Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


29 marzo 2011

DIVERTISSEMENT

…..perciò andranno privilegiate architetture contemporanee, di pregio, che sfruttino energie rinnovabili, e strutture verticali che limitino il consumo di suolo”.
Questa la testuale e meravigliosa sintesi di luoghi comuni fatta da un amministratore per un'area che prevede grattacieli.
Un'area, lo si capisce bene, in cui si prevedono grattacieli dalle forme contemporanee e che sfruttino energie rinnovabili.
Una dichiarazione tipo, uno stereotipo ormai consueto nel mondo della politica locale di qualsiasi appartenenza politica, in cui è condensata lo stato attuale della prassi urbanistica e architettonica.
Analizziamo la frase:

1) privilegiare architetture contemporanee:
Dato che sarebbe difficile privilegiare architetture megalitiche o longobarde e neppure risorgimentali, nonostante il 150°, e dato che non tutte le architetture costruite oggi, quindi contemporanee comunque esse siano, potrebbero soddisfare il significato sottinteso di particolare specialità, è chiaro che per “contemporanee” si debbano intendere architetture che assomiglino alle migliori tra quelle che si vedono in giro o nelle riviste, in TV e nei magazine, cioè più alla moda. Se infatti io ricevessi l’incarico di ordinare uno stock di abiti per conto di qualcuno che mi dicesse solo: "voglio che tu privilegi un abbigliamento contemporaneo", mi documenterei sull’ultimo pret a porter sfilato a Milano o Parigi e tra quello andrei a scegliere. Analogamente, se mi si chiedesse un’architettura contemporanea, cercherei dove devo cercare. Quindi è la moda che comanda l’architettura, è la moda che fa scegliere le “architetture”. Sottolineo questo punto a favore di tutti quei colleghi che ancora vanno cercando l’architettura contemporanea: non si prendano troppa cura, la possono trovare all’outlet a prezzi stralciati. Tra un po’ sarà reperibile anche nei mercatini rionali e pare che già ci siano in commercio molte copie taroccate, non solo di produzione asiatica ma anche italiana. La Guardia di Finanza ne ha sequestrati diversi quantitativi.

2) di pregio:
Attributo questo ridondante e pleonastico in quanto scontato. Difficile desiderare un’architettura spregevole: contemporanea già basta e avanza.

3) che sfruttino energie rinnovabili:
Tradotto significa “che abbiano sul tetto pannelli solari”. Poiché è la legge che lo stabilisce, anche questa espressione è un pleonasmo.

4) strutture verticali che limitino il consumo di suolo:
Eccoci al conquibus! Tutto quanto detto prima è l’ouverture, la preparazione, l’introduzione, l’odore di quell’arrosto che è il grattacielo e che riassume in sé tutte le caratteristiche precedentemente esposte: contemporaneità, pregio, sostenibilità ambientale. Con l’aggiunta della più corretta tra le politicamente corrette espressioni correnti, cioè risparmi nel “consumo di suolo”. Ma il grattacielo non viene chiamato con il suo nome, e neppure con il più evocativo torre, bensì: struttura verticale. La capacità d’astrazione è qui eccezionale: l’edificio si smaterializza del tutto per diventare un concetto. Struttura, infatti, non ha niente di fisico, non rimanda a qualcosa che sostiene un carico, dato che la struttura verticale è presente anche in una capanna di un piano. Struttura verticale assume qui il significato filosofico dato dalla omonima corrente strutturalista, diventa un segno che connota un qualsiasi elemento che tenda verso l’alto, quasi l’aspirazione stessa alla salita.

