Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


15 novembre 2010

IL RESTAURO CREATIVO DELLA FORTEZZA DI AREZZO

Ecco un caso in atto di restauro diverso da quello di Pompei ma più in linea con i tempi e non meno distruttivo di quello: il restauro creativo.
Il caso: Fortezza Medicea di Arezzo. Autori: Giuliano e Antonio da Sangallo, mentre Antonio da Sangallo il Giovane ha seguito i lavori. Per altre notizie storiche rimando al link.
E' in corso l’esecuzione di un progetto generale di restauro e riuso della Fortezza. Sorvolo sul riuso perché occorrerebbe spiegare tutte le condizioni urbanistiche e sarebbe troppo lungo. Basti dire che non è affatto facile l’utilizzo continuativo di una fortezza, per natura inaccessibile, posta sulla sommità della città e separata da questa da un grande parco; dunque un’operazione difficile e una scommessa. Comunque il restauro delle mura, quello vero, cioè la manutenzione delle stesse, era senz’altro necessario e da quello che è dato vedere sembra essere stato fatto piuttosto bene.
Il problema si pone laddove l’architetto ha voluto lasciare il suo segno indelebile e trasformare un’operazione di restauro in un’occasione di “sperimentazione” architettonica e creativa. Posso dirlo senza rimorsi perché non so chi sia l’autore reale del “gesto”, dato che l’incarico è stato dato all’Università di Firenze che credo abbia lavorato di concerto con l’Ufficio Tecnico Comunale.
Cosa c’entra l’immagine in alto? E’ solo l'ideogramma del progetto.

In uno dei bastioni a nord, quello più inaccessibile dalla città, chiamato il Bastione del Soccorso, un orecchione era da lungo tempo parzialmente crollato. A terra c’era ancora molto, se non tutto, del materiale originario. In questo bastione è previsto uno dei due ascensori, e relativa scala, per accedere al complesso.
Il bastione è perfettamente simmetrico e non esisteva alcuna possibilità di “interpretare” come avrebbe dovuto essere ricostruito, almeno nella sua forma esterna. E infatti anche il progetto conserva la simmetria planimetrica originaria, ma lo fa a modo suo, cioè in vetro. Questo almeno nella prima versione.
Non sfuggirà a nessuno la esiguità del progetto, anche prescindendo dal tema principale, cioè dal fatto che si dovrebbe restaurare un’opera unitaria e di assoluto valore e non inventare, e non aggiungerò quindi inutili spiegazioni.
Evidentemente qualcuno deve essersi accorto che la soluzione era, diciamo, discutibile, non foss’altro perché la presunta unità planimetrica sarebbe stata del tutto assente nella visione reale, che sarebbe apparsa frantumata e tale che l’opera nuova avrebbe sovrastato, per la sua “originalità”, ciò che esiste, o almeno che ci sarebbe stata una certa esagerata dissonanza e deve aver pensato bene di trovare un compromesso: ricostruire la forma esterna del bastione, riportandolo dunque ad unità, ma in acciaio cortèn con tagli che servissero da appiglio per piante rampicanti!!!!

Mi spiace non disporre di un progetto più dettagliato di questo qui:
ma non è difficile poterlo immaginare.
Il tutto con il parere favorevole della Soprintendenza. Lo dico per semplice logica deduttiva dato che non potrebbe essere diversamente, anche se non sono al corrente (ma non è difficile immaginare) delle motivazioni che hanno portato ad approvare questa scelta. E’ perfino possibile ipotizzare le discussioni che vi sono state.
E infatti mi divertirò a farlo in un gioco di immaginazione di tutto il “processo creativo”.

Mi pare di sentirlo il travaglio profondo nel passare dal primo progetto, quello del grande gesto, dell’interpretazione architettonica e del dialogo tra il vecchio e il nuovo, tra la storia e la contemporaneità, tra l’originaria funzione di dominio militare da parte dei fiorentini sugli aretini con la conseguente architettura chiusa nella forma e possente nella materia e, di contro, l’apertura alla città (dei morti, perché il bastione è proprio sopra il cimitero) ben rappresentata dalla scelta del vetro, espressione simbolica di democratica trasparenza; e il secondo progetto, quello in corso di esecuzione, più misurato, rispettoso della forma ma che tuttavia non rinuncia alla, non fa un passo indietro rispetto alla, non teme la (non sia mai) contemporaneità.

