Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


25 marzo 2011

COSTRUIRE CON PARSIMONIA

di Ettore Maria Mazzola

Prefazione
La tragedia del terremoto senza precedenti avvenuto in Giappone, e soprattutto la catastrofe nucleare che si sta abbattendo su quel Paese, e che presto investirà una grande parte del pianeta adombrando gli eventi di Chernobyl, dovrebbero farci riflettere moltissimo sul nostro stile di vita.
Può sembrare demagogico, o cinico, affrontare questo discorso in questo triste momento, tuttavia ritengo che sia proprio questo il tempo per riflettere, poiché l’atteggiamento blasé che caratterizza la nostra società tende a farci dimenticare in fretta degli avvenimenti tragici.
Non voglio parlare di politica, perché non è il mio campo, tuttavia devo esprimere il mio disappunto circa alcune affermazioni recenti dei nostri politici i quali, all’indomani della catastrofe, hanno dichiarato che “il programma nucleare in Italia deve andare avanti”, oppure che “in Italia non ci sono rischi”. Non meno preoccupanti sono state le affermazioni del premier il quale, nascondendosi dietro un dito ha detto che “la decisione spetta al Consiglio d’Europa” e che, in termini di localizzazione delle centrali nucleari, la decisione non spetta a lui ma ai consigli regionali!


Nel 1987, scossi dal terrore della catastrofe di Chernobyl, i cittadini italiani votarono a larghissima maggioranza l’uscita dal nucleare, e quel referendum costò, come di consueto, tanto denaro pubblico. Come mai quindi oggi dovremmo rimettere in discussione una decisione quasi unanime del popolo italiano? Quanto conta, per i nostri politici, la volontà del popolo di fronte agli interessi lobbistici?

Ragioni
Il motivo della nuova corsa al nucleare è ovviamente intimamente connesso al fatto che, come aveva ammonito James Howard Kunstler nell’ormai famosissimo “The Long Emergency”, è terminata l’era del petrolio a buon mercato. Allora si deve trovare una soluzione energetica alternativa che non si basi sui combustibili fossili.
Tuttavia, come Kunstler ha ampiamente dimostrato senza possibilità di smentita, tutte le cosiddette “fonti alternative”, dipendono in qualche modo dal petrolio, energia nucleare inclusa. Tra l’altro questo tipo di tecnologia prevede un problema non indifferente legato alle scorie radioattive e alle acque di raffreddamento, anch’esse radioattive, del quale fingiamo di ignorare l’esistenza.

Ma perché quindi dovremmo orientarci in questa direzione? Il motivo basilare è che, nella società che abbiamo costruito per migliorarci la vita, tutto è stato, o tende a venire automatizzato. Ciò che nelle fabbriche un tempo veniva fatto dagli operai, oggi viene svolto dalle macchine, altrettanto dicasi per ciò che avviene nelle nostre case. Per spremere le arance si usa lo spremiagrumi elettrico, per spazzare le stanze si usano le aspirapolvere o, addirittura, veri e propri impianti centralizzati di aspirapolvere, ecc.
Ovviamente questo meccanicismo, se da un lato apre i tristi scenari della disoccupazione, dall’altro richiede un quantitativo di energia smisurato che, lo stiamo vedendo nei “Paesi emergenti”, comporta un danno al pianeta enorme in termini di surriscaldamento globale e, ovviamente, una domanda di combustibili fossili di gran lunga superiore all’offerta.

Ma c’è un altro aspetto, silente, alla base dello smodato fabbisogno energetico: le nostre case! Le stime (1) – in crescita – che emergono dalle conferenze, ci dicono che l’incidenza in termini di fabbisogno energetico dell’edilizia industriale attuale è pari al 36%, (a fronte del 31% dell’industria e del 31% del trasporto), mentre le emissioni di CO2 dell’edilizia sono pari al 34,5 % (a fronte del 32,5% dell’industria e del 30,5% del trasporto).
Dalle stesse stime risulta che l’intero settore edilizio è responsabile del 50% dell’energia consumata a livello Europeo, di cui il 36% è imputabile al fabbisogno energetico in fase d'uso degli edifici, mentre circa il 14% è causato dal settore industriale legato all’edilizia. Oltre a ciò va considerato che gli edifici comportano notevoli consumi di materiali ed energia sia in fase costruttiva che durante il loro uso e la loro dismissione: il settore edilizio consuma circa il 40% dei materiali utilizzati ogni anno dall’economia mondiale e produce circa il 35% delle emissioni complessive di gas serra, senza contare i consumi di acqua e di territorio, nonché la produzione di scarti e rifiuti dovuti alla sua demolizione … ma da noi c’è chi continua a costruire grattacieli ed edifici vetrati, presentandoli anche come “sostenibili”!
Da questi dati sconcertanti viene da chiedersi come possa essere possibile che la nostra società, quella che rivendica di appartenere alla specie animale più evoluta, quella che dice di appartenere alla generazione più avanzata e che ha raggiunto i massimi successi nel campo delle scienze, sottovaluti il problema e, in nome di un egoismo di massa, si limiti a rimandare la soluzione alla prossima generazione … che sono i nostri figli!!

Davanti ad affermazioni come quelle di G. W. Bush, che disse “lo stile di vita americano non è negoziabile” non possiamo quindi non pensare esattamente l’opposto. Infatti si deve proprio al profondo egoismo della nostra società – disinteressata perfino al futuro dei propri figli – che non vuole rimettere in discussione il proprio stile di vita, se questo pianeta, diversamente dai “programmi” di Madre Natura, sta velocemente andando incontro all’apocalisse!

Una possibile soluzione
Quindi, non volendo “cambiare il suo stile di vita”, l’uomo si affanna alla ricerca di un sistema per mantenere immutato il suo comportamento nei confronti dell’ambiente.
Ma non ci vuole un premio Nobel per comprendere che ciò che fa cortocircuito è proprio il non voler rinunciare alle città e agli edifici energivori!
Noi dovremmo costruire delle centrali nucleari, oppure dovremmo installare ettari di pannelli fotovoltaici (in assenza di un piano di smaltimento per i prossimi 15-20 anni quando dovranno essere sostituiti) per far sì che i nostri edifici, e le nostre città, continuino a succhiare sempre più energia.
Quando questo modello di città e di edilizia ci venne imposto, si parlava di “funzionalismo” … e non sono bastate le pagine ironiche di Tom Wolfe (2) a farci capire che molte cose di quel funzionalismo non funzionassero.

Se dunque nella nostra società consumista tutto converge sul vile denaro, perché non proviamo a seguire una strada diversa, in grado di mettere d’accordo gli interessi privati con quelli comuni? Se non altro per prolungare la vita della nostra specie su questo pianeta!
Come ho più volte ribadito nelle mie pubblicazioni, l’urbanistica del XX secolo ci ha lasciato in eredità una infinita serie di problemi, ma anche delle potenziali enormi possibilità di business. Le città che si sono sviluppate in maniera caotica, sebbene pianificata, sperperando territorio e producendo edilizia energivora, oggi si presentano come delle realtà caratterizzate da vuoti piuttosto che da pieni, e quei “vuoti urbani” sono prevalentemente proprietà demaniali.
Rivedendo il modo di pianificare le città, riportando l’essere umano al centro della progettazione e limitando l’importanza data all’autotrazione, potremmo dar vita ad un enorme progetto di ricompattamento urbanistico e di sostituzione edilizia che adoperi solo ed esclusivamente materiali naturali a chilometri zero, sarebbe possibile limitare il traffico veicolare al solo trasporto pubblico, considerando quello privato solo in caso di bisogno. Ovviamente questa circolazione veicolare dovrebbe prediligere sistemi non inquinanti.

