Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


6 giugno 2009

UN LIBRO NON RECENTE DEL PRINCIPE CARLO

Mi è stato prestato un libro del Principe Carlo d’Inghilterra, “Uno sguardo sulla Gran Bretagna. La mia concezione dell’architettura”, 1989 edizioni Frassinelli. E’ un bel libro incentrato sulla Gran Bretagna ma con un occhio attento all’architettura in generale. Ne riporto qui alcuni brani tratti dall’introduzione per infrangere il luogo comune e il pregiudizio, diffuso ad arte, sulla sua presunta incompetenza e anche perché, pur essendo datato 1989, vi sono temi ricorsi di recente con la nota protesta delle archistar contro di lui. A distanza di tempo si ritrova a dover affrontare le stesse polemiche senza retrocedere di un passo. E per essere scritto venti anni fa mi sembra che il Principe abbia saputo cogliere con lucidità e competenza importanti problemi dell'architettura che ricorrono ancora oggi. E' perfino divertente vedere confermati tutti i vizi dell'establishment culturale del tempo (siamo nell'anno della caduta del muro di Berlino) e che continuano tutt'ora, anche se con un po' più di affanno.


UNO SGUARDO SULLA GRAN BRETAGNA
Brani dall'Introduzione

Ad alcuni piace definire le mie idee sull’architettura e l’ambiente come reazionarie e contrarie al progresso e alle esigenze del mondo contemporaneo. Più mi addentro nel mondo torbido dell’architettura, della pianificazione e della proprietà edilizia, più mi accorgo della possente influenza di vari gruppi di interesse.
Da qui le reazioni spesso violente e velenose alle mie prese di posizione. Mi si imputa persino di abusare del mio potere (sic) in quanto principe di Galles, intervenendo in questioni che sarebbe più opportuno delegare agli architetti e di agire in modo antidemocratico.


Mi si dice che sono grossolanamente ingiusto nei riguardi della professione, in quanto punterei l’arma contro gli architetti, mentre in realtà i responsabili sarebbero i pianificatori, la proprietà edilizia, i politici a livello nazionale e locale. Perché allora ho preso di mira gli architetti in particolare? Perché sono convinto che è stato l’establishment degli architetti, o un gruppo potente al suo interno, che ha dettato legge negli ultimi anni Cinquanta e Sessanta. Sono stati loro a dimostrare la necessità di una “nuova” architettura ai fini della ricostruzione della Gran Bretagna postbellica e ad attuare scientemente una rivoluzione all’interno dell’ordine professionale e del loro sistema educativo. Sono stati i “grandi architetti” di questo periodo a persuadere tutti che il mondo sarebbe stato più sicuro nelle loro mani. I loro successori mantengono ancora prestigio e una specie di fascino tra i colleghi: decretano lo stile, controllano i curriculum e detengono posizioni di potere nel Royal Institute of British Architects (RIBA) e nella Royal Academy. Sono loro a governare con mano ferrea le scuole d’architettura e loro che vengono fatti passare per eroi dalle riviste di architettura, in gran parte osannati, e che stanno al centro dell’attenzione scarsamente critica della stampa in generale.
Effettivamente questi signori sono così abituati a sfuggire alla critica, che il mio mite appunto in cui definivo il progetto No 1 Poultry “un vecchio apparecchio radio degli anni Trenta” fu considerato in certi ambienti un’interferenza incostituzionale nel processo di pianificazione.

Può sembrare una scappatoia, ma non ho un desiderio particolare di battermi contro gli architetti o gli speculatori edili.

D’altra parte sono preoccupato per il loro approccio filosofico rispetto all’intera questione della progettazione edilizia nella misura in cui in cide sulla gente e la sua vita.

Molti architetti e imprenditori edili credono che l’architettura debba rispecchiare lo spirito del tempo….dato e non concesso si sappia cos’è! Allo stesso modo in cui il Rinascimento ha rappresentato in architettura l’affrancamento dalle catene della chiesa medievale, così sostengono loro, l’architettura contemporanea deve rispecchiare il dominio dell’alta tecnologia e l’evidente trionfo meccanico dell’uomo sulla natura che per tanto tempo l’ha tenuto in scacco.
Evidentemente, in quest’ordine d’idee, il passato è ampiamente irrilevante e il suo significato e le sue lezioni devono essere cancellate.

Credo che quando un uomo perde il legame col passato perde l’anima. Allo stesso modo, se respingiamo il passato architettonico allora anche i nostri edifici perdono la loro anima. Se abbandoniamo i principi tradizionali su cui l’architettura si è basata per 2.500 anni o più, la nostra civiltà ne soffre. Le nostre vite possono essere dominate da forme di tecnologia sofisticata, ma noi possediamo anche un più grande retaggio.

Non c’è nulla di erroneo da imparare dal passato, nell’applicare le lezioni che i nostri predecessori hanno appreso con tanta pena, nel riconoscere che il nostro particolare retaggio isolano è il risultato della risposta a condizioni climatiche e alla disponibilità di determinati materiali locali e dell’ispirazioni fornita dai grandiosi esempi dell’architettura europea.
Questi concetti ci danno un senso di appartenenza di ordine, d’importanza vitale per il nostro sviluppo di esseri umani. Non siamo i soli a nutrire inquietudini per la strada intrapresa dall’architettura moderna o anche postmoderna. (Non fatevi confondere dal postmodernismo e dagli altri “ismi” che i critici di architettura escogitano per cullarci in un malinteso senso di sicurezza!).

