Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


6 agosto 2011

PIAZZA SAN SILVESTRO: L'ATTACCO AL CENTRO STORICO CONTINUA

Ricevo dal Prof. Ettore Maria Mazzola questo testo sul progetto di "riqualificazione" di Piazza San Silvestro a Roma che pubblico con piacere.

****
Piazza San Silvestro: l’attacco al centro storico continua
di
Ettore Maria Mazzola

La cronaca romana di questi giorni ci ha mostrato la rivolta pacifica suscitata dall’avvio del progetto di “riqualificazione” di Piazza San Silvestro. Una rivolta più che prevedibile.
Intanto c’è da chiedersi se, con tutti i problemi di Roma, specie in periferia, la “riqualificazione” di piazza San Silvestro sia una priorità che giustifichi una spesa di circa € 2.500.000,00.
Poi chiediamoci se il progetto in corso possa realmente definirsi un progetto “riqualificante”, oppure se non si tratti dell’ennesimo abominio progettuale, figlio dell’ideologia modernista e del disinteresse per il contesto nel quale si interviene, che pone al centro di tutto l’affermazione dell’ego del progettista.
Il risultato di questa ennesima “gaffe urbanistica” dell’amministrazione capitolina, è stata l’ovvia rivolta dei cittadini che hanno manifestato il proprio disappunto bloccando il cantiere. Contemporaneamente sui blog si sono moltiplicati i messaggi che implorano la sospensione del progetto e chiedono un cambio di direzione nella gestione dell’urbanistica romana.

Per quanto mi riguarda non posso che unirmi al coro degli indignati; del resto, dopo la violenza all'Ara Pacis, e lo stupro dell’Unione Militare, questo intervento rappresenta il progredire delle metastasi, di un "tumore" che, originatosi con il Museo dell'Ara Pacis, si sta estendendo fino a Piazza San Silvestro in una direzione ... e Largo Perosi nell’altra. Del resto era prevedibile, se si dà a Meier e Fuksas il permesso di sfregiare il centro storico più bello del mondo, chiunque può sentirsi legittimato a fare altrettanto!

La realtà dei fatti è che non c'è più alcun amore per la nostra città, né da parte degli architetti (che in realtà pensano solo al loro ego), né tantomeno da parte dei politici, ai quali interessa solo la propaganda. Per questi ultimi, spesso profondamente ignoranti, l'importante è che il proprio nome sia sui giornali e, siccome la gente legge a stento i titoli e sempre meno i contenuti, che si parli bene o male non fa nulla, basta che si parli.
Eppure non è che ci vorrebbe molto a capire come fare una piazza: se facciamo il raffronto tra la mobilitazione in atto per bloccare l’esplanade di San Silvestro, con quella che fu la mobilitazione popolare per mantenere in pristino la finta fontana barocca istallata a Fontanella Borghese per il set cinematografico Disney 2 anni fa, ci accorgeremmo che la gente comune, ovvero i fruitori degli spazi urbani, non fa polemica per il gusto di farla, ma la fa per evitare di vedere violentati gli spazi che le appartengono. Nei due casi menzionati, infatti, si è “combattuto” per evitare uno scempio o per mantenere un qualcosa che, esteticamente, si riteneva apportasse una miglioria allo spazio preesistente.

A tal proposito sarebbe il caso di ricordare che il Codice Civile italiano tutela tutti coloro i quali rivendicano il possesso di un luogo che utilizzano, frequentano o guardano, e che come tali devono essere tenuti in considerazione prima di apportare delle modifiche; sarebbe quindi utile recuperare concetti come quello contenuto nel Piano per Bari Vecchia del 1930, (G. Giovannoni – C. Petrucci) che recitava «[…] Tra le attribuzioni del Comune e della commissione dovrà essere quella che fa capo al Diritto Architettonico, in quanto l’opera esterna non tanto appartiene al proprietario quanto alla città».
Ovviamente, nel coro di protesta contro il progetto di Piazza San Silvestro, c’è stato anche chi, dalla Facoltà di Architettura, ha suggerito di coinvolgere personaggi come Foster, Pei, Piano e l'Aulenti che, a suo avviso, potrebbero dare delle soluzioni più consone ad una piazza … da parte mia, se penso a ciò che Gae Aulenti ha fatto al Foro Carolino di Napoli mi viene la pelle d'oca!!

A tal proposito, penso che più che suggerire delle archistar, che mirano solo a mettere la loro firma sul territorio, sia necessario coinvolgere tutti coloro i quali vogliano mostrare ciò che vorrebbero venisse realizzato in Piazza San Silvestro; ma soprattutto, vorrei che ad esprimersi non debba essere una "commissione di esperti" (visto che si sono formati, o meglio che sono stati lobotomizzati, nelle facoltà di architettura e ingegneria italiane votate al modernismo), ma che debbano essere i cittadini ad esprimere le loro preferenze, mediante un processo partecipativo reale e non fasullo, come quello della recente presa in giro per Largo Perosi alla Moretta.
A mio avviso Roma, che è la città delle fontane, meriterebbe di avere una vera fontana in Piazza San Silvestro, (l’ultima degna di tale nome è quella realizzata da Attilio Selva nel 1928 in Piazza dei Quiriti!) meriterebbe di avere una pavimentazione non astrusa come quella del progetto in corso, ma legata alla geometria che la contiene, una pavimentazione che tenga in considerazione le gerarchie degli edifici che la circondano; Piazza San Silvestro meriterebbe dei lampioni degni di portare luce nel centro di Roma, e non brutti come quelli installati lungo via Veneto.
Il progetto in corso presenta una serie di orribili “panchine-bara”, prive di schienale e messe alla rinfusa: una soluzione che sembra più una disposizione casuale di oggetti, utile a riempire il vuoto della piazza, che non un tentativo di realizzare un luogo per la socializzazione ove riunirsi e chiacchierare … non ci vogliono le archistar per capirlo, ma una semplice analisi storico-tipologica degli spazi urbani di Roma.

52 commenti:

ettore maria ha detto...

grazie Pietro.
ciao
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Ettore, c'è poco da ringraziare perché io considero questi interventi di "riqualificazione" delle piazze dei nostri centri storici un atto di arroganza e soprattutto di ignoranza, in senso letterale, da parte degli architetti e degli amministratori che li permettono. Sono progetti poveri, sbagliati sotto ogni profilo, che non sanno leggere lo spazio e che mostrano grande, grandissima miseria professionale, anche valutandoli da un punto di vista modernista.
Un architetto, modernista o antichista che sia, non può trattare uno spazio pubblico come se si trattasse di un allestimento provvisorio, come se fosse una esercitazione di arredamento di interni. E anche da questo punto di vista sarebbe ugualmente scadente.
Segni grafici per terra, con quella specie di panchine a bara, come le chiami te, e poi un oggetto colorato informe, che chiamano scultura, messo a caso.
Distruggere uno spazio urbano con progetti - ma chiamarli progetti presuppone progettisti - di questo genere è semplice inciviltà progettuale. E vedrai che la realtà sarà peggiore del rendering.
E non siamo di fronte ad un episodio ma ad una cultura, amministrativa e progettuale, generalizzata.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

sono totalmente d'accordo!
Definire progetto una cosa del genere è davvero difficile

enrico d. ha detto...

ho seguito solo parzialmente la "faccenda" di piazza S.Silvestro, ma se ho capito bene, oltre alle modifiche estetiche (??), la piazza va a subire anche profonde modificazioni di ordine funzionale, perdendo (in tutto o in parte) il suo ruolo di capolinea centrale di molte linee di autobus.
Marciapiedi e autobus incolonnati, non sono certo uno spettacolo artistico, ma per lo meno se ne comprende, e se ne sfrutta, il risvolto pratico.
in un centro storico come Roma, pieno di piazze "intoccabili", o per motivi di valore estetico (Navona, fontana di trevi...) o perchè escluse per motivi "politici" (montecitorio, Colonna...), dove pensano che si debbano fermare gli autobus che servono alla "gente"?
Certo, chi pensa queste cose non ha di questi problemi, viaggiando di sicuro con auto blu e autista....
Magari la prossima volta, per riqualificare l'esterno della stazione Termini, toglieranno gli autobua anche da lì....! A proposito, che fine ha fatto il Giovannipaolo II ?