Gli studi sulla fisica tecnica e impianti, e soprattutto quelli sulla termo-igrometria, dimostrano ampiamente che gli edifici costruiti con tecniche e materiali tradizionali richiedono circa il 40% in meno di riscaldamento invernale e fino al 100% del raffescamento estivo. Questo aspetto però, non facendo gli interessi delle lobbies dei produttori di materiali isolanti, o dei fabbricanti di pannelli solari e fotovoltaici, è stato ignorato dai legislatori che hanno stabilito le agevolazioni e gli sgravi fiscali in materia di risparmio energetico. Né tantomeno è stato preso in considerazione il danno ambientale generato dalla installazione di ettari ed ettari di pale eoliche e campi fotovoltaici che, grazie all’accesso ai contributi europei, stanno rimpiazzando i nostri campi coltivati! Quale fiducia si può dunque riporre nel Consiglio d’Europa, i cui “saggi decisori” risultano fortemente coinvolti nel sistema lobbistico privo di scrupoli nei confronti del futuro del pianeta?

Qualora rivedessimo radicalmente l’approccio, e mettessimo in pratica le cose che ho esposto, potremmo generare enormi profitti, pubblici e privati, legati al settore edilizio, al restauro, al turismo, ecc., ma soprattutto ridurremmo drasticamente quel 50% di energia consumata per produrre industrialmente, trasportare, riscaldare, rinfrescare i nostri edifici, che si tradurrebbe in un abbattimento del surriscaldamento planetario, e in una mancanza di necessità di investire sul nucleare. Non ultimo, un processo di questo tipo genererebbe un notevole abbattimento del problema della disoccupazione, e allora perché non dovremmo farlo?

Note
1) Fonte European Environment Agency e World Resources Institute - rilevazioni 1990-2004
2) Maledetti Architetti, Bompiani Edizioni, Milano 1988-2001 – Titolo originale From Bauhaus to our House

30 commenti:

ettore maria ha detto...

Grazie Pietro,
spero aiuti a riflettere sulle scelte future.
Ciao
Ettore

Salvatore D'Agostino ha detto...

Appunti parassiti | Salingarosiani,

1. Copio e incollo ‘Edilizia populistica inserzionistica’:

Ponte di Nona
Stiamo completando uno dei più bei quartieri di Roma, tra la via Collatina e la via Prenestina collegato ad una scorrevole rete stradale a Raccordo Anulare e allo svincolo della Roma-Aquila e in prossimità alla stazione ferroviaria di Lunghezza.
Gli edifici rivestiti in cortina e curati in ogni particolare sono realizzati secondo le tecniche costruttive tradizionali e gli appartamenti rifiniti con materiali di pregio.
Hanno spaziosissimi terrazzi da dove si gode un panorama incantevole.
Inoltre le scuole, le attività commerciali, i parchi attrezzati arricchiscono e completano la nostra iniziativa.

IC DOVE LE CASE SONO PIU’ BELLE!
Si affittano e si vendono nuovi negozi con metrature da 90 e fino a 750 mq, situati in posizione di assoluta visibilità. Le vetrine si affacciano sul fronte della strada più importante e commerciale del quartiere Ponte di Nona. Sono dotati di canna fumaria, di ampli parcheggi antistanti gli stessi negozi e sono idonei per ogni attività commerciale.
Link: http://www.impresecaltagirone.com/pontedinona.htm

2. Come dire a Ettore che Salingaros (forse anche Pietro) è un nuclearista?
Nel suo cassetto dei sogni conserva il prototipo di un progetto per una centrale nucleare in muratura.

3. Scrivere una mail a Ettore, tema: Tom Wolfe è un giornalista (non critico dell’architettura) radical chic che se ne frega bellamente del vernacolare e dell’architettura del popolo.

Saluti,
Salvatore D’Agostino

ettore maria ha detto...

caro Salvatore,

ma perché ti diverti a fare la parte dello stupido?
Ciò che ottieni con le tue uscite fuori luogo è proprio l'opposto di ciò che pretendi di fare ... o forse è proprio il tuo intento: un mondo in cui gli incapaci e i senza scrupoli possano continuare a fare il comodaccio loro probabilmente è ciò che vorresti.

Stefano Serafini ha detto...

Sig. D'Agostino, lei è nuclearista?

Paolo V ha detto...

Appunti a me stesso:
1) ma chi è questo D'Agostino? Sarà parente del Re del gossip?
2) come mai parla, scrive, sempre contro i Salingarosiani, ma frequenta sempre i blog e discute le tematiche da questi affrontate?
3) avrà mai fatto un giro a Ponte di Nona? Chi non vorrebbe viverci?
4) visti i preziosi consigli del buon D'Agostino....pensare di trasferire la residenza..o lo Studio a "Ponte di Nona"!!
5) Inserire Tom Wolfe nel libro nero: come si permette di parlare di architettura? Solo gli adepti possono parlarne....i civili invece possono solo andarci a vivere..!!!
6) scrivere una mail a D'agostino sul tema: "visti i risultati del Giappone...non sarà il caso di cominciare a pensare con il cervello prima di ritrovarci un altro disastro planetario?"

toussaint ha detto...

molto bella e pragmatica la proposta di Ettore Maria, nella linea consueta del suo modo di ragionare e procedere. non sono esperto di architettura, anche se, come giustamente è stato osservato, non importa tanto "essere esperti" di qualcosa quanto considerare le cose con attenzione, onestà intellettuale e oggettività. A questo proposito, essendo io cattolico e interessandomi di dottrina sociale della Chiesa cattolica, vorrei osservare che se il modus operandi proposto da Ettore Maria resta, al momento e non si sa fino a quando, lettera morta,è perchè nel presente modello di Stato occidentale di democrazia rappresentativa, di stampo materialista/ illuminista/liberale che ci viene modernamente dal 1789, poi dal Risorgimento in Italia, ecc.ecc. (a proposito di a mio parere ben malinconici odierni anniversari), modello basato sulla delega politica dell'elettore (che non ha alcun potere effettivo) ai partiti politici che nel contesto descritto fisiologicamente non possono che divenire sistemi oligarchici, non si fa il bene del popolo, come si vede dallo spettacolare contatore del debito pubblico posto in fondo a questa pagina, ma si fanno in questa cosa - l'economia liberalcapitalista keynesiana fondata appunto su debito pubblico, inflazione pianificata e corruzione morale della persona -mi riferisco qui a ciascuna persona nel sistema consumistico, tengo a precisarlo - esclusivamente gli interessi delle oligarchie medesime. Questo dicono i maestri della dottrina sociale. Quindi, come amo dire, il modo di costruire le case, il nucleare, l'Alta Velocità ferroviaria che si appresta a devastare Firenze con una galleria inutile sotto la città a servire una stazione inutile della TAV, pagata con i soldi del contribuente (consentitemi il dettaglio, sono fiorentino), il problema dell'approvvigionamento energetico, sono tutti EFFETTI PUNTUALI di una distorsione politico/filosofica a monte, e non potranno essere risolti - dicono ancora i maestri - se non in questo ambito. Diversamente, perderemo sempre. In architettura, in politica, nel sociale, dovunque.
Mi si dirà: ma, la soluzione esiste? Qual è la proposta concreta?
Rispondo: la "Società partecipativa" secondo il principio di sussidiarietà, che potrebbe essere condiviso da tutti, ma che in pratica resta cattolico, poichè sia i post-comunisti che i liberalcapitalisti hanno interesse a tenere il popolo sottomesso. E questi, al momento, sono vincenti. Mi sono già abbastanza dilungato in questa sede, anzi vi chiedo scusa, e rimando per i dettagli di approfondimento di quanto ho detto - e che non è utopia, qualcuno lo sta già facendo sia pur con non poco sforzo - al "Quaderno del Covile" n. 11 da me curato, su www.ilcovile.it.
cordialmente
Pier Luigi Tossani

Fabrizio Giulietti ha detto...