E subito ci si immagina un bel monolite con un meraviglioso e soprattutto grande parco intorno, logica conseguenza del risparmio di suolo: si risparmia suolo e quindi si può liberare il verde, sotto il quale ci sta un immenso parcheggio che sputa veleno sopra ma tanto ci sono le piante che fanno da filtro. E si pensa ad un parco come un green da golf, e gruppi di alberi e fiori e roseti e panchine e squadre di manutentori che tagliano l’erba, raccolgono le foglie cadute e le bottiglie di birra vuote, le siringhe e le cicche, qualche ubriaco, ogni tanto anche un cadavere finito lì chissà come; che accomodano gli irrigatori, sostituiscono le panchine rotte e quelle rubate. E se si prende uno dei tre ascensori e ci si affaccia alla terrazza del roof-garden si può osservare ad est una città compatta, con tutti i tetti rossi, dove le strade appaiono come incisioni tra le masse murarie, come il cretto di Gibellina, e dove non ci si capacita di come per secoli la gente, questa incivile, abbia potuto vivere tutta così appiccicata e per di più intrappolata dentro una cinta di mura che segna un limite preciso all’espansione, dato che oggi non ci vive più nessuno, salvo qualche architetto che ci tiene studio, ma solo per immagine e poi, per comodità, per non perdere tempo nei viaggi, ci vive anche al piano di sopra, ma con grande sacrificio. Infatti possiede anche una bella casa colonica ristrutturata in campagna, con piscina, zona collinare, grande metratura, dove si riposa nei week-end e durante l’estate. Ha cercato, è vero, una casa in una amena periferia, ma è stato sfortunato perché costano meno e lui pensa che il prezzo più basso nasconda qualche magagna. Solo per questo non l’ha comprata, perché non si fida. E poi c’è sicuramente da sanare qualche difformità, troppe grane; il centro storico, invece, pare che esistesse già prima del ’67 e tutto è regolare, dice la legge.

Ci vivono anche pochi altri professionisti, avvocati, notai, psicologi, primari di cliniche private ma anche medici generici, possidenti, commercianti, ricchi di famiglia, industriali e arricchiti a vario titolo. C’è rimasto qualche anziano pensionato ma per poco perché c’è chi gufa perché tiri il calzino per potersi così presentare agli eredi con un bell’assegno. Comunque è un luogo poco raccomandabile perché c’è qualche extracomunitario, anche se, a onor del vero, loro preferiscono i condomini in periferia, perché sono veri amanti del bello. Non ci sono invece parchi tra quelle case, ma tra i tetti e i muri spuntano chiome di alberi che non si capisce proprio da dove vengano: saranno anche quelli sui roof-garden!

Rivolgendo lo sguardo ad ovest il vuoto prevale e, dopo il pieno ad est che costringeva ad aguzzare la vista, il campo si allarga, l’orizzonte si amplia, gli occhi vagano senza meta mancando, per fortuna, un disegno leggibile. Quella città è veramente democratica perché ognuno la può interpretare a modo suo, libera la creatività e incoraggia l’iniziativa perché non c’è regola che comandi se non la mancanza di regole. Un grande parcheggio sulla sinistra, un altro mini-grattacielo sulla destra, un po’ più vecchio, non tanto contemporaneo, collezione di quattro anni fa, vintage, non è chiaramente sostenibile perché non v’è traccia di energia alternativa. Al centro quella che sembra una raccolta di scatole da scarpe tutte ordinate perpendicolari alla strada e, accanto a queste, case sparse con tetti dalle forme più varie e fantasiose, e un po’ più lontano un grande ipermercato.

Un flash di memoria ricorda che quella parte di città dentro le mura ha accolto, nei tempi di massima crescita, fino a 30.000 abitanti. Ma adesso che la città ne conta 100.000, come mai la superficie attuale è almeno 10 volte tanto? Boh!
Comunque adesso, con i grattacieli le cose cambieranno radicalmente: il consumo di suolo si ridurrà drasticamente, il verde aumenterà e …. la campagna diminuirà….. se diminuisce la campagna però cresce la città…. ma la città è verde…. sarà verde la città ma cosa ci si coltiva, l’erba all’inglese?..... no, l’erba no, semmai l’insalata e…. si possono fare gli orti urbani…… ma sull’insalata urbana ci va lo smog delle auto parcheggiate sotto…. e allora portiamole a piano terra le auto…. sì, ma così sull’insalata ci va lo smog delle auto di sopra ….. e allora….. coltiviamo l’insalata in campagna e in città facciamoci le cose da città, magari ci si vende l’insalata della campagna e anche qualcos’altro e per non consumare troppa benzina si potrebbero costruire le case più vicine e un tantino più basse della struttura verticale strutturalista, così il sole c’è per tutti non solo per quelli dei piani alti, e magari al piano terra metterci qualche negozio.
Fammi dare un po’ uno sguardo a quel fittume, tanto, tanto mi venisse qualche idea!

14 commenti:

ettore maria ha detto...

