In un’intervista al Corriere della Sera Frank O’Gehry parla di molte cose e risponde tra l’altro alla fatidica domanda sulle archistar.
Gehry si schermisce, dice di non sentirsi archistar e aggiunge:
“Se possono spingere un giovane architetto a migliorarsi, ad essere sé stesso, ben vengano le archistar”.
Ecco, è proprio questo il problema: essere di esempio ai giovani e anche i meno giovani!
Essere archistar, o architetto di successo globale, non è certo un delitto né una colpa; è un po’ come essere ricchi (e probabilmente lo è anche ricco), non è peccato, anzi, per me è un merito, beati loro e beato Gehry, che poi sembra anche un nonno bonario e sicuramente ha qualità fuori dal comune, anche se talvolta usate in modo perverso.
Il problema sono proprio gli allievi; non solo quei pochi che hanno la fortuna, o sfortuna, di stare accanto al maestro (in fondo può essere anche una fortuna, perché i miti visti da vicino, talvolta, possono perdere un po’ di aura) ma quei molti, troppi architetti che leggono le riviste, i giornali, guardano i film, ascoltano i professori, vedono la pubblicità, ecc. e pensano: voglio fare come lui, voglio “essere” come lui, voglio creare, questa è architettura, rompe gli schemi e, come si dice nelle motivazioni del premio della Biennale suggerito da Betsky, rompe anche “la scatola” architettonica.
Intanto chiamare, che so, Palazzo Rucellai, una scatola architettonica (perché è una di quelle che lui avrebbe rotto), mi sembra grossolano prima che irriverente, poi questo premio, oltre che imbalsamare Gehry (è alla carriera), alimenta il “mito” e allora giù altri architetti che lo vorranno imitare.
Per dirla tutta: quante opere può fare Gehry nel corso della sua vita (che ovviamente mi auguro sia lunghissima)? 100, 200, esagero 300. Di queste trecento quante saranno quelle tipiche da archistar? Diciamo 50. Ebbene il mondo può sopportare certamente 50 opere di Gerhy. Ci sono ben altri problemi: l’inquinamento, il traffico urbano, le inondazioni, i terremoti, l’incuria dei monumenti, l’abusivismo, gl i innumerevoli grattacieli senza la griffe degli architetti, le scorie radioattive, ecc. cosa volete che siano 50 opere di Gehry-archistar!
Ma, a fronte di queste 50, ci sono … 100.000? architetti che, basta che riescano una sola volta nella loro vita a fare i Gerhy e il danno diventa planetario, le città vengono inondate di pseudo-cloni (sicuramente peggiori dell’originale). Moltiplicate questo numero per ognuna delle archistar viventi, più le mini-archistar di casa nostra che hanno anche loro i proprio cloni, e si raggiungono cifre spaventose. Soprattutto danni spaventosi all’architettura, all’ambiente urbano e a quello naturale.
Eppoi non ci sono mica solo gli architetti! Ci sono anche i politici, i sindaci e gli amministratori che, in assenza di idee per la loro città, mascherano la loro pochezza con l’effetto Bilbao. Già, anche gli amministratori vanno dal dentista e leggono le riviste di moda che illustrano le meraviglie di queste architetture e sognano in un colpo solo di risolvere i problemi: passare alla storia e attirare i turisti.
L’ultima trovata è del sindaco di Salerno che avrebbe voluto incaricare Gehry del progetto del nuovo termovalorizzatore. Niente, è andata male e così anche Gehry, l’archistar, ha provato sulla sua pelle l’effetto perverso che dicevo, perché, in Italia, gli amministratori le archistar le desiderano, le evocano, le contattano anche, fanno un bell’annuncio nel giornale ma poi.. si affidano ai cloni.
Chissà se avremo un termovalorizzatore con un po’ di lattoneria luccicante aggiunta sopra!
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4 luglio 2008
GEHRY E LA ROTTURA DELLA SCATOLA
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