Anonimo ha detto...

Pietro, ciò che tu chiami ‘allestimento provvisorio’ è ciò che oggi chiamano ‘installazione’ neologismo che ha sostituito il più banale ‘monumento’, termine che, seppur etimologicamente di nobili origini latine, oggi appare, chissa perché, antiquato ed osceno. L’installazione può essere ‘temporanea’, come una bomba ad orologeria, quando scoppia sgomberano i cocci e nulla rimane, o ‘permanente’, come quella, mi pare di capire, dei progettisti della piazza. La vista della quale mi ha richiamato immediatamente alla memoria una installazione (temporanea), appunto, di quel bel tipo di Cattelan http://www.tate.org.uk/tateetc/issue15/everyday.htm.
Credo che pochi possano non essere d’accordo con lo scritto di Ettore e con la sommossa degli abitanti, ciò che mi permetto di criticare è che il commento, come sempre, sposta la relazione bello-brutto verso quella antico- moderno, con una costante punta di polemica che, secondo me, toglie credibilità alla critica quand’anche giustificata e condivisibile.
Voglio dire, il progetto della piazza è prima di tutto un brutto progetto, se il progettista è un incapace, l'avesse fatto pure in stile avrebbe fatto una cavolata comunque.

p.s.: mi permetto di citare, del famigerato Le Corbusier, "La main
ouverte" (Chandigarh), monumento alla fratellanza né antico né moderno.

ciao
Vilma

Anonimo ha detto...

vedo che il link dell'istallazione di Cattelan non si apre. Si può provare qui http://www.artonweb.it/arteartonweb/articolo52.html
(mi spiace autocitarmi)

V

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma anch'io, e anche Ettore nel suo commento sopra, sono convinto che é il progetto disastroso a prescindere. Però non si può non osservare che questi progetti sono tutti eguali (vedi piazza Santa Maria Novella a Firenze e ti posso assicurare quelli di un concorso analogo ad Arezzo), segno di un genere, di una "cultura" che é difficile non attribuire ad una visione astratta dello spazio, dell'architettura, della città. Dopo viene anche l'ignoranza che diventa forma in questi progetti.
Io sono convinto che il rifacimento delle piazze nel centro storico non debba prevedere "progetto", quindi progettista. Occorre una moratoria
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

cara Vilma,
mi dispiace dover dissentire, ma io non ho proprio per niente deviato il discorso su "antico e moderno". Tant'è che ho citato il caso della fontana temporanea del set cinematografico della Disney: il mio discorso è solo sul "decoro", ovvero ciò che risulta "appropriato" e ciò che invece è "inappropriato". Se venisse un artista moderno in grado di realizzare un qualcosa che possa essere il "gioiello" di una piazza, io non avrei nulla in contrario; diversamente, se per arte contemporanea (o moderna che dir si voglia), dobbiamo pensare che l'unica possibilità sono le "installazioni" (neologismo odiosissimo) e che non si debba prevedere un carattere permanente ma rigorosamente temporaneo (in ottemperanza dei dettami di Sant'Elia), allora la cosa è diversa.

Anonimo ha detto...

Bè, Ettore, parli di "abominio progettuale, figlio dell’ideologia modernista", di architetti (in questo caso senz'altro incapaci) che definisci "lobotomizzati, nelle facoltà di architettura e ingegneria italiane votate al modernismo", la cosa più moderna che accetti è una "finta fontana barocca" del 1928 ........ io ci leggo una precisa e tenace opposizione verso il moderno, della quale peraltro non ti devi giustificare.

V

ettore maria ha detto...

cara Vilma,
le mie definizioni sono relative alla realtà dei fatti, non ad una ideologia specifica. Ribadisco che se ci fossero degli architetti e/o degli artisti in grado di inserire qualcosa di moderno ma rispettoso, io non avrei nulla in contrario. Se vogliamo parlare di arte moderna, per esempio, penso che Igor Mitoraj sia un personaggio in grado di fare qualcosa di buono, il suo approccio figurativo e non transitorio fa sì che una fontana o una scultura sua potrebbe risultare (non è detto che lo sia a priori) quella adatta. Se nelle Accademie di Belle Arti, nelle Facoltà universitarie, sulle riviste specializzate, nei programmi televisivi, ecc. la smettessero di far credere che "moderno" significhi solo "famolo strano", e iniziassero a dare spazio e importanza anche ad architetti e artisti legati alla tradizione, magari si potrebbe essere meno rigidi nei confronti del moderno.
Quanto alla "finta fontana barocca", non si tratta di quella del 1928 (che è verissima e si trova in Piazza dei Quiriti), ma si tratta di una struttura in vetroresina realizzata ad hoc per il set del film che la Disney ha girato a Roma 2 o 3 anni fa. Il riferimento l'ho fatto per sottolineare come, indipendentemente dall'autenticità stilistica e materica, alla gente del quartiere essa era piaciuta talmente tanto da ribellarsi contro lo smontaggio quando è finita la registrazione delle scene ... non pensi che la cosa lasci da pensare? Non pensi che i critici dell'arte e dell'architettura dovrebbero iniziare a capire che quello della "falsificazione della storia" sia un falso problema? Non pensi che l'approccio storicista, ovvero quello di chi cataloga tutto in funzione delle date, riponendo accuratamente gli oggetti nei "cassetti della storia" che non dovranno mai più aprirsi, pena la condanna di "falsificazione della storia", sia da ritenere ridicolo e assurdo?
Ciao
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

In relazione alla finta fontana per il film, quando Roberto benigni girò ad Arezzo "La vita è bella", in una strada del centro rifecero tutte le insegne dei negozi in legno con le scritte a vernice, rifecero le vetrine e misero pure una statua di cartapesta in piazza della Badia (in un posto proprio giusto).
Devo dire la verità, era tutto azzeccato.
Al che pensai che se gli architetti si comportassero con lo stesso atteggiamento degli scenografi, che in genere sono architetti, ma non sempre, i quali danno risposte a richieste precise dei loro clienti, cioè i produttori e i registi, senza per questo essere declassati o sentirsi sminuiti, specie quando riescono a vincere un Oscar o un altro premio, forse le cose andrebbero meglio.
Ecco, direi che invece di chiamare gli architetti per le piazze, forse sarebbe bene chiamare gli scenografi. Però dandogli il tema, cioè non dicendo "riqualificazione" che non significa niente e anzi oggi significa "fai quello che vuoi", ma "rispetta lo spazio che hai intorno".
Volete sapere cosa penso, tanto per provocare fino in fondo: che i sindaci, con la storia della corruzione, delle leggi anti-corruzione (i cui esisti sono evidentemente inutili) hanno rinunciato a qualsiasi idea della propria città, anche perché non hanno voce in capitolo, sono totalmente deresponsabilizzati.
Quindi facciamola finita, ridiamo alla politica il suo ruolo, il sindaco è eletto dai cittadini e i funzionari no: decidano i sindaci, ridiamogli responsabilità e non diamogli l'alibi di poter dire "ma è l'ufficio tecnico che ha deciso, è la commissione di concorso che ha deciso, le leggi dicono questo, le leggi dicono quello".
Tanto nessuna legge elimina la corruzione, solo il controllo dei cittadini lo può fare. E se non può farlo nemmeno questo, allora non c'è niente da fare. Ma almeno non massacreremo i nostri centri storici. E lasciamo che Travaglio e Repubblica e Grillo si indignino quanto vogliono, e chissenefrega.
Pietro

antonio marco alcaro ha detto...

