto anche lui?) o per le tristi periferie che sono tristi perché intristiscono coloro che ci vivono, checché ne dicano architetti e critici e sociologi (che però non ci vivono).
Chissà che fine farà la mia gatta, senza più casa? Stasera è tornata a mangiare da me ma ha chiesto di uscire subito dopo, come sempre.
Speriamo che il mio vicino abbia capito e rinunci al nuovo gatto, che tra l’altro pare abbia già un padrone, perché fuori piove.
Pietro Pagliardini
Credits:
L'immagine Excremental Value è tratta dal blog angel's Blog
6 commenti:
Caro Pietro, sei un poeta! ... E speriamo che non piova.
Ciao
Ettore
Pietro, la tua lettura della “Merda d’artista” di Manzoni, è sicuramente semplicistica, forse largamente condivisa dalla maggioranza, ma decisamente riduttiva.
Io credo, e non sono la sola, che Manzoni voglia, sì, mettere in atto “una bella presa in giro”, ma nei confronti dell’ambiente dei mercanti e dei critici d’arte, con le loro ‘macchinosità parascientifiche’, gli ‘intimismi da psicanalisi’, le ‘fantasie etnografiche’, tutto il grande circo mediatico che sfrutta cinicamente le debolezze di una società spregevole e ignorante, incapace di giudizio, disposta a comprare tutto, purché firmato: la firma, da Andy Warhol in poi, è infatti l’unico criterio per attribuire valore artistico e commerciale a qualunque cosa (“compro quindi sono”), credo che lo stesso Manzoni sia stato il primo a divertirsi nel vedere esposta, quotata e venduta la sua scatoletta!
A titolo di cronaca cito Chris Ofili, uno dei maggiori rappresentanti della Bad Painting, che nel '97 presenta alla mostra "Sensation" quadri polimaterici realizzati con l'impiego di sterco di elefante, in chiave fortemente dissacratoria, volutamente e forzatamente scandalistica, e ricordo Mirò, che nella sua esasperata sperimentazione a metà tra astrazione e matericità arriva ad usare rifiuti biologici. Sono due esempi che hanno fatto assai meno scalpore, forse perché meno abilmente strumentalizzati.
Fatto salvo il diritto di non apprezzare la famigerata scatoletta, bisognerebbe, io credo, associarsi alla critica beffarda dell’autore che guarda con ironia feroce e con un senso di impotenza dolorosa e sfiduciata una società in crisi.
Che per la sua ottusità mentale merita merda, e quella Manzoni le dà.
Vilma
Vilma, la famosa scatoletta è l'esempio più semplice, eclatante e anche demagogico, se vuoi, capace di riassumere tutte le stupidaggini che ci vengono propinate con il nome di arte nelle varie mostre biennali, triennali ecc.
E' la più emblematica per gli ovvi motivi che è inutile ripetere.
Resta comunque il fatto, secondo me, che non si può prescindere nel giudizio artistico, e anche in quello architettonico e sulla città, inteso come fruizione dello spazio da parte dell'uomo, dal nostro essere profondamente influenzati dal nostro essere parte integrante della natura e quindi suscettibili di sensazioni che non possono e non devono essere represse e tantomeno criminalizzate o, se vuoi, degradate ad un livello inferiore. Ti immagini innamorarsi di una persona e dirle: l'odore che rilasciano i tuoi ormoni è compatibile con il mio, quindi.... come stanno tentando di farci intendere i bravi scienziati!
Io credo che una buona parte della fonte del diritto positivo abbia origini naturali. L'inviolabilità del domicilio, ad esempio, garantito in tutte le costituzioni democratiche e di origine antichissima, ho letto, non solo dai romani ma anche dai popoli germanici, ha una chiara provenienza dall'istinto territoriale della mia gatta, successivamente affinato e arricchito con il concetto di libertà individuale, ecc.
Sembra una divagazione rispetto alla percezione artistica ma non lo è, perché quel meccanismo naturale è sempre lo stesso.
Inutile ripetere che l'evoluzione del pensiero e della ragione tende e deve tendere a far prevalere la ragione sull'istinto, ma c'è un limite invalicabile oltre il quale la ragione da sola diventa estremamente pericolosa, come ad esempio nel caso della bioetica. In base a razionalità pura vecchi e disabili dovrebbero essere eliminati perché sono un costo per la collettività.
Sembrano sempre divagazioni queste mie considerazioni ma non lo sono, perché in tutto c'è una logica e una coerenza e non è che si possa giudicare l'arte in un certo modo e la libertà in un altro. La nostra umanità è estremamente complicata ma non così dissociata come può sembrare.
Per questo sono partito dall'episodio, assolutamente autentico in ogni suo dettaglio, dei miei gatti per arrivare all'architettura.
Probabilmente non sarò stato capace di far risaltare il legame, sicuramente avrò toccato la banalità, tuttavia il legame esiste.
Ciao
Pietro
Caro Ettore, non sono poeta, sono solo affezionato alla mia gatta che mi sembra rimasta senza casa, anche lei vittima del consumismo (dei gatti).
Ed è pure piuttosto anziana.
Ciao
Pietro
Pietro,
seguendo il tuo ragionamento.
Immedesimandomi nella logica di un felino:
Territorio uguale cibo.
Il cibo è vitale.
Quindi, chi ruba il cibo mi uccide.
Da felino siculo non provare ad avvicinarti - neanche per le vacanze estive - dalle mie parti perché il sole è mio.
Se ti vedo anche in versione da poeta alla Bondi ti sbrano.
Detto fatto.
Buona domenica,
Salvatore D’Agostino
P.S.: lascia perdere l’arte contemporanea, parla di cose che conosci: crostini neri, prosciutto del Casentino, Agnolotti, Panzanella, Tordi in guazzo, fagioli all’uccelletto, ballotte, panina e di San Donato in versione da ‘santo da giardino’.
La tua protervia, figlia di chissà quali oscure implicazioni psicanalitiche, merita forse una risposta?
Ma certo che no!!!!
Pietro
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