.....strani abusi, le superflue spese......
Andrea Palladio
(dal Proemio al libro I dell’Architettura)
STRANI ABUSI....
Sembra un’espressione contemporanea, una riflessione fatta da quei cittadini che, di fronte ad una delle tante “trovate” architettoniche celebrative dell’estro e della capacità creativa dell’archistar di turno chiamata dalla solita amministrazione comunale per sponsorizzare nel mondo l'immagine di modernità della propria città,
non riescono a comprendere il perché di una simile scelta progettuale, il perché di forme e stranezze stilistiche, veri e propri abusi nei loro confronti, e che dovranno subire quotidianamente ed anche economicamente, visto che la maggior parte delle volte si scopre che il relativo costo di costruzione è andato lievitando nel passaggio dal preventivo al consuntivo.
....E SUPERFLUE SPESE
… e invece no, è un’espressione vecchia alcune centinaia di anni, di quel noto personaggio che al suo tempo era considerato un innovatore, nel metodo progettuale e soprattutto nella forma la quale nasce sempre dallo studio del passato, fonte inesauribile di stili ed elementi architettonici.
Al “Tagliapietre” Andrea Palladio, persona evidentemente dotata di grande senso pratico, attento conoscitore dei materiali da costruzione e del buon uso che se ne poteva fare, dovettero sembrare quanto meno “inconsueti” quegli edifici nei quali alcuni elementi architettonici erano costruiti con materiali non idonei all’uso e che costituivano perciò uno spreco di denaro; anche oggi spendere soldi per realizzare opere non idonee all’uso e facendo largo uso di prodotti “sperimentali”, ad alcuni potrebbe sembrare uno spreco, specie se i soldi sono pubblici.
Abusi?
Usando oggi il termine abuso, naturalmente in ambito edilizio, ci si riferisce a fabbricati o a qualsivoglia architettura realizzata in assenza o difformità da titoli autorizzativi rilasciati dalle autorità competenti in materia.
Anche al tempo di Palladio esistevano norme e statuti che, in vari modi, regolamentavano l’attività edilizia, ma certamente quando l’Architetto parlava di abusi si riferiva al cattivo uso degli elementi architettonici e non certo alla veranda del sig.Rossi.
Parliamo allora dei veri abusi edilizi cntemporanei, sicuramente lontani, non solo nel tempo, da quelli visti dal Palladio; parliamo di quelle mostruose “macchine”, estranee ad ogni contesto, oggetti inclassificabili dove la regola è la sregolatezza, dove il principio ispiratore è solo nella testa (o nella mano) di chi l’ha pensato, lo stesso principio che ispira un qualsiasi pittore dell’astratto che nei suoi quadri traduce le proprie emozioni in segni e colori non codificabili o meglio traducibili in parole soltanto da chi voglia dare ad ogni costo un significato alla sua fantasia.
Abusare!
Tutto ciò non significa forse abusare, nel senso di commettere abuso sul comune cittadino costretto a subire l’ingombrante presenza di oggetti realizzati in deroga ad ogni regola (del buon costruire) e regolamento (strumento edilizio/urbanistico)? Proprio quello stesso cittadino che forse una volta si è anche visto negare da una commissione edilizia o da una Soprintendenza l’autorizzazione ad aprire una finestra, piuttosto che cambiare un infisso, in nome del rispetto delle norme e del decoro degli edifici e dell'attenzione verso l'ambiente circostante?
Certo, anche un quadro o una scultura possono essere considerati abusi, se offendono la vista di alcuni, ma, dato il loro essere oggetti mobili, diversamente dagli immobili, essi possono essere accolti all’interno degli edifici ed essere “goduti” da chi ne ha voglia e soprattutto senza alcuna costrizione, come avviene invece con gli edifici che, pur privati, si rivolgono e parlano sempre (urlano talora) ad uno spazio pubblico.
Una torre sbilenca o contorta (al tempo del Palladio il termine grattacielo poteva forse essere appellativo di persona un po’ squilibrata) di decine e decine di metri, un ponte di acciaio e gradini di vetro la cui bellezza è pari soltanto alla sua inutilità, una pensilina, o forse sarebbe meglio chiamarla pensilona data la stazza, rimarranno invece lì, ingombranti testimoni della "grandezza" dei loro progettisti e ricordati soltanto con il nome del loro autore: la Torre di Caio, la Sfera di Sempronio e non come succede con la maggioranza delle architetture classiche di tutti i tempi che, nonostante siano state progettate da illustri architetti, vengono chiamate con il nome del loro committente o con quello del santo cui sono dedicate o ancora con il nome del luogo nel quale furono erette: Palazzo Farnese, Cappella Pazzi, Duomo di Santa Maria del Fiore, Castel del Monte.