Non capisco perché vi accanite tanto con questo progetto, dovrebbe piacervi è proprio come la finta fontana di fontanella borghese è un progetto finto come tutti quelli che andate promuovendo.
Dalla illuminazione alla pavimentazione, dai cestini alle edicole, non c'è nulla di contemporaneo è tutta una finzione, ma soprattutto non c'è il progetto.
inoltre non capisco l'accostamento con l'Ara pacis sono due mondi diversi completamente opposti.

Pietro Pagliardini ha detto...

Non ho capito se è finto questo progetto (ogni progetto è finto fino a che non viene realizzato, dopo sono tutti veri, per definizione, qualunque essi siano) o se è finto quello di Villa Borghese. E non ho capito se la mancanza di progetto la vedi qui o altrove. Io la vedo qui.
Capisco che vuoi essere ironico, e l'ironia è cosa buona e rallegra la vita, almeno a me.
Non sei ironico invece nell'Ara Pacis. Tu dici essere due mondi diversi. Certo, sono progetti diversi che però appartengono allo stesso mondo dell'indifferenza ai luoghi, della mancanza di lettura, o per incapacità o per arroganza o per un mix di entrambe. Che non leggono lo spazio circostante ma ne inventano uno nuovo, molto più povero, insignificante e sbagliato. Lo stesso mondo del gesto pseudo-artistico fine a se stesso.
Ho letto prima su facebook che il sindaco di Firenze Matteo Renzi vuole riqualificare San Lorenzo. Mi auguro, spero, come sembra capire, che si riferisca alla riqualificazione commerciale e della festa di San Lorenzo, perché se facesse mettere le mani sull'area di San Lorenzo dallo stesso che ha "riqualificato" Piazza Santa Maria Novella stiamo freschi. Ma mi sembrerebbe strano, dato che lo stesso, vulcanico Renzi ha proposto, pochi giorni fa, di completare la facciata della chiesa di San Lorenzo secondo il progetto di Michelangelo. Renzi non è solo vulcanico, ma capisce, sente forse, cosa piace ai suoi concittadini. Infatti ha demolito (demolito, sì proprio la parolaccia) la pensilina di Toraldo di Francia.
Quella della facciata sì che sarebbe una vera riqualificazione e un bel precedente (precedente per i tempi d'oggi, sia chiaro)!
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

caro Antonio Marco Alcaro, quali sarebbero i "progetti finti che adniamo proponendo"?
Cosa intendi per "finzione"? A me sembra che parli per luoghi comuni. Quanto all'accostamento all'Ara Pacis, il significato è fin troppo chiaro. Quel progetto ignorante di Meier, che se ne strafrega del contesto (tant'è che, durante la presentazione all'Accademia Americana, quando una anziana signora chiese perché fosse stata ignorata l'esistenza del Porto di Ripetta la risposta disarmante fu: "nessuno ci aveva detto che lì c'era un porto") ha innescato un meccanismo di devastazione del centro storico di Roma: se è stato consentito a Meier di fare ciò che credeva, perchè non dovrebbe poter fare altrettanto Fuksas all'Unione Militare e lo sconosciuto patetico architetto delle panchine-bara di San Silvestro? Questa pericolosissima mancanza di rispetto per il centro storico è l'anticamera della perdita graduale di un luogo che il mondo ci invidia e che, grazie alla sua bellezza, è fonte di guadagno per la società: quando il centro storico non ci sarà più, o risulterà orribilmente sfigurato, pensi che i turisti continueranno a voler attraversare gli oceani per venirci a far visita e portare denaro? O magari penseranno ch i loro soldi possono spenderli altrove? Detto ciò ti chiedo di esser meno prevenuto e astioso nei confronti di chi si batte per tutelare quello che ci resta, se la cosa ti disturba evita di visitare i blog che parlano di cose che ti rifiuti di comprendere a causa del pregiudizio.

Anonimo ha detto...

Mi fa rabbrividire il fatto che il "vulcanico Renzi" abbia proposto di "completare la facciata della chiesa di San Lorenzo secondo il progetto di Michelangelo".
Riporto una frase da un articolo di Sandro Lazier su Antithesi (http://www.antithesi.info/testi/testo_2.asp?ID=630), dove si lamenta il fatto che "La funzione fondamentale [dell'architettura], oggi, non è quella antropologica o neurologica, ma è quella essenzialmente comunicativa e snobbarne l’importanza non fa che dare occasione al conservatorismo nostalgico, che di questo aspetto ha interesse d’occuparsi con fermezza, di ricondurre tutta l’architettura ad una sorta di narrazione secolarmente compiuta, riassemblabile a piacere perché, d’un racconto, non sono importanti verità o falsità, ma solo trama e significato. Come si potrebbe giustificare la scelta del sindaco di Firenze di portare a compimento la facciata michelangiolesca di San Lorenzo se non mistificandone il dato comunicativo e infischiandosene dell'autenticità della scrittura?"

E' lo stesso problema della Sagrada Familia, che da decenni si ostinano a voler terminare secondo il progetto di Gaudì, fortunatamente senza riuscirei. Lasciatela così com'è, la facciata di San Lorenzo, incompiuta, a testimoniare la sua storia ferma al 1461, che senso avrebbe finirla oggi, secondo un progetto di cinquecento anni fa? Per non parlare della presunzione di interpretare Michelangelo entro un contesto assurdamente anacronistico, credo che sarebbe il primo ad opporsi!

Vilma

ettore maria ha detto...

che senso allora avrebbe avuto, per Brunelleschi e per tutti gli architetti che si susseguirono nella costruzione di Santa Maria del Fiore, dover giurare sulla Bibbia e sul modello ligneo che avrebbero portato a compimento l'opera? Storie simili si ripetono per tutte le grandi chiese sparse per il mondo cristiano, facciate come il Duomo di Orvieto, che raccontano fino a 700 anni di storia, di nomi di scalpellini e arhitetti, eppure tutti si sono attenuti al programma originario. Che vuol dire tutto cio? Che un tempo, non era la firma e/o il nome dell'architetto, né la "datazione", ad avere importanza, ma l'edificio costruito per il Signore. Basta dunque con la lettura della storia fatta di schede datate infilate in cassetti la cui riapertura è vietata. Basta con l'egoismo dei critici e degli storiografi che per dare un senso al loro mestiere e alla loro visione debbono imporre a tutti quella che è la loro lettura della storia. Se Renzi vuole completare San Lorenzo, come già era stato fatto a Firenze (con grande apprezzamento dei turisti) per Santa Maria del Fiore e per Santa Croce, che lo faccia, purchè si proceda fedelmente nel rispetto del lavoro Michelangiolesco, senza stravaganze necessarie a far riconoscere che il lavoro è stato fatto nel 2011!