Non di rado, leggendo cose su internet, mi viene da pensare "è ovvio", specie quando si tratta di politiche urbane. Allo stesso tempo, però, immancabilmente mi trovo difronte a chi la pensa differentemente, e quindi devo dedurre che ciò che per me è palesemente corretto, ad altri può sembrare opinabile, oppure errato. Siamo tanti sul Pianeta, tante teste diverse, che non sempre pensano da sole come dovrebbero e potrebbero, quindi l'obiezione è naturale. E' il pregio ed il difetto della democrazia, specie su internet, dove si confrontano esperti professionisti ed utenti amatoriali, persone che pensano autonomamente (ben poche, ahimè) ed altre - per pigrizia, innato servilismo o interessi - il cui "pensiero" è solo una eco di indottrinamenti ideologici (e l'ideologia è alla base di politica, religione e magari anche di correnti nell'architettura e nella pianificazione urbana).

E' alla luce di ciò (e della mitragliata di azioni per me illogiche e controproduttive per la società portate avanti dagli italici politicanti mangiasoldi) che l'articolo di Ettore Maria Mazzola acquisisce innegabile valore. Articoli come questi sono necessari per aprire gli occhi a coloro cresciuti a show televisivi di dubbio gusto, a chi ingoia "verità rivelate" all'ultima moda senza porsi domande, e soprattutto senza valutare più fonti.

Credo che molti di voi sappiano che le politiche della Commissione Europea vanno nella direzione di quanto ricordato da Ettore Maria. Insomma, in Europa ciò è "ovvio", qua, invece, si alza un polverone perché in questo depresso Stivale dobbiamo distinguerci per l'inversione tra mezzo e fine: si fanno case non perché ce ne è bisogno, ma per fare case; e si fanno a costi elevati non perché non sia possibile farle a costi ridotti (di costruzione, manutenzione ed uso), ma perché si fanno a costi elevati... con sempre grandi vantaggi per i pochi e svantaggi per la cittadinanza.

Vado ai commenti. Devo ammettere di non capire il senso dell'intervento di Salvatore (che importa chi è Wolfe? Già viviamo in una società di cloni e supini scribacchini, vogliamo pure fare l'analisi del DNA a chiunque si esprime? Se è dei nostri va bene, altrimenti no?) e vacillo fortemente alle parole di Pier Luigi. Posso condividere i suoi dubbi sulla democrazia (ma l'unico sistema migliore, il monarca assoluto illuminato, è presente solo nelle favole), ma poi tracollo nel leggere le sue idee assolutistiche sul mercato. Il liberismo ed il liberalismo NON sono IL male, come non è IL male il socialismo, o il cattolicesimo, o l'islam. Male e bene, come concetti assoluti, esistono solo in casi rari, quali certi atti criminali che tutti noi conosciamo, e per quanto mi riguarda credo siano legati ai singoli anziché alla cultura o ad il gruppo di appartenenza degli stessi. Sia nel liberalismo sia nel socialismo bisogna vedere in che maniera vengono implementate strategie e politiche, e quanta libertà si dà alle lobbies, ossia ai gruppi di potere, che come sappiamo hanno come unica ideologia i propri interessi.

Sono però pienamente con Pier Luigi se fa implicito riferimento alla finanza, però, che è strumento da tenere molto sotto controllo, in quanto basato sulla (immorale, se si vuole, antieconomica sicuramente, perché non produce beni materiali o immateriali) speculazione.

Ecco, il nucleare, come altre questioni in Italia, a mio vedere viene trattato alla stregua di investimenti finanziari e di speculazioni che saziano sempre le solite lobbies... è questo che fa rabbrividire! Ed è su questo che dovremmo ragionare di più.

Pietro Pagliardini ha detto...

Paolo V, Salvatore non "discute" mai di argomenti dei blog, perché discutere significa confrontarsi, ma lui si comporta, per usare termini militari adesso in voga, come un cecchino: spara e si nasconde.
Fortunatamente è dotato di scarsa mira, compie azioni di disturbo ma i suoi colpi vanno sempre a vuoto.
E' la sua tecnica, è la tecnica di chi non ha la forza dell'argomentazione e si da tono con affermazioni apodittiche, spesso offensive, e, al massimo, con domande che non hanno però niente di maieutico e non aiutano a fare emergere barlumi di verità.
A Giulietti vorrei chiedere, perché non ne sono a conoscenza, informazioni sulle politiche europee, intese nel senso di istituzione europea, che vadano nel senso auspicato da Mazzola. Personalmente ho scarsissima fiducia sulla capacità dell'Europa di incidere in questo senso (come in altri), ma sono pronto a ricredermi.
A me non sembra proprio che Pier Luigi auspichi un monarca illuminato né che non creda nella democrazia; semmai è vero il contrario: chiede una "Società partecipativa" basata sul principio di sussidiarietà, vale a dire una democrazia non basata sulla rappresentanza ma sull'impegno diretto di ogni cittadino mediato (credo) da organismi associativi intermedi tra Stato e cittadini. Potrà essere accusato di una buona dose di utopismo ma certo non di essere anti-democratico. Però non ho letto il suo numero su Il Covile e quindi la mia è una interpretazione parziale. Se avessi visto giusto, credo che la sua idea di società sia giusta, ma a dosi "sostenibili", vale a dire che non penso sia possibile prescindere dal principio della rappresentanza, anche se esistono esperienze in tal senso negli USA. Ma sono comunità chiuse, addirittura esterne allo Stato, dato che in quel paese esistono anche luoghi che non sono soggetti a nessun potere amministrativo locale.
Quanto ad Ettore non posso che ringraziarlo per il suo post che, come tutti gli altri, suscita sempre interventi e dibattiti di grande interesse.
Saluti
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

Paolo V, Salvatore non "discute" mai di argomenti dei blog, perché discutere significa confrontarsi, ma lui si comporta, per usare termini militari adesso in voga, come un cecchino: spara e si nasconde.
Fortunatamente è dotato di scarsa mira, compie azioni di disturbo ma i suoi colpi vanno sempre a vuoto.
E' la sua tecnica, è la tecnica di chi non ha la forza dell'argomentazione e si da tono con affermazioni apodittiche, spesso offensive, e, al massimo, con domande che non hanno però niente di maieutico e non aiutano a fare emergere barlumi di verità.
A Giulietti vorrei chiedere, perché non ne sono a conoscenza, informazioni sulle politiche europee, intese nel senso di istituzione europea, che vadano nel senso auspicato da Mazzola. Personalmente ho scarsissima fiducia sulla capacità dell'Europa di incidere in questo senso (come in altri), ma sono pronto a ricredermi.
A me non sembra proprio che Pier Luigi auspichi un monarca illuminato né che non creda nella democrazia; semmai è vero il contrario: chiede una "Società partecipativa" basata sul principio di sussidiarietà, vale a dire una democrazia non basata sulla rappresentanza ma sull'impegno diretto di ogni cittadino mediato (credo) da organismi associativi intermedi tra Stato e cittadini. Potrà essere accusato di una buona dose di utopismo ma certo non di essere anti-democratico. Però non ho letto il suo numero su Il Covile e quindi la mia è una interpretazione parziale. Se avessi visto giusto, credo che la sua idea di società sia giusta, ma a dosi "sostenibili", vale a dire che non penso sia possibile prescindere dal principio della rappresentanza, anche se esistono esperienze in tal senso negli USA. Ma sono comunità chiuse, addirittura esterne allo Stato, dato che in quel paese esistono anche luoghi che non sono soggetti a nessun potere amministrativo locale.
Quanto ad Ettore non posso che ringraziarlo per il suo post che, come tutti gli altri, suscita sempre interventi e dibattiti di grande interesse.
Saluti
Pietro

ettore maria ha detto...