Il cortèn è la soluzione giusta: materiale inattaccabile dalla ruggine perché già arrugginito, materiale post-moderno, post-industriale, post-nazionale e dunque globale.
Ha il fascino del vecchio ma denuncia chiaramente il suo essere nuovo, è adatto ad ogni circostanza, al bagno di tendenza, al ristorante del grande chef, all’arredo urbano (sedute come se piovesse), se attaccato ad una parete in forma rettangolare potrebbe sembrare perfino un quadro di arte concettuale, molto materico e dialogante con la pietra, insomma perfetto.
Di più: i tagli orizzontali (o verticali, non saprei) creano da dentro giochi di luce e di suggestive trasparenze e quindi, oltre alla suggestione emotiva, rimane anche la suggestione democratica della trasparenza del vetro.
Una pensata migliore non si poteva fare!

Last, but not least, la ciliegina sulla torta, il fascino del pittoresco e del rudere, John Ruskin, la forte tempra morale nel restauro: il rampicante, segno della natura che prevale sul manufatto e si riappropria dell’opera dell’uomo, dunque espressione della caducità di un’opera nata invece per essere aggressiva ed eterna. E poi, il ricordo, il memento della ferita che rimane come ulteriore monito all’uomo di non pensare all’eternità. Contrasti e sapori forti.

Cari Sangallo, non pensiate di essere ricordati solo voi, pur bravi ma terribilmente antichi! Adesso i posteri diranno che anche noi contemporanei abbiamo saputo "dialogare" e "confrontarci" con voi, con la storia, con la memoria, anche senza consultarvi (cioè nell’unico modo possibile, leggendo la vostra opera e rifacendola come voi l'avevate ideata).
Ci siamo confrontati sì, ma con la sensibilità di uomini del nostro tempo, con la nostra "cultura", non abbiamo ingannato gli ignari visitatori rifacendo un falso storico, noooo, come Piazza Grande o come la guglia del campanile del Duomo che sono tutti falsi degli anni '30, questi zotici, e non li costringiamo a dire "quanto è bella questa fortezza", perché se è falsa non può essere bella, per definzione, anche se a loro sembra il contrario, al pari di Piazza Grande e della guglia del campanile. Ma lo dicevano perché non lo sapevano. Ma adesso sanno e potranno e dovranno così dire "guarda l'architetto come è stato originale"!
Adesso anche noi abbiamo, finalmente, lasciato il segno, adesso anche noi esistiamo.
Forse.

23 commenti:

ettore maria ha detto...

caro Pietro,

la foto della donna bionica è assolutamente pertinente!
Come ebbi modi di dire tempo fa, viviamo in una società che ha accettato passivamente, e solo per alcuni argomenti, l'idea assurda della "falsificazione della storia".
Mentre nel campo dell'architettura (che nel rispetto di Le Corbusier vuole assomigliare alla "macchina"), si assiste alla demonizzazione di chi cerchi di dialogare con la storia per evitare lo stridore estetico delle aggiunte irrispettose, dall'altro si assiste ad un fenomeno assurdo: il restauro architettonico DEVE mostrare la differenza tra il nuovo e il vecchio, mentre il "restauro umano" (modello Dorian Gray) deve portare le persone a mostrare almeno 10 anni in meno. Inoltre, per quanto riguarda l'industria automobilistica e motociclistica, assistiamo ad un esplosione del fenomeno "vintage" e al fiorente mercato delle industrie che producono pezzi IDENTICI a quelli originali che servono per il restauro delle auto e moto d'epoca ... la cosa interessante è che, molti degli architetti e critici di architettura che combattono il "falso storico applicato al restauro", risultano proprietari (se non addirittura collezionisti) di auto o moto "falsificate" ... Dov'è finita la coerenza?
Permettimi quindi una battuta (che forse non gradirai): il nostro premier è un accanito sostenitore del "restauro umano stile Dorian Gray", spero che l'occasione del disastro di Pompei gli dia la possibilità di promuovere anche qualcosa del genere per il restauro dei monumenti.
Ciao
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Non preoccuparti, perché forse l'unica cosa che non apprezzo del Presidente del Consiglio è questa mania di falsificazione del corpo. Ma non è il fatto privato che mi interessa (in fondo sono affari suoi), quanto quello pubblico e cioè il suo aperto sostegno al San Raffaele di Don Verzè, che appartiene alla schiera di coloro che vogliono farci vivere fino a 120 anni.
Obbiettivo che io ritengo scellerato e disumano. I deliri di onnipotenza della tecnica biologica finiscono male.
In fondo c'è una certa analogia con la mentalità dei restauratori creativi: quelli violano il corpo, questi violano l'opera dell'uomo.
Chiusa la parentesi.
Pietro

Anonimo ha detto...

