Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


12 gennaio 2013

LE GRANDI SPERANZE PER L'ANNO NUOVO DI LPP

Pietro Pagliardini

Con la leggerezza necessaria a non prendere troppo sul serio l’inizio di un nuovo anno, che può anche essere un periodo simbolicamente importante per la speranze di ciascuno di noi ma che collettivamente diventa l’operazione mediaticamente più retorica e ripetitiva tra le molte che ci tormentano lungo le varie tappe di ciascun anno, mi accingo al commento di una proposta di inizio anno.

Mi riferisco al Manifesto per l’Architettura, addirittura, di Luigi Prestinenza Puglisi con la sua AIAC. Ho già scritto altre volte di provare molta simpatia per la persona perchè è intelligente, spiritoso, garbato e sempre dialogante. Poi ha quel dolcissimo , beffardo e blasè accento catanese, a me caro per vecchie consuetudini familiari, che riesce a sfumare i contrasti più forti. Inoltre anche le iniziali contano, e potersi riferire ad una persona semplicemente chiamandola LPP, beh, è una qualità impagabile e da fare invidia a chiunque.

Ma ciò detto, se ci trovassimo nell’antica Atene a dover votare su di lui, scriverei il suo nome sul coccio per decretarne l’ostracismo, non territoriale ma dal consesso della critica, con la motivazione di “corruzione di giovani architetti”.
Non nel senso in cui venne decretato per Socrate, per carità, anche perché qualche differenza tra LPP e l’ateniese oggettivamente esiste, e non me ne vorrà di certo per questo confronto, ma perché ritengo che egli blandisca i giovani inducendoli al facile peccato dell’orgoglio, convincendoli che siano la creatività e la innovazione le chiavi per diventare bravi architetti. E a scorrere le dodici tesi del Manifesto ve ne sono di ragioni per poterlo affermare. Vediamole (per il testo delle tesi rimando al link):


1)Recuperare il grado zero.
Già, senza entrare nel merito, come si può recuperare ciò che non esiste? Perché il grado zero è il Nulla che ha prodotto il Nulla di oggi. Quindi il Nulla non è recuperabile perché non esiste, per definizione, ma dal punto di vista di chi lo propone, esiste già, ossia è vecchio. Nella migliore delle ipotesi è una visione….nostalgica e conservatrice dello status quo.

2)Contenuti-linguaggio
Trovare nuovi linguaggi è l’esatto contrario della prima tesi, cioè azzerare il linguaggio. Francamente non capisco.

3)La critica
Problema irrilevante questo su cosa debba essere la critica perché interessa solo quindici persone. Siamo nell’autoreferenzialità non molto diversa da quella, criticatissima,dei politici che si parlano addosso.

4)Contro le derive del disegno
Scritta com’è lascia il tempo che trova ma, se la critica “prefigura prospettive”, LPP non può tacere che il parametricismo di Hadid (con tutto il suo seguito di cloni e imitatori) è la sola essenza di quell’architettura e quindi il nostro dovrebbe stroncarle tutte senza se e senza ma. Non mi sembra che lo faccia.

5)Bisogno di utopie
Abbiamo già dato ed è stato un fallimento, in architettura, in urbanistica, in politica e nella società in genere. Almeno tre generazioni di giovani ci sono caduti: già non trovano lavoro, non continuiamo a prenderli in giro anche con questa fuga dalla realtà.

6)Liberare
E qui siamo alla teorizzazione dell’astrattezza pura, allo svincolo cioè dell’architettura dalla sua realtà che è la prefigurazione dello spazio entro cui abita, agisce e vive l’uomo, come individuo e come parte della società, da cui non può essere disgiunto.

7)Sconfiggere l’ossessione del controllo
Sorvolo perché non l’ho capita. Come nuovo linguaggio si comincia male.

8)Il paesaggio si costruisce
Questa mi sembra il regno dell’ambiguità: c’è del vero e del falso insieme. Insomma viola il principio di non contraddizione ma soprattutto è in assoluta controtendenza rispetto all’unica concreta e ragionevole novità di questo periodo, vale a dire la netta separazione tra città e campagna, la riscoperta dei limiti unita al blocco dell’espansione – e possibilmente alla contrazione - della città nel territorio agricolo. Il tutto in nome, sempre, della libera espressione architettonica, questo feticcio che ci portiamo dietro da quasi un secolo.

9)Ecologie
Come sopra quanto ad ambiguità.

10)Recuperare e trasformare
Avrebbe potuto essere intitolata questa tesi come “L’ossessione del falso storico”. Non nel senso che se ne stiano facendo troppi, ma nel senso che non si fanno e si deve continuare a non farli. Non mi metterò certo a contestare ancora una volta questo tabù, questo pregiudizio, questo ostacolo mentale a valutare il mondo reale, mi limito a dire che d’ora in poi chiamerò quelli che altri chiamano “falso storico” come “vero attuale”.