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma
Purtroppo, causa trasloco, non ho il tempo di leggere adesso l’articolo di Lazier, quindi ragiono senza conoscere eventuali spiegazioni al fatto che “la funzione dell’architettura oggi non è antropologica e neurologica ma comunicativa”.
Non ne capisco il significato a causa di quell’oggi. O è o non è. Se lo è lo è sempre. Semmai si può affermare che l’architettura “oggi” è comunicazione. Questo è un processo legato al tempo, alla società, ma la neurologia e l’antropologia sono legati all’essere dell’uomo. Di quest’ultima, ma non della neurologia, possono avvenire modificazioni, ma non mi sembra che ne siano avvenute, se non a livello “comunicativo”, visto che alla gente piacciono nel profondo le stesse cose.
Renzi infatti, intelligentemente ha detto: “la mia è una proposta, decideranno i fiorentini”. E se lui lo dice lo fa e non si preoccupa certo di fare un referendum .
Proverò a discutere con logica dell’argomento. Del progetto di Michelangelo esiste un modello e alcuni disegni. Se ben ricordo vi sono differenze importanti tra loro. Ipotizziamo che gli storici interpretando i documenti, individuino l’ultimo studio o comunque quello che Michelangelo stesso ritenesse essere quello giusto. Ora è evidente che quella facciata è non finita, incompiuta ma pronta per essere compiuta. Si può affermare che quella facciata incompiuta (ne esistono moltissime) non ha alcun fascino romantico. E’ solo incompiuta. Anche il Duomo di Firenze era incompiuto ed è stato compiuto, con piena soddisfazione di tutti.
Mi sembra evidente che, in mancanza di altri progetti, visto che c’è già uno su cui ha lavorato Michelangelo l’ipotesi di prenderlo e realizzarlo sia del tutto plausibile: è come se Michelangelo fosse morto appena iniziati i lavori. Certo, se l’avesse potuta dirigere lui avrebbe potuto essere diversa, ugualmente se fosse morto in corso d’opera, ma l’opera sarebbe stata conclusa con il suo progetto, modificato da occorrenze particolari o da interpretazioni diverse del capomastro o della committenza, ma il progetto sarebbe sempre quello. In verità io credo che nessun progetto sia mai identico al progetto, è solo la nostra presunzione razionalista che ce lo fa pensare, quindi che lo si realizzi oggi o ieri cambia poco, a condizione che chi dirige i lavori conosca a fondo le tecniche del tempo, sappia leggere con sensibilità e conoscenza il progetto, lo sappia “interpretare” non con fantasia tantomeno con volontà prevaricatrice, ma con umiltà.
E’ lo stesso atteggiamento dei restauratori di affreschi. Ad Arezzo la leggenda della vera croce di Piero era profondamente danneggiato, anche dalla precedente scuola che non prevedeva “aggiunte”, e c’erano ampie aree intonacate a calce. Un massacro. Oggi è stato restaurato e “completato”, solo gli esperti da vicino possono cogliere le differenze ma da lontano l’opera è integra, non se ne coglie differenza.
Qui è addirittura più semplice, in questo senso, perché c’è da compierlo tutto.
Quanto alla comunicazione, a me sembra che da un punto di vista comunicativo eseguire un progetto di Michelangelo sia un’operazione spettacolosa sotto il profilo del marketing. E anche sotto il profilo della soddisfazione dei cittadini.
A meno che questi non siano affezionati a quel non finito, nel qual caso non se ne fa di niente.
E’ anche un’occasione per far discutere i fiorentini della propria città, per appassionarli a questi temi, come è già avvenuto per la tramvia in piazza Duomo.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Il tempo è una dimensione dell’architettura, come del resto della vita di tutti noi,
il tempo entra nell’architettura attraverso il degrado della materia, attraverso la corruzione della forma, attraverso il crollo, la rovina, l’incompiutezza, come un magma che scivola sulle cose e riempie fessure ed anfratti, inglobando frammenti, congelando un momento, interrompendo un racconto.

Tutti sappiamo che molti cantieri di cattedrali durarono secoli (celebre l’interminabile ‘Fabrica del Duomo’ di Milano), il duomo di Orvieto, che Ettore cita, si edifica e si completa tra il 1290 e il 1500, ma in nessun caso, come per San Lorenzo, vi fu uno stop di 500 anni, sempre invece un passaggio di testimone entro i limiti di una ragionevole continuità storica e culturale.
E molte cattedrali cominciano come romaniche e finiscono gotiche o rinascimentali, lasciando leggere, attraverso le derive stilistiche, il trascorrere del tempo ed i mutamenti storico-culturali.
Come si potrebbe o perché si dovrebbe invece, oggi, completare San Lorenzo ‘fedelmente’ secondo il progetto di Michelangelo, il quale riprogettò secondo il più puro stile rinascimentale la facciata di una chiesa che nel 1059 era nata come edificio romanico?
Evidentemente, a quel tempo, erano meno conservatori di noi.

Personalmente sono sempre rimasta affascinata dalla facciata spoglia di San Lorenzo, è una coinvolgente esperienza emotiva ‘pensare’ l’architettura, ricostruirne gli eventi, cercarne le cicatrici, immaginare cosa è accaduto perché quella colonna sia sbrecciata, perché in quel portale manchi un fregio, perché quella facciata sia incompiuta, il non-finito sollecita la partecipazione, coinvolge, spinge a cercare risposte ……..

Non so cosa possano essere le ‘stravaganze’ temute da Ettore, se il completamento viene fatto nel 2011, che si veda non è un delitto (per ripetermi, Michelangelo non si preoccupò affatto di denunciare la ‘modernità’ del suo progetto).
Insisto sul fatto che il discorso andrebbe deviato dalla contrapposizione tra antico e moderno a quella tra buona e cattiva architettura.

Vilma

ettore maria ha detto...

Cara Vilma, per essere precisi, visto che vuoi puntualizzare le date sul duomo di Orvieto, i mosaici e parte della facciata sono state compiute "in stile" nell'Ottocento, con parti terminate nel primo Novecento, quando l'idiozia della "falsificazione della storia" non era ancora stata coniata. L'unica nota stonata, visto che chiedi quali possano essere le stravaganze, sono gli orribili bassorilievi di Emilio Greco sul portale. Quanto a San Lorenzo, per me si potrebbe chiedere ai fiorentini, e a tutto il mondo, visto che è patrimonio dell'umanità, se si deve costruire ciò che voleva Michelangelo, oppure Arnolfo di Cambio, basta che l'intervento risulti coerente con il contesto. E' vero, Michelangelo non si curava affatto della fabbrica medievale, tuttavia usava una "grammatica", dei materiali e delle proporzioni che dialogavano perfettamente con il contesto fiorentino dopo Brunelleschi e Alberti, non altrettanto accadrebbe se la facciata venisse oggi affidata a chi pensa solo ad apporre la propria firma sul territorio.

Anonimo ha detto...

"accadrebbe" ..... non credi, Ettore, di star facendo un processo alle intenzioni? Non c'è pregiudizio in ciò che dici? E in tal caso, perché?

V

ettore maria ha detto...

per esperienza Vilma, solo per questo! O ti piace quello che Botta ha fatto alla Scala di Milano oppure Odile Decq alla Birreria Peroni di Roma? Per fare un esempio pratico. Se sei in grado di dimostrarmi un esempio, (esclusi la Fenice e il Petruzzelli) che sia uno, di restauro, di completamento e/o ampliamento di un edificio storico, realizzato da un architetto famoso (o meno) negli ultimi 10 anni, che risulti rispettoso della preesistenza e che non mostri la sua "firma", ti dò ragione. Diversamente non credo che io abbia del pregiudizio, visto che l'unica cosa che sembra premere agli architetti e ai critici attuali sia la necessità di mostrare la "contemporaneità" dell'intervento ... come se, nonostante l'esistenza della documentazione grafica e fotografica, qualcuno possa pensare che la facciata sia stata sempre lì. Perché gli architetti che non sanno confrontarsi - per profonda ignoranza - con gli edifici e i centri storici non lasciano almeno quelli a chi invece lo sa fare? Questo non significa che debba farsi un bando che escluda qualcuno a priori, sono tutti benvenuti, purchè pongano al centro di tutto l'edificio e il contesto e non se stessi. Una cosa deve però essere chiara sin dal principio: il restauro (in questo caso il completamento) deve essere filologico, e il restauro "creativo" deve essere bandito una volta e per tutte, perché questo è solo un vergognoso neologismo utile, a chi non sa restaurare, per mettere le mani sugli edifici storici ... credo che il caso della Rocca di Arezzo mostrato tempo addietro su questo blog sia più che sufficiente a capire di cosa parlo.
Ciao
Ettore

Anonimo ha detto...

