Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


28 marzo 2010

INGEGNERIA SOCIALE

Pietro Pagliardini

Un riferimento al Corviale fatto da E.M. Mazzola in un commento al precedente post, mi fornisce l’occasione per raccontare l'intervento di un collega alla presentazione del libro dello stesso Mazzola ad Arezzo, presso l'Ordine, La città sostenibile è possibile, Gangemi. Il collega, architetto Franco Lani, che è un amico, un ragazzo più vicino ai 70 che ai 60 anni che ha fermato l’orologio del tempo alle sue idee giovanili, e quasi una istituzione tra gli architetti aretini, ex direttore tecnico dell'Istituto Autonomo Case Popolari (o come diavolo si chiama oggi), giustificava ideologicamente quel transatlantico che, proprio come una nave, relega gli esseri umani in una dimensione diversa da quella terrestre, quale esempio di ingegneria sociale. C'è senza dubbio una forma di utopismo tragico, come in tutte le utopie sociali, in quel progetto, espresso nel bisogno o nella volontà di creare un mondo nuovo e, naturalmente, migliore.


Poi Lani, che è persona intelligente, riconosceva che qualcosa non ha funzionato a dovere e affermava che succede spesso nel passaggio dall'idea alla sua concreta applicazione che si commettano errori. Siamo però al vecchio discorso dei compagni che sbagliano: si condannano i singoli errori per tentare di salvare l’idea.
In verità non è l'applicazione del metodo ad essere sbagliata ma il metodo stesso, è il principio di ingegneria sociale applicato all'architettura e all'urbanistica ad essere profondamente anti-umano, e giustificarne il fallimento come un semplice incidente di percorso vuol dire nascondere la testa sotto la sabbia, non voler vedere l’errore che sta alla base, non fare i conti con la storia e con la realtà, non voler capire che l’uomo non può essere preso a semplice cavia di laboratorio avendo deciso, già da prima, che se l’esperimento fallisce la colpa non è della finalità dell’esperimento ma della mancanza di qualche ingrediente e quindi predisporsi l’alibi per procedere con un altro tentativo e altre cavie.
Avviene sempre così: lo Zen sarebbe un progetto corretto e Gregotti caparbiamente afferma ancora oggi che lo rifarebbe uguale perché la responsabilità è di altri (Comune, IACP, ecc) che non hanno completato il tutto con i necessari servizi.

Continua l’illusione e si perpetua nel tempo con nuove giustificazioni: tutto fuorché ammettere lo sbaglio madornale che sta alla base del problema, e cioè l’adesione incondizionata ad un progetto utopico e scellerato di trasformazione della società contro l’uomo, partorito nel cervello di pochi e di cui ancor’oggi le nostre città, e soprattutto i loro abitanti, pagano le conseguenze. E il metodo continua a riprodursi tranquillamente anche se si ammanta di forme architettoniche diverse, non immediatamente riconoscibili e assimilibili direttamente a quelle tipiche dell'origine e che fa dire a molti che c'è una grande differenza tra le avanguardie del novecento e quanto accade ai nostri tempi.

Continua nella dimenticanza della storia della città, nel considerare gli uomini un accessorio dell’architetto, quasi fossero le figurine che affollano maquette e rendering, nei quali quelle assumono lo stesso ruolo della mongolfiera o dell’aereoplanino che vola gioioso in cielo, parodia della vita vera.

Continua nella produzione di oggetti unici e singolari privi di contesto, in realtà tutti identici a se stessi nella loro banalità, monotonia e mancanza di ogni significato.

Continua nella presunzione di poter trascurare gli elementi reali di una città quali la geografia, le preesistenze naturali o artificiali, le stratificazioni che si sono succedute nei secoli che la rendono così ricca di significati, l’esistenza di una comunità di persone che sono considerate come semplici utenti e non come un corpo sociale che ha memoria, sentimenti, sensibilità.