Bello Pietro!
Solo che il "Cretto" di Gibellina è un'offesa a quel territorio, come lo è anche Gibellina Nuova. Ogni linea incisa nel Cretto è una ferita inferta alla gente e alla campagna. E si sono già spesi tanti soldi per "restaurare" l'opera di Burri.
A quell'assessore che ha rilasciato le dichiarazioni da cui hai tratto isporazione per questo pungente post vorrei che gli si chiedesse di dimostrare come certe architetture possano risultare rispettose dell'ambiente, e soprattutto per quale motivo si dovrebbero installare sistemi per l'autosufficienza energetica "eco-compatibile" che poi non è mai assolutamente "autosufficiente", per mantenere in vita un edificio energivoro. A questi personaggi, e ai progettisti di grattacieli come quello in costruzione all'EUR chiedo: perchè invece di parlare in maniera generica non ci dimostrate, conti alla mano, quanta energia credete di produrre e quanta i vostri edifici ne richiedono? E poi, qual'è il bilancio economico tra le spese di installazione e la produzione energetica ... ovvero tra quanti anni andrete in pareggio? Infine, tra quanti anni dovrete sostituire i vostri meravigliosi pannelli (che non hanno ancora un piano di smaltimento) e quanto vi costerà la dismissione e la nuova installazione? ...
Ciao
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Ettore, il cretto l'ho usato come esempio perché effettivamente il colpo d'occhio è simile al plastico di un centro storico, non perché pensi che Gibellina ne avesse bisogno.
Quanto alla frase dell'amministratore, esprime un modo comune a quasi tutta la politica, e cioè la genericità di concetti ritenuti condivisi.
Ad un politico, d'altra parte, non si richiede competenza specifica, io non credo ai tecnici in politica (quale tecnico ci vorrebbe per fare il presidente degli USA?) ma la capacità di saper ascoltare con attenzione e interesse le diverse opzioni, farsi un'opinione e poi decidere.
Purtroppo le decisioni sono sempre prese in base a considerazioni diverse e le giustificazioni vengono appiccate a posteriori: oggi la sostenibilità, ieri la crescita, domani chissà!
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

caro Pietro,
non ho dubbi sulle ragioni per le quali hai fatto riferimento all'"opera" di Burri. Se mi chiedi se secondo me Gibellina ne avesse bisogno ti rispondo NO! (avrei usato un grassetto con dimensione massima se il programma di scrittura me lo avesse consentito). La ragione non è ideologica, ma pratica. Quando nel 1989 andai a visitare Gibellina, che all'università mi era stata raccontata come un esempio fantastico delle capacità dei nostri architetti di costruire città nuove, mi recai con tutto l'entusiasmo che uno studente di architettura può avere quando si reca a vedere ciò che i suoi professori gli hanno "spiegato esser bello e valido". Tuttavia l'impressione che ne ebbi fu di una tristezza infinita, e non tanto per gli edifici assurdi, quanto per le testimonianze che raccolsi. Andai a vedere la famosissima "casa del farmacista" di Purini, le sue "piazze" finte, inutili e agghiaccianti, andai a vedere la chiesa di Quaroni, l'assurdo "palcoscenico" dove Francesco Venezia aveva riassemblato alcuni elementi architettonici recuperati a Gibellina vecchia "decorandoli" con un binario che trasportava una luce, anche se non aveva ben calcolato la profondità dello spazio, andai a vedere l'obbrobrioso teatro progettato dallo scultore Consagra, che non si è mai potuto utilizzare perchè, prima ancora che Eisenmann e Gehry iniziassero a pensare a forme contorte, ci aveva già pensato il famosissimo scultore locale a fare uno spazio inutilizzabile. Andai a vedere la gigantesca "porta" a forma di stella a 5 punte (omaggio alle BR?), degna della porta delle scimitarre di Saddam Houssein e, ovviamente, andai a vedere il "Cretto". Però andai anche a vedere il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, collocato in un edificio anonimo di campagna ... forse l'unica cosa degna di nota. Il custode si meravigliò della nostra presenza, e iniziò a raccontarci di come si vive in quella "meraviglia". Così si sfogò, e a lui si unirono altre 3-4 persone che, in coro, si lamentarono della bruttura della nuova città e dell'inutilità di molti edifici, e soprattutto del Cretto, mentre avrebbero preferito che gli si desse l'acqua tutti i giorni, invece che ogni 15-20 ... il terremoto era avvenuto nel 1968, ma nell'89 stavano ancora così! E poi, visto lo stato di conservazione di quell'immane colata di cemento che è stata gettata sui resti di Gibellina antica, piuttosto che fare delle opere pubbliche, la Regione Sicilia ha speso qualche milione per restaurare l'irrestaurabile.
Ciao
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Non so se la stella a cinque punte sia un omaggio alle BR, ma ritengo tutto possibile dopo avere visto qualche sera fa a casa mia, in una serata tra amici "dedicata" al 150°, il film Noi credevamo (io diffidente, come lo sono sempre sui film italiani). In realtà l'unica chiave possibile di lettura, ed anche molto evidente, di quel film è l'epica, anche se fallimentare, degli anni di piombo, in abiti ottocenteschi. Ero in verità prevenuto dal titolo, che mi faceva presumere un malinconico ricordo del fallimento dell'ideologia (roba nota e consunta) ma mi sono dovuto ricredere: era molto peggio.
Ciao
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Appunti parassiti | Salingarosiani,

