Questo post è dedicato ad un solo autore, Christian Norberg-Shulz (1926-2000), data la lunghezza del brano tratto da ESISTENZA, SPAZIO E ARCHITETTURA, 1971. Mi è riuscito a tagliare molto poco delle parti dedicate alla strada.
Le note bibliografiche le ho riportate in forma semplificata rispetto al testo originale.
Christian Norberg-Schulz
ESISTENZA, SPAZIO E ARCHITETTURA
Officina Edizioni, 1971
Dal Capitolo I, Lo spazio esistenziale
La direzione verticale ha anche un significato più concreto. Riferita alla casa esprime il processo stesso del costruire, cioè la capacità umana di “conquistare la natura”.[Omissis]
Gaston Bachelard afferma che le proprietà fondamentali della casa sono la “verticalità” e la “concentrazione” e considera la cantina e l’attico, luoghi particolarmente significativi (G.Bachelard, 1959). Citando Joe Bosquet definisce l’uomo moderno un individuo “a un sol piano”.
Se la verticalità ha carattere surreale, l’orizzontale rappresenta il mondo concreto delle azioni umane. In un certo senso tutte le direzioni orizzontali sono uguali e formano un piano di estensione illimitata. Il modello più elementare dello spazio esistenziale è quindi un piano orizzontale, attraversato da un asse verticale. Su questa superficie l’uomo sceglie e crea quei percorsi che conferiscono una particolare struttura al suo spazio esistenziale. Lapresa di possesso dell’ambiente significa sempre, per l’individuo, un allontanamento dalla dimora d’origine ed un percorso nella direzione determinata dal suo scopo e dall’immagine che egli ha dell’ambiente. Il termine “avanti” rappresenta così la direzione dell’attività dell’uomo, mentre “indietro” sta a indicare la distanza da lui percorsa. L’individuo “avanza” o “indietreggia”.
Talvolta il cammino lo conduce verso una meta sconosciuta, ma spesso indica solo una direzione preferenziale, che gradualmente si dissolve in una distanza sconosciuta. Il percorso costituisce perciò una caratteristica fondamentale dell’esistenza umana ed è uno dei grandi simboli dell’origine.
Espressioni figurate come “incrocio”, “mettersi sulla strada di un altro” e “sulla strada giusta” corrispondono infatti a procedimenti interiori (O.F.Boolnow, 1963).
I movimenti dell’individuo vanno anche a ritroso e il percorso contiene quindi una tensione fra il noto e l’ignoto. “Il movimento bivalente di partenza e di ritorno divide lo spazio in due domini concentrici, uno esterno e uno interno. Il dominio interno meno esteso corrisponde alla casa e al paese natale; partendo da esso l’individuo procede verso quello esterno, più ampio, per poi tornare indietro (O.F.Boolnow, op.cit.).
Tuttavia le direzioni dello spazio esistenziale non sono determinate solo dalle azioni umane. Anche la natura contiene direzioni che indicano differenze qualitative. Infatti fin dai tempi remoti i punti cardinali sono stati considerati dei fattori primari nella strutturazione del mondo. La parola “orientamento” deriva da Oriente, la direzione dell’aurora. Gli altari delle chiese cristiane sono sempre orientati ad est. “In quanto origine della luce, l’est è anche sorgente di vita, invece l’ovest, dove il sole tramonta è impregnato di tutti i terrori della morte” (E.Cassirer, 1924)..
Alcune teorie unificavano i punti cardinali all’axis mundi, allo scopo di strutturare una cosmologia più ampia. Secondo Vitruvio “La natura ha fissato un cardo dell’axis mundi in un punto a nord, dietro l’Orsa Maggiore e l’altro all’estremità della terra nell’opposta regione meridionale" (W.Muller,1963). Anche la città romana venne organizzata intorno al cardo (axis mundi) che va da nord a sud e il decumanus cha va da est a ovest. “Fonda la sua città tracciando sul terreno due strade che si incrociano e che come una bussola dividono il mondo in quattro parti, quindi recinge di mura il nodo centrale” (R.Schwarz, 1949)..
