Giulio Rupi
Uno dei temi più stimolanti trattati da questo blog è quello del “falso in Architettura”.
Un tema del genere, che a Pietro interessa in relazione alla polemica tra modernisti e tradizionalisti, è tuttavia strettamente collegato ai dettati consolidati della cultura del restauro architettonico, nel senso che alla base del tabù sul falso nel progetto contemporaneo ci sta il tabù sul falso nel restauro contemporaneo.
Cosicché quando i dettati del restauro proclamano la visibilità dell’aggiunto rispetto al preesistente, ne vengono di concerto, per analogia non esplicitata ma reale, i dettati del modernismo in conseguenza dei quali il nuovo finisce sempre per essere de-contestualizzato rispetto a quello che gli sta intorno.
Ma per andare un poco più in profondità su questo argomento conviene fare un discorso allargato sulla riproducibilità delle opere d’Arte e infine porsi la domanda provocatoria: “L’Architettura è nel manufatto o nel progetto?”.
Se si estende il discorso a tutte le arti, anche senza voler fare una graduatoria puntuale del riproducibile e non riproducibile, si può partire da una banale osservazione: apprezzo “L’infinito” del Leopardi anche se non lo leggo sul manoscritto originale, così come per applicare le leggi di Newton non ho bisogno di consultare l’originale dell’autore.
Quindi all’estremo della riproducibilità ci stanno le opere della letteratura, della filosofia e della scienza.
Ma già se passiamo all’Arte figurativa nessuno potrebbe sostenere che ammirare un Velasquez al Prado sia lo stesso che guardarlo in una riproduzione.
E pure un concerto, una cosa è sentirlo dal vivo, altra è ascoltarne la registrazione.
All’altro estremo, quello della non riproducibilità, io personalmente metterei il balletto, l’arte in cui l’autore dell’opera è l’opera stessa e non vi è alcuna possibilità di separare (e quindi riprodurre) l’opera dal suo autore.
L’opera di Architettura a che punto sta tra questi due estremi? L’Architettura è tutta nel progetto (per cui, avendo il progetto, si può prescindere in parte dall’autore) o è tutta nel manufatto (per cui se parte del manufatto non c’è più, questo non va restaurato secondo il progetto ma, come si è detto, l’integrazione va decontestualizzata)?
E’ pericoloso prendere posizioni troppo nette su questo tema: avremmo da una parte chi ci accusa di giustificare le Piramidi e il Canal Grande a Las Vegas e dovremmo rispondere che la stessa, simmetrica aberrazione sta nella diffusione indistinta del medesimo panettone di Botta in qualsiasi parte del pianeta. Decontestualizzazione nel primo e nel secondo caso.
Tuttavia, dato che oggi il tabù è tutto da una parte, non sarà male contrastare l’idea corrente che ritiene che l’Architettura stia solo nel manufatto, idea che, con una catena di ragionamenti consequenziali, conduce, come sopra spiegato, alla fissazione modernista della decontestualizzazione.
Ebbene: a Mantova la Chiesa di Sant’Andrea è stata realizzata sul progetto dell’Alberti dopo la sua morte: è un falso? Oppure l’Autore è lo sconosciuto direttore dei lavori?
Della torre non costruita della simmetrica facciata di San Biagio a Montepulciano del Sangallo non abbiamo solo il progetto: abbiamo addirittura il manufatto (la torre costruita) dato che la facciata è simmetrica in tutto e per tutto. Che differenza tra il direttore dei lavori che ha costruito Sant’Andrea a Mantova su progetto dell’Alberti e l’ipotetico direttore dei lavori che ricostruisse oggi la torre mancante del San Biagio? Chi sa dare una risposta coerente a una tale provocazione?
O i Veneziani che hanno ricostruito il campanile di San Marco, i Fiorentini che hanno ricostruito il ponte dell’Ammannati (nella foto)?
E il monastero di Montecassino, che molti considerano un falso, o quanto meno un monumento fasullo, un’operazione di dubbia correttezza?
Per non parlare del più classico degli esempi: a Barcellona si può visitare il cantiere di una cattedrale medievale in costruzione. Visitando il cantiere della Sagrada Familia si ha come un senso di spaesamento temporale, eppure si percepisce la forza di un progetto che, come Sant’Andrea di Mantova, riesce a sopravvivere alla morte del suo autore: è un falso?
E’ questo un dibattito di grande interesse, di cui si sente il bisogno proprio perché investe dei tabù e quindi può produrre qualcosa di più delle solite frasi fatte.
Sta di fatto che da una parte il filologismo esasperato e con il paraocchi della moderna cultura del restauro, dall’altra parte la rottura con il passato e con la decorazione dell’Architettura modernista, hanno portato alla sparizione di una tradizione artigianale che fino a tutto l’800 è stata di supporto a una visione architettonica tradizionale e che oggi è dannata al girone infernale del Kitch.
Kitch: una parola assai ambigua e pericolosa, ma per adesso basta con le provocazioni...
Altri post sul falso in architettura:
IL TABU' DEL FALSO IN ARCHITETTURA
DE CORRUPTA EDIFICANDI RATIONE ovvero COME PROGETTARE FALSI E VIVERE FELICI
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21 agosto 2008
ANCORA SUL "FALSO IN ARCHITETTURA"
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