1. FANTUTTONI
«Le piaghe del lavoro italiano non sono "i fannulloni", che non esistono come categoria determinante, ma "i fantuttoni". Non quelli che "fanno nulla" ma quelli che "fanno tutto" meglio di tutti: economia, scuola, cancelli, tornelli, lucchetti, giustizia» (Francesco Merlo).

2. ES. DI FANTUTTONE
«"Ho un piano colore da attivare anche a Lampedusa: per intenderci vorrei che l'isola avesse i colori di Portofino'' ha aggiunto il presidente del Consiglio. ''Venendo qui - ha aggiunto - ho visto un degrado significativo muri scrostati e niente verde, al contrario nella verdissima isola qui accanto, Linosa''. ''Un piano colore - ha continuato Berlusconi - lo ho gia' realizzato in un paese della Lombardia e per Lampedusa propongo lo stesso modello, arredando le strade con adeguata illuminazione e con ciottolo. E' necessario anche un piano di rimboschimento''.
Infine il premier ha annunciato: ''Sono andato su Internet e ho comprato una casa a Cala Francese, si chiama Le Due Palme. Anch'io diventerò ‘lampedusano''».

Redazionale,Berlusconi a Lampedusa, 'Svuotata in 48-60 ore', ANSA , 30 marzo 2011
Link: http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2011/03/18/visualizza_new.html_1534187903.html

3. ARTE DI DESTRA
«Il nome di Burri è stato usato e abusato all’infinito per affermare che anche gli artisti contemporanei potevano essere di destra, che anche da questa parte della barricata sopravvivevano un’arte e una cultura al passo coi tempi. Nonostante il fascismo e nonostante quella Guerra finita con una vittoria che non mascherava la sconfitta. Anche Burri fu “battuto”, catturato dagli alleati in Tunisia nel 1943 e trasportato in un campo di prigionia a Hereford, Texas. Esperienza sfogata nelle lacerazioni che impone alle materie delle sue tele. Opere astratte, rigorosamente informali, sperimentali. Un po’ troppo concettuali diremmo noi, se non fosse che lui per primo si rifiutava di parlarne, di ricamarci sopra insieme al criticointellettuale di turno. “Semplicemente pittura”, rispondeva ogni volta, anche per quei sacchi, legni, ferri, tessuti (o per le stesse tele) che pittura non erano. E invece sì, perché il suo gesto è l’esistenzialismo di Heidegger, lo spogliare la materia di ogni significato simbolico. Per regalarle una bellezza che nasce dalla sua implicita essenza. Unita alla rigorosa scansione spaziale data dal colore, misura se non metro della tela. Se l’esigenza di un ordine compositivo e i rimandi a Heidegger bastino per dire che fosse di destra (di quale destra, poi?) e poi Burri fosse realmente di destra (facendo finta di sapere cosa voglia dire “di destra”) non lo sapremo mai, Ma può far piacere ricordare che, quando ogni artista doveva necessariamente essere intellettuale, e ogni ntellettuale doveva essere di sinistra, lui si tirò fuori dall’una e dall’altra schiera» (per il Web).

Saluti,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, scusa ma credo tu abbia sbagliato blog, come ti accade spesso. Forse andare troppo sul web ingenera confusione.
A meno che tu non stia facendo quelle azioni che non ricordo mai come si chiamano in gergo di internet e ad ogni post tu scriva qualcosa tanto per esserci.
Non lo sapremo mai, ma credo che la prima ipotesi sia più credibile.
Saluti
Pietro

ettore maria ha detto...

Caro Salvatore,
mi associo a Pietro chiedendoti, se non ti è troppo incomodo, di spiegarci il senso delle tue parole.