caro Pietro,

sono felicissimo che si sia sviluppato il dibattito, e lo vedo molto costruttivo, primo perché si vedono nomi nuovi che partecipano, secondo perché ho letto cose molto interessanti, terzo perché il tuo quadro sui commenti di Salvatore riassume in breve - come solo tu sai fare - il suo modo di fare, che è l'unico che non rende costruttivo il dibattito. Ringrazio Paolo V., PierLuigi e Fabrizio per i loro interventi che, sono sicuro, saranno argomento di un dibattito molto interessante.
Ciao
Ettore

qfwfq ha detto...

ricito Salvatore
"Gli edifici rivestiti in cortina e curati in ogni particolare sono realizzati secondo le TECNICHE COSTRUTTIVE TRADIZIONALI e gli appartamenti rifiniti con materiali di pregio"
forse Salvatore cerca di ricordare che la sostanziale condivisibilità delle argomentazioni sostenute da EMM, non necessariamente significa deificazione del "new tradizionalism"

daccordo su molte delle posizioni espresse da EMM
riduciamo i consumi.

cominciamo con il non proporre l'aumento di cubatura in città che non hanno previsioni di crescita significative e 250mila alloggi sfitti (ad es. Roma, Corviale e TBM)

Pietro Pagliardini ha detto...

qfwfq, mi sembra che tu parta dal principio che la cubatura sia il male assoluto. Io credo invece che, nei casi che tu citi, Corviale e TBM, ma anche in infiniti altri ignoti, l'aumento di cubatura sia sostenibile, se per sostenibilità si intende ciò che è funzionale al miglioramento della qualità dell'amebiente, che nel caso dell'uomo corrisponde alla qualità dell'abitare. E' chiaro che se si intende la sostenibilità come un attributo riferito alla sola natura anche in assenza della presenza umana, non si discute nemmeno. Ma poiché mi riesce difficile immaginare una natura di cui l'uomo non sia parte, e parte predominante, tutto ciò che contribuisce al miglioramento della qualità dell'abitare è intrinsecamente sostenibile.
Non vorrai dirmi che occupare terreno intorno a Corviale (ed anche a TBM) non sia occupare terreno già urbanizzato, anche se in modo diverso, cioè sbagliato?
Mi pare di ricordare che anche te sia favorevole alla densificazione, alla compattazione urbana e allora come pensi di ottenerla se non con meccanismi premiali di incentivi volumetrici per ovvia compatibilità economica? Qual'è il problema dell'aumento della volumetria in aree urbanizzate, cioè compromesse alla natura, se questo va a scapito dell'occupazione di vero nuovo suolo esterno alla città?
Bisogna scegliere una soluzione, perché non si può ottenere tutto e il suo contrario.
Se ne hai voglia leggi la parte finale del post precedente dove spiego cosa intendo per "occupazione di suolo".
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

caro qfwfq,
pur facendomi piacere che tu dica di essere d'accordo con molte delle cose che ho detto, sarei curioso di capire su quali non lo sei, magari se ne potrebbe discutere.
Sull'aumento di cubatura posso anche essere d'accordo, il problema però va affrontato caso per caso. Inoltre penso che cubatura, o densificazione, non sia sinonimo di mostruosità, semmai potrebbe essere un modo per restituire un po' di terreno alla campagna: per esempio, nella proposta che ho sviluppato per Corviale UTILIZZANDO SOLO TERRENI PUBBLICI E NON APPARTENTI AGLI IMMOBILIARISTI, pur aumentando la cubatura (per realizzare una serie di funzioni pubbliche, negozi e laboratori artigiani inesistenti e ulteriori appartamenti da vendere per garantire un mix sociale), si potrebbero restituire alla campagna circa 10 ettari! Una città compatta costa meno ed è meno energivora.
Quanto agli edifici RIVESTITI in cortina, a me non sembra che essi siano costruiti in tecniche tradizionali. Infine mi piacerebbe tanto sapere che cosa sarebbe il "new traditionalism" per 2 ragioni:
1° non mi risulta che ci sia mai stato un movimento chiamato "traditionalism";
2° tutti gli "ISMI" sono il risultato di una visione personale della realtà, nel senso che in maniera forzata ed ideologica si è voluto creare ex-nihilo qualcosa che dovesse sembrare del tutto nuova e, soprattutto, all'avanguardia. Tra l'800 e i primi del '900 sono nati più "ismi" che in tutta la storia dell'umanità, e tutti hanno lasciato il tempo che hanno trovato, perché fenomeni artefatti e modaioli. Chi propone la tradizione non lo fa per "sembrare tradizionale", lo fa perché decide di lavorare in continuità con qualcosa senza tempo, e che il tempo stesso ha dimostrato funzionare.
Se si vogliono ridurre i consumi, e se non si vuole rischiare che il comportamento degli edifici muti nel tempo, l'unica strada possibile da seguire è quella di utilizzare ciò che la tradizione ci ha dimostrato funzionare. Ovviamente quando si parla di tradizione non si parla di ottusità mentale, nel senso che nell'evoluzione delle tradizioni in campo edilizio, i costruttori hanno sempre teso a mantenere ciò che funzionava e ad abbandonare ciò che non funzionava, o che risultava troppo costoso o inutile. Tradizione e innovazione possono, anzi devono, convivere, ma innovazione non può significare sperimentare su cavie ignare il funzionamento o meno di qualcosa, e soprattutto non può significare "azzerare la storia e ripartire da zero".
Ti riporto di seguito una serie di citazioni che amo particolarmente:
«Mi cerco là dove mi ritrovo. Come un ragno, la mia aspirazione è di attaccare il mio filo alla tradizione e, a partire da questa, tessere la mia propria tela» (Jože Plečnik);
«Noi in Italia più che altrove, ci crediamo intralciati dalla tradizione, la quale, per quanto gloriosa, pesa a molti come una cappa di piombo: la tradizione può essere, come il Manzoni disse dell’errore, un ostacolo contro il quale inciampa chi va alla cieca, ma per chi alza il piede diventa gradino» (Maria Ponti Pasolini);
«una civiltà sana è quella che mantiene intatti i rapporti col presente, col futuro e col passato. Quando il passato alimenta e sostiene il presente e il futuro, si ha una società evoluta!» (Edmund Burke)
Cordialmente
Ettore Maria Mazzola

Luigi Sciusco ha detto...