Pietro, non conosco i progetti di cui parli nel tuo post, ma poiché il senso del discorso è di carattere generale, mi permetto di intervenire.

La cosa curiosa è che leggendo ciò che scrivi e prescindendo dalla carica ironica che lo percorre dall’inizio alla fine, conoscendo bene le tue posizioni nella vecchia diatriba tra antico e moderno, si potrebbe benissimo credere che il post sia stato scritto da un ‘modernista’ convinto.
La chiusa, poi “Ci siamo confrontati sì, ma con la sensibilità di uomini del nostro tempo, con la nostra "cultura" …….. “Adesso anche noi abbiamo, finalmente, lasciato il segno, adesso anche noi esistiamo” suggella il brano con concetti assolutamente condivisibili da qualunque difensore della contemporaneità: perché mai non dovremmo lasciare il nostro segno, Sangallo sì e noi no? La storia è fatta di segni lasciati, l’architettura, che è il più antico e spettacolare libro della storia, perché non dovrebbe lasciarne?
Si potrebbe discutere sul come attuare il “dialogo tra il vecchio e il nuovo”, ma non criticare a prescindere, come fai tu ironizzando non sui modi ma sull’idea stessa.
Secondo la quale, come un vecchio e glorioso guerriero, la Fortezza esibirà a quelli che verranno le sue cicatrici, rimarginate ma non cancellate con interventi di plastica ricostruttiva e racconterà la sua storia, documenterà quella che Mario Costa chiama “la cesura cronologica tra passato e futuro”, basterà che la guardino e anche se bruciassero tutti gli archivi d’Italia, quelle strutture violate (tu usi lo stesso termine in senso negativo) non dall’uomo ma dal tempo, tesseranno il racconto.

“Lo stridore estetico “ è un concetto vago e mutevole, come quello del bello e del brutto, cambia a seconda dei tempi e dei luoghi (e anche degli architetti), non è un parametro oggettivo al quale fare riferimento, non vuol dire nulla.

Curiosamente, in simili discussioni mi pare del tutto accantonato un concetto che non è né moderno né antico, ma basilare, e cioè che in architettura vale il principio che non sia la funzione uno stato della forma, una sua condizione, ma che sia la forma a dare della funzione una "interpretazione formale" (mutuando parole di Giò Ponti, "Amate l'architettura"), intendendo per funzione non la mera funzionalità, ma il compiersi di un'esigenza estetica ed intellettuale che "esclude ogni memoria di altre provenienze formali", traccia di una memoria collettiva o individuale che ci fa capire come solo quella forma esprima quella funzione, non altre, una funzione che diviene così "in-formazione" in grado di “in-formare” la materia trasferendo i suoi contenuti in una "forma" architettonica.
E’ la funzione intesa come anima concettuale della materia, come contenuto dell'opera espresso nella sua realizzazione anche tecnica, come risultato di una equilibrata sintesi dove la forma non è più separabile dalla funzione.
Su questo concetto vige la più totale indifferenza da parte di tutte le teorie sul restauro architettonico, recenti e passate.
La funzione di un edificio, che discende dallo stato evolutivo e dalle esigenze della comunità cui è destinato, dalla realtà socio-culturale in cui il progetto matura, dagli usi e dai costumi del tempo, dallo sviluppo tecnologico raggiunto, oltre che, naturalmente, dalle intenzioni progettuali dell'architetto, a differenza della struttura che la esprime, non è un valore restaurabile, né decontestualizzabile, né sostituibile, individuato da parametri non ripetibili al di fuori del contesto storico di riferimento: Sangallo ha progettato la sua Fortezza in quel modo per ragioni precise ed oggettive legate al “l’originaria funzione di dominio militare da parte dei fiorentini sugli aretini”, ci si scandalizza per l’inserimento di nuove linee e nuovi materiali, e non si dice nulla del fatto che oggi la Fortezza, svuotata della sua funzione, venga usata in chiave presepiale, vuotamente formale, come una scenografia privata di significato (che ne direbbe Sangallo?).

