Questo post è stato scritto da Riccardo Verdelli, studente di architettura di Arezzo, che conosco e a cui avevo chiesto di scrivere qualcosa dopo aver scoperto che è animato da grande passione civile che non riversa solo nell'architettura.
Riccardo ha anche un blog, Il Verde Polemico. Il verde potrebbe avere un doppio senso ma il polemico, ve ne renderete conto, ne ha uno solo.
LETTERA APERTA DI UNO STUDENTE DI ARCHITETTURA
Riccardo Verdelli
L'amico Piero mi ha chiesto qualche tempo fa di scrivere qualcosa, di riassumere i pensieri di uno studente di architettura che si appassioni al dibattito su architettura ed urbanistica; ecco, ci ho messo un sacco di tempo, ma alla fine ho trovato il tempo per farlo.
Proprio domenica un'interessante puntata di Report (ovviamente diretta a tutti, quindi magari un po' "banale" in alcuni passaggi per una persona del settore) mi ha dato la spinta: si parlava della morte dello strumento urbanistico e della nascita della città del palazzinaro. E' inutile dire quanto piacevole e confortante sia che anche la società civile finalmente si schieri contro le varie forme di non-città che proliferano oggi e che eminentemente sono sconfinati quartieri dormitorio o marmellate di villettopoli sparse qua e la.
Il punto forte della trasmissione stava proprio nella continua violenza cui son sottoposti i piani in Italia, raramente rispettati se un qualche imprenditore mette sul piatto soldi sufficienti a far rifiatare un comune, che accetta così di far stuprare in qualunque modo il proprio territorio, fregandosene non solo dei costi sociali di migliaia e migliaia di metri cubi messi in un posto alieno alla città, ma anche a quelli poi dovuti ad un'architettura che nelle migliori delle ipotesi è semplicemente banale.
Cos'è oggi un architetto? A cosa si è ridotta la figura che nel tempo ha costruito le città? Se il lavoro dell'urbanista viene violentato in nome dei soldi dei palazzinari, se questi vuole spender poco e se i professori universitari insegnano che non ci sono regole, che tutto è soggettivo ma ingiudicabile, che ciò che fa un architetto è giusto e incontestabile? Cosa viene fuori da questo quadro? Architetti che quando siano rispettosi dell'architettura, della storia ma anche del progresso, dell'urbanistica, conoscitori della città, vengono comunque ridotti a poco più di "disegnatori di cartine". A che serve, dunque, che un urbanista presti attenzione a come e dove costruire, alle infrastrutture, alle linee di trasporto pubblico, quando poi un palazzinaro compra ettari ed ettari di terreno agricolo e si presenta al comune con i milioni degli oneri in mano e il comune non possa (o voglia, nella peggiore delle ipotesi) che prostituirsi per far cassa in qualche modo?
La questione è inevitabilmente prima politica che di qualunque altro tipo: evidentemente i comuni italiani non hanno soldi a sufficienza e voglio spendere critiche bipartisan a questo punto, o meglio fare un plauso e una critica a questo governo. Ben venga il federalismo fiscale, gli enti locali sono quelli a più stretto contatto con il cittadino e devono "prendersi cura" di lui, orribile la scelta di togliere l'ICI sula prima casa, ossigeno fondamentale per i comuni.
Oggi ci troviamo in condizioni serie, e non parlo di ambientalismo quanto di qualità della città, anche perché i professionisti capaci, che hanno la possibilità economica di non prostituirsi, hanno un ruolo marginale e possono essere facilmente scavalcati da un amministratore poco capace o semplicemente senza sufficienti fondi.
Lo strumento urbanistico dovrebbe avere un valore molto maggiore, dovrebbe essere "inviolabile" ed è qui secondo me che si può e deve ragionare di qualità edilizia, qualità urbanistica e ridensificazione della città, restituzione della città ai cittadini.
Sottrarre la città ai SUV e restituirla ai cittadini DEVE essere priorità in Italia dove, non fosse chiaro, nessuno viene a vedere i quartieri dormitorio o le villettopoli terzo millennio, ma si viene a vedere la meraviglia di centri storici stratificati, che offrono tessuti nei quali si legge la storia della città, la città dei cittadini; le città delle auto non interessano a nessuno, anzi potendo se ne fugge.