Sovrapporre a quelle stratificazioni delle astronavi, piccole o grandi, prive di attinenza alcuna con ciò che esiste per materiali, tipi, senza relazioni tra le parti, vuol dire considerare la città da un punto di vista puramente astratto, al pari di una tela pittorica da riempire, trascurandone del tutto la complessità che costituisce la condizione stessa per la vita dell’organismo urbano. Una tela per quadri, per quanto sia arduo l'accingersi a riempirla di forme e contenuti che abbiano la capacità di assurgere all'arte, è pur sempre il frutto della mente del solo suo autore e non incide mai sulle vite altrui né sulla ricchezza dei rapporti sociali tra le persone.
La povertà anti-urbana, ma direi la miseria, di operazioni come il Corviale, figlio dell’Unitè d’habitation e dei vari falansteri del secolo ad essa precedente, rispetto alla ricchezza della città di cui abbiamo esempi e tracce sotto gli occhi, basta volerli vedere, giustificherebbe da sola il desiderio ricorrente di vederlo cadere sotto i colpi del martello demolitore o dell’esplosivo, non diversamente da quanto accadde per Punta Perotti.

Peccato che quel lavacro purificatorio collettivo in diretta web abbia assunto solo una valenza legata al ripristino della legalità, cosa peraltro non del tutto esatta perché una concessione edilizia era pure stata rilasciata, invece che come simbolo di un genere di architettura, di un'idea stessa nata contro l’uomo, la geografia, l’ambiente, la storia dei luoghi.



P.S. Ho pensato dopo averlo pubblicato che il sottotitolo di questo post avrebbe potuto essere: Antiarchitettura e demolizione, cioè il titolo del primo libro pubblicato in italiano da Nikos Salìngaros, editrice LEF.

14 commenti:

Linea di Grisù ha detto...

peccato pietro che nemmeno tu riesca a capire in che cosa abbiano sbagliato... parli sempre di geografia, storia, stratificazione ecc ecc. che sotto molti punti di vista sono anche quelle delle mega-balle metafisiche inventate dagli architetti. lo dimostra il fatto che, come al solito, te la pigli con un mostro ma la famiglia di mostriciattoli dispersa per gran parte del territorio non la disprezzi solo per il fatto che non somiglia (apparentemente) ai loro genitori. anzi, gli outlet, che apparantemente somigliano alla famiglia dei "buoni" fa esclamare a rupi e a lagnone: ottimo esempio di urbanistica! e manco si accorgono di pigliare 'na sonora cantonata (come dire: debbo sposarmi e quindi vado in un bordello a cercar 'na donna).

robert

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
Boh!
Il commento di E.M. Nazzola offriva molti spunti ma non questi di pura retorica matematica 2+2 fa 4.
Ingegneria sociale?
Chi considera gli uomini, un accessorio dell’architetto?
Chi affolla i progetti di maquette e rendering?
Secondo quale senso critico affermi: “Continua nella produzione di oggetti unici e singolari privi di contesto, in realtà tutti identici a se stessi nella loro banalità, monotonia e mancanza di ogni significato”.
Chi trascura il corpo sociale che ha memoria, sentimenti, sensibilità?
Chi sovrapporre a quelle stratificazioni delle astronavi, piccole o grandi? Dove? Quando?
Che cos’è un falansterio? Dove sono stati costruiti in Italia?
Chi ha il desiderio ricorrente di vederlo cadere (ndr il Corviale) sotto i colpi del martello demolitore o dell’esplosivo, non diversamente da quanto accadde per Punta Perotti?
In questi anni gli abitanti del Corviale non hanno prodotto memoria, sentimenti, sensibilità?

Infine:
Siamo proprio sicuri che l’urbanistica e l’edilizia italiana (quella realmente attuata o costruita) sia stata succube delle teorie progressiste di matrice modernista?
Limitatamente alla storia italiana sai ricostruire i pensieri rilevanti dal 67 a oggi (cioè dalla legge ponte) dell’urbanistica?
Buona domenica,
Salvatore D’Agostino

P.S.: “Non siamo mai completamente contemporanei nel nostro presente” (Régis Debray)

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, è sempre lo stesso discorso: prendersela con il 90% dell'edilizia corrente, brutta quanto ti pare, ha certamente senso in ambito locale, laddove la norma si forma e poi si sostanzia in quei progetti.
Ma parlarne come dato assoluto è inutile, è come dire: è tutto sbagliato, è tutto da rifare. Non serve a niente.
Poiché il la, l'incipit, l'imprinting lo danno le scuole, le università, l'editoria, le riviste che formano e influenzano gli architetti, ha senso solo avere come obbiettivo gli esempi più "importanti", quelli che dettano il passo.
In politica nazionale si parla dei grandi temi, quelli generali, in politica amministrativa si parla (si dovrebbe parlare) dei temi locali. E' la stessa cosa.
E poi ti ricordo sempre che c'è un rapporto diretto ed immediato di causa-effetto tra chi produce un piano, cioè l'architetto, e il prodotto che ne esce. Lo so che non vuoi credere a questa ovvia, scontata ed evidente verità, ma è così.

