Gabriele Tagliaventi osserva e descrive la condizione urbana di Detroit per ammonire su ciò che potrebbe accadere alle nostre città e in qualcuna è già accaduto.
30 marzo 2011
LA CITTA' DOPO IL NUCLEARE
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11 commenti:
OTTIMO GABRIELE!
Ciao
Ettore
Appunti parassiti | Salingarosiani,
1. LA CITTA' (di pietra/o) DOPO IL BOOM ECONOMICO
«In questo libro, scritto con la sapienza dell'antropologo, con la tenacia del testimone e con la passione letteraria e civile dello scrittore, Vito Teti porta ad evidenza e ricompone per intero tutti i suoi percorsi di vita. L'oggetto - ma sarebbe più proprio dire "il soggetto" - sono i paesi abbandonati di Calabria, da Pentedattilo a Roghudi, da Africo a Cerenzia, da Brancaleone a Nicastrello, ripercorsi col passo lento e misurato della riappropriazione in ogni loro più densa e nascosta sfumatura: case capanne e grotte, alberi sabbie e pietre, acqua nuvole e vento. Vista da quest'ottica, tutta la regione appare nel suo più profondo e persistente connotato identitario».
Link: http://www.libreriauniversitaria.it/senso-luoghi-paesi-abbandonati-calabria/libro/9788879898218
2. UNA COSA BELLA SENZA BLA, BLA, BLA
Studio Albori, Ristrutturazione di un fienile, Ispra (VA), 2007 - 2010
Link: http://www.albori.it/ispra_scheda.html
3. UNA COSA BRUTTA SENZA BLA, BLA, BLA
Gabriele Tagliaventi, La piazza di accesso al Borgo Città Nuova di Alessandria, Italia
Link: http://it.wikipedia.org/wiki/File:ALE-2.jpg
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Salvatore, mi piace la tua espressione "bella senza bla, bla, bla" e "brutta senza bla, bla, bla"! Mi piace perché manca di quella tua solita prosopopea che condanna sempre la mancanza di "capacità critica" negli altri.
Mi piace perché è fatta di pancia e non di testa, con ciò comportandoti nello stesso modo che sempre neghi agli altri.
Mi piace perché dimostra la tua incoerenza.
Forse per una volta sei quello che sei realmente, giudichi come giudicano tutti, d'istinto, cercando dopo, ma solo dopo, le ragioni che hanno determinato questa scelta.
Giudichi allo stesso modo in cui giudica la gente, l'odiata gente, e questo a prescindere dal merito del tuo giudizio. Giudichi in modo nazional-popolare.
Se continuerai su questa strada sarò costretto a chiederti giudizi più....critici.
Ciao
Pietro
io penso che, una volta tanto, sarebbe il caso che Salvatore si sforzasse di metterci dei "bla bla bla", almeno per farci capire perché una cosa sarebbe essere brutta e un'altra bella.
Del resto lui e i suoi "compagni di merende" (bloggaroli a lui affezionati), Molinari in primis, non essendo forse in grado di progettare nulla di valido, hanno fatto dei "bla bla bla esperti" la loro unica ragione di vita (una "elite" di conoscitori), solo che si limitano a parlare in maniera monodirezionale di cose abominevoli nel vano tentativo di farle apparire meravigliose agli occhi dei poveri ignorantoni come noi che non le capiamo.
Ciao
Ettore
Pietro, non capisco appieno il senso né dell’articolo di Tagliaventi né del perché tu lo citi come esempio …. di che? Tagliaventi fa un’analisi compiacuita del declino di una città, “declino economico, declino demografico, abbandono, bassa densità, criminalità, bancarotta”, ma cosa ci vuol dire? Che per evitare che si spopolasse oggi avrebbe dovuto impedire ieri la propria crescita e non diventare il maggior polo automobilistico mondiale con la triade Chrysler, Ford, General Motors, non costruire alloggi per gli operai, spettacolari grattacieli simbolo del potere dei colossi industriali, fabbriche ed uffici?
Quale sarebbe la ricetta di Tagliaventi, restare ad “un livello pre-industriale, ottocentesco”, rinunciando a diventare “una fantastica città negli anni 30 del secolo passato”?
E’ facile, superficiale e demagogico dire che la colpa di un simile collasso sia la bassa densità e glissare sul disastro economico parlando solo di disastro ambientale.
Detroit è diventata un caso urbanistico dopo essere stata la principale vittima di una crisi economica senza precedenti, vera causa del progressivo spopolamento, la gente fugge e i grattacieli vengono abbandonati perché non c’è più lavoro, diversamente la gente avrebbe continuato a viverci benissimo, come ha sempre fatto prima.