“... lo spirito dell’artefice morto non può essere rievocato, nè gli si può comandare di dirigere altre mani e altre menti. E, quanto alla copia semplice e diretta, è chiaramente impossibile, Come si possono copiare superfici consumate per mezzo pollice? L’intera finitura del lavoro era nel mezzo pollice sparito; se si tenta di restaurare quella finitura, lo si fa congetturalmente; se si copia ciò che è rimasto, affermando che la fedeltà è possibile, (...) come può il nuovo lavoro essere migliore del vecchio? C’era ancora un pò di vita, in quello vecchio, un misterioso suggerimento di ciò che era stato e di ciò che aveva perduto...” (J. Ruskin – Le sette lampade dell’architettura)

Tu ed io, Ettore, siamo destinati a non capirci, io non capisco le tue certezze e tu non capisci il mio possibilismo (non trovo un termine più appropriato).
Non mi resta che la provocazione, alla grande, tanto non costa nulla: sai che avrei fatto io alla Fenice?
Avrei messo sotto un'immensa teca di cristallo i resti carbonizzati di una parte significativa dell'edificio distrutto e, alle sue spalle, avrei costruito un nuovo teatro, defilato, tecnologico, per non rubare la scena. E sai che farei con la facciata di San Sepolcro? Organizzerei un lighting event permanente che proietti in 3D il progetto di Michelangelo sulla facciata rustica, un effetto speciale perenne ("operazione spettacolosa sotto il profilo del marketing")..... E sai che avrei fatto a ground zero? Avrei coperto con una lastra trasparente grande quanto una pista di pattinaggio la voragine apertasi fino all'Hudson per costringere i newyorkesi a passarci sopra, tutti i giorni, attorno una cortina di grattacieli funzionali, con uscite di sicurezza e accorgimenti antincendio a prova di tragedia ..... e così via.
Semel in anno licet insanire .... specie a ferragosto!
ciao
V

ettore maria ha detto...

Cara Vilma,
che fossi vittima del pensiero di Ruskin lo si era capito sin dal messaggio precedente. Peccato, perché questo denota una profonda mancanza di fiducia nelle capacità degli architetti di oggi. Io preferisco pensarla come Goethe quando diceva: «non dobbiamo sentirci depressi quando il nostro pensiero va alla caducità della grandezza, ma al contrario, se troviamo grande un aspetto del passato, dobbiamo sentirci spinti a produrre noi pure qualcosa di importante, qualcosa che, anche se caduto in rovina, possa incitare i posteri a quella nobile attività di cui i nostri maggiori non fecero mai mancare l’esempio». Detto ciò, provocazione per provocazione, visto ciò che dici avresti preferito fare con la Fenice mi vedo costretto a dirti, meno male che non eserciti ma che ti limiti a scrivere! Arrivi un po' in ritardo perché queste "follie" rimandano preoccupantemente alle cose che disse Cesare Brandi relativamente alla ricostruzione del Campanile di San Marco a Venezia e del Ponte di Santa Trinita a Firenze. Quanto a San Lorenzo, anche qui sei in ritardo, di 4 anni, la proiezione sulla facciata è infatti già stata fatta nel 2006; ma anche questa proposta rappresenta un'opera di chi meriterebbe di essere nel girone degli ignavi, "senza infamia e senza lode", come dire: "mi piacerebbe peccare ma non ho il coraggio di farlo fino in fondo, così mi nascondo dietro un proiettore e poi chi si è visto si è visto!". Ergo, mi sembra che tu nutra una diffidenza nei confronti degli architetti maggiore della mia, che vengo dipinto come il "picconatore" degli architetti contemporanei ... solo che a me piace osare!
Ciao
Ettore

Anonimo ha detto...

Ettore, in questo blog, come del resto in tutti gli altri, non stiamo progettando, stiamo dialogando, possibilmente con un pizzico di ironia, comunque, vista la tua cronica chiusura al dialogo e alla discussione (non è che ti prendi troppo sul serio?), ti lascio volentieri l'ultima parola e ti saluto cordialmente.

ps: ho 'esercitato' per decenni (Studio Associato Romanò/Torselli, Milano)e ti assicuro che non ho fatto grandi danni, almeno non più di quanti possa averne fatti tu.

V

ettore maria ha detto...

Cara Vilma,
staremo pure dialogando, ironicamente quanto ti pare, ma su certi argomenti non si può non essere seri, sennò staremmo solo perdendo il tempo. Mi dispiace che te la prenda tanto se rispondo alla tua provocazione, non voglio sindacare sui presunti danni che tu possa aver fatto esercitando, ma tu, che non sai nulla di me e dei miei progetti, non credo possa avere alcun diritto di poter chiudere il tuo commento in un modo offensivo e puerile!

Salvatore D'Agostino ha detto...

Dearchitettonici,
resto basito per l’atteggiamento ‘piccino’ di Ettore Maria Mazzola con il suo odioso cara X, le accuse a vuoto senza conoscere la persona e l’auto definirsi il ‘picconatore degli architetti contemporanei’.
Condivido le idee di Vilma e Marco Alcaro questo è un non progetto.
Anzi, direi che è un tipico progetto postelettorale ’senza arte né parte’ ma di buone relazioni sociali.
Sono quindi un lobotomizzato, un modernista (boh! Che cosa significa?), un violentatore e stupratore di centri storici, non conosco il senso del ‘decoro’ (quale?), un amante di archistar (Leon Krier è un archistar?), ottempero i dettami di Sant'Elia (boh!) e infine non so leggere la ‘realtà dei fatti’.
Ettore un po’ di modestia e se puoi usa altri argomenti non le solite quattro paroline ‘contenitori’ senz’anima e retoriche da speaker's corner.
Buon ferragosto,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma
riprendo, anzi intraprendo, il tuo argomento sul trascorrere del tempo.
Io credo ci sia una profonda differenza tra il tempo dell'uomo e quello dell'architettura. Il primo, nonostante gli sforzi molto folli, vani e sconsiderati di una cultura che, per sommo paradosso, temendo la morte rifiuta la vita e va alla ricerca una impossibile eterna giovinezza, non rassegnandosi al trascorrere del tempo, cioè al degrado, è “finito” per legge di natura o per legge di Dio, a seconda di ciò in cui ognuno crede. L'architettura è prodotto della società dell'uomo, almeno nei suoi aspetti non esclusivamente utilitari cioè nei suoi aspetti simbolici, che siano edifici pubblici civili o religiosi.
In entrambe i casi l'architettura nasce per essere eterna, per allungare la vita dell'uomo (o del potere) oltre i limiti della sua esistenza terrena. Anche le semplici case in verità nascono per essere eterne, diversamente non si spiegherebbe perché i proprietari di casa non si rassegnano al degrado naturale del proprio bene, pretendono che non vi sia degrado e se la prendono sempre con i costruttori, ma questo è un altro discorso.
Il tempo dell’architettura è infinitamente più lungo di quello dei propri costruttori, nei fatti e nelle intenzioni. La provvisorietà, l’installazione, l’allestimento trasferito alle architetture permanenti è invece figlia del nostro tempo - anche se architetture provvisorie sono sempre esistite, ma con la precisa intenzione e volontà di essere tali – e per fare un esempio, prendiamo il Centro Pompidou: quanto vuoi che duri se non a condizione di continue, costosissime manutenzioni. Come la torre Eiffel, nata provvisoria e diventata il simbolo di Parigi (anche questa con costi altissimi, ma ne vale la pena per la funzione che svolge). Le architetture, ma direi gli edifici in genere, sono sempre in continua trasformazione, come ci spiega anche Edward Hollis nel suo libro “La vita segreta degli edifici”. A questo proposito Paolo Marconi fa la netta distinzione tra “conservazione” e “restauro”: la prima, figlia della cultura nata dalla Carta di Atene, è puro frutto di una astrazione perché tratta l’edificio come fosse un’opera d’arte, come se tutti gli uomini fossero storici e critici, e fossilizza, denunciandoli, i vari periodi storici. Il restauro invece tratta l’edificio come un corpo vivo e interviene con manutenzioni, aggiunte, sostituzioni coerenti con il sistema costruttivo, tipologico e con i caratteri stilistici dello stesso. Può darsi che nella ricostruzione, nel restauro qualcosa non sia esattamente come sarebbe stato se fosse stato completato dagli autori originari, ma non importa perché quello che conta è la coerenza, e se possibile la bellezza, dell’edificio.
Lasciare un edificio non finito è una contraddizione, perché nessuna persona di buon senso costruirebbe per non finire. Solo in casi particolari legati a eventi,emozioni, fatti storici di grande interesse collettivo può essere comprensibile non finirlo.
San Lorenzo non mi sembra che abbia una vera ragione per non essere finito. E’ stato un continuo cantiere per secoli, fino a diventare un esempio del Rinascimento con Brunelleschi. Esiste un progetto di Michelangelo del quale esistono diverse opere a Firenze stessa, perché non completarlo secondo il suo progetto? Di medievale c’è ben poco in San Lorenzo e comunque anche Santa Maria Novella è una commistione di epoche diverse.
Ciao
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Salvatore
solo una precisazione: anche secondo me e anche secondo Ettore questo è un non progetto. Le poche volte che siamo d'accordo almeno rimarchiamolo.
Però la differenza sta nel fatto che io considero, e penso anche Ettore, questo non progetto un danno considerevole alla città e, al solito, alla cultura architettonica. Infatti ogni opera diventa esempio, nella nostra società dello spettacolo, in cui, tra l'altro, non c'è il filtro di una scuola d'architettura seria che dica: questo non è un progetto, è una ciofega (sì, proprio ciofega) cancellatelo dalla vostra memoria.
Inoltre io non so cosa voglia dire "ma di buone relazioni sociali". Anzi lo so: non vuol dire niente. Forse che le panchine messe lontane l'una dall'altra di qualche decina di metri obbligano ad urlare per fare due chiacchiere e quindi tutti ti sentono e aumenta la comunicazione? Chissà!
Ciao
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
senza pignoleria nella sostanza siamo d’accordo ma nella riflessione no, per voi è brutto progetto perché è modernista (vedi l’improponibile accostamento con l’Ara Pacis) per me perché è un cattivo progetto a cura dello studio degli ‘Architetti Associati Berretta & Caruso’, niente di più.
Buon ferragosto senza ‘caro’ Pagliardini,
Salvatore