Vilma

ettore maria ha detto...

Cara Vilma,
il fatto che i Sangallo abbiano potuto lasciare un segno e che anche noi dovremmo esser legittimati a fare altrettanto è più che condivisibile, ciò che non lo è affatto è che il nostro segno, secondo ciò che si evince dal tuo messaggio, andrebbe sovrapposto a quello dei Sangallo fregandocene dell'opera originaria. Se ciò fosse vero, l'immagine della donna bionica di Pietro riassume l'assurdo di quella affermazione.
"lo stridore estetico", benché tu ritenga che non abbia alcun senso, un senso ce l'ha, ed è quello che va contro il senso del bene comune e del rispetto degli altri. Se un architetto non ha alcuna idea di cosa significhi "restaurare" o "rimettere in pristino", che faccia un altro mestiere, ovvero che si limiti a lavorare progettando edifici nuovi (sui quali ora non voglio discutere per non allungare il brodo).
I danni operati al nostro patrimonio da pseudo-restauratori sono troppi per poter fingere che il problema non sussista. Lo scempio che si vuol fare alla rocca di Arezzo è l'ennesima vergogna operata nell'interesse di qualcuno piuttosto che nell'interesse della collettività. Non ho nulla da eccepire all'idea di dare una nuova funzione alla Rocca, sono il primo a sostenere che la principale causa di degrado sia data dallo stato di abbandono, ho scritto più volte che, diversamente dall'approccio iperprotezionista, sarei dell'avviso di riportare gli edifici a vivere la vita di ogni giorno venendo riutilizzati piuttosto che recintati in gabbie per gli animali (vedasi gli edifici del Foro Boario a Roma).
Se davvero amiamo il nostro patrimonio, indipendentemente dall'ideologia modernista e/o tradizionalista, dobbiamo rispettare i caratteri, i materiali e le tecniche costruttive degli edifici per quello che erano all'origine. Mettiamo da parte le nostre convinzioni personali perché se i medici dovessero fare altrettanto ci troveremmo con una società di donne bioniche e di Presidenti del Consiglio con la testa di Big Jim ... ops i capelli di Berlusca lo sono già!
A presto
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, ti rispondo con più calma stasera perchè adesso non ho il tempo di leggere i commenti
Ciao
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, è evidente che era mia intenzione mettermi nei panni del modernista e rifargli il verso. Ma in fondo non è poi neanche tanto vero parlare di modernista, direi che mi sono divertito ad imitare i tic, a questo punto per me tanto insopportabili quanto ridicoli, dell'architetto, il suo stereotipo peggiore, quello di ogni relazione di progetto scritta dopo averlo fatto e non pensato durante la progettazione, cioè una cosa tanto chiaramente posticcia quanto immaginifica ma vuota, e ho fatto finta di essere io a fare una relazione di concorso, scrivendo una serie di cose che sono allo stesso tutte vere e tutte false, convinto come sono che in architettura le parole non contano ma conta solo il progetto.
Vengo al progetto. Tu dici di non conoscerlo, ma non c'è da conoscere molto di più di quello che si vede: un bastione parzialmente caduto e progettato prima in vetro, con un insieme scala-ascensore tipo cavatappi, progetto davvero miserrimo anche dal punto di vista del modernista, e successivamente ricostituendo la superficie mancante del bastione in acciaio cortèn. E' chiaro che dentro il bastione ci saranno scala e ascensore, ma questa parte del progetto non lo conosco e, tutto sommato, credo che nemmeno ci sia in forma definitiva, dato che potrà essere fatto in corso d'opera, una volta tolti i detriti e i riempimenti di terra e scoperto ciò che prima non si conosceva. Su questa parte vedremo dopo.
Ho preso questo esempio per due motivi: primo,perché è della mia città e, pur cercando di evitare di fare polemiche in casa (o meglio la faccio e l’ho fatta anche per questa occasione, ma sui giornali locali, se me la pubblicano), questa mi pare un'occasione troppo importante per stare zitto. Un po’ come se a Milano facessero un analogo intervento sul Duomo, oppure, come è stato fatto, alla Scala. Secondo: mi sembra questo un caso tanto elementare, scontato da non vedere cosa ci debba essere da inventare nel ricostruire un'opera che ha una sua assoluta unità, leggibilità e chiarezza progettuale da essere facile perfino per un gruppo di muratori ricostituirla nella sua forma originaria senza l’ausilio dell’architetto.
Io credo che questo sia un caso assolutamente esemplare della incultura dell’architetto: intanto, anche stando al gioco del dialogo, siamo ai minimi termini, nel primo progetto, soprattutto, ma anche nel secondo, solo apparentemente più raffinato. L’uso del cortèn è, come dire, scontato, ovvio, nella perversa logica di volere inventare. Apri una rivista e trovi il cortèn.
Ma poi perché si dovrebbe inventare qualcosa? Quando ad Assisi il terremoto ha distrutto le volte della basilica, nessuno si è sognato di inventare qualcosa, se non una tecnica costruttiva che non fosse pesante come quella precedente, frutto di “consolidamento”. Se disgraziatamente cadesse la Torre del Mangia, nessuno si preoccuperebbe di affidarsi alla creatività dell’architetto ma verrebbe ricostruita esattamente com’è, come nel caso del campanile di San Marco. Se, per un evento imprevedibile, la pavimentazione di Piazza del Campidoglio dovesse scomparire, non credo che verrebbe affidata la riprogettazione ad un estroso creatore di arredi urbani.
La Fortezza Medicea non è da meno, anche se di fortezze la Toscana è piena.
Continua....