Ciao
Pietro

Linea di Città? ha detto...

pietro, la tua risposta mi conferma che la confusione riguardo al tema città è totale. a me non interessa, in questo caso, la bruttura del 90% del costruito... non è proprio quella mi interessa...

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, continui con le tue domande che non ammettono risposta, tanto sono confuse. La tecnica della maieutica non è quella di fare 2000 domande l'una scombinata dall'altra, ma quella di farne qualcuna capace di tirare fuori il meglio dal soggetto.
Ma tu non sei un maieuta, tu semplicemente, fai domande per non entrare nel merito, perché non vuoi o non sai dialogare.
L'ultima però mi piace, perché dimostra che tu parli di cose che non conosci, e non sarebbe nemmeno grave se non fosse che vuoi insegnare agli altri.
Dal '67 ad oggi me ne vengono in mente di importanti leggi nazionali, e trascuro quelle regionali dato che non sei tenuto a conoscerle, almeno 2 importanti tra le migliaia prodotte:
- la 865 sull'edilizia economica e popolare, quella che ha istituito, con la penosissima scusa del risparmio energetico ed economico, l'altezza massima degli alloggi di metri 2,70: ha istituito il "diritto di superficie", altra scelta ideologica che ha fatto solo danni e che è fallita miseramente, ha istituito la progettazione ragionieristica per cui un progetto si fa come prodotto della Superficie complessiva che deriva dalla somma delle superfici utili e il 60% della superficie non residenziale, la quale ultima non doveva essere superiore al 45% della superficie utile; ha stabilito l'altezza virtuale, ha istituito i PIP, piani per gli insediamenti produttivi e altre menate del genere che sembrano menate ma sono solo un sistema di CONTROLLO SOCIALE per proletarizzare tutti comprese le classi medie, compresi gli imprenditori che per fare un capannone devono iscriversi ad una cooperativa aderente ad una organizzazione di categoria, concorrere ai bandi del terreno, ecc. ecc.;
- mi viene in mente la legge 10, la cosìdetta Bucalossi, che ha stabilito la concessione invece della licenza, raffinato principio giuridico certamente, se non fosse che anche questo è caduto sotto i colpi della realtà ma sono rimasti gli oneri, altissimi, ulteriormente incrementati dagli altri che, impropriamente, i comuni chiamano perequazione, per cui, oltre agli oneri il comune vuole anche ed in aggiunta opere, cioè denari, in maniera discrezionale e insindacabile.
Quando fai le domande adoperati a a conoscere prima te le risposte. Oppure specifica: questa è una domanda, un dubbio, io non conosco la risposta, puoi dirmi qualcosa te? invece che fare il supponente.
Dimenticavo di dire una cosa: mi pare che anche Prestinenza Puglisi abbia parlato di demolizione del Corviale.
Saluti
Pietro

ettore maria ha detto...

Caro Pietro,

mi fa piacere che tu abbia fatto questo post, e ci sono molte cose che vorrei dire, purtroppo sono impegnatissimo in questo momento, ma mi riservo di mandarti qualcosa appena possibile ... sono appena rientrato al'università dopo aver fatto una lezione itinerante di 3 ore per il quartiere Testaccio che ha affascinato molto i miei studenti .. non solo la lezione e gli edifici .. i ragazzi sono stati molto colpiti dalla gentilezza, ospitalità ed orgoglio di appartenenza al proprio quartiere degli abitanti, che venivano a curiosare e ad esprimere il loro apprezzamento e meraviglia per ciò che stessimo facendo.
Non appena trovo del tempo ti invierò quindi un commento (o un post??) che riprenda il tuo interessante post, gli interessanti commenti/domande (con o senza polemica), ma anche il mio piacevole dibattito con l'architetto aretino dell'IACP.
A presto
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Grazie Ettore. Manda pure un post.
Ciao
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
arridaglie!!!
Capisco che essere assertivi dà sicurezza e giudicare gli altri dà la sensazione di potere.
Le domande non sempre devono rispondere alla tecnica della ‘maieutica’.