Caro Ettore,
Condivido le tue opinioni. Secondo me sarebbe interessante analizzare in maniera quantitativa e con esempi concreti i vantaggi del modello che proponi e anche gli svantaggi, che devono per forza esserci. Ad esempio, si potrebbero simulare i costi energetici totali di realizzazione e manutenzione per uno stesso progetto, magari in contraddittorio con un esperto che la pensa diversamente da te.
Mi sembrerebbe anche utile inserire questa riflessione nel contesto più ampio di un ridisegno dei nostri modelli sociali, a partire da quelli che governano il sistema dei trasporti. Se invece di elargire milioni per sciocchezze (cfr. il ponte sullo stretto) utilizzassimo quei fondi, ad esempio, per cablare il nostro territorio con linee dati ultraveloci potremmo pensare seriamente a un modello lavorativo che ci permetta di ridurre drasticamente la necessità di spostamento fisico delle persone.
P.S. Non ho capito il commento di Salvatore D'Agostino, ma è sicuramente per mia ignoranza.
Grazie

ettore maria ha detto...

caro Luigi,

quello che giustamente suggerisci in merito al "contraddittorio" è un qualcosa che ho già affrontato, e che sto cercando di far elaborare anche alla facoltà di ingegneria di Bologna dove dei miei colleghi che insegnano un corso di Architettura Tecnica e faranno fare ai loro studenti delle valutazioni energetiche degli stessi edifici in tecnica tradizionale e in tecnica corrente.
Quanto agli aspetti economici e al Ponte sullo Stretto mi sono espresso ampiamente in altri contesti ed ho riscontrato un grande consenso.
Sui trasporti sfondi una porta aperta, ne stiamo discutendo anche all'interno della Commissione per l'Urbanistica della sezione romana di Italia Nostra.
Su D'Agostino l'unica cosa che posso dirti è che, come avrai ben capito, è un personaggio che ama far polemica, anche se, spesso, sembra che non sia chiaro nemmeno lui di cosa parli.

Ciao
Ettore

toussaint ha detto...

Scusate, intervengo solo ora, dopo aver visto i vostri graditi commenti alla mia riflessione, perché, vista in specie la drammatica situazione a livello nazionale e mondiale, ci tenevo a precisare alcune cose. Circa quanto ha detto Pietro, vorrei aggiungere che la “Società Partecipativa” secondo il principio di sussidiarietà è una prospettiva per tutti gli uomini, senza esclusione alcuna. Zampetti la definiva come il quarto stadio di evoluzione del consesso umano, dopo la civiltà romana, il medioevo e il moderno capitalismo. Cito direttamente Zampetti:
“Soltanto lo Stato a sovranità popolare potrà ottenere i vantaggi di una visione universale dei problemi, in quanto conserva l'identità del proprio popolo...
La comunità organizzata è la produttrice della vera ed autentica ricchezza del Paese. Nella comunità organizzata esiste soltanto il lavoro produttivo e pertanto verrà esclusa, nell'ambito della medesima, l'esistenza di profitti puramente speculativi, indipendenti cioè dalla produzione di beni e di servizi….
I poteri forti nascono e si sviluppano per l'inesistenza della comunità organizzata, la quale dovrebbe concorrere alla formazione della volontà popolare. Con la comunità organizzata, tutte le forme artificiali di considerare il lavoro e tutti i meccanismi che sostengono lo statalismo vengono per ciò stesso a sparire. I poteri cosiddetti forti, che padroneggiano un'intera comunità e che di fatto concorrono con lo Stato o senza lo Stato a gestire la sovranità monetaria, perdono la loro forza”.
(Partecipazione e Democrazia Completa, estratti da pag. 109 e segg.)
Circa quanto affermato da Fabrizio, certo, si confrontano due visioni antitetiche: secondo lui, “bene” e “male” non si possono definire in modo assoluto, mentre la “società partecipativa” presuppone una visione trascendente della persona, corpo e spirito, e “bene”, “male”, “bello”, “cattivo” e “senso della vita” sono definiti in modo univoco, secondo quanto l’umanità ha sempre intuito, e che ci è stato confermato dall’Uomo dalla cui nascita contiamo il tempo… questo Lui ha fatto con la Sua vita. Col Suo sacrificio e la Sua resurrezione. Nel rispetto della libertà di ciascuno, direi che un discernimento tra le due ipotesi può essere fatto rispondendo alla domanda. “che mondo vorrei per me e per i miei figli? Un mondo nel quale bene e male sono definiti da ciascuno secondo il suo proprio criterio, oppure un mondo dove i valori sono stati stabiliti in modo immutabile dal Creatore, del quale io uomo sono fatto a immagine e somiglianza?” Ciascuno, se vuole, può rispondersi nel proprio cuore. Rimando per i dettagli della materia al mio breve testo già citato (sul pensiero lapiriano come paradigma negativo della società dei consumi), vi ringrazio per l’attenzione e vi saluto cordialmente.

Pietro Pagliardini ha detto...

touissant, io capisco l'aspirazione ad un mondo perfetto e chi si adopera perché questo diventi realtà. Però ho due obiezioni:
1)La prima è, diciamo concreta e cioè sul come questo dovrebbe avvenire. Tu scrivi, citando Zampetti, questa frase: "I poteri forti nascono e si sviluppano per l'inesistenza della comunità organizzata, la quale dovrebbe concorrere alla formazione della volontà popolare". La parte in corsivo, almeno così da sola, mi sembra la riprova di ciò che io dico, perché "la comunità organizzata" deve essere appunto organizzata per concorrere alla formazione delle volontà popolare. Si riconosce quindi che è necessaria una organizzazione, un metodo perché la volontà popolare si formi. Ad oggi non mi sembra che ne siano stati trovati di migliori della democrazia rappresentativa, per quanto imperfetta essa sia.
2) La seconda è più che altro una domanda: non ti sembra che l'estensione di una visione così integrale della propria fede all'organizzazione totale della società rischi non solo di diventare utopica e integralista ma anche, in un certo senso, non del tutto aderente alla sapienza cristiana che conosce bene l'imperfezione umana a livello individuale, a maggior ragione a quello sociale?
Saluti
Pietro

toussaint ha detto...

Caro Pietro,
rispondo con piacere alle tue ragionevoli osservazioni.
1. La questione è che non ci rendiamo conto, poichè nel dibattito politico non se ne è mai parlato (...i capitalisti di Stato e di mercato hanno interesse a mantenere lo status quo, a tenere il popolo delle famiglie in posizione subalterna e passiva) che questo NON è il migliore dei mondi possibili, e che la democrazia rappresentativa non va abolita, ma anzi INTEGRATA con quella partecipativa. Per gli approfondimenti, però, rimando al mio breve testo sul "Covile", questa ovviamente non è la sede.
2. Non esiste politica neutrale, sul "vuoto". La civiltà cristiana ha diviso Stato e Chiesa dal tempo di Costantino, mi pare fosse poco dopo il 300 d.C. Il cristianesimo non crea una teocrazia come accade nel mondo musulmano, ma innerva la cultura, la politica e l'economia... la società tutta intera. Storicamente,l'Europa nasce sulle radici ebraico-cristiane, e sono le radici che, come ricorderai, l'"Europa" di oggi ha deliberatamente espunto dalla propria carta fondante... nel medioevo c'era più sussidiarietà di oggi. le cose sono cambiate, man mano, con il Rinascimento, l'illuminismo e la Rivoluzione francese...donde il risorgimento e questa unità d'Italia che oggi si ricorda... mi permetto di porre alla attenzione di chi ci legge, senza polemica ma con realismo, quali siano stati i frutti della alternativa alla società su basi culturali cristiane... sanguinosi conflitti nazionalistici, irrilevanza politica della persona e della famiglia, che dovrebbero essere i primi soggetti politici, e infine la prospettiva già citata, che aleggia sinistramente oggi, della bancarotta dello Stato... a voi questa ulteriore riflessione.
Cordialmente

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro touissant, che questo non sia il migliore dei modi possibili non v'è dubbio, e sono d'accordo sul fatto che la democrazia rappresentativa debba essere integrata, e in dosi massicce, con la partecipazione popolare.
In primo luogo, per rimanere nel tema di questo blog, nelle scelte per la città, cioè il luogo per definizione della libertà e della socialità.
Avevo capito qualcosa d'altro, di più utopico ed estremo, che non condivido affatto per mia natura, per ragionamento e per l'esperienza fallimentare di ogni impresa in questa direzione, qualunque ne sia la spinta, anche quella che abbia le migliori intenzioni e i più alti sentimenti.
Sul punto 2 non devi convincermi. Non sempre la chiesa si è tenuta separata dal potere temporale e dallo stato, ma che la scoperta dell'individuo, e quindi la base fondante della nostra storia occidentale, sia giudaico-cristiana non nutro alcun dubbio.
Ciao
Pietro

Fabrizio Giulietti ha detto...