Pietro Pagliardini ha detto...

2à Parte

Esistono monumenti che devono essere conservati nella loro integrità formale a prescindere dall’uso diverso che se ne fa. La forma conta, eccome, e che forma è un edificio unitario con una appendice diversa?
Certo, qualche aggiustamento per l’inserimento di scale e ascensore (e per ora li considero necessari, anche se è tutto da verificare, dato che quel luogo d’ingresso è inaccessibile), è una specie di pedaggio dovuto (e credo che dentro al bastione non sarebbero mancate le occasioni per mostrare sensibilità e capacità progettuale di dialogo vero con l’antico), ma non trovo alcun motivo razionale e di puro buon senso per sostituire un paramento murario con altro materiale, che non sia la voglia di autorappresentarsi come progettista laddove dovrebbe esserci invece la voglia di scomparire. L’umiltà e il rispetto per le opere di valore dovrebbero essere insegnate nelle università e dovrebbero essere patrimonio, soprattutto, delle soprintendenze, altrimenti è meglio chiuderle, perché hanno esaurito la ragione sociale.
Tu ti domandi cosa ne penserebbero i Sangallo. Qui ci possiamo sbizzarrire ognuno con la propria opinione senza paura di essere smentiti. Immagino che prima si dovrebbero fare un bel giro d’Italia a vedere in qua e in là nuovi progetti di spazi ed edifici pubblici, tanto per farsi un’idea dell’aria che tira. Poi dovrebbero conoscere un po’ di materiali e di tecniche nuove. Questa come azione propedeutica. A questo punto penso che chiederebbero di tornare di gran carriera dove sono stati per 5 secoli, almeno lì c’hanno il caffè Lavazza gratis. Ma se proprio fossero costretti a fare un progetto, pena la il prolungamento del soggiorno in questo casino italiano, ragionerebbero su due alternative: la prima quella di rialzare mura e bastioni e di usare sì l’acciaio ma per le porte, contro l’ingresso dei nuovi barbari; se non venisse accettata, come probabile, si darebbero da fare a riprogettare l’intero bastione, dandogli una forma armonica, non più in funzione difensiva, ma coerente con quanto esiste, progettando magari un bello scalone interno, un bel portale d’ingresso, e certamente non ne farebbero una cosa vistosamente asimmetrica, dissonante e priva di coerenza e unità. Ma è probabile che la sovrintendenza chiederebbe un’opera del proprio tempo. A quel punto perderebbero la pazienza, si appellerebbero a chi hanno potuto conoscere, e che certamente avrà concesso loro del credito, e li farebbe tornare prontamente a casa, prima che si corrompano e si mettano a fare costruzione strampalate anche nel regno dell’armonia. Dove gli architetti devono sapere non potranno entrare se non dopo una lunga permanenza a purga (mi sembra proprio il minimo).
Lo so che non è la risposta che ti aspettavi ma davvero se questo progetto verrà realizzato, come in effetti sarà, nel silenzio generale delle varie associazioni preposte, vuol dire che la cultura architettonica italiana ha toccato il fondo. Se restaurare significa allestire uno stand di una mostra fieristica, allora è meglio il rudere: che se ne perda la visione e l’uso e resti la memoria e i documenti. Abbiamo già avuto, e tutto in pochi anni, ad Arezzo, piazze storiche stravolte e strade urbane trattate come un water-front, sempre grazie all’effetto rivista.
Ma questa è una delle peggiori ricadute delle archistar. E pensare che il decantato effetto Bilbao è già finito (vedi a pag. 31 di “Tra Dedalo e Icaro” del sociologo G. Amendola, Laterza) e ancora c’è chi ci giustifica opere assurde.
Che ci risparmiassero la Fortezza, per favore.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Mi pare che ci sia qualche parentela con la vicenda di Santa Coloma de Cervelló:
http://www.archimagazine.com/aappello.htm.
Ciro