Il piano dovrebbe appunto essere inviolabile, ed indicare nuove aree, che valgano le "C" ma che siano esclusivamente dedicate a "premio" (preferisco scrivere in modo che sia chiaro a tutti, non so quanto sia vasto il tuo pubblico) per coloro i quali accettino la sostituzione edilizia. Dovrebbe cioè indicare gli edifici cittadini impropri e consentire, in funzione della sostituzione, di aggiungere metri cubi, tanti, tantissimi vi prego, se non in sito almeno in queste aree "C bis", e l'allargamento della città deve quindi esistere solo in funzione di una riqualificazione dell'esistente, e ovviamente rispettoso della città. L'esempio della sede della Banca Toscana ad Arezzo l'avevo già fatto (edificio moderno le cui storture sarebbero elencabili solo in un topic dedicato, ma situato in una strada ordinata e di un certo pregio architettonico): sostituisci quell'oggetto e io ti assicuro tanti metri cubi in più, nello specifico anche in sito, essendo l'edificio attuale molto basso rispetto al contesto, in altri casi in aree IMMEDIATAMENTE periferiche, che ovviamente deve individuare l'urbanista; questa dovrebbe essere la concessione che il comune potrebbe fare: può vendere spazio in virtù di una sostituzione che permetta di riqualificare la città, non può vendere la città per soldi, non può l'amministratore far prostituire la città.
I piani dovrebbero essere frequenti, e non indicare come allargare la città, ma come farla crescere qualitativamente, ma soprattutto dovrebbero essere inviolabili!!! Un accordo di programma può vertere su indici e standard, il comune può prendere la "mazzetta" (oggi è tecnicamente questo) per far costruire 100.000 mc laddove se ne potevan fare 80.000, non per far costruire laddove non si può.
Ne viene fuori un disastro sia ambientale (minori aree verdi, maggiori consumi di carburanti) che economico (maggiore dispersione per reti di utenze più lunghe, bisogno di nuove infrastrutture), che sociale (migliaia di cittadini che non si sentono cittadini, non padroni ma schiavi della città, di una città che è a sua volta schiava dell'auto).
Un comune può accettare un piano in più molto più facilmente che una casetta "più in la", una città può alzarsi e rimanere vivibile, non può farlo allargandosi a macchia d'olio.
Ed è qui che bisogna che il piano individui, dopo che abbia fallito la commissione edilizia, cosa c'è bisogno di sostituire, cosa non è città ma villettopoli, cosa non è città ma dormitorio, cosa non è edificio ma delirio di un architetto "universitario".
Assistiamo oggi in facoltà ad architetti che insegnano che non ci sono regole (ovviamente non tutti, ci mancherebbe), che tutto dipende dal gusto dell'architetto (quindi non ancora dello studente, che deve semplicemente assecondare il professore di turno e sperare di incontrarne il gusto), che non esistono regole, che quando si fa un intervento "deve essere chiaramente riconoscibile" e si portano esempi di abitazioni di Gehry, prontamente riproposti poi dagli studenti in pieno centro storico di Firenze, che quella di Richard Meier è una chiesa anche se a fare fotomontaggi che la collocassero altrove è stata scambiata (non scherzo) per centro velico per la Coppa America e per palazzetto dello sport.
Assistiamo alla negazione aprioristica del tetto a padiglione, che appare quasi come un'offesa, se presentata al professore, oppure ad obiezioni del tipo "ma qui c'è umidità" di fronte ad un tema "fai una casa in mezzo al letto dell'Arno" o a giudizi opposti su progetti identici presentati a soli 7 giorni di distanza.
All'interno di un panorama del genere forse la speranza può venire da "Report", inteso come società civile che si interessa al problema e si rende conto della situazione caotica (ad essere buoni) in cui versano l'urbanistica e l'architettura in Italia; forse la coscienza che il traffico si crea quando si costruisce male, violentando il piano, lasciando la città in mano ai palazzinari, forse la coscienza che l'inquinamento dipende da migliaia di alloggi cresciuti dove non era previsto né prevedibile né auspicabile, forse la nuova spinta ecologista verso consumi più bassi scoraggiata da distanze troppo grandi, forse la rinnovata tensione verso una città da percorrere a piedi potranno quello che politica, urbanistica ed architettura non hanno potuto, o forse voluto, cioè restituire la città ai cittadini. E questo è possibile restituendo l'urbanistica agli urbanisti e l'architettura agli architetti.
E purtroppo per questo la strada sarà lunga e passa anche da un'università che non forma architetti, forma studenti impauriti dal mondo dell'architettura, con nessuna forza culturale da opporre al dio denaro: come può un giovane architetto imporre una corretta visione architettonica che non ha ad un imprenditore che deliberatamente la nega poiché non economicamente vantaggiosa?