Perdonami ma perché dovrei ‘dialogare’ con delle tesi ‘categoriche’ e ricche di luoghi comuni.
Perché sono confuso? Da che cosa lo deduci?
Perché credi che io non conosca le leggi ‘urbanistiche italiane’?
Perché mi relazioni con le idee di Luigi Prestinenza Puglisi? Mi dispiace deluderti ma non ho lo spirito critico di Emilio Fede o Augusto Minzolini.

Nell’ultima Biennale di Venezia (padiglione italiano) curata da Francesco Garofalo dal titolo ‘L’Italia cerca casa’ si è cercato d’indagare le vicissitudini dell’urbanistica e dell’abitare in Italia.
Cercando di non tagliare con l’accetta ‘politica’ ciò che è avvenuto (ti ricordo che i governi in quegl’anni sono stati esclusivamente di centro destra).

Le mie domande cercano di ampliare i punti di vista e la ‘dialettica’ critica.
Insomma ‘Pietro Pagliardini’ non può dimenticare le molteplici tesi di Leonardo Benevolo, Bernando Secchi, Pier Luigi Cervellati, Marco Romano, Giuseppe Campos Venuti, Stefano Boeri (urbanista), Maurizio Carta, Edoardo Salzano, Pier Carlo Palermo, Stalker, Francesco Careri, e tant’altri.
Soprattutto non può non affiancare alla critica il confronto con la realtà.

Mi sembra terribilmente riduttivo affrontare un dibattito (dialogo) dimenticandosi della storia sia critica/legislativa/politica nella sua complessità procedendo per asserzioni per lo più campate in aria o vicini al proprio sentire ‘architettonico’.
Capisco che la faziosità ama la parzialità poiché è semplicemente contro’, ma ci sarà pure un limite?

Attraverso google map sono andato nella tua Arezzo esattamente in via Adige.--->
http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=arezzo&sll=41.442726,12.392578&sspn=18.260438,33.881836&ie=UTF8&hq=&hnear=Arezzo,+Toscana&ll=43.455384,11.876009&spn=0.000467,0.00309&t=h&z=19&layer=c&cbll=43.455383,11.87601&panoid=DkcMzSTUXGCZUE0AG-ftbg&cbp=11,12.58,,0,-0.63

e in via del ninfeo --->
http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=arezzo&sll=41.442726,12.392578&sspn=18.260438,33.881836&ie=UTF8&hq=&hnear=Arezzo,+Toscana&ll=43.460695,11.883264&spn=0.000442,0.00309&t=h&z=19&layer=c&cbll=43.460695,11.883265&panoid=POoaj3OFkd9WMmQ8X-cz1g&cbp=11,229.77,,0,-27.58

T’invito a fare una riflessione.

Saluti,
Salvatore D’Agostino

Anonimo ha detto...

Caro architetto,
ho letto il Suo ultimo post. Godibilissimo e condivisibile.
Vorrei tuttavia opporre qualche argomento al Suo commento "mi viene in mente la legge 10, la cosìdetta Bucalossi, che ha stabilito la concessione invece della licenza, raffinato principio giuridico certamente, se non fosse che anche questo è caduto sotto i colpi della realtà ma sono rimasti gli oneri, altissimi, ulteriormente incrementati dagli altri che, impropriamente, i comuni chiamano perequazione, per cui, oltre agli oneri il comune vuole anche ed in aggiunta opere, cioè denari, in maniera discrezionale e insindacabile".

Come Lei sa la Bucalossi istituì un principio forse ideologizzato ma difficilmente contestabile: costruire comporta ricadute sui servizi e occorre contribuire a sostenere i costi di essi. Si può discutere sulla forma, ovvero in che misura e con quali strumenti si debba contribuire. Si può discutere anche sulla sostanza, ovvero capire se vi possano essere ragioni che inducano a preferire di non incidere sui costi della costruzione e preferire una diversa retribuzione di quei servizi. Ma il principio mi sembra chiaro, e corretto: "chi consuma paga ciò che consuma e l'infrastruttura che gli consente di consumare".

In questo non vedo nulla di illiberale.

Il concetto giuridico di concessione è durato tre anni, giusto il tempo perché la sentenza C.Cost. 5/80 ne facesse strame. Amen. Di fatto dall'80 in poi, concessioni prima, permessi di costruire dopo, nient'altro sono che licenze sotto falso nome.