Pietro Pagliardini ha detto...

Io non sapevo e non so proprio chi sia lo studio che tu citi né mi interessa, e non l'ho nemmeno chiesto, ma vedo che invece a te interessa molto. Evidentemente ti piace fare la collezione di figurine. O forse aspiri a diventare "critico". Accomodati, ci sono riusciti in tanti, puoi riuscirci anche te.
Un progetto "caro" Salvatore, è bello o brutto a prescindere da chi lo fa, perché l'autore passa e il progetto resta. Cerca di separare l'opera da chi la fa: vedrai la città con un'altra prospettiva.
Comunque il ferragosto non ti ha portato bene, mi devo ricredere.
Ciao
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
bello e brutto, critico non critico ma di che cosa stai parlando? Parli per luoghi comuni da manuale del giornalista ‘semplificatore’.
Penso sia corretto fare i nomi dei progettisti e non solo degli archistar (per capirci), non credi?
Recentemente non sei stato tu ad urlare allo scandalo facendo il nome del progettista? Boh!
Saluti,
Salvatore

Anonimo ha detto...

In realtà, Pietro, il discrimine tra buona e cattiva architettura dovrebbe essere l'unico criterio di giudizio, è ciò che ho detto nel mio primo commento ed è ciò che dice Salvatore.
E'anche ciò che ho sostenuto con Sandro Lazier, che invocava la libertà degli architetti: non servono architetti liberi, o antichisti, o modernisti, servono architetti capaci. Non che questo tolga di mezzo ogni diatriba, ma almeno la circoscrive in limiti entro i quali tutti possono avere ed esprimere un parere sull'architettura, e non sullo stile, che è altra cosa.

V

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma
il discrimine tra architetto bravo o incapace è una storia vecchia quanto il mondo. E' come domandare: vorresti una casa bella o una casa brutta?
La risposta è ovvia, ma la soluzione non ha fatto un passo avanti. Bella come (o brutta come)?
E' ovvio che un architetto deve essere bravo per fare buoni progetti ma, detto questo, quand'è che un progetto è buono? Questa è la domanda a cui rispondere non quella sull'architetto.
Io vado da un dottore perché è bravo, ma è bravo perché lo ritengo capace di individuare la malattia e curarla al meglio. Il risultato è abbastanza verificabile. Ma un architetto quand'è che è bravo? Sai a quanti architetti piacerà questa piazza San Silvestro, oltre a colui che l'ha progettata!
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Salvatore,
l'unica cosa di "piccino" che trovo penso che sia il tuo comportamento piuttosto che il mio.
Ma perché continui a bazzicare questo blog? Se il tuo unico obiettivo è quello di criticare a priori ciò che i "dearchitettonici" scrivono, perché non investi il tuo tempo crogiolandoti nelle stupidaggini dei blog a te tanto cari? Prestinenza-Puglisi e il curatore della biennale hanno bisogno di persone come te che amano parlare del nulla intorno a progetti abominevoli, oppure parlare dell'importantissimo ruolo del web in materia di critica architettonica ... magari perché nemmeno le riviste accetterebbero articoli come quelli che spesso si leggono sul profilo del NIBA! Critichi il progetto che ho criticato io, però vuoi far apparire la tua critica corretta e la mia sbagliata, ma a che pro? Non pensi che sia patetico definire "odioso" quello che scrivo e poi sparare accuse senza senso? Quanto a Léon Krier, che io annovero tra le archistar, nonostante l'amicizia che ci lega non ho avuto problemi a criticare più volte il progetto per Tor Bella Monaca. Dov'è che peccherei di mancanza di modestia? Non è che sei così prevenuto nei confronti dei "dearchitettonici" che li critichi senza nemmeno aver letto i loro scritti? Io penso che, se è vero come è vero che anche tu vorresti combattere un sistema sbagliato nel mondo dell'architettura e dell'urbanistica, dovresti mostrarti meno prevenuto e, nonostante le divergenze intellettuali, dovresti considerare i "dearchitettonici" degli alleati, diversamente il tuo atteggiamento critico e accusatorio non farà altro che il gioco di chi vorresti combattere
Buon ferragosto
Ettore

Salvatore D'Agostino ha detto...

Ettore,

‘piccino’ è il tuo comportamento in questo blog contro i suoi avventori che la pensano diversamente da te attaccandoli con retro pensieri senza senso.

Qualcuno attraverso i commenti si sforza di parlare di città e architettura, tu di frustrazione ‘culturale’, siamo su due piani diversi.

Questo tuo commento è maledettamente emblematico (anche se odio le generalizzazioni) di una certa incapacità di noi italiani ‘io so tutto’ di dialogare insieme con gli altri, ne parlava in un vecchio twitter Beppe Servegnini (cito un giornalista per non esagerare): «"Tu non capisci niente!". Esordio di discussione all'italiana: demolire l'interlocutore».

Lasciamo stare la parte iniziale del tuo commento pieno di ‘piccinerie’ rileggendo i commenti di questo post nessuno ha avuto un atteggiamento ‘critico accusatorio’ qualcuno ha semplicemente fatto notare che non c’entra niente il tuo attacco nei confronti di una presunta impronta ‘modernista’ con questo cattivo ‘progetto’.