Anonimo ha detto...

Ettore, che un segno finisca per cancellarne, almeno in parte, un altro è inevitabile, quasi tutte le chiese cristiane sorgono su antiche basiliche pagane e intere città sono sorte sulle rovine di altre, l'architettura, come ci insegna l’archeologia, procede per stratificazioni: un esempio per tutti, la splendida piazza dell'Anfiteatro di Lucca sorge sulle fondamenta di un anfiteatro romano del II secolo d.C., la gente del luogo ha conservato il tracciato ed ha usato, con poco rispetto per l'antico, le pietre che costituivano la struttura romana per edificare le proprie abitazioni, allora modernissime. Forse abbiamo perso un capolavoro del II secolo, ma abbiamo guadagnato un vero gioiello urbanistico.
Non voglio certo difendere pseudo-restauratori incapaci, magari di nome altisonante (presente Aldo Rossi e la sua Fenice?), dovunque c'è il buono e il cattivo, ma 'limitarsi' a progettare moderno non è detto che sia più facile o faccia meno danni.
Quanto al riuso di antiche strutture per funzioni attuali, forse mi sono spiegata male, ma intendevo dire che personalmente non sono propensa al riutilizzo indiscriminato dell'antico per scopi moderni, a monasteri carceri, scuderie, palazzi e ville (Palazzo Sarcinelli a Conegliano, Palazzo Forti a Verona, Palazzo Zabarella a Padova, Palazzo Crepadona a Belluno, Palazzo Martinengo a Brescia, il Palazzo Reale di Milano, Villa Manin a Passariano ecc.) rocche e castelli (Rocca di San Giorgio a Orzinuovi, Castel Sant'Elmo, il Belforte,a Napoli, il Castello Svevo di Bari ecc.) riconvertiti in contenitori storici di non meglio identificati spazi culturali, gallerie d'arte o musei, talvolta con forzature ed artifici frutto di una ri-progettazione che rende indistinguibile l'intervento restaurativo e snatura l'originaria funzione senza soddisfarne correttamente una sostitutiva. Perché mai il salone da ballo è diventato una quadreria? Ovvio, perché non si balla più, e perché un’Abbazia Camaldolese (Santa Maria a Carceri) è diventata Museo della Civiltà Contadina (sic!)? Perché restaurare con tanta minuzia e tanta spesa una forma per poi svuotarla di contenuto? che fine fa la relazione tra il progetto architettonico ed il suo utilizzo finale? Se c’è una logica nell’accanimento conservativo, deve essere su tutti i fronti, ma poiché la conservazione dell’integrità totale non è possibile, ci si concentra sulla forma, non importa se vuota ed oggettivamente inutile per obsolescenza della sua funzione. Questa mi sembra una grande incoerenza di tutte le teorie sul restauro.

segue >>>>>

Anonimo ha detto...