Se in America tali fenomeni hanno dimensioni apocalittiche causa la scala gigantesca di un’economia egemone nel mondo intero, anche noi, nel nostro piccolo, non ne siamo immuni: la chiamiamo più elegantemente ‘archeologia industriale’ ed esibiamo senza troppe angosce fornaci in disuso, diroccate filande, cotonifici e lanifici dismessi, officine ed opifici cadenti, piccoli villaggi residenziali deserti ed ovviamente verde selvaggio, niente bambini per le strade, qualche facciata crivellata e pure qualche cane randagio. E un’atmosfera vagamente da the day after.
E’ il nuovo che avanza, lasciando sul campo inevitabili vittime, io non ho ancora letto da nessuna parte, tanto meno negli scritti ‘critici’ di Tagliaventi, la ricetta per evitarle.
Vilma
Cara Vilma, io credo che sia abbastanza chiaro il messaggio di Tagliaventi.
Quando l'America sposò in pieno i dettami della Carta di Atene imposti da Le Corbusier, magari avrebbe fatto bene a pensare che le risorse fossili non erano eterne. Tuttavia la General Motors acquistò quasi in blocco i trasporti pubblici ferroviari e tramviari al fine di dismetterli e obbligare gli americani ad utilizzare l'automobile, secondo l'illuminato passaggio della Ville Radieuse «le città saranno parte della campagna; io vivrò a 30 miglia dal mio ufficio, in una direzione, sotto alberi di pino; la mia segretaria vivrà anch’essa a 30 miglia dall’ufficio, ma in direzione opposta e sotto altri alberi di pino. Noi avremo la nostra automobile. Dobbiamo usarla fino a stancarla, consumando strada, superfici e ingranaggi, consumando olio e benzina. Tutto ciò che serve per una grande mole di lavoro ... sufficiente per tutti». Oggi, il sogno è finito, e allora Tagliaventi ci ammonisce, se ancora ce ne fosse necessità, affinché provvediamo, finché siamo ancora in tempo, a rimettere in discussione uno stile di vita assurdo che, secondo Bush, non sarebbe negoziabile. Non si tratta di dover tornare all'era preindustriale, semmai si tratta di procedere ad una conversione delle città sempre più dipendenti dall'autotrazione. Detroit è il primo caso mondiale di piano regolatore che contrae la città piuttosto che continuare ad espanderla a macchia d'olio. Noi in Italia stiamo invece continuando a proporre espansioni nelle campagne e costruzione di grattacieli, ovvero stiamo continuando a costruire città ed edifici energivori ... però poi ci si mette un po' di pannelli fotovoltaici (sugli edifici e al posto delle piantagioni) e ci viene detto che siamo bravi, anzi la Comunità Europea ci dà anche un contributo (tanto i soldi vanno nelle tasche dei produttori che promuovono certi incentivi), solo che non abbiamo un piano di smaltimento e sappiamo pure che i costi superano i benefici.
Oppure i nostri politici decidono che dobbiamo ricostruire le centrali nucleari!
Tu dici "è il nuovo che avanza", io dico che proceda pure, ma non con i miei soldi, e non sulla pelle dei miei figli, la cui generazione dovrà farsi carico delle scelte egoistiche e sbagliate che stiamo facendo noi.
Ciao
Ettore
Vilma, Gabriele Tagliaventi ha un modo estremamente efficace di descrivere i fenomeni di decadimento urbano delle città il cui processo di crescita è stato impostato sulla fiduciosa speranza di una crescita senza limiti, e in particolar modo sul modello che vede l'auto (quindi grande consumo di energia per il movimento) al centro di questo sviluppo.
Questo modello è adesso in crisi profonda e con esso quelle città. Da qui la necessità economica di un ritorno ad una maggiore densità.
Nemmeno a me piace il catastrofismo e credo anche che, alla lunga, non giovi alla causa, perché non si può, e non si deve, crescere sulle disgrazie.
Io che sono fiducioso, come tu ben sai, nella capacità dell'uomo di ottenere ciò che desidera e possibilmente ciò che è meglio, basta che lo voglia, personalmente spero che si possa avere una città migliore, proprio come lo desidera Tagliaventi, insieme ad una economia solida e non mi auguro certo un accanimento della crisi economica per questo. Sono un po' meno fiducioso del fatto che si impari dagli errori commessi, almeno per quanto riguarda la cultura italiana, dato che non è da oggi che c'è il malessere nella città.
La crisi dovrebbe insegnare qualcosa, può farci capire che, anche in presenza di crescita economica è necessario ripensare la città, per non trovarsi nelle condizioni di Detroit e della mille Detroit in giro per il mondo occidentale oggi, per quello orientale domani.
Una città più densa e compatta che riduca l'uso dell'auto è necessaria e non è utopia: chi vive nei centri storici sa bene che non ha bisogno dell'auto per ogni minima ma vitale necessità. Chi vive in ambienti "simili" a Detroit è invece abituato, per necessità a grandi consumi di carburante, e lo sa adesso più di prima perché se ne accorge il suo portafoglio.