Detto tra noi io combatto (per usare un tuo termine) chi vuole imporre ‘credi’ architettonici universali.

Non è una provocazione ma una domanda che, ahimè, ti ho posto altre volte: Che cos’è l’architettura modernista?

Saluti rilassati,

Salvatore D’Agostino

ettore maria ha detto...

Salvatore,
continui imperterrito con le tue accuse infondate che mirano ad avere ragione, anche a dispetto dell'evidenza. Il modernismo c'entra perché se nelle facoltà di architettura, sulle riviste, ecc. ci fosse meno ideologia e più libertà, se non si lobotomizzassero gli ignari studenti facendogli credere che fare architettura e urbanistica tradizionale è sbagliato mentre scopiazzare l'edilizia modaiola è corretto, in Italia non avremmo "architetti" che si potrebbero permettere di fare uno scarabocchio imponendolo come opera d'architettura. Se poi venissero messi al bando i critici che guadagnano scrivendo fiumi di str... per dare un senso a progetti che a stento sono costati 5 minuti scarsi di lavoro intellettuale, non dovremmo nemmeno stare qui a parlare. Rileggiti ciò che hai scritto e magari capirai come mai quando ti rispondiamo siamo costretti a mantenerci sul tuo tono irritante.

Salvatore D'Agostino ha detto...

Ettore,
bene, continui con il tuo registro da ‘frustato culturale’ fa tendenza sennonché proselitismo.
Tu pensi di non scrivere stronzate e di non essere irritante?
La domanda non era riferita a questo post ma in generale e resta sempre valida (non sgattaiolare furbescamente): Che cos’è l’architettura modernista?
Saluti desertici,
Salvatore

Anonimo ha detto...

Pietro, mi rispondi "è una storia vecchia quanto il mondo", certo, irrisolta però, a quanto pare, per questo ancora attuale, dopo tanti millenni di esistenza del mondo. E ti pare poco? non pensi che se fosse risolto questo piccolo rebus vivremmo in un mondo migliore?
Intanto, così come la metti tu, mi pare una semplificazione eccessiva: è vero che non ci sono regole fisse per dire quando un progetto è buono, tuttavia siamo in grado di dire se una piazza è bella oppure no, lo stiamo facendo anche noi, nel nostro piccolo, sul tuo blog. Certamente i progettisti non saranno d’accordo sui nostri pareri, pressoché unanimemente negativi, ma se vale il concetto, anche su un piano puramente e banalmente statistico, che sulla base del parere della maggioranza questa piazza è orribile, allora possiamo convenzionalmente dire che l'architetto è incapace.
Questo è il passo più basso di una scala di valori che potrebbero guidare e determinare un giudizio, ovviamente la parte più difficile è costruire la scala.
In un tuo post pertinente a questo argomento (http://www.de-architectura.com/2008/11/etica-in-economia-etica-in-architettura.html) concludi " l’estetica di ogni edificio possiede intrinsecamente un valore etico", introducendo un rapporto che potrebbe pesare molto sulla valutazione della capacità del progettista, tenendo presente, secondo me, che i cambiamenti sociali, tecnologici, economici hanno configurato una moderna idea di etica modellata sui tempi: il che non significa ‘migliore’ di quella di altri periodi, solo diversa perché legata ad una società diversa, non significa creata o imposta ex-novo all'occorrenza, ma discendente per una naturale evoluzione storica da quella passata.
Un’altra ineludibile richiesta che si avanza all’architettura è la coerenza, che dipende “dalla stretta concordanza tra ciò che viene chiesto e le risposte che verranno date”, tuttavia, cito ancora Sandro Lazier, “in architettura l’idea di coerenza prende altre strade, non più riferibili ai soggetti che ne hanno necessità e che pongono le domande. In architettura la coerenza fa riferimento solo a se stessa, rispetto al suo linguaggio, al suo nesso storico, alla sua condizione sociale e, udite udite, al suo contesto culturale. Ma quale? Quello degli architetti, ovviamente.”
Questo è un punto dolente, l’inevitabile autoreferenzialità del progettista e il tenace persistere di un’idea romantica dell’architetto demiurgo, creatore di realtà o di sogni, che opera in nome di Dio (leggi archistar).
Credo che l’architetto debba essere, oggi più che mai, un mediatore in grado superare un suo personale background culturale, un’idea utopistica di realtà che si piega alla forza delle sue idee, per captare e catturare senza preconcetti i segnali del mondo reale, rinunciando, mediando, compromettendo, elaborando, ibridando, progettando un mondo certamente non perfetto, ma tuttavia il migliore dei mondi possibili.
Per ripetermi, credo che l’architetto debba essere prima di tutto un cacciatore di tracce, un segugio che scopre i ‘segni’ dell’ambiente, ciò che è stato lasciato spontaneamente e senza intenzionalità, deve trovare, analizzare, decifrare, interpretare e trarre le conclusioni sotto forma di un progetto nel quale, in qualche modo, quelle vecchie tracce siano recepite e identificabili, citate e non copiate.
Capisco che sto facendo un discorso molto teorico ed anche un po’ raffazzonato nella sua stringatezza, ma mi sembrerebbe un necessario chiarimento di fondo per schiodare vecchie e sterili contrapposizioni tra antico e moderno che ancorano tutta questa discussione ad un insuperabile punto morto.

Pillola di saggezza : "Se un uomo parte da certezze, terminerà con dubbi; ma se si contenta di cominciare con dubbi, terminerà con certezze." (Francis Bacon)

V

Pietro Pagliardini ha detto...

A questo punto penso che sia il caso di dare un taglio. Potrebbe continuare su questo tono all'infinito e oggettivamente non serve a niente e aiuta solo ad aumentare le distanze.
Come la penso io è noto ma in questo caso preferisco fare l'arbitro e chiedere cortesemente sia ad Ettore che a Salvatore di interrompere questo scambio che rischia di finire a male parole.
Non mancheranno altre occasioni di riprendere il discorso.
Grazie
Pietro

ettore maria ha detto...