>>>>>
Pietro, scrivi “mi sembra questo un caso tanto elementare, scontato da non vedere cosa ci debba essere da inventare nel ricostruire ….” ma il punto non è questo, la facilità dell’interpretazione di ciò che è andato distrutto non esime l’architetto di oggi dall’inventare, anzi lo deve sollecitare a trovare comunque, anche in presenza di una facile rilettura, integrazioni significative, intelligenti o, come dice Remo Bodei, parlando del riuso, “una innovazione che sia evidente e creativa”, insomma l’esatto contrario di quello che dici tu, perché in futuro si possa leggere sia lo strappo che la ricucitura tra passato e presente.
“perché si dovrebbe inventare qualcosa?”, non lo so, ma è ciò che l’uomo fa da che si è eretto sulle zampe posteriori.
“cosa ne penserebbero i Sangallo”, mah, forse “che fine ha fatto la mia fortificazione? Perché invece di uomini armati ci sono sfaticati che giracchiano senza scopo? Questo non è più il mio progetto!”
“è meglio il rudere: che se ne perda la visione e l’uso e resti la memoria e i documenti.”, qui sono d’accordo con te, e lo è pure Marc Augé: “la mémoire fonctionne un peu comme les ruines, avec ses strates multiples. Elle ne restitue pas un temps donné, immobile, mais construit quelque chose d’hétéroclite et de dynamique.[…..] C’est ce qui se passe pour les ruines, qui ne donnent pas à voir un temps précis, mais du temps qui passe, ici la trace d’une période, là le vestige d’une autre.”
E il tempo che passa è la misura della nostra vita, non possiamo/dobbiamo barare e far finta che non sia così, il tempo che corrode, distrugge, macina e polverizza, solo così permettendo il rinnovamento.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, io però non riesco a capire, e non vedo una ragione valida e motivata del "perché in futuro si possa leggere sia lo strappo che la ricucitura tra passato e presente".
Chi ci obbliga a lasciare il segno visibile del nostro tempo? Qual'è la ragione profonda?
Forse il fatto che ogni uomo vuole lasciare testimonianza del proprio passaggio su questa terra per esorcizzare la morte? E' possibile, dato che non ne vedo altri, se si escludono arroganza ed egocentrismo.
Un restauro rispettoso del valore di ciò che esiste mi sembra un'ottima motivazione per fare parlare di sé in termini positivi! Pensa ai figli, se domani si sentissero dire: chi è quell'incompetente di architetto che ha ridotto questo edificio in queste condizioni?
Basta una targa in ottone: "L'architetto Tal dei Tali ha restaurato questo edificio, avendo rispetto dei suoi caratteri originari e l'ha fatto con amore e competenza, lasciando perciò il segno tangibile del suo lavoro, che comunque sarà lasciato al giudizio dei posteri. A.D. MMX".
Mi sembra una valida alternativa, in mancanza di motivazioni migliori e, per il principio di precauzione, evita danni garantiti nel 98% dei casi.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Pietro, ispirata dall'immagine della donna bionica (sai che almeno a Francis Bacon quel ritratto sarebbe molto piaciuto?), ti chiedo: perché non ti fai stirare le rughe per un motivo di continuità senza strappi tra il tuo passato da ventenne ed il tuo presente da sessantenne? Verresti immobilizzato in un tempo circoscritto, preciso ed immutabile, giovane per sempre (il Dorian Gray di Ettore), non è il massimo?
Ipotesi:
- perché non sarei sicuro del risultato
- perché costa troppo
- perché mi piaccio così
-perché la mia faccia deve raccontare la mia vita, non quella del chirurgo plastico

scegli tu

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, quello che preferisco tra le risposte è l'ultima, ma con una differenza non insignificante:
"Perchè la mia faccia non può che raccontare la mia vita e non serve ingannare me stesso".
Ma qui manca il soggetto terzo cioè il chirurgo che trasposto è l'architetto. La vita è mia, non del chirurgo e la scelta spetta solo a me.
La Fortezza è di tutti, e tutti hanno il diritto di discutere, non solo il progettista. Qui decidono in tre soggetti: i progettisti, l'amministrazione, la soprintendenza, cioè solo le istituzioni. Vorrei vedere un bel referendum! Ma non cambiamo discorso.
So che sarebbe piaciuta a Bacon l'immagine della donna bionica, anche se onestamente non ci avevo pensato.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Cara Vilma,
ti avevo risposto, ma il sistema ha pensato bene di andare in tilt facendomi perdere il testo. In ogni modo penso che, se Pietro me lo concederà, replicherò al tuo commento con un post specifico.
Per il momento mi limito a dire che non ho mai detto di esser contrario al riutilizzo ... anzi!
Per quanto riguarda invece i moderni restauri "creativi", dico che essi sono il risultato del lavoro di architetti che, non avendo la capacità di dialogare con un linguaggio che non conoscono, pensano bene di negarlo; essi preferiscono parlare con se stessi, fregandosene dell'oggetto su cui stanno intervenendo, ignorando così il senso del bene comune.
A presto
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Ettore, aspetto il tuo post.
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

Ettore, aspetto il tuo post.
Pietro

Anonimo ha detto...