11)Innovare
Vedi risposta a tesi 9

12)Pensare a una nuova geografia e definire il livello di intelligenza
Non esiste alcuna interazione apprezzabile tra le reti di comunicazione e la rete urbana. Esiste solo, o meglio esisterebbe se venisse applicata dovrebbe esistere, una analogia tra i principi che devono guidare il disegno e la costruzione della rete urbana e quelli delle reti di comunicazione: accessibilità, permeabilità, interazioni, nodi e connessioni, ottenuti mediante la costruzione della strada tradizionale, le connessioni, e le piazze (e non solo) come luoghi nodali. L’esatto opposto di quanto si sta facendo da decenni, un indistinto non-disegno urbano, un quadro astratto svincolato dal territorio, privo di connessioni, caratterizzato da specializzazione per aree non comunicanti tra loro, da strade nel vuoto, da vuoti che accolgono oggetti sparsi fuori da ogni relazione con l’intorno e con gli altri edifici, cui corrisponde il vuoto sociale, la destrutturazione delle relazioni umane. La non-città, la periferia, il suburbio. Cercare una interazione tra le reti di comunicazione e la città, immaginando che le prime debbano o possano modificare la seconda è un errore e una esercitazione intellettuale, buona solo a utilizzare ogni tre per due e a sproposito il termine smart-city.

Conclusioni
LPP ha decisamente fiuto e intelligenza e ha scelto il momento opportuno per proporre un Manifesto. Sa che non c’è più niente in giro, nel suo giro, degno di appartenere alla categoria architettura e in verità anche di edilizia. Sa che c’è una ripetitività assoluta, una moltiplicazioni di cloni uguali a se stessi, impostati su tre o quattro filoni figli delle genialate di alcune famose ma ormai imbolsite e sterili archistar e quindi cerca un nuovo target, un nuovo ordine. Non credo riuscirà a trovarlo basandosi sulle Tesi, perché propone le stesse cose di adesso, sostanzialmente. Sarebbe come ripetere la stessa tappa del giro. Siamo arrivati al paradosso della copia esatta di progetti di archistar, cioè dei veri attuali di modelli contemporanei.

Se invece allargasse il suo orizzonte, se riuscisse a Liberare (Tesi n°6) la mente da pregiudizi, forse potrebbe vedere che il mondo è grande, che esistono soluzioni meno appariscenti e più ecologiche (Tesi n°9), molte opportunità di Recuperare e trasformare (Tesi n° 10) per concentrare la città riempiendo i vuoti al suo interno, ridando forma alla città con la definizione dei limiti e liberando spazio alla campagna, più possibilità di Innovare (Tesi n° 11) tornando a costruzioni più tradizionali, ormai abbandonate da decenni e quindi realmente nuove.
Questo non accadrà quasi certamente, ma LPP continuerà ugualmente a rimanermi simpatico, anche se alla prima occasione saprei fare un uso giusto del mio coccio.

3 commenti:

ettore maria ha detto...

Caro Pietro,
penso che LPP abbia voluto, pateticamente e a 98 anni di distanza, riproporre una versione personale Manifesto dell'Architettura Futurista di Sant'Elia, con la differenza che Sant'Elia aveva dalla sua parte un periodo storico e artistico molto particolare, e non aveva alcuna idea dei drammatici effetti collaterali delle sue folli idee reazionarie quindi, nel complesso, sebbene condannabila, il Manifesto del '14 ha una miriade di attenuanti. Il nuovo Manifesto, invece, forse a causa della miopia di LPP nel guardasi alle spalle, o vuoi perché come tutti i "guru" pensa di poter derivare le proprie conoscenze da se stesso (in base alla "necessità di azzerare la storia") ha tutte le aggravanti del caso, e mi sembra che, con grande acume, tu abbia fatto un giustissimo raffronto con Socrate scusandoti "in contumacia" con l'ateniese. Questo Manifesto è davvero un abominio che non dice nulla di nuovo, se non confermare il fatto che, sebbene il Manifesto proponga 12 punti, tra gli architetti e specie tra i "critici di architettura" (categoria pericolosissima), vige una sola "regola": "Niente regole, siamo architetti!" Questo a conferma che coloro i quali svolgono la professione (di architetti, di urbanisti e di restauratori) basandosi sulle ferree regole del buon senso e della disciplina professionale danno fastidio e, come tali, vadano eliminati!

lycopodium ha detto...

Manifesto paradigmatico di ciò che è stata l'architettura novecentesca e l'arte in generale. Non essendo un tecnico della materia, ho l'impressione - che vi sottopongo - che questo fondo di pensare/fare non riguardi solo questa arte, ma l'arte tutta intera. E non solo l'arte, anche la cultura e la religione...
Un male generale, di cui si intravedono i germoglio della diagnosi e della terapia.

Pietro Pagliardini ha detto...

Complimenti lycopodium, hai praticamente sintetizzato in due righe l'essenza del Manifesto e reso praticamente superfluo il mio post.
In effetti è la riproposizione "dolce", in chiave politicamente corretta dopo un secolo anche del Manifesto futurista di Marinetti, che mette al centro non l'opera ma la potenza creatrice e distruttrice dell'autore e che ha avuto conseguenze sull'arte, sulla letteratura, sulla scultura, sulla architettura.
Lo ha avuto anche sulla religione? Certamente quel manifesto era figlio di Nietzche e del superomismo ma credo che il processo di cambiamento sulla religione sia stato un po' più complicato perchè questa riguarda la società nel suo complesso e non solo quei settori tutto sommato elitari che operano nel campo dell'arte e dell'architettura.
Ciao
Pietro

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