Chi avrebbe mai parlato di Burri di destra o di sinistra? Chi se ne frega delle assurde giustificazioni che dai delle sue opere? O meglio, finchè sfogava le sue ipotetiche sofferenze su opere che rimanevano confinate in un ambiente, per me poteva fare ciò che voleva, infatti, se qualcuno era interessato a vederle se le poteva andare a vedere, ma nel momento in cui s'è permesso di fare un'immane, orrenda e costosissima colata di cemento su di una collina, imponendo di "ammirarla" a chilometri di distanza, se permetti ha fatto una violenza a tutti noi, intellettualoidi esclusi ovviamente. Quall'opera, e molte delle sue produzioni, checchè ne dicano i critici d'arte moderna (sempre più venditori di fumo), è ciò che Fantozzi definirebbe "una boiata pazzesca".
Alla gente comune delle pseudo sofferenze degli artisti moderni non gliene frega nulla. Un'opera è bella o è brutta, e non ci vuole qualcuno che ci venga a dire che è bella perché bla bla bla!
Ciao
Ettore

ritorno alla città ha detto...

Caro Pietro ,
Come al solito i tuoi pezzi sono arguti e divertenti, il pressappochismo della maggioranza dei nostri amministratori è palese, ma fai bene a rimarcarlo.
Intervengo molto poco con commenti al tuo blog ma come credo che tu sappia sono un assiduo lettore, intervenire per dire ogni volta bene/ bravo mi scoccia un po', sarebbe stucchevole.
Questa volta intervengo perché sono in disaccordo con un commento di Ettore in relazione al "caso" Gibellina.
Anche io come Ettore ho visitato la valle del Belìce ( e non Bélice come il 99% lo pronuncia, anche i siciliani purtroppo) quando ero ancora studente è ne ho tratto impressioni diverse.

Concordo con te Ettore, nel considerare il progetto di questa città di fondazione come assolutamente inadeguato. Inadeguato prima di tutto urbanisticamente. Inutile che mi addentri nelle critiche perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, chiunque abbia tempo e voglia può fare un giro su Google Earth e rendersene conto o volendo far meglio può scaricare dal sito di Marco Romano nella sezione “ritratti di Città” quello di Gibellina e trarre le conseguenze da solo/a. Assodato che nei confronti della progettazione urbana siamo in sintonia veniamo ora agli edifici.
Gibellina è un campionario, ne più ne meno, e gli edifici vanno quindi giudicati uno per uno sia inseriti nel contesto ma anche nel loro essere oggetti di campionario. Voglio dire che bene fai tu Ettore a salvare il museo dell’arte contadina ( che se non ricordo male fu curato da Culotta e Leone) poiché esce nettamente fuori dalla campionarietà di Gibellina nuova. Anche io ricordo volentieri il basolato del cortile centrale e la ricercatezza nel restauro delle pietre di quel posto. Ma in questo essere fuori dal coro personalmente inserisco a pieno titolo le “Case Di Lorenzo” di Francesco Venezia che trovo uno dei più interessanti edifici prodotti in Italia negli ultimi trenta anni. A mio parere Venezia compì un gesto di grande raffinatezza e poesia recuperando l’antica facciata dell’edificio dei Di Lorenzo che si trovava a Gibellina vecchia e a ricollocarla al cento del nuovo edificio. Al centro, come un frutto nascosto o come un oggetto prezioso e questo la dice lunga sul valore che Venezia da a quello che a seguito del terremoto era diventato un rudere. Ancora più interessante mi sembra il trattamento dell’intero immobile dove Venezia lascia vedere volutamente i ferri che vengono fuori dal cemento armato e la pietra calcarea, tipica di quella parte della Sicilia, è lasciata a faccia vista con cruda violenza. L’intero immobile è un monumento alla caducità della vita umana e dell’architettura, è un monumento che ricorda che la tragedia (quella del terremoto a cui lo stesso edificio deve l’esistenza) è dietro l’angolo in agguato.
Bisogna considerare quindi questo edificio come un monumento. Ad un monumento, come ben sai, sono attribuibili dei valori che non siano meramente tecnici o utilitaristici ma anche significati che possano trascendere la semplice funzione. Chiunque abbai mai avuto la fortuna di progettare una cappella funebre, una chiesa, una moschea o perché no un monumento ai caduti per la patria, lo sa. La stessa cosa per questa piccola sala esposizioni essa va considerata come un monumento.

Anche sul Cretto di Burri sono in disaccordo con te. Vederlo apparire oltre la colline e poi camminarci in mezzo è stato per me (e non scherzo) una vera esperienza mistica. Passeggiare per quei canyon, che ricalcano la forma dell’antica Gibellina, nell’assoluto silenzio della campagna e della mia allora fidanzata e oggi moglie e per me ancora uno dei “viaggi” più interessanti che abbia mai compiuto.
-segue-

ritorno alla città ha detto...