La natura concretizza anche le direzioni dello spazio esistenziale umano. Ogni paesaggio è in grado di offrire all’individuo degli spazi definiti che l’aiutano a trovare un punto d’appoggio. Le sue possibilità di movimento sono limitate e non sempre i percorsi brevi corrispondono alle linee diritte. In uno dei suoi primi saggi, Kurt Lewin aveva analizzato la questione introducendo il termine “spazio odologico” (dalla parola greca hodos che significa via), e che potrebbe corrispondere a “spazio potenziale di movimento”. Invece di linee dritte, lo spazio “odologico” contiene “percorsi preferenziali” che rappresentano un compromesso fra esigenze diverse, “distanza breve”, “sicurezza”, “lavoro minimo”, “esperienza massima” ecc. Le esigenze sono determinate dalle condizioni topografiche. Nel caso che queste siano uniformi e che nessuna particolare attività umana influenzi la situazione, lo spazio “odologico” si avvicina allo spazio euclideo. Nello spazio “odologico” comunque bisognerà in genere seguire direzioni che non corrispondono a quelle geometriche rivolte alla meta. Le ricerche fatte, sui movimenti della gente in città, dimostrano che individui diversi scelgono spesso percorsi differenti per raggiungere lo stesso luogo (K.Lewin, 1934). Inoltre Bollnow sostiene che il percorso preferito da un individuo può variare secondo il suo stato d’animo o la situazione immediata. Per esempio si preferisce la scorciatoia quando si ha fretta.
Sia come percezione che come schema, ogni percorso è caratterizzato dalla continuità. Mentre il luogo è determinato dalla prossimità degli elementi che lo definiscono ed alla chiusura, il percorso è inteso come successione lineare.
Anzitutto si presenta come direzione da perseguire per raggiungere una meta, poi durante il cammino si producono degli avvenimenti ed esso viene sperimentato anche in rapporto ai suoi caratteri particolari. Quel che accade “lungo” la via va ad aggiungersi alla tensione creata dalla meta da perseguire e dal retrostante punto di partenza. In alcuni casi il percorso ha funzione di asse che organizza gli elementi che lo accompagnano, mentre le meta è relativamente meno importante.
Kevin Lynch illumina il procedimento con diversi esempi, ma rileva anche come: “gli uomini erano inclini a considerare le destinazioni dei percorsi e i punti di origine: si interessavano da dove venivano e dove portavano. I percorsi dotati di origini e destinazioni note ed evidenti, avevano un’identità più forte e aiutavano a collegare le città” (K.Lynch, 1960).
Dal Capitolo II, Lo spazio architettonico
La strada è una forma più agevolmente immaginabile. In passato rappresentava un “microuniverso”, dove i caratteri del rione e della cittadina come totalità apparivano al visitatore in forma condensata. La strada costituiva per così dire una sezione di vita , la storia stessa ne aveva plasmato i vari dettagli.
Oggi, in genere, la strada è andata perduta, in seguito alla disposizione sparsa degli edifici e all’aumento del traffico motorizzato. Ma il problema presenta anche altri aspetti come quello della nuova scala immensa, che tende ormai a caratterizzare il profilo stradale. E’ difficile potersi identificare con strade come la Park Avenue di New York, mentre la mancanza di variazioni e di dettagli spontanei ha un effetto deprimente.
La forma spaziale della strada è in genere di tipo longitudinale, ciò non implica comunque che essa debba necessariamente essere diritta. Nelle città del passato, angoli obliqui e linee curve creavano una “prospettiva chiusa”, che ne ravvivava l’aspetto.
Per il carattere spaziale è di importanza decisiva che gli edifici si presentino come superfici, piuttosto che come masse. Se l’effetto massa domina, gli edifici assumano carattere figurativo, e la strada è ridotta a un fondo subordinato.
Per diventare uan forma vera e propria è indispensabile che la strada abbia “carattere figurativo”. Questo si può ottenere con una superficie di limitazione continua, che non solo presuppone una certa densità, am anche che le varie case appartengano alla stessa “famiglia”. (L’unificazione delo spazio stradale è ulteriormente accentuata dall’omissione del marciapiede). L’aspirazione che le case appartengano alla stessa “famiglia”, potrebbe risultare ovviamente di una pericolosa monotonia. Nel passato, in genere, questo pericolo veniva controbilanciato da fatto che gli edifici apparivano come variazioni sullo stesso “tema”. Il tema potrebbe consistere nella ripetizione di certe proporzioni o nell’accentuazione di proprietà comuni a diverse case, come un tetto tipico o un’arcata a pian terreno. Esso comunque dovrebbe garantire la libertà completa ai dettagli.