Ad onor del vero non sono propriamente novizio nello sfogliare queste pagine, perché in passato ho già frequentato il blog, quando ancora era all'indirizzo di http://regola.blogspot.com. Penso di aver pure scambiato alcune battute con Pietro, anche se si tratta di alcuni anni or sono. Fa comunque molto piacere riavvicinarsi a questi lidi e vedere che il valido Leitmotiv permane inalterato, malgrado i puerili cecchini che meschinamente imperversano.

Aggiungo che durante il dottorato alla facoltà di architettura avevo sviluppato una profonda avversione nei confronti degli architetti, ma è grazie a blog come DE ARCHITECTURA che mi sono reso conto che è piuttosto contro un certo tipo di idea di architettura che bisogna schierarsi, per combattere coloro che sono ossessionati dal (vuoto ripetersi geometrico del) proprio ego - sublimato in orribili monumenti alla propria arroganza (cito solo a titolo d'esempio l'infausto Meier, che ha fatto con lo stampino il brutto Macba di Barcellona e l'ignobile teca dell'Ara Pacis) - ed affiancare invece coloro che conservano l'idea di quale sia il vero fine dell'architettura e dell'urbanistica: costruire luoghi per vivere.

Capisco i dubbi di Pietro sull'Europa, soprattutto se consideriamo la sua cieca propensione al “mercato a tutti i costi” e vediamo come – per tentare di omogeneizzare olio e acqua, cioè Germania e Romania, o Finlandia e Italia se si preferisce – buona parte delle politiche europee siano legate esclusivamente a dati quantitativi (analisi, obiettivi, ecc.), coi disastri che ne possono derivare in una Unione così varia come l'attuale. Però ritengo che, senza l'Europa, l'Italia oggi sarebbe ridotta molto peggio di quanto è già disastrata. In ogni modo, la Commissione da alcuni anni porta avanti il pacchetto di riforme chiamato 202020, che mira a ridurre del 20% le emissioni entro il 2020. Nello specifico edilizio va citato il programma IEE (Intelligence Energy Europe), che finanzia progetti innovativi nel rispetto e nella sostenibilità ambientale. Con analisi quantitative e con esempi concreti dei vantaggi dei modelli proposti, esattamente come propone Luigi, si verificano l'innovatività e la bontà di varie soluzioni. L'articolo di Ettore Maria propone un pratico modo per ridurre i consumi, e, pur essendo una idea anziché un prontuario, è ascrivibile in tutto e per tutto al paradigma della massimizzazione delle risorse (intellettuali, economiche e materiali) per limitare gli attuali sprechi energetici. Altro che nucleare!

Fabrizio Giulietti ha detto...

Ettore Maria parla di città compatte. Questo argomento a me lascia perplesso. Basta passeggiare per Barcellona per vivere l'evidenza dei vantaggi che tale strategia apporta, perché i vari servizi disseminati sul territorio si possono così raggiungere anche a piedi, ma credo che sarebbe prima di tutto opportuno pensare a città razionali. Tempo fa a Roma si parlava di “centralità”, ossia mini-territori (all'interno di aree più vaste) dotati di varietà di usi del suolo e di servizi. Se sorvoliamo sulla grossolana sovrapposizione tra i concetti di “quartiere” e “centralità” operata dai politici romani negli ultimi 15 anni, non si può negare la bontà del principio. Altro fattore negativo della città compatta è che la concentrazione di cemento elimina il verde, che in una città è tanto importante quanto gli edifici (soprattutto per giovani, anziani e... quadrupedi!). A meno che si vogliano costruire grappoli di grattacieli circondati da giardini (rimando sempre a Barcellona, stavolta alla Zona Forum), la dicotomia “città compatta” versus “città verde” si può risolvere solo superando l'idea classica di città, rivolgendoci a quella di “città regione”, come anche riportato da un non troppo vecchio rapporto della OECD (alla faccia degli italiani, che hanno pure scomodato la Costituzione per inserire nell'art V il vetusto ed inutile concetto di Città Metropolitana).

Vedo poi parlare di cubature, argomento che so essere una vera passione per architetti e costruttori. Personalmente credo che il problema non sia solo il “quanto”, ma i (vari) “dove” e “per che” (uso). In quest'ottica la politica dell'ABC olandese credo metterebbe tutti d'accordo, coi palazzinari autorizzati a costruire grattacieli (ad uso ufficio o al massimo promiscuo) e centri commerciali nei pressi degli snodi ferroviari o dei grandi nodi di trasporto pubblico (nota per Rutelli, Veltroni ed Alemanno: intendo l'incrocio tra due metro, non la fermata di un autobus!), mentre invece le casette di tre-quattro piani, ad uso abitativo e con servizi di primo livello (di quartiere, come i negozi locali, la posta, farmacia, banca, ecc.), verrebbero realizzate nelle aree con minore potenzialità di afflusso. In questo ambito ricordo le ricerche e le pubblicazioni di Luca Bertolini dell'UVA, che considero mio maestro, malgrado abbia solo una manciata di anni più di me.

Pietro Pagliardini ha detto...

Io non posso che ringraziare Giulietti delle sue parole ma vorrei ricordare che non posso essere "diversi" anni che conosce il blog! Il tempo passa, ma il blog è nato esattamente 3 anni fa. Questo non toglie niente alla mia età, purtroppo, ma riporta solo un dato di realtà.
Io però non credo che la città compatta debba escludere il verde che, è vero, assolve una grande funzione. La città storica è ricchissima di verde, anche se difficilmente ha parchi al suo interno. C'è il verde privato all'interno degli isolati, che ha il compito di mantenere l'uomo a contatto con la natura. La città antica ha anche molti spazi esterni pubblici che sono di grande utilità per gli anziani, perché possono incontrarvi persone e socializzare, funzione essenziale per chi ha perso i contatti con il lavoro. Certamente occorrono anche spazi verdi, ma i grandi vuoti non sono luoghi propriamente sicuri adatti ai bambini e aglia nziani. Meglio, molto meglio, ritrovare piccoli spazi verdi vicino alle abitazioni, all'interno degli isolati, sotto forma di verdi condominiali o di uso pubblico, o lungo le strade, nelle pieghe tra gli edifici, dove la gente passa, dove si può incontrare qualcuno e dove si possono tenere d'occhio i propri figli. I grandi parchi urbani, che assolvo la funzione di polmoni verdi e hanno un uso più dedicato al tempo libero "programmato", non certo per la quotidianità di quelle fasce d'età cui ti riferisci, possono essere collocati tra i vari quartieri, che crescono secondo il principio del raddoppio, ognuno quindi dotato di una sua centralità, naturalmente ognuno però con una sua gerarchia urbana diversa.
A livello metropolitano hai certamente ragione a suggerire ai vari ex ed attuali sindaci di non considerare una fermata dell'autobus come una condizione nodale dove andare a collocarvi "funzioni" propriamente urbane.
Però dobbiamo capire che i sindaci non sono architetti, ma hanno architetti che li consigliano: se li consigliano male i sindaci restano responsabili politicamente ma il consigliere è responsabile culturalmente. Vorrei che questa gerarchia di responsabilità la si tenesse sempre a mente, per non scaricare le nostre colpe solo su altri soggetti, che almeno rispondono agli elettori.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Pietro: in buona sostanza, mi pare si possa fare riferimento a Helsinki.

http://www.vivafinlandia.com/helsinki.htm

Posta sul Golfo di Finlandia a un tiro di schioppo dalla frontiera con la Russia, Helsinki è un'attraente città d'acqua distesa attorno alla piatta penisola che ne costituisce il nucleo storico.