Caro Pietro, concordo con te, anche perché le male parole sono già partite da parte di Salvatore che, a quanto pare, vivendo un complesso di inferiorità culturale che nessuno vuole fargli vivere, accusa chi parla con concetti definiti di voler fare il tuttologo. Siamo nel penoso e quindi non vado avanti, ma colgo l'occasione per esprimere il mio apprezzamento per l'ultimo commento di Vilma.
Ciao
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, ti ringrazio per aver ricordato anche a me ciò che ho scritto. Io sono tanto smemorato che non lo ricordavo proprio. Quanto apprezzo la memoria degli altri, forse perché io non ce l'ho!
Su quanto tu scrivi nel tuo commento mi è difficile non essere d'accordo e, se ho capito bene, anche su ciò che dice Lazier.
Senza andare a rileggere il mio post e non facendo affidamento sulla mia memoria ma con un processo induttivo, immagino di aver ritenuto necessario dare un contenuto all'etica di cui parlo. E penso che questo contenuto non possa che risiedere nel soddisfacimento di bisogni della società, vale a dire nelle aspettative dei cittadini (uso questo termine per non dire gente, dato che si parla di città, e non voglio esagerare usando il termine "uomo").
Dunque ritorna l'idea, sempre espressa in questo blog e riconfermata nella mia "proposta di legge" sui concorsi, che l'architettura, oggi che è perduta la coscienza spontanea e che la coscienza critica mostra così tante facce diverse, non può che trovare la sua piena legittimazione nei cittadini stessi, mediata (la legittimazione) naturalmente dalla competenza e dalla "tecnica" dell'architetto.
Partendo da questo principio, che toglie ad una elite ormai diventata casta autoreferenziale il potere di decidere per gli altri, io credo si possa ricominciare a parlare di architettura anche in termini di composizione architettonica, come sempre ci ricorda ctonia, cioè Cristiano Cossu.
Senza questo principio non potrà che esserci una contrapposizione tra "antico" e "moderno", tra "tradizione" e "innovazione", tra "restauro" e "conservazione", ecc.
A prescindere dal fatto che io non ci trovo niente di negativo nella contrapposizione di idee diverse, nello scontro, nei partiti, se si riesce a mantenere un tono civile naturalmente, perché la lotta fa parte della vita stessa, è la vita stessa, che non è - come si vuole far credere in questa società che per essere buonista in verità è profondamente ingiusta - una cosa facile e dotata di garanzie conquistate una volta per tutte, è tuttavia necessario trovare anche una sintesi ogni tanto, un punto di incontro, un minimo sindacale su cui essere d'accordo (non fosse altro per rispettare il contratto sociale che ci tiene uniti).
Io sono convinto che questo punto d'incontro sia il "mercato", vale a dire, ripeto ancora i "cittadini".
Questo vale in generale nella politica ma a maggior ragione nella città che è il luogo per definizione in cui avviene lo scambio sociale e si sviluppa il contratto sociale. Chi altri dovrebbe decidere sul luogo della propria esistenza se non chi ci vive?
Spero di essermi spiegato sufficientemente bene e di non aver frainteso quanto tu hai scritto.
Ciao
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Ettore,
io non ho accusato nessuno.
Piccineria significa spostare la conversazione da temi generali a temi biecamente personali.
Un filo rosso in questi tuoi commenti, il tuo ultimo è un capolavoro di ‘piccineria’.
Non ho detto che Ettore Maria Mazzola è una persona ‘piccina’ ma che Ettore Maria Mazzola in questo post (ripeto in questo post non a casa sua) ha avuto un (cito il mio precedente commento): «atteggiamento ‘piccino’ […] con il suo odioso cara X, le accuse a vuoto senza conoscere la persona e l’auto definirsi il ‘picconatore degli architetti contemporanei’».
Non ho usato brutte parole e non ho offeso la persona ma i suoi contenuti.
Che cos’è l’architettura modernista?
Saluti stupefatti,
Salvatore

De Periferici? ha detto...

cavolo, nel bel mezzo d'agosto a litigar e sparar giudizi professionali a casaccio, olè! :-)

robert

ettore maria ha detto...

Caro Robert,
forse siamo gli "abusivisti" del blog, operiamo nel bel mezzo di agosto come quelli che si "allargano casa" quando nessuno controlla ... ci hai colto in castagna: è possibile una sanatoria?

Salvatore D'Agostino ha detto...

Ettore,
sempre più piccineria nei tuoi commenti.
Saluti definitivi,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, il tuo commento rancoroso mi conferma la tua totale mancanza di ironia e la tua incapacità di dialogare. Quello di Ettore era solo una battuta, e pure spiritosa.
Ma che te lo spiego a fare!
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
sarà un’ironia ‘antichista'.
Saluti rancorosi,
Salvatore D’Agostino

Fabrizio Giulietti ha detto...

Con un po' di ritardo inserisco un commento che ho trovato su http://www.beppegrillo.it/2011/07/la_neolingua_italiana/index.html

“Ho un'altra bella parola per la neolingua: riqualificare.
Suggerisce idea di miglioramento, di promozione, di abbellimento, di restituzione al decoro... in realta' se cerchi sul dizionario, uno di quei cosi vecchi e spessi, non e' mica cosi' chiaro il significato, ne' cosi' consueto l'uso. Per forza: e' neolingua, mica linguaggio primitivo, dei tempi appunto in cui si usavano quei libroni vecchi e spessi con tante parole dentro.
Pero' l'uso per cui il termine viene ripetuto, come un mantra, come una chiave per superare resistenze mentali, e' sempre lo stesso: cementificazione e speculazione.
Si prenda una zona degradata (e se non lo e', la si abbandona a se stessa finche' lo diventa per forza): un vecchio palazzo, una villa cadente, un pezzo di verde, delle costruzioni tipiche, una zona industriale dismessa, aree agricole incolte, un parco abbandonato, un angolo di spiaggia con le antiche baracche dei pescatori...insomma, qualsiasi luogo abbia uno stile, dei ricordi, un'anima.
Gli si strappi l'anima con le pinze, fino all'ultimo pezzettino, rifiutando qualsiasi ipotesi di recupero o di valorizzazione, e previa lucrosi accordi fra politici, finanza e solite imprese, si seppellisca il tutto sotto una montagna di improduttivo cemento, destinato a rimanere freddo e vuoto.
Ecco. Questo e' "riqualificazione". Se sentite quella parola, cominciate immediatamente a diffidare. Non c'e' verso, non ha altri significati che questo.”

ettore maria ha detto...

caro Fabrizio,
concordo con il tuo commento, specie perché in determinate realtà, il "ri" risulta ridondante: spesso infatti si parla di "ri"qualificare le periferie, ma lì una qualità non c'è mai stata!

Pietro Pagliardini ha detto...

fabrizio, le parole in effetti hanno un grande peso anche nel nostro lavoro. Direi che davvero le parole sono pietre.
Riqualificazione o ri-qualificazione (il trattino fa molto trendy e molto architetto), oltre alla acuta nota di Ettore, è diventato un "modo di dire", un luogo comune che ha un solo significato: inventare qualcosa di nuovo. Le piazze sono lo spazio urbano più ambito da questa parola e accade che laddove c'è uno spazio degradato, che non è piazza perché non ha strade che la innervano né edifici che la chiudono, riqualificarla vuol dire solo progettarla ex novo, quindi inventare. E lo spiazzo resterà comunque uno spiazzo con qualche segno di invenzione sopra. Nel caso invece di piazze urbane che versano in cattivo stato di manutenzione, riqualificare vuol dire invece.... re-inventare qualcosa di nuovo che non dovrebbe esserci; il verbo da usare dovrebbe essere solo e semplicemente "manutenere" e l'operazione "manutenzione ordinaria". Nel caso, da ultimo, di piazze urbane che nel tempo sono rimaste in uno stato di incompletezza, magari per il fatto che sono passate direttamente dalla terra battuta all'asfalto (e ve ne sono di casi del genere), qui sì che riqualificazione diventa invenzione, e invece dovrebbe essere lettura dello spazio urbano circostante e quindi in questo caso si tratta di vero "progetto a seguito di lettura", non certo nel senso della invenzione gratuita e fantasiosa.
Morale: vietare questo termine portatore di principi sbagliati. Vietare nel senso che nelle scuole di architettura dovrebbero bandirlo gli stessi docenti. Ammesso che ne comprendano le ragioni
Ciao
Pietro

enrico d. ha detto...

Sulla questione delle piazze, della loro definizione, del bisogno di innervazione e di arterie di comunicazione, nel mio comune (Castel Maggiore) abbiamo il record mondiale di piazza "spiazzata", con diversi condomini (tra cui quello che ospita il mio studio) che volgono alla piazza le terga, come fa la chiesa, nuova di zecca, posta in modo sghembo, tale da riuscire (e non è mica facile) a non rivolgere verso la piazza nè la facciata, nè l'abside, nè la fiancata.
Chicca finale: nella piazza , ovviamente pedonalizzata al 100%, esistono paletti con le prese per la ricarica di auto elettriche, auto ovviamente assenti sia nel privato che come dotazione pubblica.

ettore maria ha detto...

caro Enrico,
la descrizione della piazza e della chiesa che fai mi sembra assolutamente geniale, forse necessita solo di un "muro del pianto" con pavimentazione in ceci secchi per fare sostare in ginocchio un po' di progettisti, amministratori e prelati responsabili di cotanta perfezione.
Ciao
Ettore

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