Affinché il muro stradale appaia come una ripetizione variata dello steso tema, sarà necessaria una suddivisione in unità relativamente piccole. Le unità grandi, consuete al giorno d’oggi, non solo rischiano di distruggere la scala umana, ma impediscono alla strada la preservazione della continuità variata che ne costituisce l’essenza.
I princìpi cui abbiamo accennato, furono impiegati normalmente fino al diciannovesimo secolo, quando entrarono in uso come strumento di organizzazione sequenze parallele di edifici a altezza uniforme. Storicamente il cambiamento è legato al concetto di corso legato a parate, quindi la strada non venne più intesa come ambiente intimo a uso dei pedoni.
Abbiamo menzionato come l’incrocio abbia un significato particolare nel reticolo stradale, in quanto, più che una meta, rappresenta una scelta. E’ interessante notare che verso la fine del secolo quindicesimo, all’epoca dell’estensione della città di Ferrara, Biagio Rossetti ne aveva già riconosciuto l’importanza. Egli accentò infatti gli angoli degli edifici, per definire più che gli edifici stessi, lo spazio intermedio.
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7 commenti:
Ancora ottimo Pietro!
Il primo capitolo è un po' in sordina, ma il secondo sullo spazio architettonico inquadra il problema perfettamente e si legge che è un piacere!
Ettore
Forse, più che in sordina, il primo capitolo pone le basi filosofiche, psicologiche e percettive che portano, o dovrebbero portare, alle conseguenze dello spazio architettonico. Norberg-Schulz è sì architetto ma la sua impostazione umanistica lo porta più a classificare certi fenomeni del rapporto uomo-ambiente che non a fornire suggerimenti di tipo operativo.
Tieni poi conto che questo è solo un estratto e quindi mancano parti importanti ed essenziali.
In fondo questi post sono come una rassegna stampa, cioè un quadro sommario quale premessa per andare poi a scegliersi il giornale da leggere, in base ai propri interessi.
Leggevo ieri nell'introduzione al libro Strade per la gente, di Bernard Panofsky, che in una biblioteca di una facoltà di architettura, non ricordo quale, tra ben 15.000.000 di volumi non ce n'è uno dedicato espressamente alla "strada". E' vero che il libro è degli anni 70 e probabilmente qualcosa sarà cambiato, ma questo fatto è davvero sintomatico di una impostazione culturale.
Ciao
Pietro
Scusa Ettore, ho scritto Panofsky ma è Rudofsky. Ho scambiato un personaggio letterario con un architetto, ma questi nomi dell'est mi creano problemi di memorizzazione.
Ora che ci penso, sarebbe interessante fare una rassegna letteraria dedicata alla strada. Ad avere il tempo!
Ciao
Pietro
Caro Pietro,
non intendevo sminuire il valore filosofico del capitolo 1, infatti lo ritengo preparatorio al 2°. Tuttavia, analizzando il post dalla parte del lettore, e conoscendo l'attitudine (tipica degli architetti) di leggere poco (spesso addirittura di limitarsi a sfogliare le immagini dei libri), ho pensato che potesse essere ritenuta "troppo filosofica" e "marginale" rispetto al tema delle "strade urbane", rischiando di non fare andare avanti il lettore sino alla seconda parte che va dritta al cuore del problema. In poche parole ho pensato che qualche visitatore del tuo blog potesse "spaventarsi" di fronte alla lunghezza del testo, saltandolo a piè pari per andare ai commenti, così ho voluto scrivere un commento che lo incuriosisse a tornare al testo, e grazie a questo dibattito a due, tra te e me, penso che la cosa possa funzionare.
Ciao
Ettore
Hai ragione, è troppo lungo il testo e, tra l'altro, il libro è molto strutturato e astrarne una parte può risultare disorientante e certamente non rende giustizia all'autore.
Ma il prossimo post sarà molto più leggero, più di costume. In termini sportivi sarà defatigante.
Ciao
Pietro
Ormai le strade di Buenos Aires/
sono le viscere dell’anima mia./
Non le avide strade/
scomode di folla e di strapazzo,/
ma le strade indolenti del quartiere,/
quasi invisibili perché abituali .......
(incipit di 'Fervore di Buenos Aires', J.L.Borges)
Vilma
Bello questo contrappunto tra saggi e poesia!
Però per il terzo post della serie preparati, almeno per una parte di esso, ad una sfida durissima, perché solo la follia poetica potrà sublimare quella reale. E non ti sforzare di indovinare prima di cosa si tratta perché non è affatto scontato.
Ciao
Pietro
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