La strada è lunga, ma la società civile, se pur prima per la paura sismica e ora per la tensione ecologista, e non per una questione prettamente architettonico/urbanistica, può essere la spinta per riuscire in un prossimo futuro a recuperare le nostre città, a restituircele, togliendole dalle mani di amministratori inadeguati, architetti incompetenti ed urbanisti senza potere.
Spero di non essere stato troppo prolisso e di aver inquadrato la richiesta che mi hai fatto: questa è una sintesi (una sintetica sintesi...) della mia visione dell'architettura e dell'urbanistica attuali e delle prospettive delle stesse, o meglio delle mie speranze perché queste cambino nella direzione che auspico, e credo auspichi anche te.
Ciao Riccardo
1 commento:
Riccardo, per evitare il rischio di scivolare nel paternalismo che il tuo post non merita, affronterò il rischio opposto di essere ipercritico.
Inutile parlare di tutte quelle parti in cui siamo d’accordo: l’idea di città e il pensiero unico dominante all’università . Voglio invece parlarti di ciò che condivido poco: la tua idea ricorrente sulla “inviolabilità” del piano.
Un piano intangibile presuppone la perfezione del piano stesso e un potere assoluto e autoritario che non possa essere messo in discussione. Fortunatamente non c’è un potere assoluto e la democrazia comporta anche il rischio della bruttezza. Addirittura è possibile che la bellezza sia, in democrazia, una sorta di caso eccezionale.
Se esistessero piani perfetti avremmo risolto i problemi della città, cosa ovviamente improbabile; e supponendo che un piano fosse perfetto nel momento in cui entra in vigore, un attimo dopo cambierebbe qualche circostanza per cui non potrebbe essere considerato più del tutto perfetto.
Secondo me il piano, per sua natura e per il fatto di dover essere applicato ad una società articolata e sostanzialmente libera, non può e non deve essere immodificabile. E’ proprio la dinamica sociale che non lo permette e non c’è legge che tenga e bisogna anche prendere atto che l’attività edilizia è un’importante attività economica. Al solito, io credo che se non c’è economia c’è troppa politica e quindi un potere opaco e spesso autoritario. Meglio il denaro alla mancanza di libertà anche perché con questa il denaro ci rientra comunque.
Ora, quando dico che il piano inviolabile non è possibile se non con un potere forte, non voglio dire che il denaro non sia un potere forte. Anzi, è fortissimo, ma è un potere che non va d’accordo con il piano. Attualmente va d’accordo moltissimo con gli edifici simbolo, quelli che danno grande ritorno d’immagine tramite i media, e che poi si trascinano dietro investimenti più corposi. Al potere economico serve il mordi e fuggi; direi, volgarizzando, che è la sveltina il simbolo di questo potere: poco impegno e via un’altra. Se ci pensi bene, su questo non siamo proprio in disaccordo perché quando tu auspichi che l’edificio della Banca Toscana sia demolito e al suo posto possa nascere un edificio corretto, ti senti disposto a dare molta più cubatura come premio o incentivo. Questo vuol dire che metti avanti il risultato per la città alla generica demonizzazione del profitto. Per me è l’atteggiamento giusto.
Io non faccio PRG ma penso che questi dovrebbero consistere di una struttura principale rigida su cui fare argine contro le aggressioni e di altre parti molli, quelle più “alimentari”, suscettibili di essere cambiate.
Tornando all’inviolabilità, c’è un altro fattore che ne determina l’impossibilità: i piani parlano un linguaggio il più delle volte (non sempre) incomprensibile senza un interprete. E’ molto più difficile che per i nostri ragazzi imparare l’inglese a scuola. Dovrebbe essere scritto e disegnato per tutti o quasi e invece pochi lo sanno leggere. Talvolta è un caso dovuto all’incapacità e all’ignoranza di chi lo redige, tal’altra è una scelta precisa, nei peggiori casi si verificano tutte e due le condizioni.
Più il piano è nebbioso più è interpretabile, quindi violabilissimo. In genere il migliore interprete è l’autore del piano ma anche i politici non se la cavano male. Poi ci sono i famigli, che non sono migliori ma tali appaiono . La burocrazia non rallenta solo i tempi ma imposta le regole del gioco affinché siano comprensibili solo a pochi. Dunque il piano è violabile ma il brutto è che nasce “violabile per scelta consapevole” invece che diventarlo per cambiamenti oggettivi intervenuti oppure per inevitabili errori.
Qui torna in ballo la politica, come dici te. Ma su questo campo non ho risposte né consigli da darti. E poi chissà se le ragioni e i torti sono divisi da una linea netta!
Ciao
Piero
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