Ettore, sul tema del riutilizzo non riusciamo proprio a spiegarci, allora dirò: non ho mai detto che tu sia contrario, sono IO che sono contraria al riutilizzo, o meglio lo sono tutte le volte che questa operazione mostra di essere fatta perché tanto c'è l'edificio, restauriamolo, poi qualcosa ci metteremoo dentro. A costo di inventarsi una miriade di assurdi musei, compreso quello del pane, del gelato, dei calendari ed oltre.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, su questo sono assolutamente d'accordo. Il restauro deve essere fatto a prescindere, per non far decadere il bene. Solo che gli amministratori lo fanno solo quando vogliono inventare qualcosa e creare l'evento per l'inaugurazione. Ad un sindaco (come ad un architetto) sembrerebbe riduttivo inaugurare un bel restauro fine a se stesso. Quindi il museo del gelato, del tamburello ecc.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Cara Vilma,
sul tuo ultimo commento ci metto 10, 100, 1000 firme!
In ogni modo ritengo che si debba evitare di "incarcerare" gli edifici all'interno di gabbie per le scimmie. Gli edifici necessitano del vapore acqueo prodotto dalla gente che si muove al loro interno, della vibrazione generata dai passi di chi ci cammina: Se non usiamo i nostri arti, dopo un po' li sentiamo anchilosati, gli edifici, per quanto possa sembrare strano, sono esseri viventi. Sono d'accordo sulla necessità di evitare le trasformazioni inutili in musei del nulla, ma penso che sia doveroso restaurare e riportare gli edifici ad essere fruiti, anche semplicemente consentendo di passeggiarvi all'interno.
Cordialmente
Ettore

Linea... ha detto...

“Tra Dedalo e Icaro” del sociologo G. Amendola
pietro, è interessante questo libro? te lo chiedo perchè c'era una conferenza di amendola proprio in questi giorni dalle mie parti... purtroppo non vi sono andato...

ettore, certo che sei forte :-) pretendi che nessuno si occupi di restauro tranne i cosiddetti esperti ma te ti occupi di città, urbanistica, storia, teoria, critica, architettura, restauro. fortissimo :-)

rob

Pietro Pagliardini ha detto...

rob, ne ho letto circa la metà ma, pur essendo un po' ripetitivo e pur avendo tutti i vizi dei sociologi, che talora dicono tutto e il suo contrario, tuttavia ci sono molte osservazioni intelligenti e anche l'impostazione generale è apprezzabile: individua diversi "tipi" di città, la città creativa, quella produttiva (forse non è proprio questo il termine ma insomma ci siamo capiti), la città dello spettacolo, la città delle diversità, ecc. In questo modo analizza e scompone la città per temi e tu puoi ricomporre il mosaico facendone una sintesi (non so se lo farà lui alla fine e non so nemmeno se è possibile).
Insomma direi che i 12 euro che costa non sono affatto buttati via.
Ciao
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

rob, ho dimenticato una cosa. Non sarò certo io a dover difendere Ettore che non ne ha bisogno,però ti posso assicurare che è davvero un tipo straordinario, un pozzo di conoscenza e non vende affatto fumo. Lo dico non solo in base a quello che scrive ma perché l'ho conosciuto e visto all'opera ed è davvero difficile coglierlo in fallo. Non inventa mai niente ed è documentatissimo nel restauro, in archeologia e in tutti i campi che tu hai citato.
Puoi non essere d'accordo con lui, può apparire talvolta troppo sicuro di sè ma il fatto è che E' sicuro di quello che dice.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Caro Pietro,
ti ringrazio per la "difesa d'ufficio" e non replico perché non è il caso.

Buona notte
Ettore

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