La Basilica di Santa Croce a Lecce, mia città di origine, è stata realizzata su disegno del celebre architetto Giuseppe Zimbalo eppure non viene certo ricordata come la Basilica di Zimbalo, bensì come capolavoro del barocco; la chiesa di Santo Spirito a Firenze, come è noto, fu realizzata su disegno di Filippo Brunelleschi, ma non mi sembra che sia chiamata da qualcuno la chiesa del Brunelleschi. La cupola del Duomo di Firenze, quella sì è la "cupola del Brunelleschi" per la travagliata storia con cui è nata, per la sua spregiudicatezza tecnica e perché è la consacrazione del genio del suo autore. Ma quanti geni ci sono in architettura?
Ma in fondo è giusto così, è giusto che si ricordino le opere contemporanee moderniste col nome del loro artefice. Sarà utile infatti, non riuscendo a capirle o meglio a classificarle, associarle ad un nome, dal momento che tra 100 o 200 anni non credo si potrà associarle ad altro.
5 commenti:
“… così [che] a poco a poco si impari a lasciar da parte gli strani abusi, le barbare intenzioni e le superflue spese, e a schivare le varie e continue rovine che in molte fabbriche si sono vedute. “
Mi pare ci sia coerenza fra il gusto per una geometria simmetrica e ordinata e la lucidità di esposizione del proprio compito di architetto.
Lo stesso concetto mentale di ordine comporta anche il considerare un abuso o barbarie ciò che non si conforma ad esso.
L’ordine è una predisposizione naturale anche se contrastata, vorremmo sempre che fosse un altro a farlo al posto nostro ma non è possibile, perché ognuno ha la sua idea dell’ordine; comunque sia, l’interesse nostro chiede che le cose siano corrispondenti al proprio bisogno.
Non credo che solo il Palladio avesse di questi pensieri, probabilmente tutta la popolazione; era una cultura dominante, con le normali eccezioni.
Rimane da chiedersi se c’è la stessa coerenza fra il gusto di architetti modernisti e la loro mentalità, poi a seguire della cultura dominate e quindi se non ci si sia confusione sul concetto di bisogno.
Pietro,
la tua critica sembra incentrata su percorsi turistici da 'centro storico', insomma, quella delle belle vetrine per intenderci.
Le regole sono codici del pensiero umano che tenta in questo modo di fissare le proprie idee.
Io sono un'amante della distopia, mi piace pensare al di là dell'euritmia, perché considero l'ordine monotono, riduttivo, elitario, dittatoriale, ostinato, ottuso, autoreferenziale, immaturo e cinicamente guerrigliero.
Siamo ancora convinti di poter stabilire cosa sia superfluo?
Caralbas, per fortuna che c'è un po' di confusione altrimenti rischieremmo di vivere in una società di signorine/ini che evitano le geniali e pure sregolatezze dei giochi infantili.
Il nostro tempo è contraddistinto dalla complessità e sofisticazione, dobbiamo continuare a non leggerlo?
«Questo non è un libro facile. Richiede una competenza specifica e una continua attenzione visiva; non è per quegli architetti che per timore di essere offesi preferiscono non guardare.»
Sono le prime righe di un libro di Robert Venturi 'Complessità e contraddizioni nell'architettura'.
Credo che abbiamo le potenzialità per poter andare oltre, dobbiamo solo girare l'angolo e magari affrontare con coraggio gli speculatori immobiliari, cioè chi ha rovinato il paesaggio italiano mentre gli architetti si distraevano con le 'soluzione d'angolo', l'attacco a terra', 'tracciati regolatori' ed infine 'l'opposizione senza se e senza ma, contro gli invasori (architetti) stranieri'.
A presto Salvatore D'Agostino.
Salvatore, questo post non è mio come scritto in alto, ma di un mio giovane collega di studio, evidentemente contagiato da questa malattia del blog.
Se lasciassi un mio commento prima che lo facesse lui potremmo anche litigare in studio ed è meglio conservare armonia.
saluti
Pietro
Io non voglio vivere in un mondo dove gli adulti si abbandonano alle sregolatezze dei giochi infantili.
Penso che il problema di questi adulti sia soltanto la paura di morire; si travestono da bambini per non pensarci.
---> Mi correggo:
Francesco Gazzabin,
la tua critica...
---> Caralbas neanch'io voglio vivere in un mondo infantile, il mio riferimento è ovviamente riferito allo spazio che deve saper ospitare le complessità della società attuale. Quindi: es. salotto buono delle/i signorine/ini incapaci di tollerare e vedere ciò che non rispetta il proprio ordine spaziale e mentale.
Ciao Salvatore D'Agostino
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