Il porto e il Duomo di Helsinki Nonostante sia oggi molto dinamica e attiva, Helsinki ci appare ancora come la capitale del buon tempo andato; accogliente e relativamente piccola (si può girare ovunque anche a piedi) deve il suo fascino, più che ai monumenti e ai begli edifici, al meraviglioso ambiente naturale che la circonda. I numerosi parchi e le spiagge la rendono assai gradevole specialmente d'estate (quando per la sua latitudine il chiarore del giorno dura fino alle 11 di sera); bisogna camminare lungo le strade alberate e tra le betulle in queste luminose notti estive per essere conquistati dal fascino discreto della città.

Esperienza indimenticabile...
Saluti
Antonio C.

ettore maria ha detto...

Caro Fabrizio,
il discosro sul verde in città è molto delicato, spesso proprio a causa di una certa sufficienza con cui è stato affrontato, il "verde" si limita a delle tristi e sofferenti alberature lungo le strade, oppure a terreni "piantumati" ad erbacce e alberelli non curati. Questi sono i vuoti di cui parlo spesso. Diversamente, come dice Pietro, e come ho scritto in maniera più dettagliata nei miei libri, il verde può collocarsi i spazi più opportuni. Per fare un esempio concreto, nel mio progetto per la "rigenerazione di Corviale", nonostante un parziale aumento di cubatura, un aumento dei residenti (2000 unità), e la realizzazione di una serie di funzioni oggi inesistenti (Scuola elementare e materna, scuola media, scuola superiore, municipio, ufficio postale, biblioteca/centro culturale, mercato, chiesa, cinema/teatro, negozi, laboratori artigiani), e di una serie di piazze e piazzette, sono state inserite, in ogni blocco urbano, delle ampie corti interne con giardini e campi di gioco per i bambini, è stato inserito un grande parco di quartiere e, cosa che ti sorprenderà, sono stati restituiti alla campagna circa 10 ettari di terreno, in parte utilizzabili per il grande parco pubblico, in parte utilizzabili per l'agricoltura, possibilmente biologica (che è già abbastanza sviluppata nella Valle dei Casali). Ti consiglio di vedere le immagini che simulano il passaggio da Corviale a Borgo Corviale, e ovviamente la planimetria definitiva, che ho proiettato durante la conferenza di Palermo, e che sono state messe su youtube da "nimbus": ti renderai conto che il verde e i luoghi per la socializzazione abbondano.
Ciao
Ettore

toussaint ha detto...

Cari amici,
l’evolversi drammatico e micidiale della emergenza nucleare in Giappone mi suggerisce la seguente proposta.
Dunque, voi siete i professionisti dell’urbanistica e dell’architettura, e Ettore Maria con la sua riflessione, il cui titolo era “costruire con parsimonia”, ha focalizzato il dibattito sulla linea virtuosa del possibile mega-risparmio energetico nella costruzione e gestione degli immobili, servendoci delle tecniche tradizionali, nonché di una idea urbanistica a misura d’uomo e assolutamente innovativa rispetto a quella attuale.
Da parte mia, non specialista in materia ma non da oggi attento alla suddetta linea virtuosa che Ettore Maria porta avanti con alcuni suoi amici e colleghi (splendide anche le sue considerazioni sul terremoto in Abruzzo e sulla ricostruzione), c’è stata la constatazione che le suddette politiche auspicabili non riescono a “sfondare” nel livello politico, che è poi quello che conta, a motivo di mancanza di sussidiarietà e “società partecipativa” nel livello culturale ancor prima che politico.
Fermo restando, per sano realismo, che non è facile intervenire sui suddetti livelli, segnalo però due fatti significativi:
1) la moratoria di un anno sulle decisioni circa il nucleare
2) è previsto un referendum sul nucleare per il prossimo giugno.
In considerazione di ciò, come è stato fatto un appello al Papa per “un’arte sacra autenticamente cattolica”, perché non fare un “appello ai parlamentari della Repubblica Italiana per costruire con parsimonia, fare a meno del nucleare e vivere meglio nelle nostre città”? Questo sarebbe, in ogni caso, un valido contributo culturale al dibattito che sta già venendo fuori, e si scalderà ancor più nel prossimo futuro. Un modo per far sì che le idee in argomento escano dallo spazio del blog per divenire patrimonio pubblico.
Sarebbe una assunzione di responsabilità, un servizio al Paese, un modo concreto, fecondo e non retorico di rivisitare il 150mo anniversario dell’unità…
Gli elementi ci sono già, mi pare… Ettore Maria ha scritto dei libri sull’argomento, e fa parte di un pool di colleghi che sono orientati nello stesso modo. I punti tecnici essenziali sono quelli esposti da Ettore Maria nella sua prefazione del 25 marzo scorso… ecco, magari, ho qualche perplessità circa la rinunzia ai piccoli elettrodomestici… questo sarebbe un punto da precisare meglio… i punti di forza potrebbero essere che questo approccio ci potrebbe far rinunziare al nucleare – si dovrebbero quantificare i dati in modo puntuale – e che si tratterebbe di una politica apripista per il resto del mondo e che, in ogni caso, si comincerebbe a risparmiare molta energia e ad abitare meglio da subito… questa la proposta che pongo alla vostra attenzione.
Qualcuno potrebbe osservare che si rischierebbe di “inflazionare” lo strumento dell’appello… cosa certamente possibile, ma mi pare che, al punto di crisi epocale in cui siamo, valga la pena di correre il rischio.
Un cordiale saluto a tutti voi.
Pier Luigi

Fabrizio Giulietti ha detto...

Sì, Pietro, credo fosse nel 2008... "alcuni anni or sono", appunto.

Devo fare mea culpa. Temo di aver letto "compatta" ed aver pensato a "densa". I concetti si possono toccare, ma anche rimanere ben distinti. Nel primo caso abbiamo città al cui interno annoveriamo pochi grandi spazi a verde (i parchi e le "ville" di alcune città), ma che possono mantenere una densità della popolazione relativamente bassa. Nel secondo si parte invece proprio dall'idea di "ammassare" in aree ristrette il maggior numero di persone possibile, con necessaria esplosione dei volumi (edilizi e di residenti) in verticale.

Pietro ed Ettore Maria si riferiscono al primo caso, ed io condivido la loro posizione. Ma con un distinguo fondamentale: che oggigiorno a mio modesto parere quando si parla di città bisogna pensare alle "città metropolitane" (o "città regione"), dove tanti nuclei dalle dimensioni relativamente piccole ma “autosufficienti” (con varietà di funzioni e servizi) si inseriscano in un sistema policentrico, che in un Paese civile può solo reggersi sulle (e svilupparsi attorno ai nodi delle) infrastrutture ferroviarie. Credo perciò che nella pianificazione sia fondamentale il continuo “gioco” tra cambiamento di scala tra “locale” (quartiere) e “regionale”.