Come per l’edificio di Venezia anche qui si tratta di un monumento e per valutare un monumento bisogna sottrarsi alla logica dei costi finanziari o del bello e del brutto. La finalità di un monumento non sta nel suo essere bello o utile. In questo caso poi va aggiunto che il Cretto è un opera d’arte e per fortuna le opere d’arte (quando lo sono) si sottraggono pienamente alle categorie del bello e del brutto e non possono essere giudicate semplicemente attraverso parametri estetici.
Faccio un esempio: ormai qualche anno fa ero al Louvre e stavo osservando la Morte della Vergine del Caravaggio in una sala semideserta (se ricordo bene nella stessa sala c’era un enorme Veronese solo e abbandonato) ad un certo punto si ferma accanto a me una coppia di italiani e lei fa: “ Come è bello”. Avrei voluto saltarle addosso e staccarle le testa con un morso. “ Ma non ti accorgi che è morta, che è gonfia e tumefatta, che questa immagine è un urlo di disperazione e dolore, che la morte è devastante!” avrei voluto gridarle. Ma forse non stavamo guardando lo stesso quadro.

Un ultima critica e questo è un vero e proprio rimprovero ;-)) lasciate stare Ejzenstejn, passi Paolo Villaggio, ma lasciate stare l’inventore del cinema. Prima di lui praticamente si proiettavano immagini in sequenza, dopo di lui “Il Cinema” . Senza audio e senza colore ( affermazione vera solo in parte perché in alcuni dei sui film alcuni oggetti all’interno di brevi sequenze erano colorati a mano fotogramma per fotogramma) il suo cinema ha espresso praticamente tutto cio che poteva essere espresso attraverso una cinepresa, dopo di lui solo gli effetti speciali al computer hanno portato un balzo in avanti così sostanzioso. Per chi non li avesse mai visti : La congiura dei Boiardi” e “Ivan il Terribile”...... preparatevi a tremate :-)

Ultimissimo commento fuori posto ... ma già che ci sono... quoto in tutto e per tutto l’articolo di Ettore sul “Costruire con parsimonia”... veramente una cosa ci sarebbe: personalmente penso che al contrario che il fotovoltaico l’elolico possa essere un ottimo modo per produrre energia, ma sono quisquilie rispetto al quadro generale fatto da Ettore, magari ne parliamo un altra volta.

Abbracci
Angelo

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Angelo, in base a quanto mi scrivi, dato che ci sono tre o quattro commentatori che non sono d'accordo con me, posso vantarmi di avere 59.999.997 di italiani che condividono le mie idee! Numeri bulgari.
Scherzi a parte ti ringrazio e ti saluto
Pietro

Le avanguardie dei fantuttoni ha detto...

fantastici i punti 1 e 2 di salvatore sui "fantuttoni", male incurabile di questo paese...

forse, ma forse forse eh! persino sul Foglio ne stanno prendendo consapevolezza:

"Cosicché l’Amor nostro, rientrato a Roma dallo sprofondo dove aveva appena: comprato una villa, ristrutturato un isola, piantato ortensie, proposto pioppi sugli scogli, vivacizzato le facciate delle case, fondato un casinò, affittato sette navi per la “Crociera dello Sfigato”, pescato due triglie minorenni, nonché perforato diciotto buche dell’istituendo campo da golf, ma che cazzo, esplose, e il mio processo breve? Beh! Capita, Cavaliere, quando si sceglie un ministro che confonde la Difesa con l’offesa." di A. Mercenaro

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Se avessi voluto fare un blog che si occupa solo di politica lo avrei fatto.
Comunque va bene. Quel forse, lo puoi ripetere cento volte e non significherebbe quello che intendi te.
Tanto per rispondere in maniera coerente ti allego questo link sempre al Foglio.it di oggi, scritto da un giornalista di sinistra:
http://www.ilfoglio.it/soloqui/8339?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+ilfoglio_generale+%28Il+Foglio+.it%29&utm_content=Google+International
ciao
Pietro

LdS ha detto...

blog di politica? eheh, per carità, sei già abbastanza populista quando parli di architettura :-)

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, il populismo paga in politica (Di Pietro), nella stampa (Il Fatto), in TV (Santoro) ma nel nostro campo, come sai, proprio no. L'ismo che paga, incredibilmente, sembra essere il sadismo degli architetti e un rassegnato masochismo del...popolo.
Comunque tranquillo, la mia non era una minaccia :-)

Pietro

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