Ecco un caso in atto di restauro diverso da quello di Pompei ma più in linea con i tempi e non meno distruttivo di quello: il restauro creativo.
Il caso: Fortezza Medicea di Arezzo. Autori: Giuliano e Antonio da Sangallo, mentre Antonio da Sangallo il Giovane ha seguito i lavori. Per altre notizie storiche rimando al link.
E' in corso l’esecuzione di un progetto generale di restauro e riuso della Fortezza. Sorvolo sul riuso perché occorrerebbe spiegare tutte le condizioni urbanistiche e sarebbe troppo lungo. Basti dire che non è affatto facile l’utilizzo continuativo di una fortezza, per natura inaccessibile, posta sulla sommità della città e separata da questa da un grande parco; dunque un’operazione difficile e una scommessa. Comunque il restauro delle mura, quello vero, cioè la manutenzione delle stesse, era senz’altro necessario e da quello che è dato vedere sembra essere stato fatto piuttosto bene.
Il problema si pone laddove l’architetto ha voluto lasciare il suo segno indelebile e trasformare un’operazione di restauro in un’occasione di “sperimentazione” architettonica e creativa. Posso dirlo senza rimorsi perché non so chi sia l’autore reale del “gesto”, dato che l’incarico è stato dato all’Università di Firenze che credo abbia lavorato di concerto con l’Ufficio Tecnico Comunale.
Cosa c’entra l’immagine in alto? E’ solo l'ideogramma del progetto.
In uno dei bastioni a nord, quello più inaccessibile dalla città, chiamato il Bastione del Soccorso, un orecchione era da lungo tempo parzialmente crollato. A terra c’era ancora molto, se non tutto, del materiale originario. In questo bastione è previsto uno dei due ascensori, e relativa scala, per accedere al complesso.
Il bastione è perfettamente simmetrico e non esisteva alcuna possibilità di “interpretare” come avrebbe dovuto essere ricostruito, almeno nella sua forma esterna. E infatti anche il progetto conserva la simmetria planimetrica originaria, ma lo fa a modo suo, cioè in vetro. Questo almeno nella prima versione.
Non sfuggirà a nessuno la esiguità del progetto, anche prescindendo dal tema principale, cioè dal fatto che si dovrebbe restaurare un’opera unitaria e di assoluto valore e non inventare, e non aggiungerò quindi inutili spiegazioni.
Evidentemente qualcuno deve essersi accorto che la soluzione era, diciamo, discutibile, non foss’altro perché la presunta unità planimetrica sarebbe stata del tutto assente nella visione reale, che sarebbe apparsa frantumata e tale che l’opera nuova avrebbe sovrastato, per la sua “originalità”, ciò che esiste, o almeno che ci sarebbe stata una certa esagerata dissonanza e deve aver pensato bene di trovare un compromesso: ricostruire la forma esterna del bastione, riportandolo dunque ad unità, ma in acciaio cortèn con tagli che servissero da appiglio per piante rampicanti!!!!
Mi spiace non disporre di un progetto più dettagliato di questo qui:
ma non è difficile poterlo immaginare.
Il tutto con il parere favorevole della Soprintendenza. Lo dico per semplice logica deduttiva dato che non potrebbe essere diversamente, anche se non sono al corrente (ma non è difficile immaginare) delle motivazioni che hanno portato ad approvare questa scelta. E’ perfino possibile ipotizzare le discussioni che vi sono state.
E infatti mi divertirò a farlo in un gioco di immaginazione di tutto il “processo creativo”.
Mi pare di sentirlo il travaglio profondo nel passare dal primo progetto, quello del grande gesto, dell’interpretazione architettonica e del dialogo tra il vecchio e il nuovo, tra la storia e la contemporaneità, tra l’originaria funzione di dominio militare da parte dei fiorentini sugli aretini con la conseguente architettura chiusa nella forma e possente nella materia e, di contro, l’apertura alla città (dei morti, perché il bastione è proprio sopra il cimitero) ben rappresentata dalla scelta del vetro, espressione simbolica di democratica trasparenza; e il secondo progetto, quello in corso di esecuzione, più misurato, rispettoso della forma ma che tuttavia non rinuncia alla, non fa un passo indietro rispetto alla, non teme la (non sia mai) contemporaneità.
Il cortèn è la soluzione giusta: materiale inattaccabile dalla ruggine perché già arrugginito, materiale post-moderno, post-industriale, post-nazionale e dunque globale.
Ha il fascino del vecchio ma denuncia chiaramente il suo essere nuovo, è adatto ad ogni circostanza, al bagno di tendenza, al ristorante del grande chef, all’arredo urbano (sedute come se piovesse), se attaccato ad una parete in forma rettangolare potrebbe sembrare perfino un quadro di arte concettuale, molto materico e dialogante con la pietra, insomma perfetto.
Di più: i tagli orizzontali (o verticali, non saprei) creano da dentro giochi di luce e di suggestive trasparenze e quindi, oltre alla suggestione emotiva, rimane anche la suggestione democratica della trasparenza del vetro.
Una pensata migliore non si poteva fare!
Last, but not least, la ciliegina sulla torta, il fascino del pittoresco e del rudere, John Ruskin, la forte tempra morale nel restauro: il rampicante, segno della natura che prevale sul manufatto e si riappropria dell’opera dell’uomo, dunque espressione della caducità di un’opera nata invece per essere aggressiva ed eterna. E poi, il ricordo, il memento della ferita che rimane come ulteriore monito all’uomo di non pensare all’eternità. Contrasti e sapori forti.
Cari Sangallo, non pensiate di essere ricordati solo voi, pur bravi ma terribilmente antichi! Adesso i posteri diranno che anche noi contemporanei abbiamo saputo "dialogare" e "confrontarci" con voi, con la storia, con la memoria, anche senza consultarvi (cioè nell’unico modo possibile, leggendo la vostra opera e rifacendola come voi l'avevate ideata).
Ci siamo confrontati sì, ma con la sensibilità di uomini del nostro tempo, con la nostra "cultura", non abbiamo ingannato gli ignari visitatori rifacendo un falso storico, noooo, come Piazza Grande o come la guglia del campanile del Duomo che sono tutti falsi degli anni '30, questi zotici, e non li costringiamo a dire "quanto è bella questa fortezza", perché se è falsa non può essere bella, per definzione, anche se a loro sembra il contrario, al pari di Piazza Grande e della guglia del campanile. Ma lo dicevano perché non lo sapevano. Ma adesso sanno e potranno e dovranno così dire "guarda l'architetto come è stato originale"!
Adesso anche noi abbiamo, finalmente, lasciato il segno, adesso anche noi esistiamo.
Forse.
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15 novembre 2010
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