Sono gli architetti la causa di ogni male? Beh, se lo dice un architetto a chi non ha esattamente in simpatia la suddetta categoria, il risultato potrebbe terminare con una scontata stretta di mano. Però forse non è solo così. Credo che la politica e le politiche abbiano un valore preponderante. Da una parte sono i politici a scegliere i vari tecnici degli uffici di urbanistica, che a loro volta decidono i vincitori dei bandi, sia per la costruzione di nuove aree residenziali, sia per opere “puntuali” quali edifici per particolari funzioni (la teca di Meier) o risistemazione di aree preesistenti (come certe piazze). Ma a rendere “troppo responsabili” (per come noi che li accusiamo, ma non davanti alla legge o alla decenza) architetti ed ingegneri è sopratutto la carenza di politiche certe (annientate poi dalla “legge obiettivo”) che più che imporre limiti (spesso aggirati) indirizzino lo sviluppo delle città in maniera coerente e secondo canoni sostenibili.

E poi è anche ora che si riformatti la filiera del processo di pianificazione urbana, spaventosamente ancora di matrice industriale. Ma questo è forse un altro discorso.

Pietro Pagliardini ha detto...

Fabrizio, siamo d'accordo su tutto, con qualche sfumatura diversa ovviamente.
Quanto al fatto che io calchi la mano sulle responsabilità dell'architetto rispetto a quella del politico, è anche un mio modo strumentale per affermare un primato dell'architetto stesso in questo campo. Se dobbiamo riconoscere che l'architetto sia solo un disegnatore per conto del politico allora tanto varrebbe smettere.
Ciò detto, credo tuttavia che storicamente, aldilà della cronaca, l'urbanistica modernista sia stata pensata, propagandata, diffusa ed applicata da architetti e i politici, al massimo l'hanno utilizzata. Un politico, non essendo un tecnico, non può che affidarsi alla cultura corrente e quella corrente è, da almeno sessant'anni, la cultura modernista, quindi a quella si rivolge.
Ti immagini andare da un assessore e dirgli: io ti faccio un piano in cui non fisso le destinazioni, non metto limiti numerici ma solo di localizzazione; lungo queste strade può andarci commerciale e botteghe a piano terra, sopra facciano quello che vogliono. Quello ti guarda attonito, ti dice sì ma pensa che tu sia un matto. Quando esci va dai suoi funzionari architetti e insieme mettono in una zona il commerciale e nell'altra il residenziale, pone limiti, quantità, ecc.
E' l'assuefazione ad un sistema dove sembra impossibile dover cambiare. Anche gli architetti si adeguano e assuefanno a questo sistema, è del tutto naturale. Occorre quindi diffondere un'idea diversa e occorre che si diffonda tra molti architetti, tra i docenti, nelle riviste, ovunque.
Quindi spetta agli architetti questo compito non può essere demandato ai politici, i quali devono avere invece l'intelligenza e il coraggio di saper applicare quelle idee al momento giusto, quando c'è almeno un minimo di condivisione culturale.
Come è stato possibile cambiare, di punto in bianco, tutto, troncando il legame con la storia e con la tradizione in maniera brutale, così deve essere possibile cambiare nuovamente in altra direzione con una forte soluzione di continuità rispetto al passato recente e all'oggi.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

anch'io trovo molti punti di contatto con ciò che dice Fabrizio, soprattutto in materia di potenziamento del sistema ferroviario a servizio di vari centri autosufficienti.
Quanto alle responsabilità, io confermo in toto la responsabilità dell'architetto, che a sua volta deriva dalle facoltà universitarie in cui si sono formati, indi, la responsabilità è nell'università. Se l'insegnamento non fosse stato, e non venisse operato in maniera ideologica, oggi non staremmo qui a lamentarci di come vanno le cose. La visione distorta della realtà che è stata portata nelle università ha fatto sì che i tecnici e i consulenti di oggi conoscano solo ed esclusivamente i dettami dell'ideologia modernista. Oggi fare ricerca nel campo dell'architettura e dell'urbanistica prevede di immaginare sperimentalmente nuovi orizzonti, e mai di provare a ripartire da dove abbiamo iniziato a sbagliare. Per operare un cambiamento è necessario che le università incomincino a riconoscere gli errori commessi e propongano un modello urbanistico non sperimentale, ma basato sulle conoscenze che abbiamo abbandonato, ovviamente pensando a come far convivere le norme e i criteri pre-modernisti, con le esigenze del vivere odierno ...
problema n°1: ci sono i docenti in grado di insegnare questo?
problema n°2: c'è la volontà politica di operare il cambiamento?
problema n°3: ci sarà la possibilità che l'industria automobilistica (che sponsorizzò l'opera di Le Corbusier) non ostacoli questo processo?
problema n°4: quanto, il potere dell'industria edilizia, che sponsorizza tutte le riviste specializzate (e non solo), tenterà di impedire il cambiamento necessario?
A presto
Ettore

Fabrizio Giulietti ha detto...

Rischio di diventare stucchevole nel ribadire quanto condivida la vostra visione, però c'è una piccola precisazione che penso vada fatta. L'identificazione "architetto" con "urbanista" può avere un certo senso in Italia, e pure qua sarebbe solo parziale, perché anche gli ingegneri possono firmare i Piani (mi apre che Secchi sia ingegnere chimico).

Ai miei occhi, invece, urbanista è colui che si occupa dello studio della città e propone soluzioni per (possibilmente) migliorarla, anche con interventi strutturali/infrastrutturali, sia nato accademicamente come architetto, ingegnere, economista, sociologo, geografo o quant'altro. Non va dimenticato che al di fuori dell'Italia tra i migliori pianificatori e studiosi urbani ci sono Peter Hall, A.C. Pratt, David Banister, Bent Flyvbjerg, tutti geografi. E come non considerare i sociologi (e non sociologhi, come dice un importante architetto del Politecnico di Milano) John Urry, Jordi Borja e (il compianto) François Ascher urbanisti a tutti gli effetti? Il mantenere i dipartimenti di urbanistica esclusivamente all'interno delle facoltà di Architettura ed Ingegneria (con ridicole formule di dipartimenti chiamati “Architettura e Urbanistica per l'Ingegneria” all'Università Tor Vergata) in Europa è una anomalia riscontrabile solo nell'area mediterranea.

Non so Pietro, ma so che Ettore Maria persegue il valido quanto nobile obiettivo di una intensa comunicazione tra aree di studio - che sarebbe anche mio, decidessi un giorno di ritornare a lavorare in ambito accademico - ed a mio avviso questa evoluzione può non solo avere un impatto positivo sulla pianificazione territoriale di per sé, ma anche avere effetti a cascata sul dialogo interno alla vostra categoria di architetti.

Un caro saluto

F.

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Fabrizio, io non perseguo niente perché svolgo la libera professione e non ho niente a che vedere con l'Università. Davvero non voglio entrare in argomenti che mi risultano difficili e che nemmeno mi interessano tanto, ma ho la sensazione che il tenere insieme la figura dell'architetto con quella dell'urbanista sia una caratteristica italiana che tutto sommato io apprezzo, perché è una visione di tipo umanistico, tipicamente mediterranea. L'estrema specializzazione può dare frutti, ovviamente, ma alla fine occorre una sintesi delle varie analisi.
Però è una mia opinione piuttosto intuitiva perché davvero è materia per me di non grande interesse.
Ciao
Pietro

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