In paesi come l’Arabia Saudita dove il ritmo dello sviluppo è stato sorprendentemente rapido e il concetto prevalente che vige è “se è americano”, “se “è nello stile di vita internazionale, deve essere la miglior cosa per noi”, cominciano a rendersi conto che nell’ansia di modernizzarsi allineandosi alle tendenze occidentali hanno perso qualcosa. Sta emergendo un movimento inteso a riscoprire l’eredità islamica e autoctona e a imparare dalla saggezza ambientale locale degli antenati che conoscevano alla perfezione l’arte di costruire tenendo in debita considerazione le condizioni climatiche prevalenti.

Nel Medio Oriente si ascolta con interesse crescente un notevole architetto egiziano Hassan Fathy, che per quarant’anni ha dovuto subire critiche e denigrazioni velenose da parte della classe professionale modernista per aver propugnato con ostinazione la causa dell’architettura islamica tradizionale. E’ stato sempre accantonato come un romantico privo di contatto con la realtà moderna. “Quando si attira l’attenzione della gente sull’estetica e la cultura”, ha scritto il dotto Fathy, “ti tacciano di romanticismo. Questo sta a dimostrare lo stato della nostra società attuale”. [Omissis]

Il dottor Fathy sostiene che “l’architettura per i ceti meno abbienti non deve essere concepita come la cura di una malattia particolare” e si schiera per un’”architettura fruibile sia dai ricchi sia dai poveri”, non privilegio di un determinato ceto sociale. L’estetica dovrebbe essere una componente di tutta l’architettura: “Purtroppo” lamenta il dottor Fathy, “oggi al popolo non è concesso il vantaggio estetico e si assimila a torto la povertà con la bruttezza, il che è un errore grave. Più i costi del progetto sono contenuti, maggior cura e attenzione dovrebbe essere prestata all’estetica”.

Il dottor Fathy è un uomo notevole, la cui voce coraggiosa dovrebbe essere ascoltata. Sentite questa: “Io dico che la bella architettura è un atto di civiltà verso chi entra nell’edificio; si inchina a voi ad ogni angolo, come in un minuetto….Ogni costruzione brutta è un insulto a chi le passa di fronte. Gni edificio dovrebbe rappresentare un ornamento e un contributo alla propria cultura. Ora è molto difficile raggiungere questo obiettivo perché abbiamo abbandonato la scala umana e il riferimento umano. Dobbiamo quindi reintrodurre questi due elementi, più la musicalità in architettura”.


Seguono alcuni link su Hassan Fathy e l'architettura tradizionale islamica:

http://www.youtube.com/watch?v=0myHEjXWElo
http://www.youtube.com/watch?v=LlWFjxd935s&feature=related
http://web.mit.edu/akpia/www/

2 commenti:

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
ma in Italia è mai esistita l'architettura high-tech?
Un post inglese.
Irreale per la cultura italiana.
Saluti,
Salvatore D'Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, il post può darsi sia irreale ma il libro non lo è affatto. L'autore parla quasi esclusivamente di architettura britannica e fino alla data del libro stesso, che avrai visto non essere recente. Ma i concetti sono del tutto validi oggi. Il fatto che tu ti appunti sull'high-tech è, a mio avviso, un puntiglio inutile fatto con piglio critico che però non coglie la generalità e l'evidenza del fenomeno.
In base a codesto atteggiamento la nostra visione del mondo dovrebbe fermarsi a ieri mattina o meglio a stamani a mezzogiorno perché il mondo cambia sempre. Non mi sembra un modo molto utile di fare qualsiasi ragionamento, non solo in architettura.
Saluti
Pietro

Etichette

Alemanno Alexander Andrés Duany Angelo Crespi Anti-architettura antico appartenenza Ara Pacis Archistar Architettura sacra architettura vernacolare Archiwatch arezzo Asor Rosa Augé Aulenti Autosomiglianza Avanguardia Barocco Bauhaus Bauman Bellezza Benevolo Betksy Biennale Bilbao bio-architettura Bontempi Borromini Botta Brunelleschi Bruno Zevi Cacciari Calatrava Calthorpe Caniggia Carta di Atene Centro storico cervellati Cesare Brandi Christopher Alexander CIAM Cina Ciro Lomonte Città Città ideale città-giardino CityLife civitas concorsi concorsi architettura contemporaneità cultura del progetto cupola David Fisher densificazione Deridda Diamanti Disegno urbano Dubai E.M. Mazzola Eisenmann EUR Expo2015 falso storico Frattali Fuksas Galli della Loggia Gehry Genius Loci Gerusalemme Giovannoni globalizzazione grattacielo Gregotti Grifoni Gropius Guggenheim Hans Hollein Hassan Fathy Herzog Howard identità Il Covile Isozaki J.Jacobs Jean Nouvel Koolhaas L.B.Alberti L'Aquila La Cecla Langone Le Corbusier Leon krier Léon Krier leonardo Leonardo Ricci Les Halles levatrice Libeskind Los Maffei Mancuso Marco Romano Meier Milano Modernismo modernità moderno Movimento Moderno Muratore Muratori Musica MVRDV Natalini naturale New towns New Urbanism New York New York Times new-town Nikos Salìngaros Norman Foster Novoli Ouroussoff paesaggio Pagano Palladio Paolo Marconi PEEP periferie Petruccioli Piacentini Picasso Pincio Pittura Platone Popper Portoghesi Poundbury Prestinenza Puglisi Principe Carlo Purini Quinlan Terry Referendum Renzo Piano restauro Ricciotti riconoscibilità rinascimento risorse Robert Adam Rogers Ruskin S.Giedion Sagrada Familia Salingaros Salìngaros Salzano Sangallo Sant'Elia scienza Scruton Severino sgarbi sostenibilità sprawl Star system Stefano Boeri steil Strade Tagliaventi Tentori Terragni Tom Wolfe toscana Tradizione Umberto Eco università Valadier Valle Verdelli Vilma Torselli Viollet le Duc Vitruvio Wrigth Zaha Hadid zonizzazione