Concordo su un punto, oneri di urbanizzazione a parte, la voce "costo di costruzione" è una schifezza, pensata pensando di far dispetto ai ricchi e risoltasi nel far costruire topaie ai meno ricchi.

Sulla perequazione stendiamo pietoso velo. I sindaci (e spesso i loro tecnici) non sanno cos'è e come si applica, la confondono con la compensazione, che è altra materia.

Tutto ciò premesso, io credo fermamente in due cose:
a) essere proprietari di un terreno non deve comportare automaticamente il diritto di costruirvi. Jus soli e jus erigendi per me sono due cose ben distinte e tutt'altro che connaturate. Con questa panzana della "naturale vocazione edificatoria" ci litigo quasi tutti i giorni con sindaci ignoranti.
b) costruire significa contribuire a formare la città, ma questo non è un merito di per sé. Lo può diventare se il contributo è tale da migliorare la città, non da renderla più brutta o più inefficiente. Pagare gli oneri di urbanizzazione, in fondo, dovrebbe essere un modo per evitare il secondo rischio.

Cordiali saluti.
Paolo Landoni

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Landoni, lei ha ragione e io ho un po' esagerato su questo punto.
Diciamo che ho calcato la mano, preso dalla vis polemica. Il fatto è che un principio giusto (l'ho definito "raffinato") si è risolto solo in una tassa e in un metodo per fare cassa, senza che questo si riversi in nuove opere. Vorrei sapere leggere i bilanci dei comuni per capirlo davvero.
Penso che la maggior parte di quegli oneri vadano per tutt'altre cose.
Però non ho sbagliato niente sulla 865, e su tutte le leggi a cascata che ha prodotto.
Mi domando però come mai in Germania, come abbiamo visto e sentito nell'ormai inchiesta cult di Report, per fare una casa nuova si paghino solo 4000 euro, quanto si paga per una addizione funzionale, cioè un volumetto accessorio in giardino, in Italia.
Per me questo è un mistero insolubile.
La ringrazio per le sue competenti osservazioni.
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, un consiglio da amico: leggilo Vitruvio prima di dire sciocchezze.
Al solito ti distingui per la tua educazione nei confronti degli altri ma ormai lo sappiamo bene: il problema è che non ti rendi ben conto del significato delle parole e quindi sei incolpevole.
Ti prendo come quel Paolini che compare dietro i giornalisti TV in diretta.
Alla prossima apparizione
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
mi dispiace deluderti ho letto ‘Vitruvio’ nella bella versione Einaudi a cofanetto, certo non leggo i libri cercando conferme alle mie tesi ma anzi faccio il contrario. Mi piace perdere l’orientamento.
Nuovamente con rammarico ti deludo sono consapevole di quello che dico (non sono scemo) ad esempio leggendo una frase come questa: «Continua nella dimenticanza della storia della città, nel considerare gli uomini un accessorio dell’architetto, quasi fossero le figurine che affollano maquette e rendering, nei quali quelle assumono lo stesso ruolo della mongolfiera o dell’aereoplanino che vola gioioso in cielo, parodia della vita vera» o i riferimenti all’architettura come cubi, astronavi o palazzetti dello sport. io ti ripeto il mio concetto ironizzando a caratteri cubitali È UNA CRITICA ANALOGICA (che osserva solo per analogie) INFATILE DELL’ARCHITETTURA ovvero: mamma guarda un ufo, un cubo, un palazzetto dello sport.
Una critica sentimentale senza profondità compartiva e concettuale.
Nel dire questo sono molto consapevole e non solo, poiché dò molto peso alle parole.
Le parole per me non sono pietre ‘ovvero concetti sacri’ ma strumenti concettuali per la dialettica.
Mi piace il tuo riferimento a Gabriele Paolini poiché non è un matto ma un’artista le sue incursioni sono delle performance. Entrare all’interno del sistema dell’informazione televisiva per manifestare il suo dissenso è un atto d’intelligenza.
Nel mio caso puoi definirmi ‘flame’ è più attinente.
Saluti alla prossima incursione,
Salvatore D’Agostino

P.S.: perché non ti emancipi dalla cultura dello screditamento? Non credi che sia troppo semplice dare del cretino?

Pietro Pagliardini ha detto...

....appunto.
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
appunto cosa?
Saluti,
Salvatore D’Agostino

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