Sarebbe interessante, anche se molto difficile, avere statistiche sui costi per il carburante diviso per i diversi quartieri delle città, ma solo per trovare conferme ad un dato che è piuttosto intuitivo. Io vivo in una città che, pur essendo di soli 100.000 abitanti, quindi potenzialmente ottimale per una crescita controllata, è stata pianificata, per scelta politica e degli urbanisti, sulle frazioni. Sembrava una cosa ragionevole: la cultura urbanistica criminalizzava la "crescita a macchia d'olio", espressione che ogni architetto della mia generazione conosce bene e che lascia intendere che la città non debba rimanere compatta. Oggi ci troviamo intere frazioni "pianificate", non spontanee che non sono città e non sono campagna, che dipendono totalmente dall'auto, perché non è possibile ad un sistema così diffuso nel territorio garantire un servizio pubblico efficiente capace di esercitare un appeal pari a quello dell'auto, e totalmente dipendente dall'auto. Il nuovo piano definitivamente approvato la settimana scorsa, invece che potenziare le frazioni, farle crescere, renderle più dense, non solo per dar loro identità ma anche per garantire un minimo di attività urbane, ha elemosinato metri cubi a queste realtà, in nome di una falsa ideologia ambientalista, con il risultato che avremo qualche casa in più ma tutto resterà come prima.
Questo per dire che la volontà conta, e parecchio.
Continua........
....continua
Se intendi dire che le città come Detroit sono l'espressione più pura di quel modello economico e che, piaccia o meno, non avrebbe potuto essere diversamente io rispondo che, se anche così fosse, da oggi non sarebbe più giustificato da nessuna ragione, perché le città crescono anche in base alle idee degli uomini: dopo avere perso da secoli la coscienza spontanea c'è però la capacità critica della politica e dell'urbanistica per fare scelte diverse.
Negare questo vorrebbe dire negare del tutto che certe idee sbagliate sono state incoraggiate da urbanisti e architetti e negare la stessa esistenza di una disciplina di cui fanno parte, solo in Italia, circa 200.000 individui tra ingegneri e architetti. Ho scarsissima fiducia nella loro/nostra capacità di condividere un'idea ma non posso credere che se queste persone esistono non ve ne sia una ragione e che siano del tutto inutili! Semmai dannosi, questo sì. Per questo bisogna che diventino utili e si convincano che la città contemporanea è del tutto sbagliata. Altrimenti dedichiamoci tutti a lavori "alimentari", facciamo gli agenti immobiliari, dichiariamolo apertamente e "fuck the city".
Ciao
Pietro
Ettore, solo un breve flash: quando scrivi "le città saranno parte della campagna; io vivrò a 30 miglia dal mio ufficio, in una direzione, sotto alberi di pino; la mia segretaria vivrà anch’essa a 30 miglia dall’ufficio, ma in direzione opposta e sotto altri alberi di pino. Noi avremo la nostra automobile." a me è venuto subito in mente che se sostituisci la parola finale 'automobile' con la parola 'computer' potrebbe essere uan frase scritta oggi......
Vilma
Vilma, è vero che il computer e la rete può ridurre gli spostamenti e quindi i consumi energetici, oltre al traffico e al consumo di carta, ma non riesce a sostituire certe relazioni personali che nel lavoro, in molti lavori, restano essenziali. Inoltre, oltre al lavoro, che è certamente la causa di maggior mobilità (non a caso il sabato e la domenica in città si circola meglio), c'è una quantità incredibile di altri motivi per prendere l'auto, buona parte delle quali potrebbero essere potenzialmente ridotte. Dico potenzialmente perché molto dipende poi dalle scelte individuali di ognuno sulle quali non è possibile né sarebbe giusto incidere. Ma è necessario creare le condizioni giuste per poter ridurre al minimo l'uso dell'auto.
Ciao
Pietro
Cara Vilma, grazie a Dio quella frase non è mia ma di Le Corbusier. Sicuramente hai ragione a dire che oggi potremmo sostituire il termine "automobile" con "computer" ma, come dice giustamente Pietro, le relazioni tra gli esseri umani scomparirebbero del tutto. Questo è il grandissimo limite del "telelavoro": se lavorare a casa significasse farlo vivendo in un vitale paese dove poter uscire, passeggiare, incontrare gente, far la spesa sotto casa, stare con i propri figli, ecc., allora può funzionare, ma se si lavora dalla scrivania di una casa che sorge in una villettopoli, dove si deve usare l'auto per andare a comprare il pane, dove il negozio più vicino è un centro commerciale situato a 3 chilometri dal cartello "benvenuti sul Pianeta Terra", dove le scuole si trovano lontano da tutto e da tutti, dove se sei anziano, bambino o disabile, non puoi sperare di sopravvivere senza qualcuno che ti guidi, con la macchina, a raggiungere gli spazi che ti servono, allora riporre le speranze nel computer è una scelta folle.
Un caro saluto
Ettore
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